16
"With your empty smile
And your hungry heart
Feel the bile rising from your guilty past
With your nerves in tatters
As the conch shell shatters
And the hammers batter
Down the door
You'd better run"
Run Like Hell / Pink Floyd
.
Roger
La polvere di acciaio e coke gli riempiva i polmoni rendendogli difficoltoso persino respirare, ma niente in quel momento era più piacevole di sapere che il turno era quasi finito. Anche con i polmoni che a stento facevano il loro lavoro e le braccia che bruciavano dal caldo e dalla fatica.
Mezz'ora o poco più e poteva levarsi quei vestiti luridi per prendersi una sbronza incredibile. Non aveva pensato ad altro da quando aveva aperto gli occhi. "Cazzo, vorrei proprio un goccio. Sì, qui ci vuole proprio ragazzo mio, perché se no come mandiamo avanti la baracca? Un bel bicchiere di Johnnie Walker e poi vorrei anche farmi una gran scopata e una stecca di Lucky perchè la situazione si fa dura."
Certo che ti stai facendo alto, eh Reggie? Però sei tanto magro. Ma ti faccio poco da mangiare? L'incessante fantasia di annegare in una bottiglia di whiskey lasciò spazio per un momento alla voce di sua madre. Roca come se anche i suoi polmoni e la sua gola sentissero il peso di sedici anni di Lucky Strike, anche se lei non aveva mai fumato in vita sua. Sua madre era una donna troppo elegante per fumare.
"Dovresti vedere di cosa vivo ora. Forse sono un quarto di quello che pesavo a quattordici anni. Ti prenderesti uno spavento mica da poco a vedermi adesso. Mi riconosceresti ancora?"
Potevi scegliermelo un nome migliore. E Reggie non è il soprannome di Roger. Potevi chiamarmi che ne so, John. E non sono così magro.
Guarda che hai un bel nome. Non hai la faccia da John, tesoro. Solo Roger ti potevi chiamare, secondo me. Mio nonno ha servito con onore e pure lui si chiamava come te. Tuo padre voleva chiamarti Stanley come suo fratello, o Winston. Tu ci saresti andato in giro se ti chiamavi Winston? Ti è andata bene. E poi, potrò darti il soprannome che voglio?
A Roger venne quasi da sorridere. Ovvio che mi puoi chiamare come vuoi. Sei mia mamma.
Bravo. Adesso vado a prendere il metro perché fai veramente ridere, io non ci credo che sei diventato così lungo. E pensare che sembrava ieri che ti portavo in giro sul portapacchi della bici.
Se tiro su le gambe magari ci sto ancora.
Forse le sigarette che all'epoca nascondeva sotto il materasso avevano già rallentato la sua crescita, ma quel giorno aveva scoperto di raggiungere il metro e ottantasette. Di sicuro l'aveva superato prima di compiere i quindici anni, ma da allora i segni sul muro non erano più stati aggiornati.
Roger sollevò l'ultimo lingotto del turno e quando lo fece cadere in cima alla stiva, nell'ultimo posto libero, lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi. Non si sentiva più le spalle.
Chissà come stava ora sua madre.
Cosa fai tutto il giorno chiuso in camera? Ho forse fatto qualcosa che non va? Lo sai che a me puoi dire tutto, vero tesoro?
"Non è proprio finita così, eh? Anche se ti avessi detto come stavano le cose dall'inizio, non ti sarebbe stato bene lo stesso "
Ora doveva avere una cinquantina d'anni. Forse aveva perso la sua folta chioma nera per lasciare spazio a dei radi capelli grigi, e anche le labbra che ricordava sempre dipinte di rosso dovevano essersi assottigliate parecchio. Magari non lo usava nemmeno più, quel rossetto alla Marilyn Monroe. Magari non usava nemmeno più quei vestiti a quadri stretti in vita e con lo scollo che attirava gli sguardi di tutti, e che suo padre contestava sempre. Ma a ogni lamentela ricordava che sua madre rideva, e diceva che essere bella era più importante dell'opinione degli altri.
"Penso che Prudence ti sarebbe piaciuta
Magari tu avresti potuto aiutarla. Io non ne sono proprio capace, sai?" commentò lapidario nella sua testa, mentre il calore dell'acciaio fuso appena uscito dal convertitore minacciava di trasformarlo in un mucchio di cera sciolta. Per un attimo pensò che bruciava come quello sguardo che sua madre gli aveva rivolto quando suo padre aveva dichiarato a gran voce quello che aveva visto.
Io te lo dicevo che questo ragazzo me lo stavi crescendo come una checca. Guarda che cosa va a fare in giro. Suo padre aveva gridato così forte che aveva sentito lo sterno vibrare, ma non aveva mai abbassato gli occhi, forse per mantenere quel minimo di orgoglio che gli era rimasto. Eppure lo sguardo inorridito – e profondamente deluso – della madre gli aveva fatto così male che ancora oggi lo ricordava.
