Ventiquattresimo

"Sono quaranta giorni, Steve. Hai sentito? Finalmente scrivo il tuo nome...tecnicamente non puoi sentire, forse leggere, ma non importa. Sai che sono un vero idiota.
Ho dovuto scrivere il tuo nome. Ho dovuto dopo quaranta giorni. Ti pensavo, non potevo ricordare il tuo nome, e morivo dentro.
Che si fottano tutti, questa specie di taccuino ammaccato è mio. Nessuno lo leggerà mai.
Non lo permetterò.
Chissà cosa starai facendo. Me lo domando sempre.
Chissà se hai trovato un nuovo lavoro, se hai conosciuto qualcuno, se continui a correre dietro Stuart, se non abbassi la cresta durante le risse. Chissà se mi pensi, se la notte torni a casa da solo, e ti senti vuoto.
Perché io mi sento esattamente così, ogni volta che cerco di dormire. Mi sento vuoto.
Abbiamo iniziato a combattere contro il nemico! Non è così entusiasmante... Non nego che le prime missioni me la facevo letteralmente nelle mutande! Ma dopo che prendi la mano con le armi, e corri come se avessi una granata fra chiappe, diventi un soldato perfetto.
C'era un ragazzo nella nostra divisione, molto giovane e allegro. Un piccolo giullare dai capelli chiari, che per certi versi prendeva il mio posto, ma insomma, chi potrebbe rimpiazzare Bucky?
Si chiamava come te. Steve.
Vuoi sapere perché parlo di lui al passato?
Perché ieri è morto. Un proiettile dritto alla testa. Credo che non si sia nemmeno reso conto di nulla.
L'ho visto cadere per terra accanto a me, un tonfo che mi rimbomba nel cervello, che mi fa accapponare la pelle.
Il viso completamente unto di sangue, e i suoi occhi sgarrati.
Dio, nei suoi occhi chiari mi è sembrato di vedere i tuoi. Ho provato così tanta paura, Steve. Era da quaranta giorni che non vedevo così nitidamente la tua immagine.
Non so perché la mia mente contorta si era accanita così tanto su quel ragazzo, forse per il suo nome, per i suoi lineamenti delicati così simili ai tuoi. Era come vederti in piccoli frammenti.
Mi faceva male, ma allo stesso, mi faceva bene.
È stato il primo uomo che abbiamo perso, il primo cadavere che abbiamo trasportato, la prima vittima.
Non lo ritengo giusto, sto iniziando a detestare questa guerra, ci sta portando via troppe cose.
Ho riempito queste pagine di stupidi scarabocchi e parole sgrammaticate, era da tanto che non scrivevo qualcosa di così lungo, certe volte appunto anche qualcosa che ha a che fare con delle coordinate o altro, così, per distrarre un qualche ficcanaso dal vero contenuto di queste pagine.
Scrivo quando tutti dormono, ed io non riesco a prendere sonno, pensando a te.
Adesso ad esempio, sono intorno a un piccolo fuoco puzzolente di vecchie erbacce secche; gli stivali mi fanno male ai piedi, ma non posso levarli, se dovessimo subire un attacco improvviso, mettere al tappeto qualche figlio di puttana a piedi nudi sarebbe un bel casino!
Non fa' molto freddo, ci sono state serata peggiori. Si sente in lontananza il canto irritante delle cicale, strano come per loro tutto questo non sia nulla di grave.
Certe volte alzo gli occhi e mi incanto a guardare il cielo scuro, un tappeto di stelle brillanti. C'è la luna piena, sai Stevie?
Magari anche a casa la notte è così bella.
Questa brezza fresca, questo silenzio isolato e queste stelle, mi ricordano la sera al luna park, quella in cui prendesti coraggio e mi baciasti per la prima volta.
Cazzo, solo a pensarci riesco a sentire il tuo sapore in bocca, e le tue mani correre lungo la mia schiena.
L'astinenza è davvero una brutta bestia. Spero di tornare a casa entro una settimana, perché potrei tradirti con me stesso!
Okay, sto diventando esplicito, e questi discorsi a te non piacciono....
Tra poche settimane andremo in Italia. Sono felice all'idea, lì dicono che il tempo è mite, almeno non rischiamo di prendere una bronchite con queste temperature da gelo.
E poi, a noi piace così tanto l'Italia. Avremo tanto voluto andarci, ci sono opere di tanti pittori famosi lì, e tu ne sei totalmente innamorato.
Ti prometto che ti porterò qualcosa, promesso!
Tu cerca di promettermi che starai bene. Non devi stare male razza di rachitico, non puoi.
Stai lontano dagli ospedali e dai malati, stai lontano dal freddo, e smetti di cercare di arruolarti!
Ti prego.
Giuro che se quando torno tu sei a letto con qualche febbrone da cavallo, o morto per la tua asma trascurata, vengo a dissotterrati e ti prendo a cazzotti!
Cerco di non piangere, di essere l'uomo duro e il soldato perfetto che tutti immaginano, ma questa distanza, questa situazione di vita o di morte, mi stringono lo stomaco, e trattenere le lacrime è difficile.
Perché io vorrei essere vicino a te in questo momento. A letto, sotto le coperte, mentre ti faccio sorridere e ti accarezzo io viso. Felice.
Vorrei avere i super poteri per sconfiggere tutti e tornare a casa! Come i nostri personaggi immaginari con cui giocavano da bambini.
Vorrei anche ritornare bambino.
Ti prego non scordarti di me. Siamo morti insieme, nel momento in cui ci siamo divisi. Una parte di te e una di me hanno smesso di vivere.
Ti amo da morire.
Ti amerò fino alla fine."

Di scatto Bucky chiuse il piccolo quaderno fra le sue mani, lasciando cadere per terra la matita mangiucchiata con cui scriveva.
Dei passi verso di lui si erano fatti più vicini, e accanto al suo fianco, in piedi, un soldato teneva le braccia incrociate:
«Sergente Barnes, cosa fa'? Scrive nel suo diario segreto? Ha per caso perso la bambolina di pezza?»
Certe volte sembrava che gli altri provassero gusto ad infastidirsi avvicenda, magari era la frustrazione per situazione orribile in cui si trovavano, ma non era una giustificazione per quei commenti poco opportuni.
Il ragazzo dai muscolosi bicipiti e il viso sporco si chinò verso James, come per prendere ciò che aveva fra le mani, di scatto, con un impulso spinto dalla paura, il serpente gettò il taccuino fra le deboli fiamme del fuoco.
Cosa aveva fatto?
Aveva distrutto tutto. Aveva perso ancora una volta una parte di Steve.
Eppure non poteva rischiare così grosso, non poteva assolutamente. Steve non avrebbe mai voluto nulla di tutto ciò.
Bucky guardò bruciare quei fogli per alcuni secondi, mascherando tutto il dispiacere che gli segnava il viso, voltandosi verso l'altro che lo guardava confuso.
«Forse, ma è più utile come legna da ardere per il fuoco che come quaderno degli appunti. Non trovi?» rispose sarcastico scrollando le spalle, con un mezzo sorrisetto sereno.
Il più alto rise, voltando le spalle e tornando a dormire.
Bucky raccolse la matita vicino ai suoi piedi, si tirò in piedi diretto verso la sua tenda.
Guardò le fiamme inghiottire gli ultimi pezzi del suo diario, provando amarezza e sentendosi quasi in colpa.
Sorrise, pensando a tutto ciò che aveva scritto, stringendo ancora di più la matita fra le dita, sussurrando:
«Buonanotte Punk.»

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