1
"Dear Prudence
Won't you come out to play?
Dear Prudence
Greet the brand new day
The sun is up, the sky is blue
It's beautiful, and so are you"
Dear Prudence / Beatles
.
Prudence
Lo specchio rifletteva l'immagine di una ragazza solo a metà. L'altra metà – quella parte che non era ancora stata truccata, pettinata, o vestita ad arte – era più simile ad un ammasso informe di ossa, pelle, e vecchie cicatrici. Doveva sbrigarsi. Non poteva permettersi di passare venti minuti solo per mettersi lo smalto a una mano sola. C'era ancora tutto il resto da sistemare, solo per apparire un minimo decente, e se continuava a quella velocità non sarebbe mai arrivata in tempo.
-Che stai facendo?-
Prudence sobbalzò. D'istinto girò lo manopola del volume sulla radio. -Ciao, mamma-
Theresa era appoggiata allo stipite della porta. Addosso aveva ancora il liso completo da lavoro che era costretta ad usare tutti i giorni. Prudence la trovava ridicola, con addosso il tailleur blu chiaro e le scarpe con i tacchetti; non ci sapeva camminare su quelle scarpe, e sembrava ancora più larga con quella gonna che le mozzava le gambe sotto al ginocchio. E poi, non riusciva a capire perché dovesse vestirsi così formale per stare dietro a una scrivania a far telefonate tutto il giorno.
-Mi trucco- spiegò Prudence, tornando ai suoi doveri. Il figura della madre troneggiava alle sue spalle. Con le sue sopracciglia spesse sempre aggrottate e le mani sui fianchi come un generale.
-E perché?-
-Cheyenne ha fatto gli anni, ieri. Vuole che stasera vado a mangiare da lei. Ci sono anche Faith, Maxine... Quelle altre di scuola-
Prudence incrociò per un istante lo sguardo della madre. Si raggomitolò ancora di più su se stessa, curvando le spalle in avanti e avvicinando il viso allo specchio.
-E ci vai conciata a quel modo, da Cheyenne? Ti fai vedere vestita come una che va a far marchette dai genitori?-. I vestiti appoggiati sulla moquette accanto a lei non lasciavano molto spazio all'immaginazione. Se durante il giorno la divisa era camicia, gonna fino al ginocchio, calzettoni, e cravatta verde con il logo della scuola, la sera invece era giacca con le frange, minigonna, tacchi rossi e reggiseno imbottito.
-Soprattutto con quello- Theresa lo indicò. -Cosa ci vuoi mettere dentro che nemmeno la maglia della salute riempi.-
Prudence non rispose. Non era disposta a commentare il suo corpo con quella donna. Non era disposta a commentarlo con nessuno che non fosse Roger. Ma anche lui doveva stare bene attento alle parole che usava.
-Dovresti anche chiedere il permesso per fare le cose, non so tu dove credi di stare-
Prudence schioccò le labbra, infastidita. -Mi sono dimenticata, volevo chiedertelo già ieri. Poi siamo qui dietro l'angolo, lo sai dove sta Cheyenne- alzò le spalle, come per sottolineare quanto fosse semplice la sua richiesta. Mentalmente invece si malediceva, perché davvero si era dimenticata e ora sembrava tutto più sospetto.
Trattenne il respiro. Sperava di non dover iniziare uno dei soliti litigi.
-Per stavolta passi, ma è ora che la finisci. Torni a casa prima delle dieci- borbottò la madre, probabilmente della stessa opinione di Prudence in merito alle liti.
-Ma che orario è? Mamma, è sabato sera-
Theresa sventolò la mano, mettendola a tacere. -Non fare storie, che non sono in vena, oggi. E' già tanto che ti lascio uscire. E vestita così, per giunta. Ah, dovrei dirgliele a tuo padre, certe cose, vedi lui come ti sistema...-
L'acciaieria sorgeva al limitare del paese. O, meglio, quell'agglomerato di case di mattoni rossi e tenement fatiscenti era stato costruito apposto per dare agli operai un posto dove dormire e ubriacarsi. Non ci dovevano abitare più di cinquemila persone, lì, e forse il progetto originale per quel posto dimenticato da Dio era quello di una periferia all'avanguardia, il "perfetto esempio" di una zona industriale abitabile.
