14

"Us and them
And after all we're only ordinary men
Me
And you
God only knows
It's not what we would choose to do"

Us and Them / Pink Floyd

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Prudence

L'autoradio era al minimo. Suonava una vecchia canzone melensa che Prudence non riusciva a riconoscere, e a tratti veniva interrotta dal gracchiare delle interferenze. Roger sembrava assorto nei suoi pensieri: teneva un braccio fuori dal finestrino, e l'altro appoggiato sopra al volante, e tamburellava le dita sul cruscotto. Prudence ebbe un momento di remore a salutarlo, in un improvviso timore. Solo a volte si rendeva conto di quanto Roger fosse un mondo a parte rispetto a lei, un mondo a parte che faticava a capire. Forse l'avrebbe aggredita a parole, le avrebbe detto che era una stupida, per quello che aveva combinato. Avrebbe scaricato tutta la colpa su di lei una volta che la notizia sarebbe stata ufficiale, e l'avrebbe piantata da sola perché aveva problemi ben più importanti a cui pensare.
Si voltò verso di lei, e Prudence si ritrovò confortata dalla sua espressione morbida. Stiracchiò le braccia, e accompagnò lo scricchiolio delle ossa a un: -Buongiorno, splendore-
"Sei troppo buono. Gli uomini sono dei bastardi. La mamma lo dice sempre, e papà certo lo è. Mi fate una gran paura, a volte"
Chiuse la portiera, e, per la prima volta, non si preoccupò che qualche vicino potesse vederla allontanarsi sulla macchina di un uomo che non era suo padre. Aveva inventato l'ennesima storia per saltare la scuola - non senza una certa difficoltà, ma fabbricare scuse ad arte ormai era diventato normale -, ne avrebbe trovata una anche se qualcuno l'avesse vista in macchina con Roger. Tenere a bada sua madre sembrava un problema da nulla, ora.
Tenere a bada un pianto isterico invece lo era eccome. Lo era stato per tutto il giorno precedente, e ora sembrava impossibile trattenersi ancora. Sentiva che gli argini iniziavano a cedere, e non sapeva per quanto tempo ancora avrebbe retto.
Aveva messo piede nell'infermeria della scuola con lo stomaco contratto, e quando quella donnina frenetica dalla divisa bianca le aveva chiesto hai avuto rapporti non protetti? lei non era riuscita nemmeno a rispondere, da tanta vergogna aveva. Il tono di accusa nella voce dell'infermiera era presente in realtà solo nella testa di Prudence, ma non aveva potuto fare a meno di rimanere in silenzio lo stesso.
Prendiamolo come un sì? Ma non vergognarti. Lo fanno tutti i ragazzi della tua età e non lo vogliono ammettere. Quanti danni che fanno i genitori bigotti, eh?
Quell'argomento era un tabù assoluto con gli adulti. In casa non se ne parlava mai, da tanto era scandaloso quello che succedeva dietro la porta della camera da letto. Anche Cheyenne glielo diceva sempre, che solo con lei poteva parlare di certe cose, perché se solo i suoi genitori avessero saputo quel che faceva in giro allora l'avrebbero certamente sbattuta fuori di casa, oppure reclusa in un manicomio.
Comunque, cara, non ci sono molti dubbi. Fidati che ne ho viste tante di ragazze con i tuoi sintomi e i tuoi problemi, e alla fine la diagnosi è sempre quella.
Si erano guardate solo per alcuni istanti che a Prudence erano parsi secoli, e poi se n'era andata strascicando i piedi senza dire una parola, senza una vera meta e con la testa completamente vuota. Forse avrebbe dovuto ringraziare quella piccola donna in bianco perché era stata tanto carina. Le aveva annunciato con un sorriso comprensivo quella notizia, e non aveva detto nulla quando se n'era andata come una ladra.
La professoressa la stava aspettando in classe, sperando nella notizia che quel malore improvviso fosse scomparso altrettanto velocemente, e che potesse riprendere la sua lezione di francese perché di tempo da perdere non ce n'era. Cheyenne si stava probabilmente annoiando a morte, con il banco di fianco al suo così vuoto. Ma Prudence aveva percorso tutto il corridoio strisciando come un verme lungo le pareti, ignorando del tutto la sua aula, trascinandosi dietro la polvere bianca dell'intonaco e le stringhe slacciate delle scarpe che rischiavano di farla cadere. Non si fanno scenate davanti agli altri, Prudence. Mai. Se ti vedo ancora piagnucolare in mezzo alla gente ti tiro uno schiaffone che te lo ricordi finché campi.
