CAPITOLO 3

1

Non appena fu in camera, Haven prese a camminare su e giù per la stanza, coprendosi il viso con le mani e sistemandosi freneticamente i ciuffi castani dietro le orecchie. Se l'avessero vista i suoi amici avrebbero creduto che fosse pazza. Lei stessa era convinta che una notizia del genere le avesse causato qualche danno al cervello. Danno probabilmente irreparabile.
Come avrebbe fatto?
Chi erano queste persone?
Poteva accettarle nella sua vita?
Troppe domande per un momento così delicato, ma erano come impresse a fuoco nella sua mente. Non riusciva a immaginarsi in un futuro più prossimo di quanto potesse sperare circondata da dei fratelli.
Un padre era più che disposta ad accettarlo. Dopotutto non aveva mai avuto un padre e magari sarebbe stata anche una presenza piacevole nella sua vita, ma dei fratelli? Cinque fratelli.
"Cinque, Haven. Cinque!" Le gridarono i suoi pensieri.
A malapena riusciva a sopportare Heatan, Ryan e John insieme... E loro li conosceva da anni. Come avrebbe potuto sopravvivere con quegli estranei?
Sua madre aveva detto che avevano più o meno la sua età.
Fantastico. Li avrebbe odiati.
Fossero stati dei bambini magari avrebbe potuto sopportarli. Come se fossero stati adulti li avrebbe potuti ignorare come faceva con tutti quelli più grandi di lei. Ma se avevano la sua età era rovinata.
Calciò con forza il pallone da pallavolo vicino ai piedi del letto mandandolo a sbattere contro la parete. Il forte botto la calmò un po'. Come uno sparo in mezzo alla foresta acquieta tutto, lo schianto del pallone aveva zittito le voci nella sua testa.
Appena la sfera smise di rimbalzare sul pavimento la confusione che invadeva la sua testa tornò a tormentarla, così prepotentemente da farle ricoprire gli occhi di una patina lucida.
Si gettò sopra i cuscini accumulati nell'angolo lettura che aveva ricavato per terra nello spazio tra le due librerie di betulla stracolme di libri di ogni forma e dimensione e, accucciata con il viso premuto sulle ginocchia, prese a singhiozzare sommessamente, quasi temesse di far sentire quanto fosse fragile in quel momento.
Odiava ammetterlo ma si sentiva distrutta, sconvolta e inerme davanti a tutta quella faccenda. E si sentiva anche sola. Più del solito.
Una straziante morsa all'altezza dello stomaco unì lacrime di dolore a quelle di tristezza e disperazione che già le solcavano le guance paffute e rosee. Un paio di esse le finirono sugli angoli della bocca, socchiusa per far fuoriuscire i singhiozzi e il respiro troppo affrettato per passare dal naso sottile.
Assaporò il gusto salato delle sue stesse lacrime come faceva fin da bambina, percependo il retrogusto amaro che le lasciavano sulla lingua, provocandole un forte bruciore alla gola che rendeva difficile anche piangere.
Passarono un paio di minuti durante i quali il suo unico pensiero era smettere di disperarsi e reagire a quello che stava accadendo alla sua vita. Quando rialzò il viso bagnato dalle ginocchia appoggiò la testa alla parete dietro di sé, chiudendo la bocca e costringendosi a respirare dal naso per calmare i convulsi spasmi che le facevano sobbalzare il petto.
I polmoni le dolevano per gli intensi sforzi di respirare con calma, ma la sua determinazione, il suo più grande punto di forza, la costrinse a smettere di singhiozzare.
Come dopo ogni pianto, un forte mal di testa cominciò a premerle dietro alle orbite, allargando le fitte dolorose fino alle tempie.
All'improvviso Haven sentì come un sovraccarico di energia. Energia da sfogare. Poteva colpire di nuovo il pallone ma ripensandoci bene aveva qualcosa di meglio su cui sfogarsi.
Uscita dalla sua stanza, accertatasi prima che non ci fosse sua madre in zona, entrò nella palestra, accese le luci e senza nemmeno indossare i guanti protettivi prese a colpire senza pietà il sacco da boxe appeso al sostegno.
Seguendo i corsi di pallavolo e basket e non essendo molto alta doveva compensare in forza quello che le mancava in altezza. Per questo utilizzava il sacco. E quella sera lo usò più di quanto facesse normalmente in due giorni. Non le importava della tecnica, voleva solo fare più male possibile a ciò che le si trovava davanti e che in quel momento rappresentava il fardello che incombeva sulla pace che aveva trovato nella sua semplice vita.
Quando l'orologio sulla parete segnò le dieci passate iniziò a sentirsi stanca e priva di forze. La carica di energia si era esaurita in fretta ed era stata la rabbia a guidarla finché non fu troppo esausta anche per essere arrabbiata.
Si sdraiò di schiena sull'ispida moquette che copriva completamente il pavimento e richiuse gli occhi, con il mal di testa che le scivolava via affievolendosi e lasciandola cadere in un sonno profondo tormentato da sogni scuri.

