CAPITOLO 1

Settembre 2016, Columbia University, New York

L'Alma Mater della Columbia mi aveva sempre affascinato, sin da quando l'avevo vista per caso tra le brochure dei College di mio fratello. Le sculture, soprattutto quelle in marmo del Rinascimento italiano, sono la mia passione: la ricerca della perfezione di quegli artisti è qualcosa che posso capire molto bene e la loro capacità di imprimere la vita in un pezzo di pietra freddo è qualcosa che sono certa non sarò mai in grado di fare, perché ho delle pessime doti artistiche.

Questa scultura non è paragonabile a tanta magnificenza, ma è comunque in grado di farmi sentire un formicolio di eccitazione quando la guardo, anche se credo sia legato a tutto il contesto in cui è inserita.

Lascio scorrere la mia mano sul basamento freddo della statua, contemplando il bronzo ossidato anche dalla prospettiva della scalinata che conduce alla Low Memorial Library, che ormai non ha più nulla della biblioteca originaria, ma si limita a ospitare gli uffici amministrativi della Columbia University. Il peso della conoscenza di una delle migliori università americane è stato spostato, con non poca fatica, nella Butler Library, praticamente dall'altra parte della strada pedonale che rappresenta il cuore del campus.
A cosa è dovuta tanta fatica? Due milioni di libri non sono facili da spostare, soprattutto nel 1934, anche se ignoro in quale modo sia avvenuto il trasloco.

Quando raggiungo la cima delle scale mi soffermo a guardare il campus brulicante di studenti, vivo del fermento del nuovo anno accademico. Non lo avevo immaginato così il mio ultimo anno di college, non del tutto almeno.
Credevo che la divisa delle Lions sarebbe stata la mia seconda pelle, che avrei litigato con i miei genitori per le ore infinite trascorse ad allenarmi e che lui sarebbe stato al mio fianco, almeno come amico.

La vita invece ha uno strano modo di rimescolare le carte in tavola.

Ero così arrabbiata dopo l'incidente, soprattutto dopo aver scoperto che Marion Stewart non era stata sbattuta fuori dalla Columbia. Succede, quando tuo padre può permettersi di finanziare la ristrutturazione di un dormitorio e sopperire alla borsa di studio che l'università mi ha garantito, visto che per colpa di quella stupida ragazza rossa avevo perso quella sportiva. L'unica, magra, consolazione è che anche a lei è stata preclusa la possibilità di giocare a basket, decisione dettata dalla palese volontarietàdel gesto che mi aveva rovinato. Anche se la cosa non sembra averla turbata più di tanto. Non quanto ha distrutto me, comunque.

No, non era questa la vita che avevo immaginato e non dirò che tutto sommato va bene così, che in fondo mi si sono aperte altre strade che non avevo valutato e che potrebbero portarmi grandi soddisfazioni. L'ipocrisia non fa parte di me.

Sento ancora la rabbia ribollire sotto la superficie in alcuni momenti, a volte vorrei urlare e spaccare tutto perché, cazzo, ero dannatamente brava a giocare a basket e avrei potuto avere un ottimo futuro come professionista. Invece sono diventata assistente del coach della squadra maschile di basket e la palla la vedo solo quando gioco per divertirmi, per non più di due quarti consecutivi, perché il mio ginocchio non può reggere uno sforzo così intenso.

Com'era quel detto? Se la vita ti offre limoni, fai una limonata. Ecco, la mia è uscita fuori troppo acida e nonostante tutte le bellissime cose che la rendono dolce e gustosa, il retrogusto amaro rimane sempre sulla lingua.

«Buongiorno.»

La segretaria, che è il perfetto cliché da film con il pullover leggero, la gonna al ginocchio e gli occhiali neri grandi, solleva gli occhi dal PC che ha di fronte e mi rivolge uno sguardo scocciato.

«Sono Lucy Bridgestock, Coach Fulham dovrebbe aver lasciato una busta per me.»

