Secondo

«Dolcezza, svegliati, è ora di andare a scuola.» la madre di Steve sapeva essere straordinariamente dolce, la sua materna voce svegliava tutte le mattine il biondo, scostandogli il ciuffo e baciandogli la fronte scoperta. Controvoglia il bambino fece colazione e si preparò per affrontare un altro giorno di scuola; Steve frequentava la prima elementare, aveva imparato in fretta a leggere e a scrivere, passando però, la maggior parte del tempo a disegnare sul suo quaderno. Amava dare una forma a tutto ciò che gli passava per la testa: mostri, soldati, animali, qualsiasi cosa potesse essere rappresentata su di un foglio bianco. Spesso era distratto a lezione, e malvolentieri riceveva dei richiami, più simili ad urli isterici, da parte della maestra.
Odiava andare a scuola, aveva ancora sei anni, ma già non sopportava più quell'ambiente. Tutti gli altri bambini lo evitavano, maschi e femmine, spesso si divertivano prendendosi gioco di lui. Come già detto, Steve era molto più piccolo dei suoi coetanei, e questo si notava immediatamente. I bambini sanno essere molto cattivi. Come tutti i giorni, la madre Sarah lo accompagnò per mano davanti l'edificio, spingendolo dolcemente ad entrare al suo della campanella.
Steve entrò in aula, dopo aver raccolto la sua cartella da terra, finita sul pavimenta da uno spintone da parte di uno dei bulli delle classi seconde. Si sedette nel suo banco di legno, l'ultimo della fila dalla parte del muro. Gli piaceva stare da solo, isolato dal branco di mocciosi urlanti e prepotenti, preferiva disegnare sulla superficie del tavolo, quando i fogli del quaderno erano ormai pieni e la maestra lo sgridava. Ma non negava che avrebbe tanto voluto unirsi ai giochi e discorsi degli altri compagni, che lo scartavano mettendosi in cerchio.
La maestra entrò, placando immediatamente le urla stridule dei bambini che si erano distratti senza troppi sacrifici. La donna di mezza età vestita di marrone era affiancata da un ragazzino dai capelli castani. La camicia infilata ridicolmente dentro i pantaloncini scuri, e i polpacci coperti da delle calze bianche.
«Classe, lui è il nuovo alunno, è un ripetente della classe seconda, James Buchanan Barnes.» spiegò la maestra, indicando a Bucky con la mano un posto dove sedersi e seguire la lezione.
L'attenzione di Steve venne attirata immediatamente, entusiasta del fatto che "l'amico" che aveva conosciuto il giorno prima fosse nella sua stessa classe. Il moro notò immediatamente il bambino all'ultimo banco, sedendosi con un sorrisetto furbo nel banchetto accanto al suo, che era stato sempre vuoto.
Il ragazzino si sistemò comodo sulla sediolina di legno e si sporse dal lato di Steve: «Pss» lo chiamò a bassa voce, facendolo voltare immediatamente;
«Ho messo la caramella sotto il letto ad ho trovato un quaderno!» l'ingenuo moro aveva raccontato la storiella alla madre, che lo aveva deluso regalandogli un quadernone, dato che il piccolo Bucky non era molto bravo a scuola.
Steve sorrise, mentre l'insegnante iniziò a fare l'appello. Non c'erano molti altri alunni prima di lui, era una classe povera di bambini, dando ai due la possibilità di scambiare pochissime parole.
«Non è male come regalo! Puoi farci un sacco di cose con un quaderno!» rispose a bassa voce il più piccolo, intimorito dal fatto di star finalmente dialogando con qualcuno in quella classe.
«Cosa dovrei farci con un quaderno?!» rispose sarcastico il ragazzino.
«Rogers Steven Grant.» la fastidiosa voce della donna lo stava chiamando, ma lui non la sentì.
«Se hai una matita puoi scrivere, o meglio, disegnare!» si avvicinò con la sedia di più al ragazzino, continuando a bisbigliare.
«Rogers?» la donna ritentò a chiamarlo.
«Non sono bravo a scrivere, e nemmeno a disegnare....» sussurrò Bucky.
«Puoi imparare.» Steve avrebbe voluto continuare a parlare, ma il colpo di un righello in legno sbattè contro il suo banco, sfiorandogli le mani per un pelo, facendolo sobbalzare sul posto dallo spavento.
«Rogers!» urlò autoritaria la maestra.
«Presente!» il cuore del bambino palpitava forte, spaventato che quella riga di legno potesse colpire la sua testa.