Prudence immaginava sempre che, in un ipotetico opuscolo di villeggiatura – un po' come quelli per Dover o Ramsgate – l'avrebbero definito così.
Quattro strade principali, e innumerevoli viette che si snodavano senza una vera logica tra le case a schiera. Prudence viveva in Victoria Avenue da che ne aveva memoria. La Main Road che portava all'acciaiera era appena dietro l'angolo, rispetto a dove abitava. Da lì si poteva raggiungere il Royal, la scuola, e l'acciaieria in pochi minuti; infatti era un continuo via vai di uomini vestiti da lavoro, neri di fuliggine o sudati ad ogni ora della giornata. Mentre solo la mattina e nel tardo pomeriggio si vedevano i capoccia nelle loro camicie bianche e inamidate passare di lì. Tornavano a casa, che di certo non era quel posto di merda, o almeno così aveva sempre pensato Prudence.
Ora stava in piedi all'angolo della strada, a una decina di metri dal cancello che portava al piazzale della fabbrica. Aveva già visto una decina di camion, tra quelli che portavano via tonnellate di lingotti, a quelli che invece portavano scarti dacciaio di qualsiasi tipo. Aveva visto anche uomini che iniziavano il turno o lo finivano, ma di Roger nemmeno l'ombra.
Ogni volta che ne aveva l'occasione lo aspettava fuori dal lavoro, sperando di azzeccare l'orario. Aveva tentato di imparare i suoi turni, ma sembrava uno sforzo di memoria incredibile. Le aveva spiegato che la fonderia funzionava ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni la settimana, e quindi tutti dovevano continuamente darsi il cambio. Quattro giorni di turno, due di riposo. Non importava che giorno o orario fosse, se qualcuno decideva che Roger doveva lavorare, lui doveva alzare il culo e correre. A Prudence questa cosa era sembrata fuori dal mondo. Già sopportava poco il breve orario scolastico che era costretta a fare, non avrebbe mai tollerato una cosa così disumana.
I camionisti si mettevano in fila uno dietro l'altro sui loro tir, in un lungo serpente che impediva il passaggio delle auto, ma nessuno faceva mai rimostranze. A turno scendevano, si sgranchivano le gambe o fumavano una sigaretta rollata tutta storta, e gettavano sguardi incuriositi a Prudence.
Spostò il peso da un piede all'altro, e per un istante valutò di togliersi i tacchi, solo per ritarare quell'ipotesi subito dopo. A Roger piacevano, era impensabile farsi vedere senza.
Quella sera sarebbe dovuto uscire alle otto, se non ricordava male.
Sbuffò, già frustrata. Aveva paura che suo padre facesse quella strada per tornare a casa e la vedesse lì, a fare chissà cosa, e non era sicura di riuscire a trovare una scusa adatta. Aveva freddo. E voleva da matti saltare al collo di Roger. Non si vedevano da quasi una settimana, e Prudence era sicura di morire di crepacuore.
Tirò fuori lo specchietto dalla borsa, controllando che il trucco e i capelli fossero a posto. Aveva un disperato bisogno di fumare, ma aveva finito soldi e sigarette. Un altro motivo per voler vedere Roger.
I camionisti rimasti ancora in attesa fuori dal cancello dell'acciaieria si erano stufati anche di guardarla. Erano ritornati a sedersi nelle loro motrici, con i piedi allungati sul cruscotto e la radio a tutto volume, in attesa che arrivasse il proprio turno.
Le campane della chiesa segnarono le otto e trenta. Del suo ragazzo nemmeno lombra. Sapeva già che non sarebbe tornata a casa allorario stabilito dalla madre, ma più passava il tempo e più si agitava. Sbuffò una nuvola di condensa verso il cielo. Ancora poco e se ne sarebbe andata.
-
Roger
L'uomo lasciò andare la presa sui capelli di Roger, e lui prese avidamente fiato.
-Ringrazia che non ho troppo tempo da perdere, se no non tornavi a casa con le tue gambe-
Si asciugò un filo di saliva dal mento, e osservò il ragazzo allacciarsi in fretta e furia i pantaloni. scomparve, veloce com'era arrivato, dietro il muro che separava le docce dal resto degli spogliatoi.
