Ventunesimo
A Steve non importava: semplice. Aveva provato ad arruolarsi. Lo faceva all'insaputa di Bucky, quando quest'ultimo aveva i turni di pomeriggio al lavoro.
Rogers veniva sempre rifiutato. Ma ciò non lo abbatteva, continuava a provarci, ancora e ancora, per la vittoria, per suo padre, per sua madre, per stare insieme a Bucky.
James non era ancora riuscito a richiedere l'arruolamento, forse rimandava per non ferire Steve, perché anche se il biondo glielo teneva nascosto, lui sapeva ogni cosa. Lo capiva dai suoi occhi.
Voleva solamente far calare la cresta agli spacconi, continuava a giustificarsi con Bucky, odiava semplicemente i bulli.
Ma falsificare la propria provenienza per tentare ancora e ancora di entrare in quell'inferno, non dava risultati.
Spesso i due litigavano la sera, quando, invece di usurare il loro tempo libero dopo una stancante giornata lavorativa per parlare e lasciarsi trasportare dalle loro carezze, alzavano troppo la voce per l'ostinazione del ragazzo più piccolo.
Quel giorno Steve ci aveva provato ancora, a petto nudo fra tutte quelle giovani e sane reclute. E poi c'era lui, che somigliava ad un tredicenne con problemi di sviluppo.
Era stato rifiutato per l'ennesima volta, il medico gli aveva detto che gli stava salvando la vita, che nelle sue condizioni non sarebbe mai riuscito a fronteggiare in battaglia, ma a lui non importava. Si odiava.
Senza sapere cosa fare, senza nessun'altra scusa da inventare per entrare nell'esercito, andò al cinema. Lì, dove da ragazzi lui e Bucky amavano nascondersi nel buio della sala per chiacchierare come chiunque altra coppia senza essere giudicati da occhiate indiscrete.
Prima che il film fosse trasmesso, uno spot sulla guerra e su come ogni cittadino contribuiva ad essa, precedette la proiezione. Un ragazzo iniziò a urlare, a disprezzare tutto quello che stavano facendo i soldati in guerra.
Senza troppi problemi, Steve rispose al bullo, che alla fine del film, non ci pensò due volte a picchiarlo nel vicolo umido del cinema.
«Tu non ti arrendi mai, non è vero?» disse quasi incredulo il ragazzo, mentre vide Steve alzarsi con il naso sanguinante, che rispose a tono:
«Ho tutto il giorno libero»
Da dietro arrivò Bucky, senza alcun preavviso, come se qualcuno gli avesse indicato il luogo esatto dove si trovasse Steve. Ormai ci aveva fatto l'abitudine a difendere il suo ragazzo, e a tirarlo fuori dalle risse in cui si cacciava.
Un forte calcio nel sedere del ragazzo lo fece scappare a gambe levate, mentre James alzava la voce: «La prossima volta prenditela con uno della tua taglia.»
Si avvicinò a Steve che stava sistemando la giacca impolverata, ammaliandolo; «A volte penso che ti piaccia essere preso a pugni»
«L'avevo messo alle corde.» rispose lui, ancora intento a pulire la camicia.
«A quante volte siamo arrivati?» Domandò Bucky guardando il foglio d'arruolamento del ragazzo, raccolto da terra.
«Ora vieni da Pharamus, lo sai che è illegale mentire sulla richiesta di arruolazione, e poi dai, New Jersey?» disse Bucky, cercando di essere meno severo possibile, anche se quella situazione lo faceva imbestialire.
Steve lo guardò pulendosi il naso dal sangue. Una coltellata al cuore lo lasciò ammutolito.
Bucky aveva indosso una divisa color sabbia, con tanto di cappello.
Lo aveva perso. Aveva perso anche lui.
«Sei stato assegnato?» più che una domanda era un'affermazione, carica di delusione.