«Vedo che hai finalmente trovato un amico. Spero che non distolga ancora di più la tua attenzione dalla lezione, e vedi di non scarabocchiare il tuo quaderno di matematica.» quella frase era intrisa di veleno e cattiveria, ridicolo per un'adulto che parla ad un bambino, accennando un sorriso soddisfatto mentre squadrava la copertina ingiallita del quadernone coperta da disegni con l'inchiostro nero. Tutti i bambini nell'aula risero, creando un coro fastidioso, che mortificò Steve. Tutti risero, tranne Bucky. Lui fissava la maestra arrabbiato, rivolgendo subito lo sguardo a Steve, intristito.
Il rumore dei passi dell'acida maestra andarono verso la cattedra, lasciando in pace, almeno per il momento, il biondo.
Il bambino, mortificato, prese la sua matita in mano e abbassò lo sguardo sul suo quaderno aperto. Una pallina di carta atterrò al centro dei fogli. All'inizio pensò che fosse uno dei dispetti del bambino seduto due banchi più avanti, ma un segno a matita attirò la sua attenzione, facendogli aprire quel pezzo di foglio accartocciato. A caratteri cubitali, con una calligrafia abbastanza pessima, ed alcuni errori grammaticali c'era scritto:
"Intervallo in cortile
Bucky"
Un sorriso sincero avvolse il magro viso di Steve, che però non si girò verso il mittente del biglietto per non rischiare di ricevere un'altra sgridata dalla maestra. Per tutto il tempo cercò di stare attento alla lezione, aspettando ansiosamente il suono della campanella della ricreazione.
Finalmente tutti i bambini furono liberi di uscire a giocare in cortile per alcuni minuti prima di ritornare a studiare.
Tutti si alzarono di fretta, creando una gran bella confusione, che lasciò Steve indietro. Avrebbe voluto uscire assieme a Bucky, ma purtroppo lo aveva perso nella confusione.
Uscì in cortile; soltanto una volta aveva passato del tempo in quel polveroso terreno pieno di bambini, che lo presero a pallonate ponendo fine definitivamente alle visite da parte del bambino.
Imbarazzato, si mise con la schiena contro il muro dell'edificio, sperando di non ricevere qualche altra pallonata o di non alzare un coro di canzonamenti tutti rivolti a lui.
Da un gruppo di ragazzini che giocavano a calcio, Bucky calciò con rabbia il pallone lontano dagli altri, andandosene per i fatti propri senza crearsi troppi problemi. Placò la sua ira non appena vide Steve, correndogli incontro: «Steve!» lo raggiunse velocemente, il biondo lo invidiava, avrebbe voluto poter correre come lui. Il più piccolo sorrise.
«È stata una strega la maestra!» si lamentò incrociando le braccia.
«Già.» rispose a bassa voce lui.
«Quei testa di vomito volevano mettermi in porta! Se lo possono sognare che Bucky Barnes stia in porta!» continuò indignato.
«Sei fortunato a non essere picchiato, se lo facessi io avrei già un occhio nero.» Steve stava dialogando con qualcuno che non era sua madre o l'orso di peluche sul comodino, e la cosa era davvero insolita.
«Picchiarmi? Devo solamente provarci!» disse in modo scherzoso, facendo ridere il biondo.
«Oh, guardate un po'! Steve il tappeto è uscito fuori!» la voce acuta e provocatoria di un bambino richiamò l'attenzione dei due, che si stava avvicinando a loro.
Steve calò la testa, iniziando ad agitarsi ma soprattutto a spaventarsi. Bucky fece un passo avanti.
«Ti dà fastidio?» il moro aveva nuovamente perso la pazienza.
«E tu chi sei? La sua fidanzatina?» quel ragazzino era uno di quarta, molto più alto e spavaldo dei più piccoli. Ma Bucky non aveva paura, non lo temeva, in quel momento non lo avrebbe temuto nemmeno se avesse avuto davanti un orso -a dire la verità, quel ragazzino somigliava un po' ad un orso- Steve strizzò gli occhi, sicuro di vedere cadere in terra Bucky, steso da un pugno che presto avrebbe abbattuto anche lui. Ma non fu così. Il rumore del corpo in terra era quello del ragazzino. James aveva mandato al tappeto con un solo pugno il compagno molto più grande di lui.
Il biondo restò senza parole.
«Così impari a darci fastdio.» ringhiò James con un mezzo sorrisetto, rientrando in classe seguito a passo veloce da Steve che era ancora sorpreso.
