Capitolo 6


Mi appoggiai alla porta esausta.
<< Apritemi...>> dissi bussando alla porta esasperata, agrappandomi alla maniglia della porta, per non cadere a terra.

Un aggettivo per definire il mio primo giorno di scuola?
Strano!
Sì strano, è stato il primo giorno più strano della mia vita.

Niente professori rompi scatole, o giocatori di football super pompati, e nemmeno oche vestite da Barbie.
Insomma della scuola non ne avevo più neanche respirato l'aria.

Ero rimasta con Elizabeth e i suoi amici, seduti su quel muretto, seduta lì, senza parlare, osservando attentamente le persone che avevo davanti.
Erano così, così normali, facili da capire, pieni di problemi inutili che si erano creati per essere speciali.

Risi, creare problemi per sentirsi speciali?
Ma che cazzo stavo dicendo?

È possibile che fossi ubriaca senza aver bevuto?
O semplicemente sono pazza, si forse sono solo semplicemente pazza.

Invece lui, non ero riuscita ancora a capire come fosse.
Stava fermo, che pensava, a volte rideva, parlava ma niente, e come se avesse non so, un muro una sorta di protezione, che proteggeva la sua natura, impedendomi di vederci qualcosa.

E la cosa mi irritava, e come se lo faceva...
Solitamente mi serviva poco tempo, guardare l'atteggiamento di una persona e i suoi modi di fare, per capire come fosse.

Non era superficialità, non voleva dire giudicare una persona, quello che facevo io era solo leggere il nome del personaggio, in un copione, che leggevo pagina per pagina.
All'inizio lo facevo per curiosità o anche per noia, non so bene, poi divenne qualcosa di automatico che ne anch'io riuscivo a controllare.

O forse come ho detto prima sono semplicemente pazza.

<< Chi sei?>> una donna con una divisa viola scuro, mi si presento davanti.
Era poco più bassa di me, con i cappelli raccolti in una crocchia in alto, e gli occhi piccoli che mi ricordavano un scoiattolo inglese, aveva un accento messicano, alquanto pronunciato.
<< Sono la figlia della proprietaria, di questa struttura, grazie...>> feci per entrare, ma mi blocco con il braccio.

<< A con lei qualche documento?>>

<< Si certo, ho pure le analisi del sangue qui con me, immaginavo che per entrare a casa mia me le avrebbero chieste.>> ironizzai.
<< Sono seria.>>

<< Oddio, Mala perché sei ferma sulla porta da venti minuti?>>

Santo cielo, di male in peggio.

<< Signora, qui c'è una che afferma di essere sua figlia.>>

La figura di Annabelle Fortenberg Andrès, ovvero mia nonna comparve davanti alla porta.

<< Buongiorno.>> la sua espressione era impassibile.
Fate, ritornare quella tipa, almeno con lei avrò qualche possibilità di rientrare a casa mia.
<< Ciao, nonna.>>
<< Gradirei entrare dentro la mia casa, cortesemente.>>
<< Figurati.>> si spostò per farmi entrare.

Buttai la borsa accanto all'attaccapanni e corsi in camera mia.

Senti la porta di sotto aprirsi.
Oltre a me, quella scorbutica della madre di mia madre, e a Mala, non c'era nessuno...

Mia madre e Jake erano al lavoro e Bill e Todd alle elementari.
Mentre Alexis sarebbe tornata fra poco...
Oh, parli del diavolo e spuntano le corna.
Alexis fece irruzione dentro casa.
<< Ciao, Biancaneve, com'è andata oggi a scuola?>> chiedo dalla cima delle scale.

Mi mostro il suo fottuto terzo dito.
<< Ah, ah che simpatica.>>

<< Alexis...>> Annabelle le venne incontro abbracciandola.
<< Che bella che sta diventando la mia bambina.>> le disse, dopo averla dato un baccio in fronte.

Sospirai.
Dovrei starci male, sentirmi triste, o qualcosa del genere, ma è il fatto è che sapevo e capivo perché lei sì e io no.
Alexis è nata, da due genitori inglesi, bianchi, benestanti e di buon sangue.

Mentre io sono solo l'incontro, di una donna inglese di buon sangue, con un palestinese di cui si era invaghita per sbaglio.

E si, mi dispiaceva che anch'io non possa essere come lei, e prima ci stavo male tanto, perché una bambina di tre anni che vede certe cose, cresce male, ma col tempo ti ci abitui, e inizia a crearsi un solo e unico sentimento:
L'odio.

L'odio per una persona che ha tutto quello che tu puoi solo desiderare:

E io la odio, odio lei più di ogni altra cosa al mondo, odio il fatto che é bella, odio i suoi occhi azzurri, quelli che ha lei e che io non ho, odio il fatto che intorno a lei avesse entrambi i suoi genitori, che tutti la amassero al contrario di me, ma la odio più di tutto perché se io sono così, se la mia famiglia é così, e colpa sua, se lei non fosse mai nata, i miei genitori, non si sarebbero separati, e io non avrei sofferto fino a cambiare in qualcosa da cui non posso più scappare.
Mio fratello, mio padre, le mie lacrime, i miei occhi gonfi, ogni notte, erano colpa sua.

