Up Where We Belong
All we have is here and now
All our lives, out there to findThe road is long
There are mountains in our way
But we climb a step every day
Da quel giorno, io e Kristen diventammo praticamente inseparabili. Una coppia di fatto, come spesso si usa dire.
A seguito del nostro ritrovato sodalizio, le avevo subito proposto di andare a vivere insieme. Perché aspettare? – mi ero detto, se comunque per un anno intero non avevo sognato altro?
Kristen, neanche a dirlo, acconsentì immediatamente, regalandomi una cascata di baci.
A suo dire, nemmeno lei aveva sognato altro che di annegare, ogni notte, tra le mie braccia, di potermi vivere completamente, come di fare l'amore fino all'alba.
Sorrisi al ricordo di come – e quante volte – ci eravamo amati quella sera del suo trentaquattresimo compleanno, fino al sorgere del sole.
Non sapevo proprio come avessi fatto a starle lontano per tutto quel tempo. A fare a meno della sua pelle, della sua morbidezza e del suo profumo. A fare a meno dei suoi baci, del suo tocco entusiasta e altrettanto deciso. Del suo corpo meraviglioso, che si adattava perfettamente al mio, sempre smanioso di possederla, di regalarle il piacere più sublime che avesse mai provato.
Era stato tremendamente difficile impormi di non cercarla prima che tornassi di nuovo scapolo; ma, d'altra parte, confessare a Barbara che mi fossi innamorato di un'altra donna non mi aveva fatto sentire per niente in colpa. Era stato molto facile appurare che il nostro matrimonio fosse finito da un bel pezzo, e che l'arrivo di Kristen fosse stato quella luce di cui, forse, aspettavo l'arrivo praticamente da sempre.
Certo, avevo amato tanto Barbara, altrimenti non avrei certo perdonato la sua "scappatella" poco prima di sposarci. Ma Barbara – adesso più che mai potevo dirlo – era sin troppo diversa da me. Lo eravamo quasi in tutto, forse. Se quell'evidente diversità, perlomeno inizialmente, ci aveva uniti nell'immediato, altrettanto nell'immediato non aveva esitato dal separarci, senza alcuna possibilità di ritorno.
Con Kristen, invece, mi sentivo in perfetta sintonia. Ogni volta che parlavamo di un qualcosa, lei non si perdeva neanche una parola dei miei discorsi, e nemmeno io mi perdevo le sue. Avevamo davvero tanto in comune, e non percepivo affatto il distacco anagrafico che qualche lingua biforcuta mi aveva fatto notare. Nessuno dei due lo aveva mai accusato, a dire il vero. In fin dei conti, dieci anni non sono certo una differenza così marcata. Ma poi, seppure lo fosse stata, avrebbe forse potuto importarci qualcosa? Ci amavamo alla follia, e solo questo contava.
Sì, ne ero sicuro. Kristen mi adorava. Il suo sorriso così contagioso, il suo acume, la sua indiscutibile bellezza. La sua semplicità, il suo modo di rassicurarmi nei momenti di stress, di dire sempre la cosa giusta al momento giusto. Di incoraggiarmi sempre e comunque, soprattutto nello studio. Soltanto qualche mese prima, avevo finalmente discusso la mia tesi triennale, inerente alla preservazione della biodiversità marina. Ero agitatissimo: fino all'ultimo, mi ero quasi convinto che non ce l'avrei fatta, in barba ai tanti sacrifici che avevo fatto fino a quel momento. Contro ogni mia previsione, mi sarei giocato la lode e la paura di fare una brutta figura stava prendendo il sopravvento. Alla faccia di chi dice che, in età adulta, non ci si possa MAI far prendere dal panico!
