20
"Scream at me again, if you like
Throw your hate at me, with all your might
Hit me 'cause I'm strange, hit me
Tell me I'm a pussy and you're harder than me"
Clown / Korn
•
Roger
La tenda di perline arancioni sbatteva insistente sulla porta del negozio sotto il filo di vento che tirava nella via. Prudence era inguardabile con quello zigomo livido. E lui era già moderatamente ubriaco. Non di quell'ubriacatura che cercava sempre, quella che lo rilassava e spegneva la radio costantemente accesa che c'era nella sua testa, ma di quella che gli faceva venire i sensi di colpa e a volte lo faceva anche arrabbiare senza motivo.
Aveva aperto l'ultima lattina di Guinness che teneva sotto il sedile del guidatore quando aveva parcheggiato davanti alla scuola, e ora era passato alla Royal Brew che all'alimentari era sempre in offerta, ma nessuno prendeva mai perché ce ne volevano troppe per stravolgersi e aveva un vago retrogusto di gasolio. Era imbevibile, se uno era del tutto sobrio. Però Roger era già arrivato a quel punto in cui era indifferente a qualsiasi cosa buttasse giù.
Quando aveva visto Prudence in quello stato aveva ringraziato il Signore di avere già un po' di alcol in corpo.
-Mi vuoi tenere il muso per una settimana?-
Lei non alzò gli occhi da terra. Continuò a ruminare il suo Mars come una vacca al pascolo, senza dare cenni di vita. Roger tentò di mettere a tacere la voce della Royal Brew che gli ronzava nelle orecchie, ripetendogli senza sosta di prenderle a pugni anche l'altra metà del viso. Aveva già ricevuto abbastanza occhiate di rimprovero da tutti quelli che avevano notato che un uomo sudicio era abbracciato a una ragazzina davanti a scuola. Metterle le mani addosso in mezzo alla strada gli sarebbe costato ben di più di qualche sguardo di traverso.
-Prudence?- si allungò verso di lei per tirarle l'orlo della gonna. Non la solita minigonna di jeans ma la castigata divisa scolastica che la faceva sembrare ancora più corta di quanto già non fosse. Bassa, stupida e troppo giovane. -Tesoro? Mi dici qualcosa?-
Gettò per terra la carta della merendina, e si accese una sigaretta. Roger non ricordò di averla mai trovata così sgradevole, così brutta, da quando l'aveva conosciuta.
Davanti a lui non c'era la frivola, innocente e onesta Prudence che adorava. Non c'era lei, ma una ragazzina volgare, viziata. Forse c'era una patina troppo spessa di birra davanti ai suoi occhi, ma non riusciva a trovare alcuna differenza tra lei e le ubriacone del Royal Standard. Quelle che si mettevano in fila davanti alla banca o all'ufficio di Previdenza per incassare il sussidio di disoccupazione, che prontamente spendevano in vodka lemon, Tennent's e una stecca di John Player Special. Di lì a pochi mesi anche lei si sarebbe potuta mettere in fila con le altre, con le occhiaie scure, gli stessi fianchi larghi e sfatti e un marmocchio in braccio che non riusciva a stare fermo. Solo che questa volta Roger non poteva guardare dall'alto al basso nessuno, perché quel bambino lì ce l'aveva piantato lui.
-Stavi lavorando, vero? E' per quello che non sei venuto da me?-
Annuì lentamente, e le disse esattamente ciò che voleva sentirsi dire. -Sì, amore. Certo. Mi hanno chiamato da lavoro all'ultimo e non ho fatto tempo ad avvisarti-
Prudence espirò una densa nuvola di fumo dal naso.
-Vieni qui? Mi vuoi bene lo stesso?-
Lei contrasse il volto in quella smorfia che precedeva sempre un pianto. Si sedette sulle sue ginocchia, dandogli le spalle.
Sentiva lo sguardo della commessa bruciare sulle sue spalle attraverso la vetrina del negozio, e anche quello delle persone che passavano di lì, che fossero solo anziani in bici, madri che spingevano carrozzine o anche colleghi che volevano accertarsi che quello seduto sotto l'insegna dell'alimentari con in braccio una ragazza fosse proprio Kennedy.
Riemerse dalla sua palude di Royal Brew per qualche secondo, giusto per rendersi conto che tutti credevano che quell'occhio nero a Prudenceglielo avesse fatto lui. Prese un altro lungo sorso per cercare di soffocare la consapevolezza che non era stato fisicamente lui a farlo, ma la colpa morale ricadeva del tutto su di lui.
Tutto quello che stava passando e avrebbe passato Prudence era colpa sua.
