7

Big man, pig man
Ha ha, charade you are
You well heeled big wheel
Ha ha, charade you are

Pigs (Three Different Ones) / Pink Floyd

.

Roger

Lasciò che fosse Prudence a guidarlo, come se per lui fosse la prima volta. Si era lasciato spingere sul letto, tra le coperte in disordine e i cuscini ricamati, e le aveva lasciato le redini della situazione. Si trattava solo di una noiosa e a volte disgustosa ginnastica di sopportazione. Allungò le gambe oltre la sponda di ferro battuto – quel letto era decisamente troppo piccolo per lui, ma Prudence aveva insistito perché andassero di sopra lo stesso – e si chiese perché l'aveva provocata. Perché ancora si infliggeva quel nauseante esercizio di pazienza, ben consapevole che non era abbastanza ubriaco per sopportarlo.
Se lo chiese, ma quando guardò Prudence ridacchiare, nel tentativo di bloccargli le braccia contro al materasso, ebbe subito la risposta. Una scopata che gli avrebbe fatto venire il voltastomaco era un prezzo che era disposto a pagare, se questo voleva dire farla contenta.
-Stai giù!- grugnì Prudence, ma Roger riuscì solo a pensare che quel volto equino e stupido – cazzo, ha una faccia così lunga che sembra che l'hanno infilata sotto una pressa industriale da bambina, aveva detto Donnie una volta, e non poteva dargli tutto torto – era tutto tranne che autoritario. In più, nemmeno lei ci credeva davvero a quello che stava facendo. Quel mezzo sorriso che cercava di nascondere mandava tutto a puttane ancora prima che cominciasse.
"Non saresti capace di comandare nemmeno un cane, tesoro" pensò Roger, che alla fine si arrese al suo gioco, lasciando che gli tenesse le braccia ferme. "Però se vuoi fare la prepotente mi fai solo un favore. Meno lavoro ho e meglio é"

Chiuse gli occhi, cercando di trasportare la mente altrove. Era diventato abbastanza abile: in tutti quegli anni aveva accumulato una pila di stronzate abbastanza grande da far risultare quella una sciocchezza, anche se con sufficiente alcol in corpo allora sì che diventava un gioco da ragazzi. Chiudeva gli occhi, e tutto quel calore repellente non erano le gambe di una donna, ma qualsiasi altra cosa volesse.
Le mani di Donnie sui suoi fianchi, i suoi grugniti e le unghie che si piantavano nella pelle; Sutherland che gli tirava i capelli e spingeva così a fondo da fargli dimenticare qualsiasi cosa, almeno per qualche istante; a anche un uomo sconosciuto che si approfittava di lui, della sua reputazione di puttana del popolo, e Roger che lasciava fare anche quando non era in vena, perché non sapeva quando sarebbe capitata di nuovo l'occasione. E se nemmeno quello funzionava, allora si costringeva a pensare a tutto quello che adorava di Prudence, a tutte le attenzioni, a tutte le sue risatine e alle sue guance rosse d'imbarazzo quando le chiedeva ti piace? Devo continuare?, e che quello era appunto solo questione di pazienza: non poteva avere l'uno senza l'altro.
Ma a volte anche pensare al caldo infernale dei forni in funzione era più piacevole. Contava i lingotti che uscivano dal nastro trasportatore, e mentalmente li afferrava con le pinze, faceva forza sulla schiena, e li impilava in quell'incastro che aveva fatto così tante volte da poterlo eseguire alla perfezione ad occhi chiusi. Contava fino a ventotto, e poi ricominciava da capo con una nuova stiva.
La prima volta che era salito sulle rotaie dove spingevano i cassoni dilingotti appena fusi si era sentito male. Non solo lo shock per lo sbalzo di temperatura, ma anche la nausea perché tutto quel calore aveva riportato a galla all'improvviso ricordi che aveva seppellito in profondità, in un posto che riteneva sicuro. Gli si erano attaccati i vestiti al corpo e aveva iniziato a sudare, reprimendo i conati nervosi. Non era resistito venti minuti. Era corso fuori dalla fonderia a vomitare il suo intero stomaco nella terra battuta non appena ne aveva avuto l'occasione.
Aveva pensato a Sheila, la prima ragazza con cui aveva tentato di andare aletto, fallendo miseramente nell'intento e coprendosi di vergogna con tutti quelli che conosceva. O alla ragazza con quel bob tirato alla perfezione, ottima candidata al ruolo di fidanzata secondo i suoi amici.
Devi conoscere questa bella ragazza, Roger, vedrai che ti piace. La faccia non è tutto questo spettacolo, però ha un paio di bocce che te le sogni la notte. Nessuno è ancora riuscito a farsela, ma secondo mele puoi piacere. Le piacciono quelli alti.
Aveva resistito per un paio di appuntamenti, prima di defilarsi e non farsi mai più rivedere, schivando abilmente le domande dei compagni di scuola. Dopo di lei non ce n'erano state molte altre, e di queste ne ricordava a malapena un paio. Juliet – o forse Jodie? – erastata l'unica con cui era riuscito a concludere qualcosa, ma anche con lei era durata poco. Ormai le sue deviazioni erano note al grande pubblico, e non c'era più motivo di nasconderle.
In più, dopo quella suorina con il bob e Juliet c'era stato Elliot. Anche se avesse voluto fingere, per il quieto vivere e per essere a posto con la sua coscienza, dopo di lui per diverso tempo non ne era stato più in grado.
Roger strinse le braccia intorno alla vita di Prudence, e dietro le sue palpebre si materializzò l'immagine del ragazzo. La sentì mugulare e aggrapparsi alle sue spalle.
Si rendeva conto che rivangare una storia vecchia di quindici anni era vergognoso, ma non aveva abbastanza gin in circolo per trovare piacevole scoparsi Prudence, e anche quel triste espediente era utile.

