Capitolo 1 - Il mese di Settembre

♤♡◇♧♤♡◇♧♤♡◇♧♤♡◇♧

Quella mattina profumava come una semplice e comune giornata d'inizio Settembre, con i ragazzi che si godevano i pochi momenti di libertà prima di rimettere la testa sui libri, i tuffi in mare, ora un po' più freddo, le grida dei turisti stranieri sulle spiagge, le lenzuola messe ad asciugare sui balconi più alti dei palazzi, che mosse dal vento sembravano onde bianche che si infrangevano nel cielo. Quella mattina aveva un certo sapore aspro di rammarico, di nostalgia, un certo che di fine estate che portava le persone a passeggiare nei parchi, i cui alberi erano ancora coperti da foglie verdi, e queste quasi splendevano sotto il sole, come a voler dire che loro c'erano ancora, che non tutto era già finito. In pochi sentivano quel senso di amarezza, eppure, quelle poche foglie già cadute facevano notare un po' spavaldamente come sempre di più la stagione stesse cambiando, come presto la natura sarebbe stata più cupa, simile a un urlo silenzioso che avrebbe tolto ogni linfa di vita.
Non ci credeva molto negli Dei, eppure, mentre si tirava dietro la valigia fino alla stazione dei treni e si osservava intorno, pensava sempre di più al mito greco di Demetra e Persefone, un modo come un altro di dare una spiegazione mitica a ciò che, di per sé, non aveva niente di mitico.
Settembre aveva sempre avuto quel carattere contrastante di perenne incoerenza, diviso a metà tra la nascita e la morte: in un certo senso capiva perché proprio quello fosse il suo mese preferito. Però quel particolare mese di Settembre non le dava un chissà quale motivo per essere amato, quasi lo detestava con tutta sé stessa: mai, come allora, aveva cambiato la sua vita.

Lei camminava, camminava veloce per le vie della città, sotto i portici, in mezzo alla strada, al bordo delle righe, l'importante era fare in fretta, tanto che quando le sue scarpe toccavano il suolo facevano un rumore sordo, quasi inudibile, palpabile solo a un orecchio fine. Pareva quasi che avesse qualcosa da perdere, ed era perfettamente vero; perché nonostante camminare sotto il sole di Settembre non fosse al pari di camminare sotto a quello di Agosto, le sembrava che il tempo scorresse molto più lentamente del vero, e questo l'aveva portata a quella familiare sensazione di essersi dimenticata qualcosa, qualcosa che assomigliava molto all'orario del treno su cui sarebbe dovuta salire; forse ci sarebbe anche riuscita forzando di più la corsa, ma non lo sapeva nemmeno lei. La valigia, al contrario delle scarpe, faceva un rumore che era perfettamente udibile, sui ciottoli, dove in quel momento i suoi piedi camminavano svelti, le ruote si scontravano con la pietra e talvolta ci si incastravano anche. Come una visione paradisiaca, la stazione dei treni si era palesata davanti a lei, facendola fermare un attimo, il fiato corto e la leggerezza nel cuore. Il biglietto lo aveva già, incastrato in una tasca dei suoi jeans, quindi le era bastato prendere la valigia dal manico più corto, scendere e salire le scale fino ad arrivare al binario che era stato predestinato al suo treno. Era stata fortunata, visto che avrebbe dovuto fare una corsa unica fino a Treviso, senza dover scalare in città che non conosceva. Le piaceva viaggiare in treno, molto più che in aereo o in macchina, poiché quel piccolo pezzo di mondo che riusciva a vedere dai finestrini passava davanti ai suoi occhi come un filmato, e a lei pareva di starsene ferma lì, a guardare tutto quel movimento, senza accorgersi che effettivamente si stava spostando insieme a tutto il resto. Un istante è così breve e intenso che imprimerlo nella propria memoria diventa più semplice quando si è carichi di sentimenti: quella era una di quelle cose che aveva sempre saputo, e che col tempo aveva anche imparato a comprendere; il treno, nella sua mente, rappresentava l'ideale rappresentazione fisica del suo pensiero.
Quando aveva sentito l'annuncio che da lì a pochi minuti sarebbe arrivato il suo treno si era alzata dalla valigia, che le aveva fatto da appoggio improvvisato, e aveva timbrato il biglietto, per poi spingersi a una discreta distanza dalla linea gialla. Il treno era arrivato con il suo solito fischio e l'ennesimo annuncio della voce femminile, lei, incurante, aveva lasciato che il vento le scompigliasse i capelli, portandoli un po' da tutte le parti, e aveva chiuso gli occhi, beandosi di quell'istante familiare che la riportava a quando era piccola. Si era incamminata verso i vagoni che sapeva essere i più vuoti, quelli più esterni, e aveva preso posto, spostando la valigia davanti a sé, con la borsa e il borsone sul sedile affianco, poi, aveva atteso che il treno partisse per mettersi gli auricolari.