Le parole di suo padre le erano rimbombate nella testa come un tuono. E allora aveva ripreso a strisciare, e non aveva versato una singola lacrima, improvvisamente incapace.
Nemmeno davanti al preside, quando gli aveva presentato l'ennesima richiesta per l'uscita anticipata, e nemmeno per strada, vagando come un'anima in pena con nessuna meta precisa in testa. Aveva fumato una sigaretta dopo l'altra, si era seduta per terra per togliersi le scarpe, e poi aveva continuato a piedi nudi. A un certo punto si era fermata, e le era venuto solo una gran voglia di ridere, perché era tutto così assurdo.
Aveva guardato il fumo nero dell'altoforno sopra i tetti del paese, e solo in quel momento era riuscita a piangere. Solo un poco, e si era ripromessa che non l'avrebbe più fatto. Si era infilata lei in quella situazione, e Prudence lo sai che se combini qualcosa ne devi rispondere tu. Finiscila di dare la colpa agli altri. E, cazzo, vedi di non iniziare a frignare...
Roger le appoggiò una mano sulla coscia, e Prudence non sentì più la voce di suo padre che le intimava di non frignare e fare scenate. Si voltò verso il finestrino e iniziò a singhiozzare sommessamente.
"Dio aiutami ti prego, non può essere vero"
-No, no, no, tesoro, vieni qui- Roger le circondò le spalle con le braccia, ma non ebbe comunque il coraggio di girarsi verso di lui. Forse anche lui non sopportava le donne che piangevano, proprio come suo padre. Forse se l'avesse vista così l'avrebbe odiata, l'avrebbe trovata brutta e le avrebbe detto di comportarsi come un'adulta.
Oppure come sua madre le avrebbe scoccato un'occhiataccia, condita probabilmente di un guarda che io ho passato di peggio e mica mi sono lamentata così. Cammina, Prudence. Sono stufa di perdere tempo con te.
Roger le strinse le braccia intorno alla vita. -Andiamo a Dover, va bene? E' l'ospedale più vicino. Oddio, non proprio il più vicino, ma è un ospedale grande, fidati che sanno il fatto loro. Quando ero piccolo mi hanno pure operato, e sono ancora qui- appoggiò il mento sopra la sua spalla, cercando di intercettare il suo sguardo. -E poi non siamo nemmeno sicuri. Penso che sarei pure io bravo a fare l'infermiere di una scuola. Cosa vuoi che ne sappiano. Una soluzione la troviamo, eh? Non è la fine del mondo-
"Magari per te è facile"
"Se è davvero così cosa dico a papà? E alla mamma?"
"Tu non devi più rendere conto ai tuoi"
"Ci credi che ho più paura di quello che di tutto il resto?"
Prudence tirò su forte con il naso, e si azzardò a girarsi leggermente verso di lui.
-Ho paura- riuscì solo a rantolare, tra un singhiozzo e l'altro. Si asciugò frettolosa le lacrime, anche se fu del tutto inutile, perché aveva trattenuto quel pianto per due giorni, e non c'era modo di farlo finire tanto presto. Se solo fosse esistito un modo per sparire all'improvviso da lì lo avrebbe fatto senza pensarci due volte. Arrivò anche a pensare che tutto quello era quel che si meritava per aver mentito così a lungo. Aveva raccontato una quantità di bugie così grande per poter uscire con Roger che ora le si stava ritorcendo tutto contro.
Roger le posò le labbra sulla tempia, e le pizzicò la guancia tra le nocche. -Lo so. Lo so, amore, fidati.- le concesse un ultimo bacio, prima di lasciare la stretta. Si accese una Lucky Strike, e ne passò una anche a Prudence. -Ma ci sono qui io apposta. Stai tranquilla-
Riuscì solo a fare un sorriso appena accennato, e poi si rannicchiò sul sedile. Per lui doveva davvero essere tutto così facile. Era un uomo, adulto, che doveva rendere conto solo a sé stesso. Aveva un lavoro, una casa, degli amici. Nessuno gli puntava il dito contro o gli diceva quello che poteva o non poteva fare.