Bucky si avvicinò a lui, per un secondo non riuscì a parlare. Si era presentato agli arruolamenti subito dopo che Steve era stato rifiutato quel giorno, e senza alcun problema, lo avevano arruolato.
Le sue labbra carnose emisero un lieve sospiro, quando finalmente trovò le parole;
«Centosettesimo, sergente James Barnes, salpo per l'Inghilterra domani all'alba.»
Così presto. Bucky era consapevole che non avrebbe mai più rivisto Steve. Ma in fondo doveva farlo, doveva unirsi all'esercito per sconfiggere il nemico, per vincere la guerra. E poi, Steve sarebbe stato al sicuro, avrebbe trovato un lavoro migliore, invece che continuare ad essere sottopagato, sarebbe stato sereno. Almeno vivo.
«Anch'io dovrei essere lì.» il biondo ruppe il silenzio, facendo sentire anche peggio il maggiore.
Bucky lo guardò, fissò i suoi occhi azzurri puntati verso il basso, percepì la sua infinita paura e tristezza, e si pentì. Si pentì di essersi arruolato. Lo aveva abbandonato.
In un impeto trattenuto di saltargli al collo e di baciarlo, per farsi perdonare, lo strinse al suo petto con un braccio intorno al collo, scrollandolo.
«Forza vieni, è la mia ultima serata, devo darti una ripulita.» disse il moro. Lasciò camminare Steve al suo fianco, anche se il suo umore non era migliorato.
«Perché, dove stiamo andando?» domandò svogliato lui.
«Nel futuro.» rispose Bucky passandogli un giornale, costringendolo a prenderlo fra le mani e a leggere il titolo a carrettieri cubitali in prima pagina:
-ESPOSIZIONE MONDIALE DEL DOMANI-
Una specie di fiera un po' troppo pacchiana, dove ogni giovane uomo arruolato festeggiava la sua ultima sera con la propria ragazza, a divertirsi con il ridicolo spettacolo delle macchine volanti di Stark. Macchine che, in teoria, avrebbero dovuto volare.
Buck aveva organizzato una serata tranquilla, aveva trovato due ragazze disposte a divertirsi un po' con lui, un po' per fare le comparse mentre i suoi occhi venivano puntati su di Steve, che in verità non era così entusiasta.
«Che cosa hai raccontato di me?» domandò Steve, preoccupato e svogliato, mentre sistemava il ciuffo chiaro.
Bucky sorrise alla vista di quel dolce gesto, scrollando la testa: «Solo le cose buone.»
Quando i due raggiunsero le ragazze, quelle gli si fiondarono addosso, o ad essere sinceri, si fiondarono addosso a Bucky. Una delle due strinse la mano di Bucky, mente correvano verso il palco dello spettacolo di auto del futuro. Quella stretta così scontata e povera d'amore, innervosì Steve. Di solito non era geloso, tralasciava quelle manifestazioni fisiche, anche perché vedeva con quanta svogliatezza reagisse Bucky. Ma quella volta era diverso, era già abbastanza frustrato per tutta la storia dell'arruolamento, della morte dei suoi genitori. Non poteva sopportare una biondina che stringeva la mano del suo ragazzo.
Si inoltrarono fra la folla, Steve cercò di offrire delle noccioline alla ragazza che Bucky gli aveva presentato, che lo guardò disgustata.
Il biondo si sentì una brutta persona quando pensò di bruciare i capelli di entrambe. Ma non provò nessun senso di colpa.
Dopo il fiasco della macchina fluttuante di Stark, Steve decise di andare via da tutte quelle risate.
Non era proprio dell'umore adatto. Immediatamente Bucky si accorse dell'assenza di Steve, lasciando le due donzelle, e andando a cercare il biondo.
Era incredibile, aveva un talento naturale nel trovarlo. Ovunque Steve andasse, Bucky riusciva sempre a trovarlo.
«Non hai capito il senso di un uscita a quattro.» disse andando incontro al minore, facendolo voltare verso la sua direzione.