-

-Tu!-
-Sì, tu, sto parlando con te là in fondo-
-Siamo forse qui a pettinare le bambole?-
A volte lavorare era un immenso sfogo. O meglio, quando era ancora capoturno poteva considerarlo uno sfogo. Aveva il diritto di tirare fuori tutta la voce che aveva e vomitare ordini a chiunque fosse sotto di lui in quella gerarchia. Inquadrava la testa nei solidi e sicuri binari del lavoro: timbrare il cartellino, infilare l'elmetto, iniziare a gridare fino a che qualcuno non lo ascoltava. Le colate del turno, i pirometri, i dati, le analisi, il sudore, la polvere, la fatica. A volte non poter pensare ad altro era quasi una liberazione. Mentre immergeva l'asta di metallo per prelevare i campioni nell'acciaio fuso – pregando chi di dovere che non decidesse di esplodere proprio in quel momento – non poteva permettersi di far viaggiare la testa. Poi si era presentato completamente ubriaco al lavoro e aveva rischiato il licenziamento. Gli avevano tolto la sua posizione di capoturno, ed era tornato a spostare lingotti per otto ore, e anche il piacere di mettere a tacere la testa era svanito; a fare lo stesso movimento per otto ore di fila non ci voleva molto, prima che i pensieri iniziassero a vagare. E ora erano gli altri a gridare, a sfogare tutta la loro frustrazione su di lui.
-Dai, Miller non rompere i coglioni. Sono quattro ore filate che lavoro, fammela fumare una sigaretta. Non succede niente se mi fermo venti secondi-
Il nuovo capoturno era una piccola blatta, largo e tozzo, ma con piedi incredibilmente veloci. Precocemente stempiato e con le spalle curve in avanti. Sgusciava come un insetto tra i box degli scarti di fusione sempre sull'attenti, cercando di lavorare il meno possibile; e, proprio come gli altri operai-scarafaggi, si infrattava in ogni angolo per controllare che tutti facessero il proprio lavoro, senza mai svolgere davvero il proprio.
-Se vuoi fumarti una sigaretta te la fumi mentre lavori. Come facciamo tutti-
-Ma vai a farlo tu, no? Sei qui che giri in tondo e non fai un cazzo, cosa vieni a dare fastidio a me che mi spacco la schiena da quando sono arrivato- Roger infilò noncurante una seconda sigaretta in bocca, e sbuffò una nuvola di fumo che andò a unirsi all'onnipresente polvere che rimaneva sospesa anche nell'aria. Avrebbe sputato volentieri su quella faccia lurida. Inspirò fumo e pulviscolo dalle narici. Doveva stare calmo.
Nossignore, qui si alza solo la voce, non le mani. Gliel'avevano ripetuto fino allo sfinimento, anche se capitava spesso che volassero schiaffi tra gli operai, ma Roger non poteva permettersi altri sgarri. Aveva già rischiato una volta, i dirigenti non sarebbero stati così magnanimi per una seconda.
Miller alzò il dito, e per un istante fu sul punto di dire qualcosa, ma si interruppe all'ultimo. Anche Roger se ne accorse. L'inconfondibile sibilo che tagliò in due l'aria gli fece venire meno le ginocchia.
Ringraziò il Signore di non essere dentro il corridoio della fonderia, ma le sue gambe iniziarono a muoversi da sole ugualmente. Che fosse istinto di sopravvivenza o solo stretta obbedienza alle regole che gli erano state impartite dagli operai più anziani era indifferente.
Iniziò a correre nella direzione opposta, trascinando con sé Miller, mentre gridava a pieni polmoni: -Fuori! Fuori!-

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