-Andiamo?- Roger alzò leggermente il volume della radio, e mise in moto. -Quando abbiamo finito andiamo al porto. C'è un bel mare, da lì. Ti prendo qualcosa da bere, se vuoi. E poi pensiamo a cosa fare, eh?-
Prudence chiuse gli occhi, cercando di zittire i pensieri che si rincorrevano nella sua testa. Non poteva essere una madre. Era semplicemente troppo. Era sbagliato. Aveva arrancato per tutta la vita, cercando di rincorrere tutti gli altri che sembravano sempre un passo avanti a lei. Si era adattata a tutte le richieste che le venivano imposte per rimanere al passo di quelli che riteneva suoi amici. Aveva tentato in ogni modo di sembrare una donna quando era a malapena una ragazzina, solo perché non si era mai sentita presa sul serio. Solo da quando c'era Roger con lei era riuscita a trovare un certo equilibrio. A cosa serviva il giudizio degli altri, quando lui era lì?
Quel sogno ad occhi aperti non poteva finire così. Aveva ancora troppe cose da fare. Era troppo piccola.
Si morse con forza l'interno della guancia, sperando di poter calmare i singhiozzi. Come si faceva ad essere madri?
La macchina rallentò per arrestarsi a un incrocio. Cercava di prestare attenzione solo alla radio che suonava Penny Lane, o alle auto che facevano i loro rumori infernali fuori dal finestrino, ma si ritrovava sempre a vagare per infinite distese di domande e pensieri sconnessi. Sentì le dita callose di Roger scostarle i capelli da volto.
"O Dio, ma che cosa ti ho fatto?"
"In che casino ti ho infilato, Roger, scusami"
Fece appena in tempo a lasciarle una carezza sul viso, prima di dover ripartire. Un'altra auto suonò il clacson, e sentì Roger imprecare di rimando. Aumentò la velocità, e quando presero la statale per Dover ormai si era addormentata, con il viso che bruciava per tutte le lacrime versate.

-

Roger

-Sei un ragazzino, buon Dio-
Roger strinse gli occhi fino a farsi male. Tentò di ispirare a pieni polmoni l'odore di coke, acciaio e silicio sulla maglia di Donnie, come se il solo sentirlo potesse dargli un minimo di quella forza che sembrava emanare, ma venne fermato a metà da un singhiozzo che gli fece saltare il petto.
"Donnie aiutami ti prego, tu che sei un uomo vero aiutami, io non lo sono, guardami, sono una ragazzina, non sono un uomo"
"Non sono mai stato capace a prendermi una responsabilità. Dimmi tu come faccio ora. Dimmelo. Tu che ce l'hai fatta, e sei ancora qui anche se quella donna la odi, e pure i tuoi figli"
"Ma con quale forza l'hai fatto?"
Roger abbassò la testa, aggrappandosi in uno strano abbraccio con quella nuova versione di Donnie, che aveva intravisto brevemente la sera dell'esplosione in fonderia. Quando gli aveva detto passi da me, vero? con un'urgenza che non aveva mai sentito da parte sua. Quando con quel girati gli aveva fatto perdere un battito cardiaco e l'aveva paralizzato.
-Non è la fine del mondo, sai?- disse, con tutta calma, come se avesse annunciato una verità assoluta, a cui era impossibile sottrarsi. -E' capitato a tutti.-
-Cosa faccio, eh? Che cosa faccio? Non posso avere figli, Donnie. Non voglio, e non posso. Non posso!- biascicò Roger, ora con la bocca impastata non solo dal vino ma anche dalle lacrime. Era un inetto totale, un uomo buono a niente. Aveva sbagliato tutto nella vita. Forse sarebbe dovuto scappare un'altra volta. Come se n'era andato da Canterbury se ne sarebbe andato anche da lì, alla ricerca di pascoli migliori.
Ma la consapevolezza che avrebbe dovuto trovarsi un nuovo lavoro e un nuovo posto dove vivere lo colpì ancora prima che sviluppasse appieno quel progetto delirante. Non avrebbe mai potuto. Sarebbe stato un rischio troppo grande.
"E se non trovassi lavoro?"