Aveva già fatto quella corsa, una volta, con sua madre, suo padre e sua sorella, nel periodo delle vacanze natalizie di quando aveva sette anni, in quel caso però la loro era una semplice visita di cortesia a una cara amica di sua madre e ai suoi figli, nel presente Veronica doveva andarci per viverci. Non che avesse molta scelta, sua madre le aveva messo davanti due soluzioni: Milano, con sua nonna (e la badante), o Treviso, con la sua amica, e lei, per quanto amasse Milano, non amava sua nonna, quindi aveva preferito zia Angela -si chiamava così l'amica di sua madre- anche se in realtà di zie non ne aveva nemmeno una.

Sua madre era una fotografa e videomaker ed era stata chiamata per partecipare ad un documentario in America per una piattaforma streaming, per giunta come principale operatrice, cosa che avrebbe potuto generare una svolta importante per la sua carriera, già abbastanza lanciata, e sua madre non si era fatta particolari remore nella decisione da compire. Veronica si era ritrovata così a accettare tutto quello che era andato dietro a quella decisione. Quella, era la spiegazione più veloce che sapesse dare sul perché si trovasse su un treno, verso una città che non conosceva, e per giunta, in un'altra regione rispetto alla sua.

Era sempre stata molto vicina a sua madre, e uno dei ricordi più preziosi che aveva risaliva a quando aveva quattro anni e non riusciva a dormire, sua madre, che a quel tempo portava un taglio di capelli abbastanza lungo, le percorreva con l'indice il sopracciglio sinistro per calmarla. Quel ricordo le era rimasto tanto che, quando sua madre era a casa e potevano guardarsi un film insieme, ancora se lo faceva fare. A pensarci bene le sarebbe mancato anche il divano, se lo si vedeva come posto sul cui giravano molti ricordi, dove solitamente si metteva a leggere i suoi libri. Leggeva sempre quando ne aveva la possibilità, amava riuscire a incanalare tutto quello che delle semplici parole le facevano provare e trasformarle in qualcosa di più complesso, come immagini tanto vivide nella sua mente che era come se le avesse vissute in prima persona, sensazioni tanto vere da sembrare idilliache, lei leggeva per vivere, per avere quella consapevolezza interiore di sapere sempre di più sul mondo, anche se ne viveva nella realtà dei fatti una parte poco sensazionale e minima, ma nel suo complesso meravigliosa. Nella valigia aveva messo alcuni libri che, nonostante fossero nella sua libreria da molti anni e la incuriosivano da sempre, non riuscivano mai a prenderla sul serio, e si era detta che, in un caso o quell'altro, li avrebbe letti prima o poi, e che era decisamente meglio prima che poi, quindi se li era portati via, insieme al computer portatile, perché il suo adorato fisso non poteva di certo venire con lei, una chiavetta USB piena di cose che aveva ritenuto importanti. Era tremendamente doloroso staccarsi dalla sua quotidianità, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro sui propri passiIl treno aveva preso a rallentare e Veronica, ormai completamente assorta dai propri pensieri, quando aveva visto che si trovava a quasi metà del percorso si era stupita, poi, presa da un moto di stanchezza, si era accasciata contro al sedile e aveva chiuso gli occhi, beandosi del calore del sole che, attraverso il finestrino, raggiungeva il suo corpo.

Nelle successive ore non aveva fatto niente di entusiasmante, aveva cambiato playlist un paio di volte, scattato qualche foto e letto qualcosa dal telefono, si era scritta con la sua migliore amica e con zia Angela, solo per capire come avrebbe dovuto girarsi nella stazione dei treni di Treviso e soprattutto cosa sarebbe successo quando sarebbe arrivata, sua zia l'aveva rassicurata, dicendole che ci sarebbe stata lei e suo figlio maggiore, visto che il minore era fuori e non si era nemmeno preso la briga di ricordarsi che lei sarebbe arrivata.

Nonostante sua madre e Angela fossero amiche da tanti anni, in realtà riuscivano a vedersi raramente, e per lo più facevano videochiamate infinite. L'ultima volta che si erano viste di persona era quando Veronica aveva dodici anni, ma andava bene lo stesso. Angela chiedeva sempre di parlare anche un po' con lei ed era sempre gentile e amorevole, come una vera e propria zia.
Il punto, però, era il fatto che Veronica non si ricordasse nulla dei figli di Angela, i nomi si, ma loro come persone erano delle sagome di bambini che ormai non avevano particolari distinti. Una cosa la ricordava, ce ne era uno simpatico e uno che pur di non stare con loro si era finto malato. Veronica sperava con tutta sè stessa che il figlio maggiore fosse quello simpatico.