Ovviamente, la presenza di Kristen fu per me fondamentale. Uno stimolo a dare il massimo, a richiamare in me quel sentore di calma piatta che spesso e volentieri, prima di un qualsiasi esame, stenta proprio dal farsi vedere. Anche adesso che frequentavo il primo anno di magistrale, comunque, le cose non erano affatto cambiate. Avevo impiegato poco più di tre anni per laurearmi in Biologia, io e Kristen stavamo ufficialmente insieme da due anni e mezzo. E in questi due anni e mezzo, avevo scoperto le sue indiscutissime doti da "generale". Quando non lavoravo – da quando avevo lasciato il posto fisso, dovevo accontentarmi di svolgere qualche mansione saltuaria –, me ne restavo a casa quasi tutto il giorno con i libri in mano. Insomma, mi comportavo da studente modello. O quasi. Spesse volte, il pensiero di lei mi riportava a fantasticare più del dovuto, anche perché lei stessa, durante la giornata, mi inviava qualche messaggino con su scritto "Allora, come procede lo studio?". Nessun ti amo, nessun moto di profondo incoraggiamento... Niente di niente. Voleva solo assicurarsi che facessi il mio dovere, che non mollassi per nessun motivo il mio grande sogno.
Delle volte, leggermente infastidito dai toni sin troppo formali con cui mi si rivolgeva via messaggio (quando era a casa, si comportava in modo ben diverso, e mi bastava un suo sorriso malandrino perché mi gettassi a capofitto nello studio, consapevole che più tardi, a mo' di premio, mi avrebbe spupazzato per bene), la provocavo scrivendole, senza filtri: "Ho voglia di te."
"L'unica voglia che dovresti avere è quella di studiare, signorino." Questa era la risposta che spesso mi rifilava, e che mi faceva scappare comunque un sorriso, malgrado nel profondo desiderassi che mi rispondesse tutt'altro. Immaginavo che però, dall'altra parte, sorridesse anche lei.
"Certo che ho voglia di studiare", le rispondevo allora. "Ce l'ho sempre, quella."
Ma non solo quella, mi ritrovavo a pensare poi, rendendomi perfettamente conto che la patta dei miei pantaloni, delle volte, si ostinava comunque a parlare da sola (e nei momenti meno opportuni, per giunta). Perché io, la voglia di lei, ce l'avevo sempre. Ma questo non era soltanto dovuto al fatto che la trovassi fisicamente meravigliosa. Lei riusciva a capirmi come nessun'altra, e come nessun'altra riusciva a leggermi dentro. Ci riuscivo anch'io, a suo dire. Ma tu di più, le rispondevo sempre io, quindi la stringevo forte a me e mi dicevo che, sì, potevo finalmente considerarmi un uomo felice. Completamente soddisfatto. Amato e desiderato, più di quanto non riuscissi a maturare.
"Prima lo studio, e poi il resto", mi diceva spesso lei, quando si metteva a girare per casa mezza nuda. Ora, s'intende, mi era ben chiaro che lei lo facesse apposta per provocarmi, al che delle volte mi capitava di darle, pur affettuosamente, della stronza. Con quel "e poi il resto", io sapevo benissimo a cosa alludesse. Certo, essendo io un uomo piuttosto riservato, non le rispondevo poi tanto spesso per le rime, ma erano comunque i miei occhi a parlare per me. Il mio sorrisetto malizioso e il mio sguardo insistente. Fare l'amore con lei era davvero bellissimo. E lo era perché, in primo luogo, ci comprendevamo perfettamente; perché non potevamo essere più giusti l'uno per l'altra. Così, alcune volte, capitava che lo studio passasse in secondo piano. Che la prendessi con una dolcezza e una passione che la lasciavano senza fiato.
"Ho bisogno solo di te, adesso. Basta formule di Chimica. Basta con gli artropodi crostacei", le avevo detto un giorno, l'esame imminente. L'avevo presa tra le mie braccia, il suo corpo contro il mio, desideroso di farla sua.
"Gli artropodi crostacei? E quali sarebbero?" mi aveva chiesto lei, mentre un sonoro sospiro le scappava dalle labbra.
La stavo spogliando con una lentezza disarmante, in un gioco di seduzione che amavo da impazzire. "Credi che interrogarmi in questo momento, generalessa-del-mio-cuor, sia veramente la cosa più produttiva da fare? Non pensi che dovremmo finalmente dedicarci a quel fantomatico resto di cui mi parlavi prima?"
Ancora una volta, un sorriso a trentadue denti mi colpì a viva forza.
«A cosa stai pensando?» mi chiese, a un certo punto, la seconda persona (e questo, non certo per importanza) più importante della mia vita, un sorriso contagioso.
