La vita dei due ragazzi di Brooklyn procedeva senza intoppi, niente sospetti, niente eventi importanti, niente di niente. La normale vita di due persone segretamente innamorate.
Finalmente Bucky aveva ascoltato il consiglio del suo ragazzo, abbordando qualche ragazza durante i fine settimana. Era, però, sempre stato rispettoso nei confronti di Steve, evitando ogni contatto fisico con le spasimanti, se non una stretta di mano o qualche battuta sdolcinata. Non poteva nemmeno immaginare di trovarsi davanti al minore in procinto di esagerare con qualcun'altra, che non fosse lui.
Rogers cercava sempre di essere superiore. Osservava lo splendido ragazzo dai capelli scuri filtrare con qualche giovane dalle ciglia lunghe e le labbra carnose, che rideva come una completa ebete ad ogni cosa uscisse dalla bocca di James, persino per la più stupida e la più insensata. Certe volte il biondo rideva sotto i baffi; Bucky che faceva rendere ridicola la giovincella fra le sue braccia, solamente per compiacerlo era la cosa più stupida che potesse fare per attirare la sua attenzione. Ma lo amava, lo amava da impazzire.
E poi tornavano a casa, dopo una serata con ragazze al settimo cielo per il bellissimo Barnes, scaricate alla prima occasione; i due ragazzi salivano le scale in legno che scricchiolavano, i genitori di Steve o erano ancora a lavoro, o dormivano dopo una giornata massacrante, così che Bucky potesse approfittare di quel silenzio per chiudere con cautela la porta della stanza di Steve, sorridergli nella penombra, prendere il suo pallido viso fra le mani, e baciare quelle labbra creando un'esplosione di colori, come se il biondo dipingesse ogni angolo della casa con i suoi colori a tempera. Si guardavano ancora, annegavano in quegli occhi, ci vivevano. Sorridevano un'ultima volta, abbassavano lo sguardo, e si auguravano la buonanotte, con un sussurro quasi impercettibile. Quella dolce azione ripetuta ogni sera, per anni, riusciva a rendere ogni giornata indimenticabile. A loro bastava solamente quello.
Purtroppo non era più ragazzini, la maggiore età per entrambi era arrivata, un bello e giovane Jamen Barnes di 20 anni, ed un gracile Steven Roger di 19. C'era una differenza enorme fra i due, quasi Steve sembra il fratellino minore di Bucky.
Ma a loro non importava. Bucky aveva trovato un lavoro nella fabbrica dove lavorava il signor Rogers, e Steve faceva il commesso in una drogheria del centro città. Un lavoro poco virile per il ragazzo, che percepiva una notevole distinzione fra lui e Buck, che gli ripeteva, ogni volta che lo vedeva di pessimo umore: «Non devi mai sottovalutarti. Mai. Hai capito, Stevie?»
Per quanto quelle parole potessero essere dolci e cariche d'amore, erano allo stesso modo scontate. Steve non riusciva a trovare un lato positivo in se stesso, nulla.
Era stato l'inizio del il 1939 a dare il colpo di grazia, con l'inizio della guerra. Molti ragazzi compresi fra la fascia d'età dai 18 anni in su, venivano arruolati. Cosa dire, ogni ragazzo si sentiva un eroe della nazione, pronto a morire per il suo paese, ad impugnare un'arma e spaccare il culo ai nazisti.
Il padre di Steve fu uno dei primi uomini ad essere arruolato nell'esercito. Un vero esempio ed orgoglio per i due ragazzi membri della famiglia, che non vedevano l'ora di poter raggiungere nel campo di battaglia.
Sarah era meno entusiasta. Dire addio all'uomo della sua vita, sperando di rivederlo tornare vivo e vegeto, aveva cambiato profondamente l'animo mite e amorevole della donna. Steve e Bucky però non riuscivano ad immaginare il suo stato d'animo, forse perché il loro desiderio più grande era di seguirlo? Non avere paura di perdersi? L'ingenua convinzione che la società gli dava, li incoraggiava a sostenere una tremenda causa da dove nessuno ne sarebbe uscito salvo, perché la guerra ti priva di ogni cosa; ti priva della tua casa, della tua routine quotidiana, dei visi cari, del tuo amore, dei tuoi ricordi.
Già, era un pomeriggio uggioso quando un uomo, con la divisa verde mimetica, bussò alla porta dei Rogers. Steve vide sfrecciare davanti ai suoi occhi solamente immagini veloci: l'uomo passò una lettera a sua madre, l'espressione priva di colorito e paralizzata della donna, un misto fra dolore e incredulità. Chissà quante volte aveva pregato di non dover leggere quel foglio di carta giallo, chissà quante notti aveva passato insonni ad accarezzare le lenzuola vuote accanto a lei. Troppe domande, in quel breve lasso di tempo, quando la porta venne chiusa, Sarah cadde in ginocchio, strozzata dai singhiozzi. Steve immobile per pochi secondi al centro dell'ingresso, in cerca di metabolizzare con più cautela possibile quella tremenda notizia, mentre Bucky consolava la donna.