Poco male, uno in meno con cui dover fare conversazione.

Veronica non amava parlare, probabilmente una delle sue attività, se era possibile considerarla come tale, meno preferite, tanto che veniva definita molto riservata dalle persone che le erano vicine. Non era brava ad aprirsi nell'immediato e odiava parlare con persone che non conosceva per nulla, la metteva a disagio e non la fecava sentire sicura. Ovviamente sua zia non era tra questi, ma con i suoi figli era diverso visto che non si vedevano da così tanto tempo.

Piano piano, mentre il treno cambiava binario e curvava sulle rotaie, riusciva sempre di più a vedere il cartello che indicava che stava per sorpassare il confine che delimitava la zona di Treviso. Il suo umore si era fatto un po' più leggero, ma il pensiero costante che solo un anno prima, in quel preciso istante, stava parlando con la sua migliore amica nella Città alta di Bergamo, mentre mangiavano un gelato e ridevano tre loro, le faceva venire una stretta al cuore insopprimibile.
La bolla illusoria in cui si era chiusa aveva deciso di scoppiare per riportarla al mondo reale, il treno si era fermato, dandole il grazioso annuncio che era finalmente arrivata a destinazione. Nulla di più normale, per una qualsiasi di quelle persone sul treno che dovevano scendere a quella fermata, ma incredibilmente drammatico per lei. Stava per abbandonare l'ultimo pezzo della sua quotidianità scendendo da quel treno, e per quanto cercasse di trovare il positivo in ciò che stava accadendo, riusciva solo a vedere un enorme buco di trama in quella che sarebbe dovuta essere la sua vita. Non era pessimista, ma non aveva capito quanto rapidamente le cose sarebbero cambiate. Si era ritrovata spaesata quella mattina, con la consapevolezza assoluta che quel cambiamento non era più solo teorico, ma pratico.
Incoraggiando se stessa, aveva riposto il telefono nella tasca dei jeans e si era caricata la borsa e il borsone sulle spalle, prima di prendere la valigia dal solito manico corto e scendere dal treno. Sua zia l'aspettava vicino a una panchina su cui era seduto un ragazzo moro: era Francesco, ed era, fortunatamente, il fratello simpatico. Se ne stava a guardare il cellulare e a scrivere, almeno fino a quando sua madre non gli aveva dato uno scossone e si era incamminata verso di lei, con gli occhi che le splendevano di gioia. Nonostante tutto Angela era sempre stata un punto di riferimento per Veronica, come persona fidata, per questo, quando le era venuta in contro tutta sorridente, per quanto lei fosse quasi a corto di sorrisi, gliene aveva dedicato uno e si erano abbracciate.

«Ciao tesoro, come stai? Come è andato il viaggio?»

«Tutto bene, ho scelto una corsa senza cambi.»

Lo sguardo di sua zia si era fatto dolce «Meglio così, almeno non hai dovuto preoccuparti delle coincidenze. Sei proprio diventata alta eh, ti ricordavo così piccina.»

Veronica aveva riso imbarazzata, notando che superava Angela di almeno un paio di centimetri.

«Ciao! -Il ragazzo le aveva porso la mano, e Veronica era grata che non avesse tentato un contatto fisico più diretto, perché sarebbe stato davvero imbarazzante- Non so se ti ricordi, sono Francesco»

Lei aveva sorriso e anniuto, stringendogli la mano. La stretta di lui era sicura, ma non forte.

«Bene -Sua zia aveva congiunto le mani all'altezza dello sterno- Direi che è ora di andare.»

Quella mattina la stazione dei treni era particolarmente piena, nonostante questo, mentre camminava al fianco di Angela, aveva avuto l'occasione di guardarsi intorno e notare come alle pareti, prima della scalinata centrale che portava al grande atrio con la biglietteria e altri negozi, fossero appesi dei piccoli mosaici, fatti dai ragazzi delle scuole medie della città. Alcuni erano particolarmente articolati e altri, invece, più semplici, ma in entrambi i casi le immagini di quei piccoli pezzi di arte, che rendevano meno cupa l'entrata per la stazione, le erano rimaste impresse nella mente.
Usciti dalla stazione Angela l'aveva portata fino alla sua macchina, parcheggiata vicino a un'insolita palla di metallo, posta al centro della strada che portava al centro storico. Quella era una delle molte cose che si era dimenticata di Treviso.

♤♡◇♧♤♡◇♧♤♡◇♧♤♡◇♧

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top