«Che non sono mai stato più felice di così, mamma. Vi ringrazio di tutto, perché—»
«Non devi ringraziarci, figlio mio. Io e tuo padre siamo orgogliosi della persona che sei. Ti sosterremo finché avremo vita, e siamo altrettanto contenti che tu abbia trovato finalmente la tua metà. E che stai inseguendo il tuo grande sogno. Sai, forse... anzi, di sicuro, all'epoca io e Faust non ti abbiamo ascoltato troppo, e di questo ne siamo molto rammaricati. Abbiamo sbagliato, e di questo ti chiediamo scusa.»
«Ma non dovete chiedermi scusa! Che voi siate qui oggi, per me vale tutto. Dico sul serio.»
Mia madre mi fece un sorriso e mi strinse la mano. «Sai, adesso te lo posso dire. Non mi è mai piaciuta, quella Barbara. La trovavo assolutamente—»
«Mamma, per favore!» la pregai sottovoce. «Non dire niente. Non oggi, almeno. Sto per iniziare una nuova vita, e l'unica persona di cui vorrei sentir parlare in questo momento è la mia adorata Kristen. Ma dove cavolo è finita?» borbottai tra i denti, mentre mi sistemavo, per l'ennesima volta, la cravatta. Odiavo a morte indossarle, ma per l'occasione non potevo fare altrimenti.
«Sta per arrivare, cerca di stare tranquillo. C'è una cosa che non capisco, però. Perché mai avete scelto proprio questo posto per—»
«Sposarmi ai piedi di questa scogliera era il mio sogno, lo sai benissimo.»
«Ma quanti sogni hai, si può sapere?» ridacchiò mia madre, regalandomi uno sguardo pieno d'amore.
Davvero tanti, dissi tra me e me. «A Kristen e a me questo posto piace tantissimo. Non lo vedi, quant'è bello? La natura incontaminata, gli splendidi scorci—»
«Sì, forse hai ragione. Ravenscar è un posto meraviglioso.»
«Forse?» Ridacchiai. Mia madre era sempre un osso bello duro, quando si trattava di darmi ragione.
Vagando con la mente, ritornai al giorno in cui avevo chiesto alla mia Kris di sposarmi. In verità, era venuto fiori tutto per gioco. "Ci scommetti? Guarda che se prendo trenta devi sposarmi, eh!"
"Se, come no! Non prenderai mai un trenta in Chimica Organica! Non ne sai niente!" mi prendeva in giro lei, un sorriso che non gli avevo mai visto sorgere sul viso. Avevo fatto centro. L'idea di sposarmi la intrigava tantissimo. Non me l'avrebbe mai detto, però.
"Allora? Com'è andata?"
Si era ritrovata a chiedermelo più spesso del solito, dopo che avevo sostenuto lo scritto. Quello era stato il mio ultimo esame della triennale, e ciascuno dei due non stava più nella pelle per sapere come sarebbe andata a finire.
"Cos'è, non vedi l'ora di sposarmi oppure hai paura?" la motteggiavo io, mentre nel cuore cominciava a germogliare la concreta speranza di avercela fatta.
"Sì, ho paura. Ho paura di non poterti sposare."
"Ti sposerò lo stesso", le avevo assicurato. "Con o senza trenta e lode."
"Quindi hai preso solo trenta?" mi aveva risposto, un sottile lampo di ironia nello sguardo.
"Andiamo a scoprirlo, no?"
Ovviamente, non ero affatto convinto di averlo preso, quel trenta, men che meno la lode, ma non appena scoprii che quell'ardita fantasia era diventata proprio realtà, mi ero ritrovato a sollevarla e a farla girare in tondo per infiniti minuti, le risate di entrambi a riempire ogni stanza della casa. Dopo il conseguimento della laurea, organizzare il nostro matrimonio fu la cosa più divertente e appagante del mondo. Se chiederle, pur indirettamente, di sposarmi era stato abbastanza naturale, lo era stato ancor di più scegliere il posto perfetto per il grande evento. Ci era bastato guardarci un attimo per capirlo. L'affascinante scogliera di Ravenscar aspettava soltanto noi, e noi non volevamo nient'altro che sposarci avendo accanto le nostre rispettive famiglie e un paio di testimoni. Ovviamente, Kristen aveva scelto Ramona, che adesso era proprio insieme a lei, alla sua amichetta del cuore – diamine, quanto mi stava facendo aspettare! – a fare chissà che cosa. Immaginarla con il vestito da sposa mi fece salire un'emozione particolare. Un'emozione alla quale, ovviamente, non seppi neanche dare un nome che non rassomigliasse, per forza di cose, all'amore profondo che avevo da sempre nutrito per lei. E che, ne ero convinto, avrei nutrito per sempre.
