Ventesimo

Era successo davvero. Così velocemente che sembrava quasi un incubo. Tutta quella storia sembrava un incubo: la guerra, i problemi economici, la morte del padre, e adesso anche questo.
Sarah era morta.
Steve non voleva crederci, non riusciva a metabolizzare la cosa. Stava immobile, autoconvincendosi che sarebbe stato forte, che avrebbe affrontato ogni cosa, come gli aveva insegnato sua madre.
Il suo calore materno, la sua ingenuità, la sua infinita dolcezza, premura, spensieratezza, erano volate in un posto migliore insieme alla sua anima, o perlomeno, i cari in lutto pensano ad una bella scappatoia a lieto fine per i morti.
Non poteva esserci il buio dopo una vita di luce.
Per Bucky fu come perdere di nuovo sua madre. La signora Rogers lo aveva accolto e voluto bene come un figlio, facendosi carico di ogni responsabilità, quasi fosse un uomo senza paura di nulla.
Già, perché bisognava essere veri uomini per poter andare avanti in quel mondo marcio e sbagliato.
Steve la vide sdraiata su un gelido tavolo operatorio, in una stanza buia e fredda, coperta fino al collo da un lenzuolo bianco.
I piedi fuori dal tessuto candido, violacei e magri, e poi l'attenzione si spostò sul suo volto. Sembrava quasi stesse sorridendo, finalmente in pace, finalmente assieme al marito.
Il biondo non ebbe il coraggio di vederla ancora, se non ci fosse stato Bucky accanto a lui, di sicuro sarebbe crollato, non sarebbe mai riuscito ad affrontare tutto quel dolore, tutta quella morte.
I funerali si svolsero solamente la mattina seguente, l'ospedale non aveva spazio per tenere così tanto tempo un cadavere in obitorio. Troppi morti, e troppo poco spazio.
Silenzio, solamente quello.
Steve non versò una lacrima, ma non perché non fosse addolorato, non perché non gli importasse, ma perché doveva reagire da vero soldato.
Lei glielo ripeteva sempre: «Ognuno ha un angelo custode che lo protegge e che lo guida. Tu sei il mio angelo, Steve.»
Gli angeli non piangono. Forse terminano di esistere quando il proprio protetto muore, ma Steve proprio non riusciva a smettere di vivere, nonostante tutto quel dolore, riusciva a reagire semplicemente guardando negli occhi Bucky, e trovando in quelle due stelle brillanti tutto ciò di cui aveva bisogno.

«Siamo venuti a cercarti.» Bucky stava parlando con più calma possibile alle spalle di Steve, mentre camminavano lungo il portico che li portava a casa. Il minore era andato al cimitero senza avvisare nessuno, aveva solamente bisogno di stare da solo con sua madre.
«Ti volevamo accompagnare al cimitero.» disse ancora James; Steve continuò a camminare due passi avanti al maggiore, con le mani in tasca, rispondendo mentre sistemava il suo affezionato ciuffo biondo con le mani: «Lo so, mi dispiace. Volevo stare da solo.»
La sua voce era fredda, ma non lasciava a vedere quel tremendo senso di vuoto dentro di se.
«Com'è andata?» domandò Bucky, stupidamente. Forse non era una domanda molto opportuna da fare, ma sapeva che doveva assecondare il suo ragazzaccio così forte.
«Tutto okay. È vicino a papà.» rispose Steve; era vero, o almeno, piaceva pensarlo ad entrambi.
«Volevo solo chiederti...» Steve lo interruppe immediatamente, un po' severo e svogliato, mentre si rovistava fra le tasche della giacca.
«Lo so cosa stai per dire, Buck.» mormorò Steve.
Il moro gesticolò con moderatezza, controllando il suo tono sarcastico: «Su, mettiamo i cuscini del divano per terra, come quando eravamo bambini. Sarà divertente, dovrai solo lucidarmi le scarpe e portare fuori la spazzatura. Andiamo.»
Steve stava annaspando fra le tasche in cerca della maledetta chiave di casa. Adesso che erano soli, con tutta la casa e la privacy a disposizione, potevano davvero fare qualsiasi cosa desiderassero, e spronare il ragazzo più piccolo con le solite incitazioni spiritose era l'unica consolazione che James conosceva, considerato che funzionava sempre.
Bucky vide l'alterazione di Steve, che con più furia e frustrazione cercava la chiave di casa. Il moro si piegò, prendendo da sotto un mattone vicino la porta una copia della chiave, passandola al ragazzo.
Steve si voltò, forzando un sorriso serrato, e scuotendo piano la testa.
«Grazie Buck, ma me la posso cavare.»
Bucky vide quegli occhi azzurri, enormi, pieni di forza, ma allo stesso tempo stremati.
Provò angoscia, alzando gli occhi al cielo, scrollando la testa con quelle carnose labbra semichiuse e quasi imbronciate.
«Il fatto è che non devi farlo.» gli disse Bucky, evidenziò la parola 'non', stringendo istintivamente la spalla del ragazzo più piccolo, che si mosse immediatamente, quasi potesse rompersi con quella stretta. Avrebbe voluto accarezzargli il viso, ma sulla soglia di casa con dietro i vicini più anziani pronti a farsi i fatti degli altri, non gli sembrò proprio il caso.
«Io sarò con te fino alla fine amico mio.» concluse James. Steve lo guardò sincero e addolcito da quelle parole. Amava quella frase. Il loro per sempre, il loro chilometrico modo per dirsi ti amo senza timore difronte a chiunque.
Chinò il capo, aprendo la porta di casa, ed entrando assieme al ragazzo.
Posarono i cappotti sull'appendiabiti, dove c'era ancora la giacca sporca di Sarah appesa.
Bucky fermò il biondo che stava per salire le scale, stringendogli il collo con le braccia da dietro, poggiando la testa contro quella di Steve.
Stanco, Steve ebbe solamente la forza di poggiare le mani sui forti avambracci intorno a lui, abbassando la testa e poggiando il mento sulla pelle del ragazzo.
Strizzò gli occhi, non poteva permettersi di piangere.
Per evitare qualsiasi tipo di emozione, rafforzò la pressa sul braccio, che rese la stretta di Bucky più calda e carica d'amore.
«Puoi piangere Steve, coraggio. Puoi sfogarti.» gli sussurrò con calma il moro, percependo la sua frustrazione.
«No. Non è quello che vorrebbe lei.»
Steve prese un respiro profondo, tirando di naso, e scappando dal calore che lo teneva prigioniero.