-Certo che ti voglio bene lo stesso- mugugnò lei. Fece per schermarsi gli occhi dal sole, ma Roger intuì subito che stava solo cercando di sottrarsi anche lei agli sguardi indagatori delle altre persone. -Ovvio che ci continuo a uscire con te, non mi interessa cosa pensano o cosa vengono a dirmi. E nemmeno di cosa diranno di... Di tutto il resto- aggiunse l'ultima parte con una certa titubanza.
Roger le circondò la vita con un braccio, e poi tracannò di colpo quello che rimaneva della birra, sentendosi sempre più miserabile. Non avrebbe mai potuto amarla come lei intendeva, ma di certo non le era indifferente, e questo non faceva altro che aggravare quella situazione. Prudence meritava di essere coccolata e adorata da tutti, di avere tutti gli agi di questo mondo e rimanere davvero una ragazzina viziata per sempre, e invece Roger l'aveva trascinata con sé lungo quella strada che lui stesso aveva percorso molti anni prima.
Prudence tornò a puntellare i gomiti sulle ginocchia, tenendo la sigaretta appiccicata alle labbra. Lo stesso vento che faceva sbatacchiare la tenda di perline le stava annodando i capelli.
Fece per dire qualcosa, magari rifilarle uno dei soliti brava Prudence, brava tesoro e simili, ma lei lo interruppe prima che potesse parlare.
-Roger?- Il suo tono era improvvisamente cambiato. Lui smise di disegnare cerchi con l'unghia sulla sua camicia inamidata.
-Mio papà penso che sappia chi sei. Però non sono sicura, perché mi ha detto delle cose strane.-
Roger sentì il gelo dello zoccolo di calcestruzzo su cui era seduto attraversargli il corpo come una scossa elettrica.
-Mi ha detto che si dice in giro sei... beh, che in realtà sei un frocio. Ma io non l'ho mai sentito dire da nessuno, in realtà. Che in fonderia tutti si raccontano di quello che fai in giro e anche alle mie spalle.- Prudence gli lanciò uno sguardo carico di disperazione da sopra la spalla. Roger per un attimo sentì i tendini delle ginocchia irrigidirsi, e gli riuscì parecchio difficile non avere una reazione davanti allo sconforto di Prudence. Ma durò un istante appena, perché quel vago senso di colpa iniziò subito a ribollire.
-Me l'ha detto solo per tenermi buona? Così non uscivo più con te. Non è così, vero?-
-Chiudi quella cazzo di bocca!- abbaiò, tirando fuori tutta la rabbia alcolica che aveva trattenuto fino a quel momento e la scansò con un gesto brusco. Se la scrollò di dosso, colto da un improvvisa nausea. La terza Royal Brew si muoveva nel suo stomaco, facendo risalire in bocca il suo retrogusto acido e scadente.
"Stupida troia che non sei altro"
"Pensi di poterti davvero immischiare così nei miei affari? Ma chi ti credi di essere?"
"E con che faccia me lo chiedi?"
"Sembra che ho fatto un torto a te personalmente, come se ti riguardasse razza di bambina viziata..."
"Non lo vuoi sapere se tengo i giornali schifosi in casa? Se sono venuto su come una checca e un rammollito?"
La voce acuta e lamentosa di sua madre gli martellava nelle orecchie insieme al battito del cuore. E anche quella di suo padre, dei suoi compagni e dei vecchi amici. L'eco di tutti quei Kennedy ricchione, e ma lo sapete che quello guarda ci guarda l'uccello negli spogliatoi, e Kennedy ma è vero che ti piace farti infilare il braccio fino al gomito nel culo, e ma è vero che sei un frocio?, e ti fai sbattere vestito da donna?, e lo sappiamo tutti che sei un succhiacazzi...
Prudence si fece minuscola, e si parò istintivamente il volto con le braccia, ma il colpo non arrivò mai. Roger rimase fermo, con i denti serrati e i pugni stretti.
-Non dovresti nemmeno farmele queste domande- disse. Lasciò andare le mani lungo i fianchi, e smise di tenere la mascella serrata. Lo sapeva bene che nessuno aveva più il potere materiale di mettere le mani sulla sua libertà. Prudence era solo una ficcanaso. Non un bullo, un genitore deluso, o qualche altra figura proveniente dalla sua adolescente. Era solo una stupida bambina agitata e troppo presa dai suoi problemi. Doveva farselo entrare in testa. Prudence non poteva fargli del male. -Con tutto quello che faccio per te.-
Lasciò che lei , con la coda tra le gambe, gli prendesse le mani, lo abbracciasse e blaterasse scuse che non sentì.
