Proposte (Pov Jacob)
Jacob
Tre settimane.
Erano passate tre settimane dal mio incontro con i Cullen. Non li avevo più sentiti, tranne una, e anzi speravo che non si facessero più vivi. In quelle tre settimane avevamo dovuto riorganizzare la vita del branco. Ci eravamo incontrati più volte per decidere cosa fare, in merito alla trasformazione di Ethan e Sarah e alla presenza di Nessie nella Riserva.
Lei, era considerata un po' come il mio imprinting. Non mi avrebbero mai fatto del male chiedendomi di lasciarla. Per i bambini, si era deciso di ammetterli nel mondo degli adulti un po' prima. Perché si abituassero a vedere le leggende come tali, prima di scoprire che erano vere.
Da quando i vecchi del consiglio, che poi erano mio padre, il nonno di Quil e Sue, avevano lasciato il comando della tribù nelle mani mie e di Sam, avevamo infatti stabilito che le leggende dovessero essere raccontate solo dopo una certa età, al passaggio dall'adolescenza all'età adulta, per evitare che fosse commesso lo stesso errore che io a mio tempo avevo già fatto, spifferandole a Bella. A mia discolpa c'era da dire che all'epoca non credevo affatto in quelle storie. Ed ora non solo le vivevo, ma cercavo di proteggerle. Che ironia.
«Papà, cos'hai? A che pensi?» mi chiese Sarah.
«Al falò di domani sera» le risposi.
«Il mio primo falò da adulto!» esclamò Ethan.
«Vedete di non spargere troppo la voce con i vostri amici, voi due. Domani sera sarete lì solo perché siete i figli del capo tribù» non era vero, ma era questa la giustificazione che avevamo deciso di dare loro.
«Considerando che fino a una settimana fa non sapevamo neanche che lo fossi è già un bel motivo!» ribatterono insieme. Non sarei mai riuscito a tenere il loro passo.
«Papà, ma domani sera viene anche Nessie con noi? Oppure il fatto che non sia della tribù non le permetterà di partecipare?»
«Verrà anche lei... in qualità di mia fidanzata» era la prima volta che lo dicevo ad alta voce.
«Le hai chiesto di sposarti?» urlarono in coro. Scoppiai a ridere, dalle loro facce sembrava che non aspettassero altro.
«No, ancora no. E' solo che, visto che abita con noi, mi sembrava giusto ufficializzare le cose» I loro visi si spensero, mostrando la stessa espressione delusa.
«Uffa»
«Da quando in qua parlate in coro? Non vi è mai piaciuto farlo, non siete un po' grandi per iniziare ora?» chiesi, scherzando.
«Noi? Non ce ne siamo...» avevano di nuovo parlato insieme, e scoppiarono a ridere rendendosene conto. Parcheggiai di fronte alla scuola, dando loro le ultime raccomandazioni.
«Se qualcuno vi invita ad una festa di Halloween per domani sera cosa dovete fare?»
«Ringraziare e rifiutare gentilmente l'invito, perché noi non lo festeggiamo»
«Perfetto. Passa a prendervi Seth alle tre e mezzo» Il viso di Sarah si illuminò. Ethan fece una smorfia, infilandosi un dito in bocca. Era una di quelle smorfie che gli sarebbero valse uno scappellotto, se non fossi stato in auto, privo della benché minima intenzione di scendere. Chiusero lo sportello e si avviarono sulle scale. Io ripartii verso l'officina.
Leah, Embry e Nessie erano già lì. Il liceo era chiuso per disinfestazione. Da cosa poi? Ma mi rendeva felice averla con me tutto il giorno, perciò non me ne lamentavo.
Il mio amore mi venne incontro, baciandomi appassionatamente prima, per poi sbalordirmi.
«Non ce la facevo più a stare con quei due senza di te, sono insopportabili! Peggio della carta moschicida!»
«Non ti piacciono le effusioni amorose?» le chiesi, baciandola sul collo.
«Solo se sei tu a farle a me!» rispose ridendo, e avviandosi verso la rimessa, dove aveva un paio di auto da sistemare.
«Buongiorno capo!» disse Embry, scherzando come al solito. In quelle tre settimane avevamo ripreso ad essere i due adolescenti deficienti che eravamo stati. Lui era, se possibile, quasi più contento di me che Nessie fosse entrata nella mia vita.
«Ciao, Jake!» mi sorrise Leah, per poi rabbuiarsi tutto d'un tratto, fissando un punto indefinito dietro di me. Embry le si avvicinò, e scoppiò a ridere fissando lo stesso punto. Lei gli mollò una gomitata nelle reni. Mi voltai, per capire il motivo di tanta ilarità da parte di Embry e di tanto astio da parte di Leah, e la vidi.
Jessica Stanley.
Non poteva essere che lei a rovinare una giornata iniziata così bene.