"Dite tutti così, eh?" un mezzo sorrise gli distese le labbra. "dite tutti così e poi durate mezzo secondo, o nemmeno ve lo fate andare in tiro"
Lasciò andare la schiena contro la parete di piastrelle dietro di lui e alzò lo sguardo. Il soffione della doccia era incrostato di calcare. E lui stava sguazzando nell'acqua, nel piscio e nei rigurgiti dell'impianto idraulico.
"Però ti perdono. Sei un bell'uomo... Anthony... Anthony? Bah, chissà come ti chiami. Bell'uomo del parco vergelle."
"Però il migliore rimane sempre Donnie. Chiaro. Tu non ci competi nemmeno. Anche se me lo schiaffi in gola proprio come Dio comanda. No, no, no tesoro. Ci lucidi le scarpe, a Donnie"
Roger trovò il coraggio e la forza di alzarsi. Aveva già perso abbastanza tempo, e le docce ammuffite degli spogliatoi – tra l'altro vicino all'orario di cambio turno – non erano il posto adeguato per lasciarsi andare alle fantasie. Aveva soddisfatto a sufficienza i suoi pruriti, o almeno quel poco che bastava per non uscire completamente di testa. E succhiarlo a un pover'uomo frustrato dalla vita la considerava un'opera pia. Poteva andare bene, per quel giorno. La sua unica donna aveva aspettato a sufficienza.
Fuori dalla recinzione a filo spinato che circondava l'acciaieria, c'era Prudence ad aspettarlo. Con tutte le sue frange, lustrini, colori. Uno sfera da discoteca in un parcheggio male illuminato, circondata da macchine sporche di terra e fango. Tutto in lei aveva qualcosa di gioioso, giovane. E all'alba dei quasi trent'anni Roger si sentiva un prematuro vecchio, in completo contrasto con lei. In fondo però la cosa gli piaceva. Prudence lo faceva sentire in qualche modo meno miserabile di quanto era davvero.
-Com'è andata?-
Prudence gli si gettò al collo, inondandolo di una nauseante fragranza di lacca e profumo troppo dolce. Si passò il dorso della mano sulle labbra, e, almeno quella volta, fu felice di constatare che non lo aveva riempito di rossetto.
-Bene, bene- rispose lui, come da copione. Cosa avrebbe potuto dire d'altro? Non era sbagliato dire che al lavoro era andata bene, non era successo nulla di particolarmente frustrante, ma non era nemmeno corretto perché odiava quella fonderia con ogni fibra del suo corpo.
-Passiamo un attimo al supermercato? Devo prendermi qualcosa da bere-
Le prese la mano, guidandola verso la macchina, ma Prudence si fermò prima che si incamminassero. -Andiamo al Royal, no?- chiese, con un mezzo sorriso speranzoso sul volto. Lo sapeva che le piaceva andare con lui al pub; anche di più di quelle poche volte che l'aveva portata fuori città. Quando erano al Royal non gli si staccava nemmeno per un istante di dosso. Salutava e richiamava l'attenzione di tutti quelli che la conoscevano, mostrandolo al mondo come se fosse il suo trofeo migliore. Gridava guardatemi in ogni modo possibile, e Roger non poteva mentire: in fondo si sentiva lusingato da tutta quella ammirazione nei suoi confronti.
Quella sera però era troppo stanco per reggerle il gioco. Non ne aveva la forza fisica, e nemmeno quella mentale.
-Sono stanco- brontolò. -Ci prendiamo da bere e poi stiamo da me- senza nemmeno aspettare la risposta di Prudence le strattonò la mano, iniziando a incamminarsi verso il fondo del parcheggio. Era fuori discussione starla a sentire in quel momento. Quello stanco era lui, quello appena uscito da un turno massacrante di otto ore era lui, e quindi aveva tutto il diritto di scegliere cosa fare quella sera.
-Ma io mi sono vestita tutta per uscire!-
"Cristo santo" si disse "Non iniziamo a dare di matto solo perché fa i capricci. Stiamo calmi"
-E vuoi veramente uscire con me conciato così? Che figura ti faccio fare?- le rivolse un mezzo sorriso, da interpretare a suo piacimento. "Ora sbrighiamoci però. Dopo ti posso fare tutte le manfrine che vuoi, ma ora voglio la mia birra, se non ti dispiace."