Suo padre era morto. Tutta colpo del gas mostatico.
Faceva parte della divisione del centosettesimo, sergente Rogers, primo a guidare i suoi soldati contro il nemico, che questa volta aveva trionfato.
Un tremendo senso di ira attraversò il petto di Steve, procurandogli un bruciore simile ai suoi attacchi d'asma. Strinse i pugni, trattenne le lacrime da bravo soldato, e si fece coraggio.
Raggiunse Bucky, che aveva fra le braccia la fragile vedova dai capelli chiari, incrociando con gli occhi lucidi e le labbra semichiuse, lo sguardo gelido e carico di dolore del suo Steve. Non riusciva a trovare parole per consolarlo, ma quei due occhi verdi, quelli furono la risposta migliore che in quel momento serviva a Rogers.
Misero Sarah a letto, la sera era arrivata tanto velocemente quanto il dolore della notizia, che con il passare delle ore diventava sempre più forte.
Distrutti, i due si ritirarono nelle proprie camere. La signora Rogers dormiva profondamente, la stanchezza l'aveva fatta crollare, e il cuscino asciugò il suo volto umido di lacrime.
Steve si guardò intorno, solo, nella sua stanza. Il comodino di legno su cui stava il suo quaderno dei disegni, la carta da parati spoglia, la stessa che aveva messo suo padre anni prima, con sudore e sacrifici, quando lui era ancora un bambino. Era proprio così, spesso aveva odiato suo padre, aveva avuto paura di lui, o semplicemente non aveva avuto l'opportunità di poter trascorrere del tempo con lui per il suo lavoro, ma gli voleva bene. E adesso non c'era più.
La porta cigolò, e Bucky entrò facendo girare il ragazzo verso di lui.
Il più grande si morse l'interno della guancia, avvicinandosi con passo barcollante verso Steve, che era davanti a lui con i pugni stretti e il capo chinato di profilo, verso il pavimento.
Bucky lo strinse fra le braccia, forte, sul suo petto robusto e caldo. Le braccia magre del ragazzo ricambiarono il gesto, scivolando con delicatezza sulla sua schiena, stringendo con le mani la camicia. Assaporò il profumo del moro, strizzando gli occhi e lasciandosi guidare dal battito del suo cuore.
James posò le sue labbra sui delicati ciuffi biondi del più piccolo, baciandolo più volte, e sussurrando con voce strozzata: «Mi dispiace amore, mi dispiace.»
Era la prima volta che lo chiamava in quel modo. Non bastava già umiliarlo con lo pseudonimo di Stevie, o punk? Amore, suvvia, era la cosa più ridicola ed effemminata che avesse mai sentito, ma non gli dispiaceva. Bucky non aveva chiamato mai nessuno in quel modo. Neanche le ragazze, quelle preferiva soprannominarle "passerotte" o cose simili, che in fondo erano solo prese in giro.
Quella frase, era come ossigeno puro che aiutava a respirare Steve, se solo l'avesse usata ogni volta che le sue crisi respiratorie lo colpivano, di certo non avrebbe corso nessun tipo di rischio.
Steve sospirò, annaspando ancora di più fra il suo petto.
«Coraggio, proviamo a dormire adesso, che ne pensi? Abbiamo bisogno di riposare dopo una dura giornata come questa.» lo consolò dolcemente Bucky, prendendolo per le spalle, e scrollandolo divertito.
Lo accompagnò sul suo letto, rimboccandogli in modo disordinato le coperte. Prese la gelida sedia di legno accanto alla scrivania, e si sedette al lato del letto.
«Rimango qui finché non ti addormenti, sta tranquillo. Verrei volentieri a farti compagnia fra quelle calde coperte, ma se tua madre si alzasse e ci vedesse, ci spedirebbe di certo fuori di qui a calci nel sedere.» gli disse Bucky, riuscendo a strappare un sorriso al biondo sdraiato sul letto, non solo per le sue solite battute e i suoi soliti termini nel parlare, ma anche per la premura che aveva nei suoi confronti, nelle rispetto della paura si Steve, che non abbassava mai la guardia sul loro rapporto.
Il ragazzo chiuse gli occhi, la mano morbida di Buck gli accarezzò il viso; «Andrà tutte bene, vedrai. Supereremo anche questo.»
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