«Io mi infilo in ufficio, tanto non hai bisogno di me per liberarti di quella. Credo che Nessie ci riesca molto meglio» sibilò, ad un volume tale che solo io ed Embry potemmo sentirla. Odiava le oche, e Jessica non faceva eccezione. Dovevo aspettarmi una sua visita, ad ogni modo, in fondo erano passati più di quaranta giorni dall'ultima. Leah aveva ragione. Nessie era veramente efficace. E se... il mio piano prese forma nella mente in maniera diabolica.
«Ciao, Jessica!» la salutai.
«Ciao, Jake!» mi rispose smielata.
«Come mai da queste parti?» si intromise Embry.
«Beh, sai, la mia macchina aveva bisogno di una controllatina ed allora ho deciso di venire dal miglior meccanico della zona» disse, poggiando la mano sul mio petto, mentre io sbirciavo fuori. Una Volvo C30, rossa. Ci avrei scommesso che avesse cambiato auto, nel tempo in cui non si era fatta vedere. Sentii un sibilo provenire dalla rimessa. Ci mancava solo la mezza vampira gelosa. Decisi di mettere in moto il mio piano.
«Amore, puoi venire un attimo qui?» Nessie comparve in tutta la sua eleganza. Se eleganti si possono definire un paio di jeans tagliati al ginocchio e una camicia di flanella. Ma il suo portamento era degno di una regina. Jessica non si ritrasse, e non scostò neanche la mano.
Chi se ne frega! Pensai.
Era a suo rischio e pericolo. Renesmee sarebbe stata in grado di staccargliela in mezzo secondo o anche meno. Già, ma lei non lo sapeva. Ridacchiai.
«Tu sei la ragazza dell'ultima volta - esclamò cinguettante e falsa come una moneta da cinque dollari - lavori ancora qui?» Risposi io per lei.
«Sì, lavora ancora qui. Inoltre, come avrai potuto dedurre dal fatto che io l'abbia chiamata "amore", è anche la mia fidanzata» Dicendo quella frase, presi il suo polso delicatamente e lo allontanai da me, accompagnando il suo braccio, che sembrava non essere dotato di una sua volontà, vicino al suo fianco.
«Fidanzata? Nel senso che vi sposerete?» mi chiese, quando si riprese.
«Nel senso che viviamo insieme e che prima o poi ci sposeremo»
Non mi piaceva raccontarle tutti i fatti miei, ma in fondo i miei fratelli sapevano, anche se non proprio in quei termini, Nessie sapeva e i miei figli sapevano. Che lo sapessero anche tutte le zitelle e donne divorziate di Forks non cambiava niente.
«Beh, bastava che lo dicessi che ti serviva una sosia di Bella per uscire dal letargo» disse, maligna. Nessie ringhiò sommessamente a quell'affermazione. La somiglianza fisica con sua madre, se anche all'inizio era stata la prima cosa che avevo notata, era stata spazzata via dalla loro diversità, fisica e di carattere.
«O forse gli serviva qualcuno che avesse anche un cervello oltre che un bel corpo e delle belle macchine!» le rispose la mia dolcissima metà, che in quel momento non sembrava troppo dolce, sfidandola a continuare.
«A... a che ora posso passare a riprendere l'auto?» chiese lei, evitando saggiamente di continuare il discorso.
«Amore, a che ora può venire? Era per questo che ti avevo chiamata, vorrei che ti occupassi tu della sua auto, io ed Embry abbiamo già un sacco di lavoro per oggi»
«A mezzogiorno» disse secca, continuando a fissare Jessica. Che non provò neanche ad obiettare sul fatto che si fidasse solo di me.
«Ci vediamo più tardi» disse invece, girando sui tacchi e andandosene, ancheggiando come l'oca che era.
«Ti amo» dissi a Nessie con un sorriso.
«Io invece dubito della tua sanità mentale. Escludendo per un attimo il fatto che non mi piace affatto essere messa in mostra, sebbene il tuo fosse un tentativo di salvarti dalle avance non gradite di quella papera, neanche i tuoi figli sanno che siamo fidanzati. E adesso lo saprà tutta Forks.»
«Chi ti dice che i gemelli non lo sanno?»
«Fino a stamattina, prima che usciste di casa, non lo sapevano» mi rispose lei.
«Beh, abbiamo fatto un lungo giro in macchina, ed è uscito il discorso. Così l'ho detto loro» ribattei serafico.
«E dove sono finiti tutti i "aspettiamo il momento giusto"?»
«Domani sera l'avrebbero saputo comunque. Ho solo pensato che sarebbe stato più carino dirglielo prima»
«Va bene. Ora, ritorniamo sul fatto che non mi piace essere messa in mostra come un trofeo»
«Io... ti avevo sentita ringhiare, ed ho pensato...»
