Heuke Mite
#1
Edel Liebüm non si fece scrupoli a sbattere la porta entrando nel soggiorno di casa sua quel tardo pomeriggio. Non che a suo figlio, seduto sul divano della stanza con un giornale fra le mani, sarebbe servito quello per intuire chi fosse. Il passo della madre era sempre più prolungato e piatto rispetto a quello del patrigno. Ed entrambe le sue sorellastre camminavano pestando i talloni sui pavimenti polverosi del loro appartamento; chissà qual è il suono dei miei passi? Si domandó il giovane, mentre un soffio flebile di vento si infiltrava attraverso la finestra nella stanza. Era Agosto inoltrato, e a Berlino si respirava un'aria opprimente, benché fresca, ma soprattutto -ad Heuke pareva che ció accadesse unicamente nel suo quartiere- un'aria che sembrava perfettamente intrecciata con gli odori delle pietanze che stavano venendo preparate in attesa della cena, con il puzzo del gasolio proveniente dalle motociclette, con l'essenza dei gerani che addobbavano i davanzali delle finestre di fronte al loro edificio.
Non bastó quella riflessione a distrarlo dall'improvviso rumore che scaturí dalla loro televisione a cubo catodico. Sbatté un paio di volte le palpebre, ancora dolorosamente stupito dal fatto che la madre nemmeno lo avesse salutato, né gli avesse chiesto se il rumore del pezzo che veniva trasmesso sull'apparecchio lo avrebbe disturbato; ma in qualche attimo si distaccó completamente dai suoi pensieri, ricordandosi di chi aveva davvero davanti. Accavallando le gambe, continuó nella sua lettura.
Passarono svariati minuti prima che la voce della donna tornasse a rovinare la quiete che si era creata. 《Ai genitori del piano di sopra è morta la bambina. Scarlattina.》 gli comunicó Edel, senza distogliere lo sguardo dallo schermo della tv. Heuke abbassò il giornale, rivolgendo uno sguardo interrogativo in direzione della madre. Gli ultimi raggi di sole penetravano pigri attraverso i vetri impolverati delle finestre, proiettando un'ombra scura sul volto di sua madre, tanto opaca che Heuke non fu sicuro dell'espressione che Edel aveva dovuto avere mentre gli comunicava quella notizia. Non era nemmeno certo di come rispondere, in realtà. Ogni gesto, parola della madre sembravano calcolati nei minimi dettagli eppure Heuke sapeva cosí bene che dietro quegli occhi verdi, sbiaditi, anonimi, non c'era nulla capace di produrre con tanta finezza il personaggio che sua madre aveva nel tempo costruito. Ci credeva, aveva il bisogno di crederci: in momenti come quelli, non essere spiazzato dalla imprevedibile insensibilità di sua madre era l'unica speranza che aveva di continuare a sopravvivere in quella farsa.
《Mi spiace per loro》 commentò quindi, sfogliando con un millimetrico movimento del pollice la pagina del giornale. Tornó ad abbassare lo sguardo, convinto che la frase bastasse a chiudere quell'imbarazzante dialogo instauratosi fra loro due.
Passarono alcuni secondi prima che il ragazzo si accorgesse che non stava davvero leggendo un nuovo articolo. Era rimasto ancorato alla forma delle lettere, alla struttura del paragrafo, sbatteva le palpebre irritato dal sole convinto, forse, nei meandri del suo subconscio, che quelle lettere si sarebbero mescolate in uno spettacolo metafisico: ma come un animale consapevole di essere braccato stava aspettando un qualsiasi segnale, un movimento, un pericolo da cui difendersi.
Alzò di nuovo la testa: sua madre aveva girato il volto per osservarlo, consapevole che avrebbe attirato la sua attenzione- no, non consapevole, aspettandosi che lo avrebbe fatto. Tutti fissiamo per farci guardare, no? Tentó di convincersi Heuke prima che la voce della sua interlocutrice risuonasse nella stanza facendo vibrare il silenzio che li circondava 《Ma ti senti quando parli?》 domandò sottovoce, il disprezzo chiaramente percepibile attraverso le sue parole, lo scatto schifato della bocca ancora quasi oscurato dalle ombre del tramonto 《Non te ne frega niente di quella povera bambina. Non te ne frega niente》. Heuke non disse nulla. Cosa rispondere, a un'affermazione del genere? Era vero? Non era capace di giudicarlo da solo. Non aveva mai nemmeno visto quella bambina. Non sapeva come si chiamasse, come fosse, chi era: eppure lui stesso si aspettava di dover provare qualcosa all'idea che fosse morta, che la sua esistenza in questo mondo fosse definitivamente cessata.
《Sei un mostro. Sei incapace di amare》 il tono con cui continuò sua madre era quasi terrorizzato. Esterrefatto. Disgustato dell'essere umano che aveva davanti, di essere la donna che lo aveva partorito; il ragazzo tentennó a quelle parole, nonostante fosse seduto. Tutta quella scena gli provocava un giramento di testa, un déjà vu di milioni di altre giornate, altri raggi di sole, altre notizie al telegiornale della sera. Altre bambine morte, altri odori di gasolio e margarina.
Heuke si alzó, chiudendo il giornale e avanzando verso la porta del salotto; lo sguardo di sua madre non lo seguí, rimanendo disperso e vuoto nell'immensità di una carta da parati verde ormai ingiallita. Prima che il ragazzo potesse aprire l'uscio una bambina lo precedette correndo inseguita da sua sorella maggiore 《Heuke!》 esclamò, mentre andava a sbattere contro le gambe del suo fratellastro, incapace di fermarsi in tempo presa dalla frenesia dell'acchiapparello 《Mi prendi sulle spalle? Ti preeeego!》 proseguì immediatamente, accompagnando la richiesta con un abbraccio, mentre le lamentele di Ruth sull'ingiustizia del chiedere aiuto al fratellastro. Heuke posò teneramente la mano sulla testa di Cilly《Magari più tardi, mhm?》 propose staccandosi da quell'abbraccio. Poi superó la bambina e accartocció il giornale, gettandolo a terra, vicino al cestino della carta.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top