"Finirei per strada. No, non posso. Senza il mio lavoro sono finito. Mi sono salvato solo grazie a quello, non posso rifare tutto da capo"
Donnie gli diede un leggero colpo sulla nuca. -Quello che abbiamo fatto tutti. Credi che io volessi sposarmi Kim? Eh? O che volessi passare il resto della mia vita con dei figli ingrati a carico? No che non lo volevo.- Roger colse una nota di disprezzo nella sua voce, che riuscì a trapelare anche sotto quella calma disarmante. -Però mi è toccato. Così è andata, Roger. Non ci possiamo fare niente. Ora è solo il tuo turno. E farai quello che abbiamo fatto tutti: prendi la tua donna e la tratti come una regina anche se non se lo merita, perché questo è quello che si aspetta da te. E' quello che tutti si aspettano.- strinse la mano intorno al collo, costringendolo ad allontanarsi. -Se ce l'ho fatta io fidati che ci riesci pure tu- lo guardò dritto negli occhi, tenendo saldamente la presa dietro la nuca, come se si volesse assicurare che lo stesse ascoltando, e Roger ebbe l'impressione di intravedere uno strano lampo sofferente dietro quello sguardo duro. -Puoi eccome, Cristo santo. E ringrazia di avere qualcuno con cui puoi frignare. E' un privilegio riservato a pochi-
Lanciò un'occhiata di supplica a Donnie. Di supplica per cosa non lo sapeva nemmeno lui, ma aveva un disperato bisogno di aiuto che non riusciva a comunicare. Voleva solo ricominciare a piangere, a disperarsi, farsi consolare per una volta in vita sua.

-Come l'hai scoperto, che ti piacciono gli uomini?- la voce di Donnie ruppe il silenzio, e anche il rumore dei grilli fuori dalla finestra sembrava essersi fermato, nel sentire quella domanda. Una folata di vento fece sbatacchiare le persiane.
Si appoggiò su un gomito, scavalcando Donnie con l'altro braccio, prese il posacenere dal comodino e lo mise tra loro due, senza preoccuparsi di far finire resti di sigarette spente in mezzo alle coperte.
-Non lo so. Non è che l'ho scoperto... Non è una cosa che scopri. Lo sai e basta- picchiettò la sigaretta contro il bordo della sottile lastra di ferro piegata a mo' di scodella che aveva sempre usato come posacenere. L'aveva trovato sul piazzale dell'acciaieria, e subito se l'era intascato. Quella casa l'aveva arredata rubando dove poteva, e mercanteggiando dove non era arrivato abbastanza in fretta. Quel posacenere, come le pentole che aveva in cucina, non erano altro che due tra tutte le cose che aveva trovato al frantoio, in acciaieria. La gente buttava qualsiasi cosa, e tra tutta quella spazzatura a volte si riuscivano a trovare anche dei tesori niente male.
Donnie grugnì, e poi si stiracchiò, rischiando di colpire Roger ancora sporto verso di lui. Uno sbuffo di aria gelida arrivò dalla finestra, ma nessuno dei due sembrò accorgersene davvero, da tanto accaldati erano ancora.
-Lo sai e basta perché una mattina ti svegli e ce l'hai duro perché hai sognato Jack Nicholson tutta notte. O perché sei sempre l'ultimo a uscire dallo spogliatoio della palestra, a scuola, perché di nuovo ce l'hai in tiro e ti non puoi alzare dalla panchina senza che qualcuno ti faccia domande. Non è una cosa che puoi scoprire. Tu mica lo scopri che ti piacciono le donne- appoggiò il mento sulla mano, rimanendo ad osservare il profilo di Donnie nella penombra. Il naso incassato, la linea marcata del mento e del pomo d'Adamo. Il petto che si alzava e abbassava a intervalli regolari. §
Non riusciva a capire dove stesse guardando, ma immaginava i suoi occhi vagare lungo il soffitto costellato di ragnatele, di quelle che si annidavano in ogni angolo e non aveva mai voglia di togliere. Era difficile immaginare a cosa stesse pensando. La mente di Donnie era sempre chiusa ermeticamente, a un livello tale che Roger ancora faticava a stabilire quanto fosse intelligente. Ma le ultime settimane gli avevano fatto capire che forse c'erano anche dei sentimenti, un briciolo d'umanità, dietro quell'aria da bruto.
Aveva ancora il lenzuolo tirato su appena sopra i fianchi, ma quando Roger l'aveva sfiorato per arrivare al posacenere aveva sentito chiaramente la pelle d'oca sulle sue braccia, nonostante l'attaccatura dei capelli ancora madida di sudore.