«Che la mia gelosia ti tornasse utile per liberarti della gallina?»
«Hai cambiato volatile?»
«Non cambiare discorso, Jacob Black»
«E va bene, sì, l'ho pensato. Ma solo perché se la situazione fosse stata all'opposto avrei voluto che tu chiedessi il mio aiuto» Vidi i suoi occhi, prima fiammeggianti e bellicosi, addolcirsi.
«Stavolta la passi, Jake, perché ci sai fare con le parole. Ma non ti illudere troppo» Si girò e si allontanò.
«Ehi, Ness!» le urlai dietro. Lei si voltò verso di me.
«Che c'è?»
«Non mi dai neanche un bacio?»
«Non tirare troppo la corda, sbruffone!»
«Ti amo» Sorrise. Poi si rintanò nella rimessa.
«Ti porto l'auto dell'oca» le urlò dietro Embry.
«Per me puoi anche bruciarla. E' l'ultimo modello della Volvo. E' uscita da non più di una settimana dalla concessionaria. Almeno, forse, così avrebbe qualche problema serio!» gli rispose lei senza neanche affacciarsi. Embry scoppiò a ridere.
«Nessie sei una grande!»
«Grazie!»
«Embry... torna a lavorare» gli dissi, guardandolo arrabbiato.
«Ma...»
«Embry»
«Ok. Ma penso che quella con i problemi di gelosia non sia solo lei» mi rispose.
Il resto della giornata trascorse tranquillo. A mezzogiorno, puntuale come un orologio svizzero, la gallina si presentò in officina. Odorava di... meglio non pensarci. Ma era caduta in una vasca di profumo, e odorava come una passeggiatrice.
Fu Embry a riconsegnarle la macchina, sotto lo sguardo vigile di Leah. Alle tre Nessie uscì dalla rimessa.
«Jake, non devi andare a prendere i bambini?» mi chiese. Sbattei la testa sotto il furgone che stavo riparando. Non l'avevo sentita arrivare. Scivolai fuori, per guardarla. Era da quella mattina che mi evitava.
«No, va Seth» Lei mi fissò a lungo.
«Pace?» mi chiese, con la stessa espressione di una bambina triste.
«Mi sei mancata» dissi, allungando una mano e facendola cadere sul mio torace.
«Sono sempre stata qui» mi rispose, sorridendo, e spostandomi una ciocca di capelli dalla fronte. Mi guardò a lungo negli occhi.
«Ti amo» mi disse.
«Anche io, Renesmee Carlie Cullen, anche io» Sollevai il collo per raggiungere le sue labbra con le mie. Quando si allontanò, non ero ancora sazio di lei, e la guardai imbronciato. Ma lei sorrideva.
«A cosa pensi?»
«Al fatto che hai imparato a pronunciare il mio nome correttamente!»
«Sì, ma mi piace di più chiamarti Nessie»
«Anche a me. Ormai quel nome sa di casa. Con te» Mi diede un altro bacio, poi si rialzò. Mugolai di disappunto.
«Dai, Jake. E' ancora orario di lavoro, e l'officina è aperta - si interruppe un attimo prima di continuare, mordendosi il labbro, anche quello un vizio che aveva ereditato da sua madre - Pensi... pensi che Seth si terrebbe i bambini per questa notte?» Aveva un'espressione maliziosa.
«Non saprei, Ness. Dovrei chiederglielo»
«Lo faresti per me?»
«Beh... se hai in mente quello che penso... lo farei per me!» le risposi.
«Allora ci conto!» disse, tornando alla rimessa. Sospirai di sollievo. Menomale che aveva detto a me di chiederlo a Seth. Avrebbe rovinato tutta la sorpresa che stavo preparando per lei. Anche per me, in realtà. Speravo solo che le piacesse.
Arrivate le diciotto, non sapevo più come trattenerla in officina. Anche io dovevo prepararmi, e mia sorella era in ritardo. Vatti a fidare delle sorelle quando hanno avuto appena dei bambini.
Il piccolo Zack aveva ormai trentasette giorni.
Era una meraviglia, e non era mai ancora entrato in contatto con Nessie.
Forse era per questo che Rachel stava tardando. Doveva lasciare Zack a papà, a casa di Sue e Charlie. Da Seth. Embry se ne era andato da una mezz'oretta, con Leah. Ufficialmente perché avevano una cena a casa della madre di Embry. Ufficiosamente, stavano andando a dare una mano al resto del branco con la sorpresa.
«Jake! Sei qui?» chiese mia sorella.
«Rachel, finalmente! Stavo per darti per dispersa!»
«Ho avuto dei problemi con Zack. Ogni volta che lo passavo a papà si metteva a piangere» sorrise. Le posai un bacio sulla guancia.