2

Tante mani nere come la notte si allungavano verso di lei. L'afferravano, la tiravano da una parte e dall'altra, strattonandola, premevano sulla pelle fino a scottarla.
Haven si alzò di colpo spalancando gli occhi e ansimando come avesse corso la maratona. Si accorse di tremare lievemente quando il bruciore che sentiva addosso sparì all'improvviso.
~ Un sogno...~ sussurrò lasciandosi ricadere di nuovo.
Voltò la testa con una strana angolazione per leggere l'orologio appeso alla parete che indicava lei sei e un quarto.
Facendo rapidamente due conti realizzò che le bastava aspettare fino alle sei e venti, poi sua madre sarebbe uscita e andata a lavorare.
Non la voleva assolutamente vedere. Era troppo furiosa.
Haven purtroppo, aveva una formidabile memoria per i torti che le venivano fatti e in più era incredibilmente permalosa. Due caratteristiche che, insieme, rendevano molto difficile farsi perdonare da lei.
Era ancora incredula che sua madre non le avesse detto subito della proposta di Noah. Poteva capire riguardo ai fratelli. Insomma, non c'era motivo di parlarle di loro se nessun matrimonio era previsto, ma non poteva negare di essere ancora più arrabbiata per quello.
Torse il collo diverse volte osservando l'orologio e quando finalmente furono le sei e venti passate si decise ad alzarsi, rendendosi conto all'improvviso di avere un male assurdo alla schiena.
Gemette sonoramente mettendosi in piedi a fatica.
~ Merda...~
Si stiracchiò alla bell'e meglio tentando di sciogliere quel blocco che le pareva di avere in fondo alla schiena mentre si avviava verso la cucina.
Non era uscita da neanche una decina di secondi quando i suoi cani arrivarono di corsa, saltellandole davanti indubbiamente mille volte più contenti di lei.
Li salutò più affettuosamente che poté -praticamente con la gioia di un morto- e cercò di fare colazione per quanto il suo stomaco rifiutasse completamente il cibo.
Finì col prepararsi prima del solito, indossando la divisa, le scarpe e facendosi trucco e capelli con una lentezza che non le apparteneva.
Attese l'arrivo di Heatan sdraiata sul divano del tutto indifferente alle pieghe che si sarebbero create sul morbido tessuto della gonna e quando il campanello finalmente suonò si rialzò sbadigliando, priva di energie a causa della nottata orrenda.
~ Ciao Bimba.~ la salutò il ragazzo appena la vide. ~ Ti senti bene?~ aggiunse subito dopo guardandole il viso stremato.
~ Sì, sto bene.~ rispose subito cercando di assumere l'espressione più innocente possibile.
Se non riusciva a ragionare con sé stessa su quella faccenda, come poteva pensare di parlarne con i suoi amici, per quanto volesse loro bene e si fidasse?
~ Sicura?~ chiese ancora passandole una mano sui capelli sopra la testa. Gesto strano da lui, ma così gentile che Haven non riuscì neanche a meravigliarsi.
~ Sì, non preoccuparti.~ ribatté ancora sorridendo.
~ Va bene... Andiamo?~ disse poco convinto dalle risposte della ragazza.
~ Certo.~ fece lei dirigendosi verso il parcheggio.
Si sentì tirare per un braccio, così si voltò verso Heatan, con sguardo interrogativo.
~ Haven non hai chiuso la porta.~ spiegò mostrandole lo spiraglio dal quale si intravedeva l'attaccapanni nell'ingresso.
~ Ah, giusto.~ mormorò lei tirando fuori le chiavi che aveva già riposto nello zaino.
Chiuse la porta e, dopo aver messo di nuovo le chiavi nella tasca, si avviò verso la moto con Heatan affianco a lei.
"Che le prende oggi?" si chiedeva il ragazzo osservandola di nascosto.
Non aveva mai visto Haven comportarsi in quel modo. Né quando era stanca, né quando era triste o preoccupata.
Pensandoci bene sembrava assente, distante e chissà dove con la testa, cosa non da lei.
~ Sali?~ gli chiese la ragazza interrompendo il filo dei suoi pensieri.
~ Sai, forse è meglio se stai tu davanti oggi...~ mormorò Heatan passandosi una mano fra i capelli.
All'improvviso gli era venuto in mente che forse era così giù per la dieta datale dal coach, che magari era talmente diversa dal solito da averla indebolita. Con il tempo ci si sarebbe abituata, ma ora temeva che le venisse un calo di zuccheri o un abbassamento di pressione e, dunque, che cadesse dalla moto.
~ Io? Devo ricordarti che non so guidare?~ ribatté lei alzando le sopracciglia, a dir poco stupita da quella proposta insolita.
~ Non voglio che guidi tu! Riesco comunque a guidare anche stando dietro. L'ho già fatto e bassina come sei non avrei problemi.~ le rispose leggermente imbarazzato.
Non voleva spiegarle le sue paure. Sperava che acconsentisse senza fare domande, ma la ragazza restò in silenzio.
Rimase alquanto sorpreso dall'assenza di una reazione, o quantomeno di un insulto da parte sua. Lei detestava quando qualcuno le diceva che era bassa.
~ Ma non capisco perché.~
~ Senti, o ti metti davanti o a scuola ci vai a piedi.~ la minacciò senza perdere quel sottile rossore sulle guance che gli dava un'aria molto più dolce e buffa del solito.
Con un'alzata di spalle Haven acconsentì mutamente alla strana richiesta e si andò a sedere il più avanti possibile sulla sella morbida, seguita poco dopo da Heatan che si accomodò dietro di lei.
~ Sicuro che sia legale?~ gli chiese quando passò le braccia sotto alle sue spalle prendendo il manubrio.
~ Perché, guidare senza casco lo è?~ ribatté lui con una risatina.
~ A proposito, sbrigati a farli riparare. Se mia mamma scopre che è dall'inizio della scuola che vado in moto senza casco le viene un'aneurisma.~
~ Avevo le stampelle, dovevo preoccuparmi di far riparare i caschi, secondo te?~ le rispose all'orecchio.
~ Farlo ora sarebbe carino. Andiamo?~
~ Sì...~
Heatan mise in moto e partì verso la scuola.
Haven era un po' tesa visto che era una cosa del tutto nuova per lei e si sentiva molto più sicura a stare dietro.
Non capiva quella richiesta ma sospettava che Heatan si fosse accorto che in lei qualcosa non andava, cosa che aveva tanto sperato non accadesse.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top