L'angolo della bocca della donna si piega in un accenno di sorriso, che si preoccupa di far scomparire subito. Non è abitudine dei membri degli staff sportivi utilizzare la segreteria studenti poiché hanno la loro, ma per John Fulham tutti sono disposti a fare un'eccezione, specialmente il popolo femminile.

Dopo qualche minuto di attesa la donna, la cui targhetta indica il nome Doris giusto per alimentare il cliché, mette sul banco davanti a me una voluminosa busta gialla in formato A4 e un foglio dove firmo l'avvenuto ritiro.

«Il coach si è raccomandato di ricordarle la riunione delle 16.»

Annuisco.
«Ha anche l'orario dei corsi extra aggiornato?»

«Lavoriamo da due settimane per redigere l'orario di tutti gli studenti, le arriverà una mail come a tutti gli altri, signorina Bridgestock.»

Si volta stizzita senza rivolgermi neanche un saluto.

«Ok. Buona giornata Doris.»

Esco in fretta dal locale prima di scoppiare a ridere, attirando su di me lo sguardo curioso e stranito di alcuni studenti in attesa, e mi avvio con calma verso l'uscita. Al terzo anno le lezioni iniziano più tardi, a parte alcuni corsi che però non sono ancora stati programmati, come ha sottolineato Doris poco prima. Non ho fretta, voglio godermi la passeggiata in questo posto che ormai sento come casa.

Ancora non ho deciso dove andrò il prossimo anno: la Columbia mi ha fatto una buona proposta, ma ne è arrivata anche un'altra da San Francisco che non posso ignorare. Sarebbe molto più lontano dalla mia famiglia, che continua a vivere a Buffalo, ma Berkeley ha un'ottimo piano di studi per la formazione come manager sportivo e, visto che i miei piani sono stati cambiati dagli eventi, non posso escludere nessuna possibilità.

«Non sono ancora iniziate le lezioni è già sei piena di appunti?»

Un braccio caldo mi avvolge le spalle e il sonoro schiocco di un bacio sulla guancia mi distoglie dai miei pensieri, insieme a una nuvola di capelli castano scuro che si appiccicano al mio volto. Lynette Evans si piega leggermente per abbracciarmi, il suo metro e novanta mi supera di soli otto centimetri, ma a volte sembrano di più.

«Sono solo schede tecniche e promemoria di Coach Fulham.»

«Quindi quest'anno mi bidonerai di nuovo per il club di lettura?»

Accanto a noi compare Reese, l'altra persona che, insieme a Lynn, mi ha aiutato a rimettere insieme i pezzi dopo che i miei sogni sono andati in frantumi. Formiamo uno strano trio, le tre more di altezze diverse e con interessi completamente differenti, ma insieme funzioniamo alla grande. Soprattutto come coinquiline.

«Visto il volume di questa busta direi che il mio tempo sarà piuttosto limitato quest'anno. Tra corsi, esami e l'impegno da assistente di Fulham sarà un miracolo se riuscirò a prendere il diploma!»

«Disse colei che ha già ricevuto un'offerta da due delle migliori università del paese.»

Lynn mi rimbecca, addentando la mela che ha in mano. Scoppiamo a ridere tutte e tre continuando a camminare.

«Phil ti odierà, sarà obbligato a leggere tutti i libri del club...»

«Sicuramente troverai metodi convincenti per farti assecondare, Reese.»

Qualche pezzo di mela sfugge dalla bocca della più alta mentre replica, provocando un visibile rossore sul volto della nostra "nanetta" preferita.

«Avvisaci quando deciderai di premiarlo per la sua dedizione, almeno mi procuro dei tappi per le orecchie.»

Le do una spintarella sulla spalla mentre la provoco.

«Se uno è bravo non capisco perché dovrei trattenermi...» bofonchia Reese arricciando le labbra carnose e rosee.
«E comunque la vostra è tutta invidia! Da quando non vi fate una sana scopata?»

«Ma che volgarità ragazzina!» Esclama Lynn, lasciando cadere il torsolo rosicchiato in un cestino.
«Credo di essere io quella messa peggio. La qui presente Lucy Bridgestoke ha passato una notte di fuoco con la sua vecchia fiamma nel weekend.»