«Sei stato grande! Lo hai messo al tappeto con un colpo solo!» disse il biondino con voce entusiasta, piena di quella meraviglia ed innocenza che solo un bambino può avere.
Bucky sorrise soddisfatto, sentendosi onorato, sentendosi ancora una volta un super eroe.
«Chi mi da' fastidio la paga cara! Però anche tu devi imparare a difenderti.» quell'ultima frase tolse improvvisamente l'entusiasmo di Steve: «Ma sono troppo piccolo per dare un pugno.» la sua voce era triste e delusa. I due si fermarono, il piccolo corridoio dalle mattonelle in ceramica era vuoto, tutti erano ancora fuori, ed il silenzio era davvero rilassante. Bucky si mise difronte al più piccolo, guardandolo dall'alto in basso poggiando la mano sulla piccola spalla del bambino;
«Sei forte, contro ogni bullo. E poi, ci sono io a difenderti dai prepotenti adesso.» quel contatto, quelle parole, finalmente Steve non si sentiva più solo, non era più fragile. Le parole di Bucky lo spronarono, da quel momento in poi non avrebbe più subìto, nulla e nessuno si sarebbe preso gioco di lui, poteva essere più forte, doveva essere più forte.
La campanella suonò, e tutti ritornarono in classe.
All'uscita da scuola, Bucky corse come un fulmine dalle scale, superando Steve che sorrise, urlando in lontana: «Ti aspetto alle cinque, Steve!»

Il pomeriggio volò in fretta, ma quella volta a Steve sembrò che le ore non passassero mai. Alle cinque in punto allacciò goffamente i lacci delle scarpe e uscì di casa, salutando la madre che sorrise dolcemente.
In fondo alla strada Bucky stava prendendo a pallonate il muro di una casa.
«Steve!» lo accolse entusiasta, con una voce da bambino talmente felice che il biondo restò sorpreso. Il bambino sorrise imbarazzato.
«La mia mamma mi ha fatto una ramanzina per il pugno che ho dato alla testa di moccio...» il ragazzino prese il pallone sporco sotto il braccio.
«Sono sicuro che è stata la maestra a fare la spia!» rispose a tono Steve con una vocina più acuta e infantile.
Bucky gli diede le spalle per un attimo, chinandosi e prendendo qualcosa da terra. Si voltò e porse l'oggetto a Steve: un quaderno.
«Te lo regalo.» sorrise mostrano la finestra nera che creava il suo dente mancante. Steve restò senza parole, era la prima persona a regalagli qualcosa. Timoroso, prese il quaderno fra le sue piccole e fredde mani, sedendosi sul bordo del marciapiede umido e prendendo una matita dalla tasca dei pantaloncini. Bucky lo affiancò quasi meravigliato, curioso soprattutto.
Steve aprí la prima pagina scrivendo a stampatello maiuscolo il suo nome, e disegnando sotto di esso un orso. Era bravo per essere un bambino di sei anni; si capiva benissimo che quello era un orso, diciamo che per andare in prima elementare disegnava come un bambino che frequentava la quinta.
«Wow! È un mostro!» disse a bocca aperta il moro, usando quell'aggettivo in modo buono.
Steve rise; «È quel bullo che hai picchiato.» spiegò felice.
Bucky prese la matita dalle mani del biondo, disegnando in modo sghembo un omino stilizzato con un mantello.
«E questo sono io!» esultò ridando con gentilezza il bastoncino di legno non temperato. Steve rise ancora per il disegno che sembrava fatto da un bambino di quattro anni. Si era sbagliato, Bucky non sapeva proprio disegnare e molto probabilmente non avrebbe mai imparato, ma forse scrivere sarebbe stata un'opzione.
«Io sono un super eroe!» alzò il pugno verso il cielo scherzosamente, saltando in piedi. Guardò Steve e lo indicò: «e tu sei il mio aiutante!» entusiasta, il biondo saltò imitandolo, impugnando il quaderno sotto l'ascella. «Super Bucky e la sua spalla: Steve!» la voce squillante del bambino diede inizio ad ore di gioco e rincorse, fra risate e gridolini, finché le prime tracce del tramonto non li costrinsero a rincasare.
«Ci vediamo domani Steve!» urlò Bucky correndo a casa.
«A domani!» rispose lui salutandolo con la mano, sentendosi felice, sentendo che quel ragazzino era tutto il suo mondo.

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