-Perché?-
Donnie lasciò andare un sospiro. -Così. Senza motivo- disse appoggiò l'avambraccio sopra la fronte, e poi si voltò leggermente verso di lui. -Ma cosa ti è venuto in mente di fare, con Prudence allora? Se dici che sei sempre stato così, perché cercarti una donna?- chiese, e poi aggiunse con una punta malcelata di astio: -Vedo che sei richiesto in giro-
Roger prese una lunga boccata di fumo, sbuffandola in direzione di Donnie. Fece spallucce. -Non so dirtelo, onestamente. Quando l'ho vista mi è piaciuta.- spiegò, senza troppa convinzione. -Anche se non la amo. O almeno, non in quel senso. Dio santissimo, no. Non potrei mai innamorarmi di una donna. Però Prudence ha qualcosa di... strano? Non lo so. Non so spiegartelo. E' più giusto dire che le voglio bene- aggiunse, ma anche quello non riusciva a dare una spiegazione completa tra quello sbilenco amore che provava per Prudence.
Donnie non rispose. Sfilò una Lucky Strike dal pacchetto, e avvicinò l'estremità alla sua ancora accesa. Roger fece ancora vagare lo sguardo su di lui. Prudence aveva sempre sostenuto che Donnie le ricordava un animale selvatico, e di solito si trovava d'accordo con lei. Era sempre circondato da un'aria minacciosa e inattaccabile, l'aria di chi aveva in tasca tutte le verità del mondo. Eppure a vederlo sdraiato lì con lui, era tutto tranne che minaccioso.
"Anzi, non ti ho mai visto così indifeso in vita mia. Sei un uomo completamente diverso a volte, eh?"
Avrebbe potuto allungare la mano verso di lui, accarezzargli il viso o passarla fra i capelli. Ma quello sdraiato rimaneva sempre un leone addormentato. Donnie non avrebbe mai accettato nulla di tutto quello, e doveva smetterla anche solo di pensarci.
"Quante volte me lo sono già detto?"
-Stamattina mi hai detto che da ragazzo te la facevi con uno. E ti hanno sbattuto fuori di casa, per questo.-
-Non mi hanno propriamente sbattuto fuori di casa. Anzi. Poteva anche andarmi molto peggio, se penso a come finisce di solito la gente come me. Ho fatto in tempo a trovarmi un lavoro, a mettere da parte qualcosa. E poi tanti saluti e arrivederci.- puntualizzò -Certo, anche se non facevo la vita l'ultimo periodo. Mia madre ribaltava periodicamente tutta la mia camera perché aveva il terrore che ci nascondessi i giornali schifosi... ah, i giornali schifosi- non riuscì a trattenere una mezza risata, ripensandoci ora. Sua madre sarebbe inorridita davanti alla collezione di riviste che teneva tutt'ora in camera. -E quante me ne sono prese da mio padre. Dio santo. Lei passava il tempo a lamentarsi, piagnucolare, o a farmi frecciatine. E pensare che prima invece ero legatissimo a lei. Una volta mi ha pure detto che l'avevo tradita. Vai a capirla. Mentre mio padre semplicemente mi ha legnato di botte ogni volta che ne ha avuto la possibilità.- Era la prima volta che raccontava ad alta voce tutto quello. Ormai era raro anche che ci rimuginasse sopra, ma si rese conto che parlarne faceva tutto un altro effetto. Aveva lo stesso sapore amaro di dover ammettere una propria colpa.
Si mise a sedere, incapace di trovare una posizione che lo facesse stare comodo. La testa gli girava ancora, e starsene sdraiato peggiorava solo la cosa.
-Ma non me ne sono mai fatto un problema. Capisco che ai miei non poteva stare bene. Me ne sono andato, e non li sento da... dodici anni? Qualcosa del genere. Sarà stato il '65, o giù di lì. Mi è dispiaciuto di più non vedere più quel ragazzo, piuttosto che non vedere più i miei, se devo essere onesto. Da quando ci hanno beccati è scomparso dalla circolazione. Non l'ho più visto a scuola, né in giro. Non so che fine abbia fatto, nemmeno se sia vivo o morto- gettò uno sguardo fuori dalla finestra, allo sconfortante panorama di campi arati tagliati a metà da una strada malmessa. I grilli avevano ripreso a frinire, e solo ora sentiva sulla pelle l'aria fredda che arrivava direttamente dalla campagna. -Non che faccia differenza. Ci sono stato insieme qualcosa come sei mesi, quindici anni fa. Però è stato l'unica relazione vera che ho avuto. Se non conti Prudence-
Donnie rimase per alcuni istanti in silenzio, e Roger ebbe l'impressione che stesse ponderando le sue parole, piuttosto che cercare una risposta. Strinse fra le labbra la sigaretta e per un istante il suo volto venne illuminato da una flebile luce arancione.
