28
"Mama put my guns in the ground
I can't shoot them anymore
That long black cloud is comin' down
I feel I'm knockin' on heaven's door
Knock-knock-knockin' on heaven's door"
Knockin' on Heaven's Door / Bob Dylan
•
Roger
Non si erano parlati fino a quel momento. Quando l'aveva vista davanti all'entrata della fabbrica non aveva reagito. Non ne era stato in grado. Si erano fermati per un attimo, squadrandosi come due lottatori in un ring, poi Roger le aveva fatto un cenno con la testa. "Vieni?".
Prudence aveva chinato leggermente il capo. "Certo".
Avevano camminato fianco a fianco nel silenzio più totale, senza nemmeno guardarsi in faccia, e nello stesso silenzio si erano infilati in macchina. Gli era mancato portarla in giro sul sedile passeggero. Scarrozzarla come una diva e farle da autista solo per il gusto di farsi sfruttare un po'. Potersi girare mentre aspettava che un semaforo diventasse verde o qualcuno attraversasse la strada, e vedere che di fianco a lui Prudence si sistemava il trucco nello specchietto retrovisore, o cercava i fiammiferi nella borsa, o semplicemente lo guardava pensando a chissà cosa.
Non si era girato nemmeno una volta a guardarla. Era terrorizzato dal dover fronteggiare il suo disprezzo, il suo silenzio accusatorio. Se guardava davanti a sé poteva far finta di essere solo.
Prudence scompariva tra i cuscini del divano. Ne era sicuro, se avesse potuto si sarebbe fatta inglobare, da quei cuscini. Non ricordava di averla mai vista così dimessa e remissiva. Era pallida da far paura.
-Mi odi?-
Prudence teneva le braccia incrociate sopra la pancia, nel vano tentativo di nasconderla. Ogni volta che guardava verso di lei il suo sguardo inevitabilmente cadeva lì. Era vero, forse la cosa più reale che gli fosse mai successa. Tutto era sparito, se n'era andato, e ora faceva solo parte della sua memoria. Quello non se ne sarebbe mai andato. Era un segno tangibile, reale, del suo passaggio sulla terra. Probabilmente sarebbe vissuto anche dopo di lui, e avrebbe portato avanti la sua vergognosa memoria. Ed era solo colpa sua. Prudence si ostinava a flagellarsi, ma questa volta non riusciva a scaricare le colpe sugli altri come aveva sempre fatto.
-Sì-
Quella risposta non gli fece più di tanto effetto. Già andava avanti e indietro per il salotto con la coda fra le gambe, facendo continuamente girare il vino che aveva nella tazza, restio a prenderne un sorso. Si limitava a guardarlo, a cercare il suo riflesso nel rosso scuro, e si diceva: "La dovrei smettere" poi "E' giusto che mi odi. Sì, è giusto, è giusto, me lo merito".
-Scusami- mormorò, alla fine. Non sapeva nemmeno lui per cosa – scusami se ti ho picchiata, se ti ho messo incinta, se ti ho tradito, se sono omosessuale, se non sono un uomo come lo vorresti tu, scusami se sono al mondo, forse è meglio se non esistessi proprio. Si torturò a lungo le dita, fino a vedere il sangue che si raggrumava intorno alle unghie, poi si decise a prendere un sorso di vino. Solo uno, appoggiò sul bancone della cucina la tazza, e le diede le spalle.
Prudence rimase trincerata nel suo silenzio. Non ricordava di aver mai visto delle rughe di preoccupazione sulla sua fronte. Ora aspirava avidamente una sigaretta, e somigliava proprio a una di quelle donne dei sussidi che aveva sempre odiato. Si trovò incatenato a guardarla. Chi aveva preso il posto della sua Prudence? Della ragazza stupida, ingenua, onesta? Cosa le era successo?
-Prudence?-
Lei alzò lo sguardo con una disarmante lentezza. -Sì?-
Fece un passo verso di lei, vagamente intimidito da quell'estranea. Prudence rannicchiò le gambe contro di sé, e lascio andare un lungo sospiro. Si stava sporcandola vestaglia di cenere, ma non diede cenno di essersene accorta, e che le importasse qualcosa.
