Decimo

Le settimane che avevano seguito quell'eroico salvataggio di Stuart da parte di Steve erano servite a rimarginare le ferite del biondo, che alla fine era rimasto solo con un occhio nero. Tutti i pomeriggi, dopo la scuola, invece di andare a giocare in fondo alla strada, i due ragazzi correvano ad arrampicarsi sulla collina dorata coperta di spighe di grano, che ondeggiavano con il vento di primavera. Dopo aver saltato e corso per tutta la distesa di terra, si sedevano davanti al meraviglioso spettacolo del tramonto, che evidenziava il colore preferito di Bucky.
Il bastardino color miele era diventato la mascotte dei due, che tutti i giorni rubavano un pezzo di pane duro dalla bottega, e lo davano al cucciolo che si ingozzava con gusto.
Quel pomeriggio era più torrido del solito, il vento che gli solleticava la nuca aveva smesso di soffiare, ed il sole del tardo pomeriggio continuava ad infuocare le teste calde dei ragazzi.
Bucky arrivò per primo in cima alla collina, iniziando a ridere divertito, per poi scendere a corsa per il terreno polveroso. Steve stava per raggiungerlo, lo vedeva sgambettate per il sentiero arido, quando un sasso, un ostacolo non previsto da James, lo fece inciampare.
Un dolore lancinante alla caviglia gli tolse il fiato, facendogli perde l'equilibrio, così che il suo corpo sudato poté rotolare giù per la collina. Il suo busto continuava a sbattere contro la terra, che nascose grosse pietre come fossero trappole di guerra, togliendo ai polmoni di Buck ossigeno ogni volta che una di esse colpiva il suo corpo.
Steve cominciò a correre giù, lasciandosi scivolare da seduto in mezzo alla polvere, seguito da Stuart, per raggiungere Bucky, accasciato in terra.
Si fermò difronte al suo corpo, ansimante e sudato, con il cuore a mille, e la testa confusa dai latrati del cane che cercò di proteggere dal nulla apparente il moro per terra.
Il più piccolo si inginocchiò, poggiando le mani su di lui e osservandolo ossessivamente.
«Bucky!» lo chiamò scostando una ciocca di capelli scuri dalla sua fronte sudata.
Il compagno aggrottò la fronte in un'espressione di dolore.
«Aaah!» urlò quando Steve cercò di metterlo seduto.
«Va tutto bene Buck?! Mettiti in piedi, dobbiamo andare da mia madre!» disse preoccupato il biondo, tenendogli la nuca.
«La mia caviglia! E-e...» James poggiò una mano sulle costole, urlando di dolore, peggiorando solamente le cose.
«Bucky, devi metterti in piedi! Coraggio ti aiuto io!» Steve mise in spalla il braccio di Bucky e, con tutta la forza che potesse avere, lo tirò su' sopportando il suo grido di dolore e le sue imprecazioni.
In quel momento si odiava, odiava se stesso in una maniera incomparabile: avrebbe voluto poter riuscire a prendere in braccio Bucky come lui aveva fatto quando era stato pestato da quel bullo, avrebbe voluto aiutarlo nel momento di bisogno, ma riuscì a malapena a trascinarlo in città.
Stremato, con ogni gracile muscolo del suo corpo indolenzito, arrivò a casa. La madre di Steve fece sedere immediatamente James, costatando le sue condizioni.
«Bucky, tesoro, credo che tu abbia una caviglia rotta e due costole ammaccate, dobbiamo portarti in ospedale...»
«No!» sbottò terrorizzato lui.
«Signora Rogers, mi fido di lei, non voglio andare in ospedale.» si riprese ansimando, capendo di essere stato troppo mal educato, ma tutto ciò che aveva a che fare con aghi e stanze ospedaliere lo metteva in ansia, era terrorizzato da quel luogo puzzolente di disinfettante e affollato di gente in camice.
«D'accordo, allora ti stecco la caviglia.» annuì caldamente la donna, prendendo dalla sua grande borsa marrone delle garze e altri attrezzi medici che fecero rabbrividire Bucky.
Sarah passò un panno umido sul piede di Barnes per ripulirlo dal terriccio, sfiorando con dolcezza il suo tallone e rassicurandolo: «Andrà tutto bene, sta tranquillo. Farà un po' male.»
Bucky deglutì spaventato; se già il dolore era insopportabile in quel modo, figuriamoci quando la signora Rogers ci avrebbe messo le mani.
Steve si accorse del terrore nel viso sporco di Buck, avvicinandosi a lui, mettendosi alle sue spalle.
«Non avere paura.» lo consolò dolcemente, sorridendo sotto gli occhi lucidi del compagno che lo guardò dall'alto.
Bucky cercò disperatamente un contatto con Steve, stringendo forte la mano sudata del minore poggiata sulla spalla. Gli occhi azzurri dietro di lui si sgarrarono dalla sorpresa, ora come mai James aveva bisogno di lui, ed esserci fu una priorità essenziale.
«Pronto?» lo avvertì la mamma di Steve. Il ragazzino annuì sicuro, rafforzando la presa sulla mano di Steve.
«Aaah!» urlò quando le calde mani della donna portarono in asse la caviglia, che scricchiolò sonoramente.
Il ragazzo continuò a lamentarsi, premendo con le dita il palmo del biondo, cerando disperatamente aiuto.
«Buck, sta calmo.» cercò di rassicurarlo, inginocchiandosi alla sua altezza, e sussurrando al suo orecchio: «È quasi finita, coraggio, non vorrai far allarmare tutto il vicinato?» lo consolò sorridendo.
«Basta! Fa' male!» sbraitò Bucky, guardando terrorizzato la donna.
«Ho quasi finito, sei bravissimo.» continuò a sorridere lei, stringendo con la garza la stecca che teneva dritto il piede di Bucky.
Steve gli massaggiò le spalle, stringendo caldamente la sua mano stanca; «Bravo Buck, bravo.»
I coniugi Rogers lo stesero sul morbido letto di Steve. Sarah aveva rilasciato la sua prognosi: assoluto riposo per le costole e la caviglia.