Che cos'è che fai con quel disgraziato? Cos'è che saresti tu?
Faccio quello che fanno tutti. Solo che mi piacciono gli uomini, mamma. Aveva risposto con una calma che non gli apparteneva. Ormai il danno era fatto, non serviva a nulla gridare o fare scenate. Lui non era suo padre. E, buon Dio, non lo sarebbe mai diventato.
Tu hai la testa piena di balle. E sei uno schifoso pervertito, ecco cosa sei. Non è quello che ti ho insegnato, Roger. No, per niente. Era scoppiata a piangere, ma più che un pianto quello sembrava un ululato di dolore, e Roger aveva dovuto fare uno sforzo di nervi immenso per non iniziare a piangere pure lui. Poi lo aveva riempito di schiaffi, e lui era stato lì a prenderseli tutti, dal primo all'ultimo.
Avrei voluto dirtelo prima, non
Sparisci. Non ho più niente da dire, a te.
La lite tra i suoi genitori era andata avanti ancora a lungo, e quella sera non aveva cenato. Aveva inforcato la bicicletta ed era uscito a farsi un giro, ma ogni persona che aveva incrociato sembrava sapere la sua inconfessabile colpa. Tutti sapeva che la mamma aveva educato Reggie al meglio delle sue possibilità, ma lui era un pervertito schifoso che l'aveva tradita e delusa.
Roger si fermò per un istante appena fuori dal corridoio di terra battuta della fonderia. Sul cemento dello spiazzo che portava al frantoio, dove altri come lui si stavano avviando agli spogliatoi per indossare abiti civili e tornare a casa. Era stanco. Così stanco che avrebbe potuto dormire sul nudo cemento e trovarlo il letto più confortevole del mondo.
Si levò il caschetto e alzò gli occhi verso il cielo, asciugandosi il sudore dalla fronte. Il sole di maggio iniziava ad essere caldo, anche se il piazzale iniziava a diventare un forno crematorio solo dopo la metà di giugno.
Eppure, quando usciva dalla fonderia e sentiva il sole di piena estate a quaranta gradi sulla pelle, gli venivano i brividi lo stesso da tanto freddo sentiva, e a volte gli si annodava anche la gola dalla disperazione.
Assottigliò gli occhi quando la nuvola che aveva oscurato il cielo fino a quel momento lasciò il posto al sole di mezzogiorno.
"Dimmi un po', compagno, questo è proprio tutto quello che ho meritato? Non pensi che faccio una vita un po' da coglioni?*"
Roger contò tutte le monete che aveva in tasca, e ringraziò di non essere andato a lavoro in auto. Forse lo sapeva già da quella mattina, che sarebbe finita così.
-Dai, tesoro, non ci arrivo a sei e cinquanta. Mancano cinquanta pennies, te li porto domani mattina, no? Mi vedi tutti i giorni, tanto- aveva sfoderato il suo miglior sorriso da incantatore di serpenti, cercando di nascondere l'aria di disperazione che si portava appresso da quando aveva aperto gli occhi, e alla fine la ragazzetta dietro la cassa acconsentì a lasciargli lo stesso la bottiglia.
Le soffiò un bacio, e ormai si era già dimenticato che avere la fama del debitore non era mai una buona idea, anche se solo per pochi centesimi.
Aveva la sua agognata bottiglia di Johnnie Walker, abbastanza sigarette per arrivare al giorno dopo e nemmeno mezza sterlina in tasca.
"Proprio come ai vecchi tempi, eh?" Stappò la bottiglia con l'aiuto delle chiavi di casa, e al primo sorso si sentì subito meglio. Gli si scaldò la gola e il petto e gli venne naturale pensare: "Che bello tornare a casa ."
Di quel passo ci avrebbe messo più di mezz'ora anche solo per intravedere il campo da calcio che precedeva la unnamed road di casa. Non era né la prima né l'ultima volta che se ne andava in giro barcollando come un idiota e un ubriacone – quale era, e ormai non se ne vergognava nemmeno più. Negli ultimi anni erano più le volte in cui era finito lungo disteso per terra nel parcheggio del Royal Standard, piuttosto che quelle in cui aveva passato ventiquattr'ore sobrio. Ma non era un gran problema, fino a che il suo stipendio poteva pagare tutti i vizi che aveva: dai due pacchetti di Lucky ogni mattina, a tutti i mensili di begli uomini a cui non avrebbe mai rinunciato, alla tappa obbligatoria al Royal Standard ogni volta che finiva il turno.