Aveva i capelli unti, appiccicati alla fronte arrossata dal freddo. Il viso le si era fatto più affilato, nonostante fosse ben visibile che avesse messo su parecchi chili. O, forse, più che affilato, era solo più spento. Grigio e scialbo come tutti quelli delle altre persone.
-Mi sento molto sola.-
-E' la prima volta che esco di casa da quando mi...- tentennò -da quando ci siamo lasciati- concluse, con una voce così sottile che quasi non la sentì. Lo guardava con quegli occhi smorti che vedeva sempre negli altri operai. Quando incrociava lo sguardo di un uomo costretto a portare sulle spalle un sacco pieno di coke, di chi il coke era costretto a spalarlo per otto ore al giorno, o quando uno della fonderia si alzava la visiera integrale, rischiando di perdere un occhio solo per poter respirare un po'.
-Non ho più nessuno con cui parlare.-
Prudence volse la testa verso il soffitto, sbuffando cerchi di fumo grigio.
-Tesoro? Puoi parlare con me, se vuoi. Sono qui. Anche se mi odi. E fai bene. Sono una persona orribile. Però puoi parlarmi lo stesso.-
-Vorrei non averti mai conosciuto.-
-Non dirmi così. Non è giusto. Sei cattiva.-
-Ma è vero. Se non ti avessi conosciuto non avrei tutti questi problemi-
-Lo so, hai ragione in realtà, però mi dispiace solo stesso. Ti ho solo cacciata in un mare di guai. Sei onesta. Ti ho sempre voluto bene per questo-
-E perché ti piacciono gli uomini?-
-Non c'è un perché, amore.-
-Ma ci sei stato lo stesso con me. Sei un bugiardo.-
-Te l'ho sempre detto che quando arrivi alla mia età inizi ad avere un sacco di scuse comode per qualsiasi cosa fai.-
-Com'è avere trent'anni?-
-Non lo so. E' un numero, e basta, alla fine. Sono ancora stupido come quando ne avevo sedici. Anzi, forse all'epoca ero più sveglio.-
-Mi hai raccontato un sacco di bugie.-
-Sì.-
-Perché?-
-Perché non ho mai avuto coraggio di fare un cazzo della mia vita. Conto balle da quando sono al mondo-
-Perché io? Ci sono un sacco di ragazze al Royal che sono più belle di me. Hanno più cose da dire.-
-Sei onesta. Non sei... non sei come tutte le persone in giro. Quelle con cui sono stato. Tutti hanno sempre avuto secondi fini, doppie facce, problemi da cui non riuscivano a uscire. Erano dei bastardi corrotti, tutti, dal primo all'ultimo, un po' come quelli che stanno su a Londra a fare le leggi. Ti dicono che lo fanno per il tuo bene e poi non è vero. Tu non sei corrotta. Sei buona. Davvero. Anche io sono come loro, alla fine. Solo che mi do tutte le giustificazioni nel mondo e alla fine ho sempre ragione-
-Le altre sono sempre troppo avanti, e io ci corro dietro perché vorrei piacere a chiunque.-
-L'abbiamo fatto tutti.-
-Lo so, ma è stupido e lo so ora che è troppo tardi.-
-Ti ho infilato nella merda, è colpa mia. Ho sempre sperato che tu grande non lo diventassi mai perché più cresci e più diventi come tutto quello schifo che c'è in giro. Ti ho fatto diventare esattamente come me.-
-Dovresti uscire con una della tua età. Sei grande... Forse sei troppo grande-
-Forse. Ma a me piaci tu.-
-E perché mi tradivi, allora?-
-Perché io sono sempre quel che sono. E non potrò mai amarti nel modo in cui pensi tu. Però ci ho provato in tutti i modi, sai? Scusami.-
-Donnie? L'hai amato?-
-Non lo so. Magari.-
-Dove sta, adesso?-
-Donnie è scappato, perché è vigliacco forse anche più di me. Ma non è un uomo cattivo. Ha fatto una vita grama come tutti, e se la cava come può. Però non gli voglio male. Anzi. Ho avuto un ragazzo, quando avevo poco meno della tua età. Mi ricordi un po' lui. Però è triste che vado a rivangare cose successe così tanti anni fa.-
