Trentunesimo
Il loro incubo peggiore si era avverato. Erano stati scoperti, il loro segreto più oscuro era stato svelato dall'ultima persona che avrebbero voluto vedere sulla faccia della terra. Colti in fragrante.
Avrebbero voluto sprofondare, avrebbero voluto essere colpiti da una granata, per saltare in aria e polverizzarsi, trasportati via dal vento, lontano da ogni cosa.
Silenzio, almeno per tre minuti abbonanti. Steve era completamente paralizzato, con la coperta tirata fin sopra il collo; fra le dita, stretta la loro fotografia, perché per niente al mondo avrebbe mai lasciato quel pezzo di carta.
Bucky aveva un sorrisetto isterico, come se da un momento all'altro uno spirito sarebbe passato a prenderlo per portarlo sulle nuvole.
Peggy era ancora incantata; aveva lasciato scorrere la tenda alle sue spalle, e con due passi, era entrata nel suo precario abitacolo.
Nessuno sapeva come iniziare ad accennare una qualsiasi parola, anche solamente per spiegare.
«Cosa significa questo, capitano?» la voce di Peggy era talmente gelida e penetrante, che tralasciò un telo d'ansia solamente a percepirne il suono.
Silenzio. A Steve mancava il fiato.
«Lei che ne pensa? Crede che abbiamo fatto una lotta di cuscini?» rispose Bucky infastidito, facendo spallucce istericamente.
La testa di Carter scattò in un lampo nella direzione di James. Non era tanto lo shock che la feriva, tanto più la delusione, perché lei, qualcosa per Cap, l'aveva provata sin dall'inizio. Ed invece lo aveva trovato nudo fra le sue coperte, con un altro uomo.
«Non sono in vena di scherzi, sergente, veda di portare rispetto, o potrei mandarvi a casa in un batter d'occhio.» ringhiò lei a braccia conserte.
Nel frattempo Steve aveva rimesso i pantaloni, e la giacca di pelle strappata di Bucky gli copriva il petto ampio. Di fretta, si era messo in piedi, in direzione di Peggy, gesticolando.
Si bagnò le labbra, e cercò di spiegare:
«Peggy, ti prego. So' che è la cosa più strana che tu abbia mai visto, e non ti biasimo se da adesso in avanti ci guarderai con disgusto, ma per favore, non fare parola con nessuno di quello che hai visto. Non lo faremo più, lo prometto, riprendermi i nostri rapporti privati una volta tornati a casa. Lui è tutto quello che ho. È strano, sbagliato, contro natura, ma ci amiamo....»
A Bucky mancò il fiato, sentire per la prima volta parlare il suo Steve in quel modo, difronte a qualcuno, era un evento memorabile. Dopo tutti quegli anni, vissuti nella menzogna e nella paura, il biondo aveva trovato il coraggio di liberarsi.
Peggy si guardò intorno, riportando poi lo sguardo, dal basso verso l'alto, sul viso terrorizzato di Steve.
«Non è strano, ho visto di peggio. Ma che non accada mai più, Rogers. Soprattutto nella mia tenda.» rispose di getto lei; girò i tacchi e se ne andò.
I due ripresero a respirare, per tutto il tempo erano stati come sott'acqua, e finalmente erano riemersi.
Bucky si rivestì frettolosamente, affiancando Steve. Fissarono il vuoto, sotto shock.
«Dobbiamo qualcosa da bere alla Carter.» commentò il moro, ancora con lo sguardo perso.
Steve annuì, sistemando il caos che avevano fatto, ed uscendo dalla tenda.
L'accampamento era vuoto, l'unica ad essere tornata sembrava essere Peggy.
Cap le andò dietro, imbarazzato e affaticato;
«È successo qualcosa?»
«No, sono solamente tornata per annotare le coordinate della prossima missione, mentre gli altri finiscono il loro lavoro.» la donna camminò imperterrita, dandogli le spalle.
«Mi dispiace davvero tanto, Peggy, io....» lei lo interruppe, voltandosi verso di lui, e gesticolando autoritaria.
«Proseguiamo la nostra vita come se nulla di tutto questo fosse successo, d'accordo? Quello che tu e Barnes fate fra le coperte, non sono affari che mi riguardano. Io non ne farò parola con nessuno, e voi mi starete lontani.» disse la donna con fare quasi aggressivo. Steve la prese per le spalle, e istintivamente, la strinse fra le sue braccia:
«Grazie Peggy, sei un'amica.» quel sussurro provocò amarezza nel cuore di Carter, che avrebbe voluto essere molto più di un'amica, ma purtroppo il suo posto era rimpiazzato da un soldato. Farsi domande del tipo "cosa ha lui che io non ho?" era inutile, la realtà era quella, punto e basta. E anche se il sentimento profondo che provava per il biondo era impossibile, lo voleva bene in ogni modo, non sarebbe mai riuscita a tradirlo.
Si accontentò di quell'abbraccio.
Da dietro, Bucky sorrise, con le braccia incrociate:
«Grazie infinite, davvero.»
Peggy si allontanò da Steve, guardando il moro con il petto in fuori, e annuendo severa, ma con più dolcezza e comprensione negli occhi.
Mise un'arma in spalla, e camminò sicura davanti a loro:
«Raggiungerete gli altri, sono in viaggio per una missione a nord. Copritevi bene femminucce, farà freddo lì.»