Tornai in camera mia e mi buttai sul letto.
Abbracciai il mio cuscino.
L'unica persona che mi voleva bene.
"Da quando in qua i cuscini sono persone con sentimenti?" Chiese una vocina nella mia testa.

<< Da ora.>>

Il mio stomaco brontolava.
Non avevo voglia di scendere giù e vedere quell'apatica di mia nonna.

"Se almeno sapessi cosa vuol dire apatica."  disse una vocina nella mia testa.

"So cosa vuol dire apatica è solo che non me lo ricordo. E ora stai zitta per favore."

Ora litigavo anche con me stessa, sto impazzendo.
"Una sorta di Bella Swan, in versione australiana abbronzata, che sente le voci nelle sua testa quando ha fame. Ah, dimenticavo, e tu non hai nessun affascinante vampiro che ti desidera."

"Esattamente." dissi mente mi alzavo dal letto.

Nessuno poteva tenermi lontana dal mio adorato cibo, nessuno, neanche quel goblin malvagio.

Presi una pizza congelata e la misi nel microonde.
<< Non dovresti, mangiare quelle schifezze, ti fanno male.>>
Sobbalzai, sbattendo la testa al mobile.
Appoggiai il piatto sul tavolo.
<< Mi dispiace ma non so cucinare, e ho fame.>> diedi le spalle a Mala.

<<C'è ancora un po' di riso, lo messo nel forno se vuoi te lo riscaldo.>>
Le sorrisi.
Mi sembrava strano e bello allo stesso tempo, una sconosciuta si preoccupava di te, mentre non lo faceva più neanche chi ti aveva cresciuto.
<< Grazie. Per ora sto bene così.>>

Poggiai il piatto sul tavolo, e aprì il microonde.

<< Zoey.>> sobbalzai, sbattendo la mano contro l'interno del microonde... bruciandomi.
<< Cazzo!>> impreccai sottovoce, mettendo la mano sotto il getto d'acqua del rubinetto.

<< Zoey, non darmi le spalle mentre ti sto parlando.>>
Mi morsi il labbro.
Calma Zoe, calma.
Presi un profondo respiro.
<< Nonna, mi sono bruciata, non è che potresti aspettare un attimo?>>

<< Ci vorrà solo un attimo e ora ascoltami, senza fare troppe storie.>>
Feci uso di tutta la mia buona volontà, e mi girai sorridendo mentre agitavo leggermente la mano che bruciava ancora.

<< Stasera avremo degli ospiti importanti...>>
"Avremo "?
Da quando questa è anche casa tua?
Io mi chiedo perché anch'io non potevo avere una simpatica vecchietta che mi volesse bene, e mi regalasse i torroncini e quelle caramelle orribili , come tutte le nonne di questo fottuto mondo fanno?

<< Quindi ti chiederei gentilmente di non combinarne una delle tue, e mi faresti un gran favore se te ne rimanessi in camera tua, buona in silenzio.>> concluse.

<< Una delle tue?>> domandai divertita.
Mi fulminò con lo sguardo, ma subito dopo si ricompose.
<< Se non aggiungessi altro sale al cibo, o non portassi il gatto, o il cane o qualsiasi animale esistente sulla terra quando stiamo pranzando per mostrarlo agli ospiti te ne sarei grata.>>

Mi girai a sciacquarmi la mano.
<< Te ne sarei grata.>> la immitai sottovoce.
<< Zoey.>> quasi urlò.

<< Avevo sette anni.>> risposi seccata.

Apri il mobile sotto il lavandino alla ricerca di un bicchiere...
<< Io a sette anni sapevo leggere, scrivere e parlare perfettamente sette lingue!>> disse isterica.

<< Eh?>> dissi voltandomi di scatto.
<< Il punto è che devi smetterla di comportarti come una rozza bifolca! Ma tanto tu non capisci sei uguale a quel l'idiota di...>> si zittì prima di finire la frase.

Sbattei l'anta del mobile con forza, alzandomi in piedi.

<< Dillo, finisci ciò che stavi dicendo, dimelo che ti faccio schifo esattamente come, come rozzo bifolco di mio padre... no aspetta come quello sporco e stupido essere, che ti aveva rubato tua figlia!>>
Si copri la bocca con la mano.
<< Ma ti ricordo che quell'essere è mio padre e non lo vedo da quando ho quattordici anni!>>

Usci dalla cucina.
Lo sapevo, lo sapevo...

Salì le scale, sentivo che qualcosa si era rotto dentro di me liberando cose che avrei voluto rimanessero al loro posto.

Finiva sempre così ogni volta.
Ogni fottuta volta che parlavo con uno di loro.
Sospirai entrando nella mia camera e sbattendo la porta con forza.

Mi presi la testa fra le mani.

Devo fare qualcosa prima che riaccadesse.

"Pensa Zoe, pensa..."
Aprì un cassetto tirando, cercando i soldi che tenevo da parte.

Mi alzai, prendendo il telefono.

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