"Come sei bello"
"E' fortunata tua moglie, Donnie. Quella donna che odi a morte. Si, è proprio una donna fortunata. Lei ti può baciare e chiedere com'è andata a lavoro. Può prenderti per mano se camminate insieme. Dormite nello stesso letto e mangiate allo stesso tavolo. E io invece sono qui che ti guardo e basta"
"Venderei Prudence al diavolo pur di baciarti una sola volta"
-Hai fatto una vita grama- sentenziò alla fine, espirando una nuvola di fumo verso il soffitto. Gli gettò uno sguardo d'intesa, velato di una certa tristezza, e gli diede una pacca sulla schiena -Mi dispiace-
Roger gli fece un mezzo sorriso. -E di che ti dispiaci?- Donnie non replicò al suo sorriso, ma tenne gli occhi fissi nei suoi, con quello sguardo enigmatico che ultimamente aveva visto più di una volta sul suo viso. Quel velo di serietà, di gravità, che gli aveva visto quella sera al Royal Standard, e poche ore più tardi davanti a casa sua.
-Sei un bravo ragazzo, Roger-
Rimase per un istante senza parole, di nuovo completamente spiazzato da quell'uomo. Si girò del tutto verso Donnie, cercando qualcosa di indefinito sul suo volto in penombra. Dov'era stato quel Donnie per tutti gli anni in cui l'aveva conosciuto?
"Buon Dio. Buon Dio finiscila perché sono già nella merda di mio. Non posso innamorarmi di te. Anche se è già troppo tardi. Ma non trattarmi così bene, o ci muoio. Ci muoio sul serio, Donnie, Cristo per favore"
-Non dovevi fare la mia stessa fine. Con quella ragazzina ti sei infilato in un casino incredibile- inarcò le sopracciglia. -E so cosa vuol dire essere prendersele dal proprio padre. Grazie a Dio ho dovuto viverlo poco. Quando a mia madre è arrivata la lettera reale con scritto che il grande George Peterson era morto da eroe per servire la patria ha tirato questo sospiro di sollievo così forte che me lo ricordo ancora. E pure io l'ho fatto. Ho preso tante di quelle cinghiate da quel porco che non t'immagini nemmeno- fece un vago gesto con la mano, con l'aria di chi stava scacciando un ricordo improvvisamente riemerso dal pozzo della memoria. -Certo non ti meriti quello che ti successo. Mi dispiaccio per quello-
Allungò una mano verso di lui, e gli pizzicò un braccio. -Grazie, tesoro.- gli si era annodata la gola, ma non aveva la minima intenzione di piangere di nuovo. Ora che il vino non gli dava più coraggio bruciava dalla vergogna per la scenata che aveva fatto.
-Vai a Dover domani?-
-Sì. Ci credi che ho una paura fottuta?-
-Ci credo eccome- Donnie fece per scostare le lenzuola, e Roger riconobbe subito l'abituale gesto che indicava che il tempo con lui ormai era scaduto.
-No!- esclamò d'impeto, senza riuscire a frenarsi prima. Non voleva che Donnie se ne andasse. Lo voleva lì, nel suo letto, tra le sue coperte, solo per una volta. L'ultima volta aveva potuto guardarlo negli occhi, ora invece voleva avere il privilegio di poterlo stringere, di poter dormire con lui. Di sentirsi protetto da qualcuno. Anche se questo significava mettersi nei casini, seguire quel pericoloso sentiero che si chiamava mi sto innamorando di un uomo che non mi vuole.