«Hai fatto proprio un bel volo, eh Buck.» lo consolò il minore seduto ai piedi del letto.
Un sorriso dolorante e stanco comparve sul viso scuro di Bucky, che chinò la testa imbarazzato.
«Dai, così siamo pari. Almeno non sono l'unico infortunato della casa, non trovi?» lo persuase spiritosamente il biondo alzando un sopracciglio.
«Sai, adoro quando cerchi di provarci con me.»
Un sussulto allo stomaco ammutolì per un istante Steve, che diventò rosso come un pomodoro.
«C-cosa?» chiese imbarazzato.
«Avanti, non siamo più dei bambini, capisco quando desideri disperatamente qualcosa.» disse Bucky.
«I-io non desidero nulla, a parte che tu ti riprenda presto...» concluse lui abbassando gli occhi.
«Io invece desidero disperatamente baciarti, sentire il sapore delle tue labbra, della tua lingua, sentirti addosso.»
Il cuore di Steve stava scoppiando nella sua gabbia toracica, quelle parole lo fecero palpitare. Un senso di eccitazione ed imbarazzo lo travolsero, a pensarci meglio, voleva quelle fottute labbra carnose sul suo collo. Bucky era più grande di lui solamente di un anno, ma era molto più maturo ed esperto in quel genere di cose; era sempre il primo ad osservare spiritosamente le coppiette che limonavano dietro la scuola, e ad imparare dai loro gesti quanti più segreti possibili.
«B-Bucky, i-io...» il cervello non era collegato alle labbra, le sue mani sudarono senza controllo, mentre si rigirò i pollici, cercando di scappare dai profondi occhi verdi che lo fissarono dolcemente, notando il suo imbarazzo.
«Le cose stanno così, entrambi lo vogliamo, te lo leggo negli occhi Stevie, ma leggo anche che sei terrorizzato, perciò, aspetterò. Aspetterò finché non sarai pronto, aspetterò che tu ti lanci sulla mia fantastica faccia, dovessero passare secoli, io aspetterò.»
Quelle parole furono estremamente rassicuranti, di una dolcezza immensa. Bucky, il ragazzo che avrebbe potuto avere qualsiasi femmina della città, aveva deciso di aspettate solamente Steve, esclusivamente per sentire le farfalle nello stomaco come fosse la cosa più speciale del mondo.
Steve annuì imbarazzato, sorridendo ingenuamente.
«Adesso vieni qui, non sei stanco? Mi hai trascinato fino a casa, come fossi una fanciulla in pericolo! Diavolo Rogers!» lo provocò scherzosamente, mentre il minore poggiò comodamente le spalle sul cuscino, avvolto dal forte braccio del maggiore.
«Sono stato bravo!» commentò lui simulando una risposta offesa.
«Hai ragione, sei stato bravissimo.» gli sussurrò all'orecchio, chiudendo gli occhi e cercando di trovare sollievo dal dolore nel profumo dei biondi capelli di Steve, che si perse nell'odore del pigiama dal moro.

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