Prudence corrugò le sopracciglia e incurvò gli angoli delle labbra verso il basso. Fece per protestare, ma Roger la stroncò ancora prima che iniziasse a parlare.
-Su, ti prendo anche qualcosa da bere- passò il braccio dietro alle sue spalle, e poi la strinse in modo che solo lei potesse sentire quello che le stava dicendo. -E poi mi hai per te tutta la sera, va bene? Ogni tuo desiderio è un ordine-
-
Roger appoggiò a terra la busta di plastica piena di lattine di birra. Il tonfo metallico di tutto quell'alcol gli faceva già venire i brividi per l'eccitazione. Finalmente.
Una ormai era già mezza vuota, ma lì dentro cerano l'equivalente di venti sterline di birra, che aveva intenzione di bere tutte. Sentiva di averne particolarmente bisogno quella sera, anche se in realtà non era successo nulla di particolare.
Il solito schifo, la solita noia. Si sentiva più a suo agio con un po' di alcol in corpo, altrimenti tutto era troppo deprimente. O almeno, così se la raccontava. Non voleva ammettere nemmeno a sé stesso che con l'alcol aveva un problema.
Dopo la terza birra, e immerso fino alle costole nell'acqua bollente, si sentì finalmente a suo agio. Prudence era carina, il suo comportamento da ragazzina viziata ora era improvvisamente adorabile, e tutto si era colorato di una familiare calma.
-Beh, che hai fatto oggi?- Fece scorrere le unghie sulla sua gamba. Aveva afferrato una delle sedie pieghevoli che teneva appena fuori dalla porta d'ingresso, sistemandola di fianco alla vasca. Rimaneva in silenzio, fumando una sigaretta dopo l'altra, con i piedi appoggiati al bordo della vecchia tinozza e lo sguardo fisso su Roger. -Niente di particolare- rispose lei. -Mia madre quando è tornata da lavoro si è messa a fare storie per farmi uscire, ma alla fine sono uscita lo stesso. Sai che sono stufa di litigare? Le devo sempre urlare contro qualcosa, e lei è lì che deve sempre avere ragione-
Roger sfilò una sigaretta dal suo pacchetto. Appoggiò la nuca al bordo della vasca, ascoltando con tutta l'attenzione che poteva. Era già moderatamente stordito, ma i suoi discorsi riusciva ancora a seguirli.
Era come sentir parlare un alieno. Aveva tentato di eliminare quella parte della sua vita dalla memoria in ogni modo, e ora era complesso riportare alla mente quei dettagli in modo preciso. Ammesso che li avesse mai vissuti. I litigi con i genitori per poter fare di testa propria, discutere solo per il gusto di farlo – lo sapeva che la maggior delle liti di cui parlava Prudence si scatenavano proprio per quel motivo. Non era abbastanza sveglia per raggirare le regole, e quello era il risultato.
Fermò le dita su una piccola cicatrice biancastra all'altezza del ginocchio. Non l'aveva mai notata prima -Cosa hai fatto qui?- Prudence seguì con lo sguardo il punto dove stava indicando Roger.
-Ho provato a usare la bici di mio padre, quando avevo penso nove anni. Il punto è che non era capace e mi sono grattata tutta la gamba sull'asfalto. Qui si era infilato un pezzo di vetro- si lasciò scappare una risata, che Roger trovò troppo seducente per una ragazza della sua età – quasi volgare. Non capiva se era la sua testa a non funzionare nel modo corretto, o se c'era davvero così tanto ricambio generazionale tra lui e Prudence. Quando aveva lui diciassette anni le ragazze giocavano ancora con le bambole, non era possibile che nel giro di una decina danni le cose fossero cambiate in quel modo. Forse avrebbe dovuto vedere le compagne di Prudence per avere una risposta, ma era abbastanza certo che tutte seguivano le regole di quel gioco che si chiamava faccio finta di essere una donna adulta.