-E' triste sì.-
-Cosa vuoi farci? Siete le uniche persone che abbia mai avuto. Tu, Donnie... quel ragazzino. Penso che in realtà non ci sia un uomo per me, là fuori. Sono quasi sempre stato solo.--
-Di sicuro non sei l'unico che va dietro ad altri uomini. Secondo me siete tanti ma nessuno lo vuole ammettere.-
-Lo so, lo so. Ma io non so cosa fare. Tutti pensano che sono malato. Però quando possono se ne approfittano. Lo pensi anche tu-
-Non lo penso sul serio. Te l'ho detto solo perché ero incazzata. E mi sono sentita stupida e inferiore e avevo perso anche te.-
-Davvero?-
-Sì. Non ti odio per questo. Se così ci sei nato io non ci posso fare tanto. Non potrei mai odiarti per una cosa del genere.-
-Sei troppo buona. Se mi odi hai ragione perché faccio schifo.-
-Non ti odio sul serio.-
-Cosa vuoi fare ora?-
-Per cosa?-
-Per il bambino. E tutto il resto.-
-Non lo so.-
-Devi dirmelo tu. Non è giusto che decido io. Però posso fare quello che vuoi. Se vuoi sparisco e non ci parliamo mai più. Forse per te sarebbe meglio. Ho fatto solo danni. Non hai idea di quanto mi dispiace, tesoro quanto mi dispiace, vorrei poter tornare indietro e non metterti in questa situazione, ti ho rovinato la vita...-
-Smettila. Sono io qui che dovrei mettermi a frignare, non tu-
-Scusami-
-Non voglio sposarti, come fanno tutti. Non è giusto.-
-Mi aspettavo che lo dicessi. In fondo sei intelligente. E credo che ormai fai ragionamenti da adulta-
-Per forza. Non è che ho molta scelta.-
-E i tuoi genitori?-
-Loro si dovranno adattare, prima o poi. Non posso passare tutta la vita a fare la bella statuina per loro due.-
-Se vuoi davvero non mi faccio più vedere. Così non ti devi nemmeno portare addosso la vergogna di quello che faccio.-
-No, no. Voglio vederti ancora, qualche volta. Questo è figlio di tutti e due. Io ti voglio sempre bene. E non mi vergogno di te.-
-Non me lo merito.-
-No che non te lo meriti. Manon mi interessa lo stesso. Penso che sei l'unico a cui abbia mai voluto bene davvero.-
-
La telefonata arrivò in piena notte. Si tolse il caschetto mentre era ancora a metà strada, a correre con il cuore in gola in mezzo alla terra battuta e al cemento, dietro a quel pover'uomo che avevano usato come messaggero. Lo sapeva, lo sapeva che era successo, era successo per davvero. Ora era reale, e ormai non poteva più scappare.
Entrò nell'edificio principale dell'acciaieria con i polmoni sul punto di esplodere, e sudori gelidi su tutto il corpo. O'Malley gli indicò una delle cabine telefoniche interne nel corridoio degli uffici.
-L'ospedale di Dover ti cerca sul primo-
Il telefono mandò diversi squilli. Roger si ritrovò a contarli tutti, quasi in maniera ossessiva, con lo stomaco stretto in una dolorosa morsa. Era sul punto di arrendersi, attaccare e aspettare una nuova telefonata, ma, dopo un rumore di interferenza, una voce femminile e asettica rispose dall'altro capo.
-Kennedy? Roger Kennedy?-
Roger osservò le proprie mani come se appartenessero a un completo sconosciuto, mentre la donna gli diceva che era appena diventato padre di un maschio, e sia lui che la madre erano in perfetta salute.
Lascio pendere la cornetta del telefono al filo, si abbassò sui calcagni. La vista gli si offuscò di un pianto sommesso, mentre la voce alienata dell'infermiera chiedeva se dall'altro capo del telefono c'era ancora qualcuno ad ascoltare.
-
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