A quel per sempre pronunciato in sordina nella mia testa, una figura familiare spuntò finalmente dal retro del Prior Dene Cottage.
Eccola lì, la mia Kristen. La mia Kristen stava proprio per venire verso di me, un sorriso emozionato e un bellissimo vestito bianco, che le stava d'incanto. Era stupenda. L'emozione che lessi negli occhi di suo padre Ralph, che, a poco a poco, l'accompagnava all'altare, mi regalò una sensazione di pace assoluta. Ero sempre stato ben accolto, dalla famiglia di lei. Mia madre, nel frattempo, mi strinse un'ultima volta la mano sinistra per poi prendere posto su quella serie di seggiole – complete di fiocco bianco – approntate per l'occasione, affiancandosi a quella dove sedeva, con aria composta ma non meno entusiasta, il suo amatissimo marito. Ramona, nel frattempo, si era posizionata accanto a me, il giudice di pace che si apprestava ad aprire il libercolo contenente uno dei giuramenti più stupendi – e non meno impegnativi – esistenti. Sullo sfondo, Up Where We Belong di Joe Cocker e Jennifer Williams (sì, era quella la nostra canzone). Percepii i miei occhi inumidirsi. Io, in quel momento lo appurai perfettamente, ero sempre stato un romantico. Un sognatore incallito. Ma avevo perduto un po' questi aspetti del mio carattere sposando la donna sbagliata.
Kristen, invece, era quello che io avevo sempre cercato. Era lei, il mio lieto fine. Il mio presente, il mio oggi. Il mio domani.
Il mio sempre.
Non appena arrivò al mio cospetto, mi asciugai in fretta una lacrima e le scostai il velo semitrasparente dal viso, baciandola sulla fronte. "Sei stupenda", le sussurrai, il cuore in gola. Lei mi rispose che lo ero altrettanto, e, all'unisono, ci voltammo verso il giudice di pace. Non ci volle poi molto tempo, perché lui ci dichiarasse finalmente marito e moglie. Lo scambio delle fedi, poi, era stato sicuramente il momento più emozionante dell'intera cerimonia.
Le soffocai le labbra in un bacio leggero, dal quale però trasudava tutta la mia passione per lei. Soltanto in quel momento, mi accorsi che la sua amica le aveva dato in mano qualcosa, che Kristen mi aveva prontamente infilato nella tasca superiore del mio tight. Mi scostai e, con aria piuttosto confusa, lo tirai fuori. Rimasi senza parole. Si trattava, nientepopodimeno, che di un test di gravidanza personalizzato, con su scritto Work In Progress. Emozionato come non mai, l'abbracciai e mi rifugiai nell'incavo del suo collo, mentre calde lacrime mi bagnavano il viso. Io e Kris ne avevamo parlato molto seriamente, qualche volta, ma non avevamo concretizzato ancora nulla.
«Quindi ti piacerebbe?» le sussurrai nell'orecchio, mentre cercavo di placare quel copioso flusso di lacrime che, purtroppo per me, non osava proprio lasciarmi in pace. Ero praticamente una fontana, e, tra gli applausi generali, mi sentivo la persona più fortunata del mondo.
«Sei tu, la mia persona giusta», mi rispose lei, quindi mi baciò sulle labbra coinvolgendomi in un abbraccio di cui mai, nel corso della mia esistenza, avrei potuto dimenticare il sapore. Continuai a baciarla, il cuore che martellava nel petto alla stregua di un tamburo.
Adesso, eravamo "soltanto" marito e moglie.
Magari, nel prossimo futuro, qualcuno a caso ci avrebbe, invece, battezzato mamma e papà.
N.d.A: Come sempre, un grazie di cuore per chi è arrivato a leggere fin qui! Non dico altro, o rischio di rovinare tutta la poesia!
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