Adesso è il mio turno di arrossire.

«Io e Tanner ci siamo fatti un po' prendere la mano... Era solo una cena per dirci addio. È partito questa mattina per Charlotte.»

«Il biondino non se lo dimenticherà facilmente questo addio...»

Sorrido con un leggero imbarazzo, ma non posso negare che Lynn abbia ragione: lo scorso venerdì notte era stato uno dei migliori della mia vita. Forse perché tra me e Tan non c'erano le implicazioni di una coppia, oppure perché entrambi sapevamo che le nostre strade difficilmente si incroceranno di nuovo, ma la conclusione è stata il miglior sesso che abbia mai fatto, soprattutto con lui.

Tanner e io ci eravamo frequentati per gran parte dello scorso anno, lui capitano dei Lions al primo anno post college, io novella assistente del coach. La chimica tra noi era stata fantastica fin dall'inizio, sia sul campo che fuori, ma l'idillio dell'inizio era evaporato in fretta e quando abbiamo capito che la nostra relazione, fatta di litigi e sesso pacificatore, stava rovinando i nostri progetti e soprattutto la squadra, avevamo deciso di chiuderla, con grande gioia da parte di Fulham e il ritorno della nostra lucidità mentale. Tuttavia, quando mi aveva proposto un'uscita per salutarci prima della sua partenza, un po' avevo sperato in quella conclusione: il sesso con lui era sempre stato grandioso. Soprattutto senza implicazioni sentimentali e senza vincoli.

Ero felice per lui, perché aveva ricevuto un'offerta dai Charlotte Hornet prima ancora di finire l'università. Lo ero un po' meno per la squadra, visto che avevamo appena perso il nostro migliore playmaker e ne avevamo un disperato bisogno per riuscire a vincere la NCAA Ivy League, che ogni anno ci sfuggiva per un soffio.

Sono certa che in questa busta ci siano le schede tecniche dei potenziali playmaker che Fulham ha selezionato tra matricole, riserve e giocatori titolari, anche se nutrivo ben poche speranze che potessero essere al livello di Tanner Evans.

«Be' io vado alla Butler per incontrare le matricole, ci vediamo stasera a casa.»

Reese sventola la mano dalle unghie azzurre, mentre si allontana con passo svelto in direzione dell'imponente edificio in stile classico.

«Io invece cerco di capire quali corsi mi richiedono meno impegno di studio.»

Il mio sguardo è sufficiente per mettere Lynn sulla difensiva.

«Che c'è? Lo sai che ho già avuto proposte da Boston e Chicago. Ho bisogno di concentrarmi sulla pallavolo.»

«E tu sai come la penso sull'avere un piano B.»

Il suo sguardo si addolcisce e mi ritrovo stretta nel suo abbraccio, mentre sussurra al mio orecchio.

«Lo so. E ti prometto che nel mio programma di studi ci metterò un po' di piano B, ma non posso permettermi di mollare adesso.»

Ricambio il suo abbraccio senza replicare, perché so che non potrei nulla contro la sua testardaggine, anche se la mia non è da meno, ma soprattutto perché la capisco: io sarei stata esattamente così se le cose fossero andate come avevo sempre sperato. Io non avevo un piano B, avevo solo un piano A. Forse ho solo paura per la mia amica, temo che anche lei possa vedere il suo sogno svanire come è successo a me, o forse la mia è solo una sublimazione di quella sana invidia per qualcosa che so non potrò mai avere.

«Prendila con calma, Lucy. È il nostro ultimo anno di college, godiamocelo!»

«Buona giornata, piccola gigante.»

La guardo allontanarsi con le enormi falcate che le permettono le sue gambe chilometriche, poi mi riscuoto e scelgo un angolino del prato di fronte alla Butler Library per potermi sedere ed esaminare con tranquillità il plico di documenti del Coach.