«Voi andate avanti, io vi raggiungo.» rispose lui scrollando la testa, con le mani in tasca.
«Vuoi veramente provarci di nuovo?» domandò il maggiore, stavolta non riuscendo a trattenere la sua rabbia. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per impedire a Steve di suicidarsi.
«Beh certo.» rispose disinvolto, mentre James iniziava a parlargli sopra con tono di rimprovero, preoccupato e ormai fuori di se.
«Bucky andiamo, ci sono uomini che sacrificano le loro vite, io non ho nessun diritto di far da meno.» Steve socchiuse gli occhi per attenuare il tono di voce infuriato di James, alzando il suo.
«Appunto, non devi dimostrare niente a nessuno.» il moro abbassò la voce, quasi sussurrando autoritario.
Le ragazze raggiunsero i due, chiamando il sergente con entusiasmo.
Steve le odiava davvero tanto.
Il maggiore gli fece segno di aspettare, voltandosi di nuovo verso il suo piccolo ragazzo, facendo un passo in avanti.
«Non fare nulla di stupido finché non torno.» lo disse a bassa voce, scrollando leggermente la testa, e lanciandogli un'occhiata stanca e preoccupata.
«Come potrei? La stupidità la porti tutta con te.» rispose alzando la voce il biondo, vedendolo allontanare.
Senza pensarci due volte, senza dare retta alle due che aspettavano, Bucky si girò e ritornò da Steve.
Sarebbe ritornato sempre e comunque dal suo biondo.
«Punk.» sussurrò James avvolgendolo con un braccio.
Steve ebbe un brivido. Pensò che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbe sentito quel calore su di lui. Gli diede una pacca sulla spalla. Quelle irritanti ospiti li stavano fissando.
«Cretino.» rispose lui, lasciandolo andare. Via.
Un uomo anziano, i capelli bianchi e dei piccoli occhiali da vista poggiati sul naso, portò in disparte il ragazzo.
Lo aveva visitato, gli aveva dato una possibilità.
Steven Rogers era ufficialmente arruolato.
Come poteva essere possibile? Cosa diavolo aveva in mente quell'uomo per decidere finalmente di portarlo in battaglia?
Steve non si fece troppe domande, era finalmente felice, se così poteva definirsi. Ma decise di non dirlo a Bucky. Lui non avrebbe capito, ne sarebbe stato solamente contrario. Il terrore non lo avrebbe fatto ragionare lucidamente.
Era rientrato a casa, la notte era ancora giovane, ma il giorno seguente lo attendeva una lunga giornata.
Il primo giorno senza Bucky.
Parli del diavolo e spuntano le corna.
Dietro di lui la porta si chiuse velocemente, e Bucky gli si avvicinò facendo scricchiolare il pavimento di legno sotto i suoi piedi.
«Buck, sarà meglio andare a dormire, domani...» James non diede il minimo ascolto a quelle parole, gettandosi addosso a Steve, e stringendolo forte. Le sue grandi braccia avvolgevano il magro busto del biondo, che accolse la testa di Bucky sul suo collo.
Stava per crollare, lo capiva dal suo respiro tremante sul collo.
Steve sorrise dolcemente, lo allontanò, e sfiorò il suo zigomo liscio con le dita magre e rachitiche.
«È la mia ultima serata, devo darti una ripulita.» gli disse Steve. Entrambi risero come due bambini, spensierati.
Bucky prese fra le mani la nuca del ragazzo, spingendolo verso di se e baciandolo.
Non era un bacio passionale, aggressivo, sdolcinato o veloce. Era diverso. Era il loro ultimo bacio.
Gli schiocchi delle loro labbra umide di saliva rimbombarono nell'ingresso, e le mani di Steve si infilarono sotto la giacca marrone del sergente.
Steve si scostò di pochi centimetri, mantenendo i loro fiati comunque in simbiosi.
«Resta vivo.» gli sussurrò ad occhi chiusi.