-Devi tornare a casa presto?- chiese poi, riprendendo l'argomento di prima. Lei annuì, controvoglia. -Mamma ha detto alle dieci. Chiaro che non torno a quell'ora ma comunque non posso fare troppo tardi-
-Allora poi ti accompagno in macchina. Se no perdi troppo tempo ad andare a piedi. E prima che ti succede qualcosa- Appoggiò l'intero palmo, stringendo all'altezza della caviglia e poi si allungò fuori dall'acqua per lasciarle un bacio sulla pelle bianca e lucida.
-E te invece?-
A Prudence piaceva sentirlo parlare del suo lavoro. Ringraziava sempre il cielo di non dover pensare a cosa raccontarle, perché oltre a quello non aveva granché da dire. Tutta la sua vita girava intorno a quel maledetto acciaio.
-La solita merda.- rispose lui, con un mezzo sorriso. Accartocciò la terza lattina di birra, lasciandola cadere sul pavimento. -Tra l'altro hanno cambiato il turno a Donnie. Tutta questa settimana se la fa di notte, praticamente entra quando io esco.-
-Non l'ho visto passare. E dire che sei arrivato qualcosa come mezz'ora in ritardo, ne ho avuto di tempo per guardare la gente-
-Ma smettila. Lo sai che non sono mai puntuale. Esci dopo la prossima volta, non mi va che stai fuori a gelarti il culo.- prese una lunga boccata di fumo, espirandola in direzione di Prudence. Strinse gli occhi e le rivolse un'occhiata incuriosita. -Quanto ci metti a prepararti? Cazzo, vai sempre in giro tutta in tiro, nemmeno la principessa del Galles-
Non era la prima volta che glielo chiedeva, e sapeva bene che le piaceva. Non mancava mai di farle sapere che aveva notato la pettinatura nuova, il trucco diverso, o piccolezze del genere, tutto per farla sentire in qualche modo apprezzata. Era impagabile vederla ridere compiaciuta di fronte a un complimento.
Roger chiuse gli occhi, lasciando andare la testa all'indietro.
-Domani è l'ultimo giorno di turno, poi lunedì e martedì ho la pausa- infilò la sigaretta tra le labbra, e rimase in quella posizione di apparente coma. Era stanco, terribilmente stanco; avrebbe potuto dormire per una settimana intera, e ancora non ritenersi soddisfatto. -Riesci a venire qui dopo scuola? La sera ti porto fuori se rimani fino a tardi-
-Certo- rispose di getto Prudence.
Roger sapeva bene che la stava mettendo nei guai. A volte gli raccontava dei suoi genitori, e anche se ascoltava sempre con un orecchio solo, qualche informazione gli era rimasta. Tra lei e la madre era una continua guerra, e la maggior parte delle sue lamentele effettivamente riguardava proprio quella donna. Del padre invece parlava poco; sapeva solo che una volta lavorava lì in acciaieria, nella cokeria, e poi era stato licenziato in tronco perché l'avevano beccato a rubare il gasolio dai macchinari.
Si sentiva in colpa, ogni tanto, perché sapeva che la maggior parte dei problemi glieli aveva creati lui. "Ma se non vuole fermarsi lei, perché dovrei farlo io?" pensò, a quel punto. "Che faccia quello che meglio crede. Io le do solo una spinta verso la direzione che mi piace di più"
-Bene, brava.- le diede un pizzicotto sulla gamba, facendola saltare, con un'indignazione quasi teatrale. -Così mi tagli i capelli. Stanno iniziando a darmi fastidio. Vuoi farlo tu? Va bene?-
Lei annuì -Sei molto più bello quando te li taglio io. Donnie non è capace-
Prudence si alzò dalla sedia, e iniziò a slacciarsi la camicia. Subito dopo la minigonna fece la stessa fine, lasciata a terra vicino agli ultimi abiti che Roger si era tolto.
-E ti stupisci? Quello è tutto imborghesito, va a farseli fare dal parrucchiere. Non è mica capace a tagliare i capelli alla gente-
Nonostante fosse messo in difficoltà dalla vasca minuscola, Roger strinse Prudence a sé. Immerse completamente le braccia in acqua e le circondò la vita. Appoggiò la guancia contro la sua schiena, inspirando a pieni polmoni quel profumo che da sobrio gli dava il voltastomaco, e si sentì stranamente al sicuro.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top