I primi fogli che estraggo sono pieni di date e orari degli allenamenti per il primo trimestre, mentre quelli seguenti riguardano la programmazione del campionato, con trasferte e partite in casa. Poi arrivo alla parte veramente interessante: la rosa dei giocatori selezionati per questa stagione. In ultimo trovo le schede dei playmaker che Fulham vuole provinare per l'ingresso in prima squadra. Ed è qui che mi blocco.

Il primo nome che leggo è inaspettato e senza senso. Anderson Black. Quell'Anderson Black. Il mio ex migliore amico, colui che mi aveva spezzato il cuore nello stesso giorno in cui era stato distrutto anche il mio sogno.

Il cuore accelera e la bocca si secca, per un attimo credo di aver dimenticato di respirare perché la testa gira e tutto attorno a me scompare, anche la luce.

Un post it accanto alla foto di Ander recita le parole Prima Scelta. Tutto questo è assurdo. Black era stato sospeso dalla squadra per sei mesi poco dopo il mio incidente, ma non era mai tornato a giocare, nonostante l'invito del coach. So perfettamente che è un ottimo playmaker e in una situazione normale il posto sarebbe stato suo, ma è fermo da più di un anno e assolutamente fuori forma: non solo non sarebbe utile, probabilmente farebbe qualche danno.

Senza contare che il doverlo vedere ogni giorno per me sarebbe una tortura, ma scaccio questo pensiero "Prima il bene della squadra, Lucy. Tu puoi superare qualsiasi cosa, compresa la convivenza con un idiota". E poi non è detto che accetti. Probabilmente non lo vedrò neanche, manderà al diavolo Fulham prima ancora che finisca di parlare.

Impongo al mio cervello di essere obiettivo e di concentrarsi solo sulle caratteristiche tecniche elencate nelle schede, ma le mie dita, come se fossero mosse da volontà propria, continuano a tornare sul primo foglio e i miei occhi indugiano ancora su quella foto.

Ricordo quando è stata scattata: il nostro primo giorno alla Columbia, due anni fa. A dispetto dello sguardo serio e concentrato che mi osserva, so che Ander stava cercando di trattenere l'emozione e soprattutto le risate, perché io dietro al fotografo mi stavo esibendo una serie imbarazzante di boccacce. Eravamo felici e sapevamo di esserlo.

Scuoto la testa cercando di scacciare quel ricordo, che porta con sé il gusto amaro della perdita e la cattiveria di cui erano intrise le parole che aveva pronunciato pochi mesi dopo. Tuttavia ancora una volta il mio corpo se ne frega della mia volontà e mi ritrovo ad accarezzare quei capelli neri e perennemente disordinati di cui rievoco la morbidezza. Un gesto che ripetevo sull'Ander reale ogni volta che ne avevo occasione, perché mi piaceva e perché era uno dei pochi modi che avevo per poter avere un contatto con lui senza esporre i miei sentimenti.

Il suono della sveglia del cellulare mi strappa a quelle sensazioni, facendomi tornare cosciente del mondo attorno a me, del profumo di erba fresca e del vociare che aleggia nel cuore pulsante del college. Mi affretto a sistemare i fogli nella busta e quest'ultima dentro lo zaino di pelle ormai troppo consumata, ma da cui non riesco a separarmi. Pulisco alla meglio i jeans scuri, sperando di essere in ordine, e a passo svelto mi avvio verso l'edificio che ospita il dipartimento di Economia, distante alcune centinaia di metri dal punto in cui mi trovo ora.

Le prime lezioni del semestre sono le più importanti, quelle in cui si gettano le basi per gli esami e il superamento del corso, ma la mia mente è presente solo a metà in aula. L'altra parte continua a vagare sui possibili risvolti che potrebbe avere la decisione di Fulham di riprendere in squadra Anderson, non solo per il campionato, ma anche per me. Ho superato di peggio, ma avere davanti agli occhi per un intero anno la causa dell'unica ferita non ancora rimarginata potrebbe essere deleterio per la mia salute mentale. Soprattutto perché sono consapevole che i miei sentimenti per Anderson non sono scomparsi, sono solo diventati più dolorosi.

Devo capire le intenzioni del Coach e soprattutto quelle di Black.

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