"E Donnie mi fa compagnia"
"Vecchio bastardo"
"Fa tanto il superiore, ma quella volta ribaltato sulle panchine di Fulham Park alle sei di mattina c'era lui, non io"
"E poi ti ho acchiappato per il collo e mi hai preso a parole, pensando che fossi tua moglie, ma io non ero Kim e stavo solo cercando di arrivare a lavoro in orario e tu mi hai fatto arrivare in ritardo perché sei un ubriacone fottuto"
Però poi penso a quante volte Donnie l'aveva riportato a casa, proprio perché lui non era nemmeno in grado di camminare. Quante volte si erano seduti in macchina, uno guidatore e l'altro passeggero, e rimanevano a biascicare stronzate e a ridere fino a che uno dei due non doveva aprire la portiera e rimettere tutto l'alcol che avevano trangugiato.
"Dio, cosa farei se non ci fossi"
Assottigliò gli occhi, cercando di prendere bene la mira, ma, quando tirò la bottiglia con tutta la forza che gli rimaneva nelle braccia, sbagliò di almeno un paio di metri il suo bersaglio – il primo lampione che segnava l'inizio del campetto da calcio. Non era mai stato bravo con giavellotti, dischi e pesi. Era troppo magro, e quelle braccina che si ritrovava a malapena tenevano in mano una penna per scrivere.
Al blocco numero cinque abbiamo Kennedy, quattordici anni, dalla Saint Augustine Grammar School, e al blocco quattro invece c'è...
Nessun preside parlava in una radiolina fingendo di essere ai campionati del mondo di atletica, però la distanza da lì a casa sua dovevano lo stesso essere cento metri, forse qualcosa in più. Sua madre ed Elliot non lo stavano guardando, sperando che portasse a casa quella finta medaglia d'oro delle regionali scolastiche. Non c'erano altri ragazzi agitati come lui, e nemmeno un pubblico di genitori disinteressati, ragazzi agguerriti, e ragazze arrivate solo per fare il tifo del loro fidanzato di turno.
Però aveva abbastanza whiskey in corpo per avere una maledetta voglia di correre.
Prese fiato, e gli scoppiò nelle orecchie lo stesso sparo di quel pomeriggio del '61. E corse davvero, anche se le gambe gli bruciavano e lo stesso i polmoni, perché di anni ormai ne aveva trenta e il peso delle sigarette si faceva sentire.
Forse qualche casalinga, gettando uno sguardo distratto fuori dalla finestra, avrebbe visto un uomo correre a perdifiato lungo la strada senza alcun motivo, ma sicuramente sarebbe tornata alle sue faccende subito dopo, archiviando quella visione con un bah, uomini, borbottato a mezza voce.
E a Roger non poteva interessare di meno di quello che avrebbero pensato di lui.
Teneva una mano appoggiata al muro per sostenersi. Faticava a tenere gli occhi aperti, e quando non fissava qualcosa che non era il muro bianco tutto girava in un modo nauseante.
Ci mise diversi tentativi prima di comporre il numero di Donnie, ma nessuno rispose.
Roger gettò la testa all'indietro. Sul soffitto decine di ragnatele proliferavano negli angoli tra le colonne portanti. Non voleva rimanere solo. Compose ancora il numero di Donnie. Di nuovo, come risposta ebbe solo squilli a vuoto.
-
Prudence
-E' aperta- la voce di Roger gli arrivò flebile da oltre la porta non appena suonò il campanello.
Tutta la casa era avvolta nella penombra, illuminata solo dagli ultimi raggi del sole che entravano dalle persiane spalancate. Prudence inspirò a pieni polmoni quell'odore di alcol, sigarette spente, silicio e coke, e il battito ancora accelerato dall'agitazione accennò a rallentare. Ormai considerava più rassicurante quello che il perenne profumo di cibo della sua vera casa.
Ora che era con Roger non poteva succederle nulla.
-Sono in camera. Vieni di qui-
Anche la stanza era pressoché buia, e avvolta da una soffocante cappa di fumo. Spesso le veniva da chiedersi come facesse Roger a vivere così circondato dallo schifo più totale, ma poi le tornavano alla mente le parole di sua madre: lo sai perché tocca a una donna pulire, Prudence? Gli uomini riducono tutto a una merda, e pure la loro casa è così, se vivono da soli. Il punto è che nemmeno se ne accorgono! Potrebbero stare in una discarica e scambiarla per Buckingham Palace solo perché hanno trovato una poltrona dove leggerci il giornale.
-E' successo qualcosa? Non stai bene?- chiese di getto Prudence
Di lui riusciva a vedere solo la schiena nuda, e le braccia incrociate sotto al mento. Da quella posizione le sue scapole sporgevano così tanto che Prudence si chiese se fosse normale, e se non facesse male.
Scavalcò i vestiti sporchi che ingombravano il pavimento – e le sembrò anche di intravedere la carta di alluminio di qualche piatto da asporto, ma la ignorò - e spinse via con la punta del piede una rivista mezza piegata, facendola finire sotto al letto.