"Non è colpa mia"
"Non ho tradito e deluso nessuno. Non sono un depravato. Siete voi che non capite"
"Non ci posso fare nulla. Non è colpa mia"
"Sono un bravo ragazzo, io"
-
Roger non realizzava granché di quello che stava succedendo. La sua mente sguazzava nella birra e nel whiskey da quel pomeriggio, ed era definitivamente arrivato a quel punto in cui non era nemmeno presente nel suo corpo. Aveva davvero toccato il fondo. E non poteva interessargli di meno.
Nel piccolo abitacolo si soffocava. Dal calore, dall'odore di alcol e di sudore, e dalla condensa formata sui finestrini. Sentiva la mano di Donnie che premeva dietro la testa, la gola che pizzicava, e la fibbia della sua cintura che continuava a sbattergli contro la fronte. I suoni arrivavano ovattati, così lontani che anche quelle poche parole che riusciva a carpire non avevano un vero significato. Che Donnie stesse parlando o grugnendo non aveva alcuna importanza. Voleva solo sentire la sua mano che stringeva i capelli. Nient'altro era degno di considerazione.
Non aveva voglia di pensare al lavoro, a quanto era stanco e sporco; a quanti pochi soldi gli erano rimasti dopo il Royal, quella sera, e a quanti giorni mancavano al prossimo stipendio; non aveva voglia di pensare a Prudence. A lei e alle sue accuse, e a quella situazione del cazzo in cui l'aveva infilato. Alle sue richieste, i bisogni e tutti i problemi che si portava dietro. Era stato tutto uno sbaglio fin dall'inizio.
-Basta, basta- Sentì le dita di Donnie attorcigliarsi intorno ai suoi capelli, accarezzargli la nuca e fargli venire i brividi. -Vieni su- anche lui biascicava. Aveva la voce impastata e mettere in fila una parola dopo l'altra sembrava costargli fatica, ma Roger sapeva bene che quello conciato peggio lì era lui. Come sempre. Si riduceva sempre a uno schifo, ma ultimamente era l'unica cosa che riusciva a desiderare.
Si passò il dorso della mano sulla bocca, e con l'altra si aggrappò alla sua coscia, cercando di tirarsi su. Ma la testa girava, pesava come se gli volesse scappare dal collo, e nemmeno gli occhi aperti riusciva a tenere. Strinse tra le dita la stoffa spessa e ruvida dei pantaloni da lavoro, alla ricerca di un appiglio per non finire stramazzato senza riuscire più a venir su.
-Cos'è, non sono più bravo?- Le parole gli erano rotolate sulla lingua ed erano uscite senza che la mente potesse fermarle prima.
Sentì grattare la radice dei capelli, dove la peluria andava a diradarsi.
Piantò le unghie in qualsiasi superficie trovasse, dal tessuto spugnoso dei sedili al corpo di Donnie, e alla fine riuscì a rialzarsi. Un tremore lo scosse da capo a piedi, ma Donnie tenne la presa salda.
-Ma cosa dici- Lo teneva per la collottola come un gatto. Ebbe l'impressione di scorgere un sorriso a labbra strette, ma non era sicuro di quello che vedeva. Aveva la vista così offuscata e ondeggiante che gli veniva complesso stabilire cosa vedeva davvero e cosa era frutto delle troppe Guinness.
-Sei sbronzo marcio-
Annuì appena, ma non riuscì a trattenere una mezza risata. Sì, era davvero fuori. Era tanto tempo che non si stravolgeva in quel modo.
"Quanto mi era mancato"
"Ho vent'anni ed è il glorioso '68, buon Dio voglio ancora un goccio perché riesco ancora a pensare"
Tornò a chiudere gli occhi. Non appena lo fece, le mani di Donnie si spostarono dal suo collo. Gli cinsero le spalle, e Roger poté lasciare andare tutto il suo peso contro di lui. Donnie era caldo. Solido, massiccio e spigoloso. E Roger sorrise quando se ne rese conto. Non ne poteva più di toccare Prudence e trovare solo curve e morbidezza, profumo di lacca e colonia e la pelle che sembrava di cera da tanto trucco scadente si metteva in faccia.
-Donnie?- mugugnò. Alzò leggermente il mento, come se volesse guardare nella direzione di Donnie, ma non riuscì lo stesso ad aprire gli occhi. -Donnie? Lo sai che sono stanco da morire?-
Del fiato caldo e alcolico gli arrivò sul volto. Delle dita gli stavano sfiorando una guancia, ma ormai stava sprofondando sempre di più nel suo dormiveglia ubriaco, e di quella carezza a malapena se ne accorse.
-Ragazzo mio, a chi lo dici-
Le sue mani vennero guidate tra le gambe di Donnie, ma alla fine fu lo stesso lui a fare tutto il lavoro, perché Roger non ne era in grado. Teneva la mano serrata e Donnie gliela muoveva, grugnendo e digrignando i denti e borbottando cose che Roger non aveva voglia di ascoltare.
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