«Grazie, Rachel»
«Di niente, fratellino. - poi abbassando la voce, aggiunse - spero che tutto vada come desideri. Te lo meriti!»
«Rach, tu che sei stata alla riserva oggi... come è andata per...»
«E' andato tutto alla perfezione... Non crederai ai tuoi occhi quando la vedrai!»
«Mi fido. Rachel, io scappo. Ci vediamo... domani a pranzo da Charlie!»
«Ok» Mi allontanai silenziosamente dall'officina, e sgommai con l'auto verso la riserva.
Giunto in prossimità della mia casa, spalancai la bocca. Sam e gli altri avevano fatto un lavoro da manuali, e con un solo giorno. La casa, pitturata di fresco, non aveva più l'aspetto di decadenza che l'aveva caratterizzata per troppi anni. Parcheggiai nel garage dietro casa, ed entrai dal retro. Sulle prime non notai alcun cambiamento.
Fu appena mi affacciai nel soggiorno che capii cosa avevano fatto. Oltre a dare fondo ai miei risparmi. Il mobilio era completamente rinnovato, e tirato a lucido. Aprii la porta della mia camera, per scoprire che non lo era più. Tutte le cose di mio padre erano state spostate lì. Quindi le mie cose erano...
«Sono nella mia vecchia camera, Jake»
«Papà! Cosa ci fai qui?»
«Mi godo la sorpresa sul tuo volto felice. Era troppo tempo che non vedevo quel sorriso, e come me, tutto il resto del branco. I ragazzi hanno lavorato duramente, e l'hanno fatto con piacere, solo per farti contento. Anche se non è solo merito loro, il rinnovo completo del mobilio di questa casa»
«Che significa?»
«Capirai quando entrerai nella mia stanza. Anzi nella tua. O meglio, nella "vostra"»
«Grazie, papà!» gli dissi, chinandomi per abbracciarlo. Dopo qualche istante ci allontanammo imbarazzati. Lui si asciugò una lacrima con il dorso della mano.
«Ora lascia che vada. Prima che questo vecchio rovini la tua serata» Non gli dissi nulla, se ne era già andato, quando le lacrime mi permisero di vedere di nuovo qualcosa.
Mi recai in quella che era stata la sua camera.
Trovai sul letto uno smoking. Non l'avrei mai messo, neanche se mi avessero pagato a peso d'oro. Mi costava troppo. Mi ricordava troppo lei. Non potevo.
Poi notai altre due cose vicino all'abito.
Una scatolina da gioielliere e un biglietto. Aprii il biglietto, curioso di capire.
"Caro Jake.
Ho ancora il diritto di chiamarti caro o Jake?
Non lo so, non abbiamo parlato molto di quello che è successo, in questa settimana. Mi hai solo chiesto di aiutarti a far sì che tutto fosse perfetto per Lei in questa serata. Immagino lo sforzo che ti chiedo, nell'indossare uno smoking.
So che ti porta ricordi dolorosi, ma Renesmee ti sogna da una vita vestito così, e sai benissimo che sarebbe veramente la realizzazione del suo sogno più grande vederti realmente come ti ha sempre immaginato. Ma non voglio obbligarti. La scelta di indossarlo sta a te.
Vorrei parlarti. Guardarti negli occhi, per chiederti scusa.
Lo so, non ci sono scuse per quello che ho fatto, per il modo in cui ti ho tradito dopo averti chiamato Fratello. Non cercherò neanche di giustificarmi. Non ci sono giustificazioni che tengano. Tu hai sofferto, ed è in parte per colpa mia.
E' per questo che ho accettato di aiutarti in questa missione, felice di farlo. Spero che tutto vada come desideri. Te lo meriti. Ma se conosco un po' mia nipote non ho dubbi sul risultato.
Ti voglio bene.
Alice
PS: I nuovi mobili della casa sono il regalo di nozze mio e di Jasper. Che non ti venga in mente di chiederci altro! L'anello invece l'ha scelto tuo padre. Ha detto che era perfetto, e quando tua sorella mi ha mandato la foto, non ho potuto che concordare"
Rilessi il biglietto per tre volte, prima di rendermi conto che era veramente Alice che aveva fatto tutto quello... per me. Aprii la scatolina del gioielliere e le lacrime iniziarono a scendere senza ritegno. Era l'anello di fidanzamento di mia madre. Quello stesso anello che da piccolo ammiravo alla sua mano, e che dopo la sua morte era sparito dalla circolazione. Avevo sempre immaginato di chiedere la mano di mia moglie con quell'anello, se mai fosse ricomparso. Adesso capivo cosa ci faceva mio padre in casa. Non era venuto per vedere me e la mia faccia. Era venuto per rendere la serata perfetta.
Due ore, la preparazione di una cena, una doccia e le tragedie di infilarmi uno smoking dopo, ero pronto.
Ora mancava solo lei.
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