Epilogo
Steve aprì lentamente i suoi occhi azzurri; come se avesse fatto una lunga dormita, si mise dritto sul letto su cui era sdraiato.
La radio accesa sul comodino, ed il telecronista segnava a voce alta i punti di una partita di baseball.
Una donna entrò nella stanza, bianca e svogliatamente arredata.
«Buon giorno Capitano Rogers.» gli disse; in mano teneva una cartella clinica.
Lui si guardò intorno spaesato, ricordava quello che aveva fatto, i suoi ultimi istanti rivissuti sull'aereo prima di andarsene. Stava sognando? O era semplicemente all'inferno? un inferno dove non c'era Bucky.
«È ricoverato a New York City.» spiegò con calma lei, facendo innervosire di più Cap, che si alzò in piedi.
«Dove mi trovo veramente.» non era una domanda, tanto più un'affermazione sicura.
«Non capisco cosa intende...» la ragazza sembrava confusa.
Steve indicò con il capo la radio che continuava a trasmettere la voce squillante dell'uomo accanito sul punteggio.
«La partita, era del maggio 1941.» disse; l'amarezza lo persuase, la stessa che lo aveva seguito prima di addormentarsi, in quel manto di neve sull'aereo guidato da lui stesso verso la morte.
Ricordò quel giorno di maggio, quando Bucky aveva trovato due biglietti da un ragazzo che vendeva popcorn, e lo aveva trascinato ridendo nelle tribune, quando il primo tempo era già iniziato.
Alla fine della partita, quando i festeggiamenti dei tifosi della squadra vincitrice erano quasi al termine, il giovane ragazzo dai capelli scuri, aveva trascinato per l'ennesima volta l'asmatico Steve fuori dalla confusione, nascondendosi sotto le gradinate sporche dello stadio, spingendo il biondo verso di se, e baciandolo con enfasi.
Si guardarono. Steve paralizzato da un gesto così impulsivo, sorrise, quando Bucky gli disse: «Abbiamo vinto.»
Guardò con ostinazione la ragazza, annuendo; «Perché io ero lì.»
Terrorizzato, corse fuori da quella stanza, finendo fuori dall'edificio, in un mondo che non era il suo.
Un uomo di colore, con una benda all'occhio, gli diede il benvenuto nel futuro. Era rimasto addormentato per settant'anni, vivo, in fondo al ghiaccio; la cosa più straordinaria, a parer del capitano, era come fosse riuscito a sopravvivere in quel buio ghiacciato con il dolore della perdita di Bucky.
Lo aveva dimenticato? Eppure, il suo primo pensiero quando si era svegliato era propio lui.
Era una punizione più tremenda della morte stessa: rimanere vivo nonostante il suo desiderio di raggiungere il compagno, e per di più, perdere ogni contatto con la sua vecchia vita. Anche se in fondo, dopo aver perso James, del suo passato non gli rimaneva molto, poteva solo cullare il suo dolore fra i ricordi.
Perché, nel suo caso, il tempo non aveva guarito le sue ferite, anzi, le aveva rese più profonde e dolorose.
Ogni cosa di Steve apparteneva indissolubilmente a Bucky.
Fino alla fine.
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