Si chiusero in camere di Steve, finalmente liberi, finalmente nello stesso letto dopo anni.
Era la cosa più bella che potessero provare, anche in una situazione simile, era meraviglioso.
Sdraiati su di un fianco, Bucky stretto alle spalle di Steve, che teneva la testa poggiata sul braccio sinistro del moro, stirato lungo il materasso. Anche il magro braccio di Rogers era disteso vicino al suo, con il dorso della sua gelida mano riscaldato dal palmo del maggiore, che intrecciava le dita con le sue.
L'altro braccio avvolto intorno alla vita magra di Steve, che stringeva il pugno sul suo polso.
Sentiva il respiro del maggiore sul collo, che gli solleticava il dietro dell'orecchio, dandogli una sensazione di piacere e tranquillità.
«Sai che per "amico mio" intendendo "amore mio", vero?» gli disse Bucky con tono divertito. Steve sorrise, addolcito dall'ingenuità di quella voce quasi mortificata.
«Si, adoro il modo in cui nascondi tutto davanti agli altri.» si fermò un momento guardando difronte a se, continuando: «e poi mi trasporti in questi meravigliosi gesti una volta soli.»
«Ad essere sincero, preferisco tenere tutto segreto. Non mi importa dimostrare niente a nessuno, come fanno tutti gli altri. Mi importa solo avere il tuo amore qui, in queste quattro mura.»
Il biondo sorrise ancora, con meno entusiasmo, stavolta addolcito più che divertito.
La presa sulla mano stirata lungo le lenzuola si fortificò di colpo:
«Ce la faremo Steve, insieme. Siamo una famiglia ormai.»
Steve chiuse gli occhi serenamente, come se quelle parole avessero assicurato il loro futuro.
«Una famiglia senza bambini non è una famiglia.» disse stuzzicandolo il minore, dopo un momento di silenzio.
Bucky si alzò di scatto sopra di lui, guardandolo con le sopracciglia scure aggrottare, apparendo tremendamente buffo agli occhi del ragazzo sotto di lui.
«Cosa?! Saremo una famiglia migliore di chiunque altro! E poi, chi lo dice che non potremo mai avere un bambino?»
Steve non riuscì a trattenere una risata, anche se non c'era molto da ridere in quel momento, l'affermazione del compagno non aveva alcun senso.
«Vorresti farlo apparire magicamente da un cavolo, o fartelo portare dalla cicogna?» continuò ridicolizzandolo.
«No, ma magari un piccolo delinquente orfano come me potrebbe venire a stare da noi...» James era persuasivo, quasi sarcastico, ma in quelle parole Steve colse la profonda serietà con cui stava ragionando il moro.
Lo guardò, per un momento si illuse, si illuse di una felicità impossibile.
«Con la guerra non potremo fare nulla di tutto questo.» mormorò Steve. Calò gli occhi e ripensò alla sua decisione di arruolarsi. Non aveva dubbi, lo avrebbe fatto, ma non era certo il momento giusto per parlarne con Bucky, lui non avrebbe capito, la sua preoccupazione avrebbe fatto scatenare un'altra discussione.
I pensieri di Steve vennero interrotti da una dolce carezza sul viso, solleticato dalla delicata mano di Bucky, che con il pollice stava massaggiandogli la guancia.
«Tutto questo finirà, Stevie. Le cose miglioreranno, in qualunque aspetto. Te lo garantisco.»
Il minore accompagnò la mano di Buck, stringendogli il polso e socchiudendo gli occhi, annuendo stanco, cercando di credere almeno per un attimo alle sue parole.

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