Bucky si morse il labbro, gli occhi lucidi e le mani tremanti dal dolore e dalla paura;
«E tu aspettami.»
Un forte sospiro affannoso, e le mani di James inghiottirono il ragazzo, costringendolo quasi a getterai sul suo petto, mentre continuarono a baciarsi.
Steve si tolse in fretta e furia la giacca, assieme alla cravatta.
Si erano inginocchiati l'uno difronte all'altro, il cappello da sergente di Buck al loro fianco, e i loro vestiti intorno.
Non gli importava dove lo stessero facendo, se fosse sul gelido pavimento, o nello scantinato sulle coperte di lana della nonna di Steve, o ancora, in soffitta sul letto di Bucky. Dovevano farlo, un'ultima volta.
Steve si sdraiò sulla dura superficie di legno, mentre Bucky lo masturbava con foga, avvicinando il suo fiato all'erezione del più piccolo, che gemette al contatto delle labbra di James su di lui.
Gli afferrò i capelli, morbidi e scuri, che fra le sue dita chiare si intrecciarono dolcemente.
Gemette, fino a che non venne in bocca del maggiore, che senza pudore, salì, baciando con delicatezza la pelle candida del ragazzo, fino ad arrivare al colo.
Steve continuò ad ansimare, le guance rosse, e il respiro pesante di James vicino alle labbra. Senza preavviso, il più grande lo girò su di un fianco, prendo una gamba, e alzandola verso l'alto.
Lentamente, senza troppa foga, quasi come se fosse la prima volta, lo penentrò.
Il ragazzo urlò di piacere, con la fronte bagnata di sudore, e i capelli chiari incollati sugli zigomi.
Bucky era appagato, estasiato, non riusciva a resistere a così tanto piacere.
E pensare che non lo avrebbe rivisto per chissà quanto tempo, sempre se lo avesse rivisto.
La persona che più amava al mondo. Avrebbe potuto perderla per sempre.
Alla fine il dominatore venne, uscendo dal ragazzo che si lasciò andare, ormai sfinito, sul pavimento gelido che attenuava il loro calore.
Entrambi con il respiro irregolare, sudati e stravolti.
Cercarono le loro mani fra la superficie liscia. Intrecciarono le loro dita, così forte, che neanche la guerra stessa avrebbe potuto dividerli.
«Bucky?» la voce di Steve era flebile e ancora affannata.
«Si?» domandò Bucky sorridendo, come se nella sua mente ogni pensiero negativo fosse andato in fumo.
«Niente.» rispose il ragazzo, quasi mortificato, avrebbe voluto dirgli una marea di cose, urlargli ogni cosa, piangere, ridere, stringerlo forte. Perché la consapevolezza di doverlo lasciare era sempre più forte.
«È meglio che andiamo a dormire.» aggiunse il moro, annaspando in cerca i qualcosa da mettere addosso fra il mucchietto di vestiti intorno a loro.
«Bucky?» Stavolta Steve ci riprovò, più determinato e accecato dalla paura.
Il moro puntò lo sguardo verso di lui, così dolce e sincero, che il cuore di Rogers palpitò come quando lo vide per la prima volta fra la confusione di Brooklyn.
«Resta con me.» riuscì a dire solamente quello, non ce la faceva ad aggiungere altro, di sicuro sarebbe scoppiato in lacrime per colpa di tutta quella frustrazione, stringendo con tutte le sue forze quella calda mano.
Si morse il labbro, e lo guardò. Entrambi avevano gli occhi lucidi, entrami tremavano su quel pavimento spoglio. Si avvicinarono lentamente, si sfiorarono con insicurezza il viso, e si baciarono piano.
I loro nasi si sfiorarono, pelle contro pelle. Chiusero gli occhi e si marchiarono a fuoco ogni singolo dettaglio nella mente.
Nulla avrebbe mai potuto cancellare quei ricordi.
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