Con tanto imbarazzo, ancora visibile fra i tre, Cap e Bucky avevano raggiunto il resto della squadra. L'obbiettivo era salire sul treno in corsa del Teschio Rosso, e prelevare alcune armi.
Peggy aveva ragione, faceva davvero tanto freddo. Il vecchio Steve non sarebbe sopravvissuto un secondo fra la neve, ed il vento che ululava fra le cime dei monti innevati.
Avevano già sistemato una fune, da un capo all'altro della parete rocciosa.
«Ricordi quando ti ho portato sulle montagne russe?» Bucky se ne uscì con quella domanda sarcastica, sembrando apparentemente serio, con le mani sulla cintura, guardando nella stessa direzione di Steve. Tutto era bianco.
«Si, ho dato di stomaco.» quello era il secondo ricordo più vivido, dopo una pomiciata dietro la biglietteria abbandonata.
«Ti stai vendicando, vero?» James era a dir poco terrorizzato, quell'altezza vertiginosa, quel vuoto fatto di neve sotto di loro, ma soprattutto, ritornare così vicino ai nazisti che avevano sperimentato su di lui.
«Perché mai dovrei farlo?» rispose con lo stesso tono il capitano, incrociando gli occhi spaventati del suo compagno. Come uno schiocco di dita, così veloce e fugace fu quello sguardo, quel dipinto di colori verdi e azzurro schizzato nella tela candida del paesaggio. Steve lo percepì: Bucky era terrorizzato.
Si lanciò per primo sulla corda, seguito immediatamente dal sergente, che atterrò sul treno in corsa, sano e salvo.
Entrarono dentro una carrozza scura, sicuramente faceva molto più caldo che di fuori, e questo era positivo.
James camminava alle spalle del capitano, che copriva tutto con il suo scudo.
Di colpo, una carrozza dietro Steve si chiuse, separando i due.
Steve si voltò non appena sentì le porte serrarsi; la prima cosa che vide fu il volto di Bucky persuaso dal terrore, dall'oblò.
«Bucky! Attento!» urlò Steve, sbattendo le mani contro il vetro, avvisando il soldato, che alle spalle aveva un nemico sempre più vicino.
Aveva una strana arma, simile ad un'imbracatura; Bucky si difese, sparando con la sua pistola, e riparandosi dietro delle casse merci.
Si sedette in terra, le labbra tremavano, e le mani erano strette sul suo fucile. Non aveva mai provato così tanta paura in vita sua. Poteva morire, poteva essere di nuovo la cavia di quelle persone. Poteva perdere Steve.
Da bravo super soldato, il biondo di Brooklyn, riuscì a raggiungerlo, aiutandolo a mettersi in piedi, per seguirlo e stargli dietro.
L'uomo sparò un altro colpo, che rimbalzò contro lo scudo in vibrando di Captain America.
L'esplosione deviò, colpendo Bucky.
Una voragine si aprì sulla parete del vagone, l'aria gelida entrò per l'alta velocità.
Steve gettò lo scudo per terra, aggrappandosi alle lamiere della carrozza, dove a pochissima distanza da lui, Bucky si reggeva disperatamente ad una lastra di metallo.
Il vento era così forte da appannare la vista; sotto di loro, il vuoto, un infinito precipizio ai piedi della montagna.
«BUCKY!» Steve urlò ancora una volta il suo nome, disperatamente. Non lo aveva mai urlato in quel modo, si stava letteralmente squarciando le corde vocali.
«BUCKY! AFFERRA LA MIA MANO!» il braccio di Steve si allungò verso il moro, che cercò di muoversi senza cadere.
Non riusciva a focalizzarlo, vedeva la sua sagoma, appannata dai fiocchi di neve che gli gelavano il viso, che lo trafiggevano come mille chiodi.
Si spinse lievemente in avanti, un rumore, e poi il vuoto sotto i suoi piedi.
Bucky era caduto, le sue urla sembravano quasi impercettibili mentre veniva inghiottito dal precipizio, l'aria sotto di lui gli dava una falsa sensazione di spazio, come delle mani sicure che afferrano, per poi lasciarti subito dopo, verso la morte.
Steve lo vide per l'ultima volta. Stavolta, davvero, per l'ultima volta. Era il ricordo peggiore che il suo cervello potesse assimilare. Un incubo che lo avrebbe perseguitato per il resto della sua misera esistenza.
Era morto anche Steve. Quando Bucky era scomparso nella neve, aveva portato con se' anche il cuore di Steve. Strappato dal suo petto senza pudore. Lasciando un solco sanguinolento ed inguaribile.
Poggiò la testa sulle spalle, ancora stretto alle lamiere del treno in corsa, e pianse.
Captain America, l'eroe della nazione, Steve Rogers, il combattente che sin da piccolo non aveva mai mostrato debolezze, si era sciolto in un mare di lacrime.
L'aria gelida trasportò via i suoi singhiozzi, lasciando una scia gelida ed umida sulle sue guance scarlatte.
Bucky Barnes era morto.
Il bambino che lo aveva riportato a casa quando aveva solamente sei anni, era scomparso.
Anni passati a vivere ogni giorno, bello o brutto, ore vissute fra mille emozioni, sbriciolate in un secondo, e sparite per sempre.
"È morto" nella testa di Steve rimbombavano quelle parole, accompagnate dal rumore del vento : "È colpa tua." I singhiozzi gli fecero mancare l'aria : "Hai ucciso il tuo Bucky".
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