Roger sbadigliò. -Ma stai tranquilla. Volevo solo vederti.- le rivolse uno dei suoi sghembi sorrisi, da interpretare a suo piacimento, quando si parò davanti a lui, ancora trafelata dalla corsa che aveva fatto per arrivare fin lì.
Prudence si lasciò cadere sui calcagni, lasciando andare un lungo sospiro a metà tra il sollievo e la frustrazione. -Mi hai fatto prendere una paura incredibile. Lo sai che non mi devi chiamare a casa- gettò a terra la cartella piena di fogli e libri di scuola, che si era portata dietro come alibi perfetto per la sua scusa, forse con più stizza di quanto avrebbe voluto. -E' solo un caso che ho risposto io.- Nonostante la penombra, era abbastanza vicina al suo volto per vedere i suoi occhi prima alzarsi verso di lei, e poi verso il soffitto, contrariati.
-Non fare storie, su. Ti è andata bene, no?-
-Si, tu dici così, ma intanto sono io che ho rischiato di trovarmi il culo pieno di botte, così, senza motivo. Se rispondeva mia madre a quest'ora non sarei qui, lo sai?-
Roger puntellò i gomiti sul cuscino, e gli bastò alzarsi appena dalla sua posizione per tornare a guardarla dall'alto al basso. -Mi dici tu cosa devo fare?-
Prudence abbassò gli occhi. -No. Mi sono solo presa paura. Non farlo più-
-Va bene, va bene. Non lo faccio più. Promesso- le concesse un rapido bacio, e Prudence lo perdonò subito. -Dai, tesoro, vieni qui-
Si fece spazio tra le coperte in disordine, e si sedette accanto a lui, che tornò a sprofondare nel suo cuscino ingiallito.
"Cosa te ne fai di un letto così grande che sei sempre qui da solo?"
Si accese una sigaretta, aggiungendo un'altra nuvola di fumo in quella stanza.
-Avevo pensato di venirti a prendere a scuola. Faccio la mattina, 'sta settimana. Cioè, fino a giovedì- disse lui. Sbadigliò di nuovo, e poi tese le spalle all'indietro per stiracchiarsi. -Però sono tornato da lavoro e mi sono addormentato. Nemmeno mi sono fermato al Royal, da tanto ero distrutto. E quando mi sono svegliato mi sono bevuto una birra e poi mi sono addormentato di nuovo.-
-Non ti preoccupare.- Prudence fece spallucce. Appoggiò una mano in mezzo a quelle scapole sporgenti, seguendo il profilo con le unghie. Era sudato.
-Donnie si è messo in malattia. E' un bastardo, non è vero che sta male. E' che non ha voglia di fare un cazzo, questo è- rimase per un istante in silenzio, e Prudence poté ascoltare il debole fischio dei suoi polmoni ogni volta che inspirava. Roger sbuffò. -Nemmeno in una piantagione di cotone si lavora così tanto. Quando c'è stato l'incidente con il forno erano tutti lì a grattarsi i coglioni, pure quelli della dirigenza, non ti credere, ma adesso hanno il fuoco sotto al culo perché la produzione di maggio è rallentata.-
-Buongiorno, direi- fece eco Prudence. Si lasciò andare contro la testiera imbottita del letto. Ascoltarlo la faceva distrarre da problemi che reputava ben più grossi di una minore produzione di lingotti. "E dagliene qualcuno in meno, no? Oppure posticipate un accordo, che ne so. Sapranno aspettare un mese". Lo pensò, ma alla fine lo tenne per sé, perché si rese conto che probabilmente l'avrebbe reputata stupida.
-Ma è tutto uno schifo incredibile. Una beata merda. E io ho fatto tutta la mattina a correre in giro e gridare come uno straccione. Sono stanco morto-
Vide Roger chiudere gli occhi, e il fischio dei polmoni si fece più forte quando sospirò. -E te? Come stai, eh?- sfilò una mano da sotto il mento, e la appoggiò mollemente sopra al suo ginocchio.
Aspirò una lungo boccata di fumo. -Non lo so. Ci penso il meno possibile-
"Anche se ci riesco per due ore al massimo, perché dopo torno a stare una merda dall'agitazione e io da questa situazione non so come venirne fuori"
Non ricevette risposta. Roger chiuse gli occhi, lasciando la mano abbandonata sulla sua gamba, probabilmente troppo svogliata e stanca per fare il suo abituale gesto di pizzicarla appena sotto l'orlo della gonna. Corrugò le sopracciglia -Anche io, onestamente.- mormorò. Le rivolse un sorriso appena accennato, ma questa volta era chiaramente un modo silenzioso di chiedere scusa.
-Ti metti qui vicino? Me lo dai un abbraccio, tesoro?-
*Cit. (leggermente parafrasata e adattata) Il Tempo Perso, Jacques Prevert.
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