Sapeva già che nel momento stesso in cui avrebbe messo piede fuori di casa quell'incantesimo si sarebbe spezzato, e Roger non era ancora pronto per il giorno successivo. Non voleva tornare alle responsabilità. A Prudence. A quell'ipotetico figlio. Ora poteva essere davvero un bamboccio senza alcuna responsabilità. Poteva avere quei sedici anni che non aveva mai avuto sul serio. Solo per un paio d'ore, ma era già una ricompensa talmente grande che non pensava nemmeno di meritarsi.
Cercò di sfuggire allo sguardo di Donnie che era tornato a farsi diffidente. Gli diede le spalle, circondandosi le ginocchia con le braccia. L'abituale Donnie non lo avrebbe abbracciato come faceva l'altro, non lo avrebbe confortato e nemmeno gli avrebbe detto che un bravo ragazzo come lui non meritava tutte quelle disgrazie.
-No cosa?-
-Puoi stare qui? Solo questa volta-
Ci furono alcuni interminabili istanti di silenzio in cui Roger serrò i denti per la tensione, aspettandosi quantomeno una risata di disprezzo, ma alla fine Donnie tornò a sdraiarsi accanto a lui.
-Grazie-
-Stai zitto. Vedi di svegliarmi succhiandomelo. Mi sembra il minimo-
"Tutto quello che vuoi". Roger non ebbe il coraggio di girarsi verso di lui, ma sorrise contro la pelle screpolata delle ginocchia.

-

Roger e Prudence fissavano le navi che attraccavano lentamente al porto di Dover, in quello che da lontano sembrava solo un grande cantiere pieno di container arancioni e blu. Smuovevano il mare intorno a loro e facevano un gran baccano, agitando di conseguenza i gabbiani che volavano in tondo lungo la spiaggia grigiastra. L'ultima volta che Roger era stato a Dover quella vista gli era sembrata molto più poetica. Il mare aveva sempre qualcosa di rassicurante, di eterno. La sua vita poteva anche essere deludente, e ogni singolo giorno una tortura, però quel mare sarebbe sempre rimasto lì, sbatacchiato di qua e di là dalle navi cargo, indifferente al corso del tempo. Esattamente come era quasi rassicurante la visione dell'acciaio, delle montagne di scarti e dell'altoforno. Ma in quel momento nemmeno la vista delle onde che si infrangevano sulla battigia in un misto di schiuma bianca e alghe era di conforto.
-Allora è così, eh?- borbottò , ormai più interessato alle rotte di quelle navi in lontananza che a cosa fare del proprio futuro.
Prudence si strinse nel cappotto che Roger le aveva prestato, senza riuscire a dare una risposta. Alzò il colletto e si riparò dal vento avvicinandosi a lui, ma anche lei sembrava molto più presa dalla vita lavorativa del porto, che dal grande guaio in cui si erano cacciati.
-E' così- disse alla fine, del tutto atona. Si sedette sul cofano ancora caldo della macchina e appoggiò la testa contro il fianco di Roger, che, come unica mossa di conforto, si limitò ad accarezzarle una guancia. -Cosa facciamo?- chiese Prudence.
-Non è che ci sia molto da fare-
-Non mi lasci, vero? Vero che non mi lasci da sola- Prudence alzò la testa verso di lui, con quegli occhioni che lo guardavano terrorizzati, e Roger riuscì solo a pensare che sembrava un animale selvatico abbagliati dai fari di un'auto.
-Assolutamente no, tesoro. Non lo farei mai- la rassicurò, e per una volta, diceva sul serio la verità. Sapeva di essere un mezz'uomo, un depravato, e tutte quelle altre cose che gli erano sempre state dette; però sapeva anche di non essere un bastardo disonesto.
Prudence cercò la sua mano. -Scusami. Non volevo metterti in questo casino- mormorò, così a bassa voce che a stento riuscì a sentirla.
-Non è colpa tua. Siamo in due qui, mica solo tu- le strinse la mano, e, insieme, strinse anche i denti. Aveva sopportate tante cose. Poteva farcela. Poteva adattarsi di nuovo. Doveva. Donnie era stato molto chiaro. Quella non era solo l'unica situazione accettabile, ma anche l'unica possibile. Non poteva lasciare da sola quella ragazzina. Anche se avrebbe voluto farlo, e il primo pensiero istintivo che aveva avuto davanti a quella notizia era stato quello di scappare a gambe levate -E io non ho intenzione di andare da nessuna parte. Stai tranquilla-
Si scostò i capelli dal volto e inspirò profondamente. Doveva essere un uomo, ora.

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