Capitolo 46
L'imbarazzo è palpabile.
Sposto il peso da un tallone ad un altro, totalmente incerta sul da farsi.
Ian non mi degna di uno sguardo, ovviamente, e ogni due per tre osserva, concitatamente, l'elegante orologio da polso che indossa, nonostante non gli si addica a pieno.
Mi sento quel tantino di troppo, devo trovare qualcosa da fare.
Polly, una delle tante ragazze dello staff, sta letteralmente impazzendo, dal momento che si ritrova da sola a servire il punch ad una fila di ragazzi che pare infinita.
«Bè, io... io vado», dico, smorzando questo silenzio assordante. «Pare abbiano bisogno di me, laggiù... ». Mi sforzo di abbozzare un sorriso, indicando lo stand del punch.
Ian, serio come sempre, si limita ad annuire, lasciandomi interdetta.
Mi dirigo a passo svelto dalla mia collega, che sembra essere sull'orlo di una crisi di nervi.
«Dio, Anthea... Grazie al cielo sei arrivata!», sospira, sorridendo ad un ragazzo di fronte a lei, mentre gli porge il bicchiere rosso.
Sogghigno, mentre mi posiziono di fianco a lei, estraendo velocemente altro liquido da offrire ai partecipanti.
Passano per lo meno dieci minuti, e la fila sembra essersi leggermente allentata.
Tuttavia, siamo talmente scattanti nella nostra mansione, che non riusciamo nemmeno ad identificare le persone davanti a noi. Versiamo, sorridiamo, consegniamo, alla velocità del suono.
«Ecco a te!», esclamo, già pronta con il prossimo bicchiere alla mano.
«Ti ringrazio...», esclama, qualcuno, in tono beffardo: un tono a me fin troppo familiare.
Alzo gli occhi e rimango esterrefatta: scorgo prima le pelle scura della mano che afferra il bicchiere, poi i tondi occhi color nocciola: Travis.
Un brivido mi scuote dalla testa ai piedi, riportando alla mente eventi che ho, a poco a poco, tentato di dimenticare, ottenendo, però, solo scarsi risultati.
I lividi violacei attorno agli occhi e sugli zigomi, le labbra logorate da piccole ferite, apparentemente ancora aperte.
Però, la situazione sembra più drastica del previsto... Eppure, è passata una buona settimana, pare che Ethan ci abbia dato dentro parecchio.
Automaticamente mi volto verso Ian, impalato, con gli occhi fissi su di me, ancora in attesa della accompagnatrice, evidentemente. Si porta un dito alla bocca, morsicchiandolo nervosamente. Si sta trattenendo, lo so.
«Dì al tuo bello di prestare molta attenzione...», mi avverte minaccioso Travis, riportandomi alla realtà, squadrandomi con gli occhi ridotti a due fessure.
Nonostante il terrore mi scorra nelle vene, mi costringo a rispondere, plausibilmente allarmata: «Non osare prendertela con Ethan, adesso.»
Lui si porta una mano sul viso, come per nasconderlo, mentre sbuffa in una risata derisoria.
«E chi ha parlato di Ethan?», confessa, mentre sento il petto restringersi in un baleno.
Polly, che nel frattempo si è fermata un attimo, tenendo gli occhi fissi su di me, accorre in mio aiuto: «Senti, bello... Non ti sei accorto che stai alimentando la coda? SGOMMARE!», lo ammonisce. I biondi ricci ribelli che seguono ogni suo movimento.
«Ti... ti ringrazio...», riesco a farmi uscire, in un sospiro, mentre Travis si allontana, unendosi al suo gruppetto di amici, che una volta parevano tanto simpatici.
''Chi ha parlato di Ethan?'', le parole del ragazzo mi rimbombano nelle orecchie, mentre riprendo, fingendomi incurante, il mio impegno. Cosa starebbe a significare?
Vengo, per l'ennesima volta oggi, interrotta da qualcuno.
«Senti... avrei bisogno di te, non so a chi altro chiedere.», la voce irrequieta proviene dietro di me, e la riconosco all'istante. Si tratta di Ian, che si è materializzato qui nel giro di pochi secondi.
Mi volto: lo sguardo basso, la fronte aggrottata, il piercing sotto il labbro carnoso che si muove, sotto il movimento della sua lingua.
Sposto lo sguardo verso Polly, che, come leggendomi nel pensiero, acconsente: «Forza, vai! Ti copro io...». Sposta poi lo sguardo su Ian, indugiando un po' troppo. Bè, come darle torto, d'altronde...
La ringrazio, silenziosamente, prima di allontanarmi con il ragazzo che fino a poco tempo prima non voleva nemmeno rivolgermi la parola, in attesa di una giustificazione.
«E' Evelyn... », comincia, e un'ondata di disillusione mi si impianta in mezzo al petto. Tuttavia annuisco, in attesa che continui. «Non ho idea di dove si sia cacciata. Sarà un quarto d'ora che non si fa viva. Ha detto che sarebbe andata in bagno, ma inizio a preoccuparmi...».
Il suo tono decisamente impensierito mi scioglie del tutto, al ché annuisco, sinceramente in apprensione per lei.
«Do un'occhiata in bagno!», esclamo, dirigendomi, scattante, verso lo spogliatoio.
[...]
Esco, amareggiata, trovandomi davanti Ian, che si ricompone, agitato.
Scuoto la testa. «Qui dentro non c'è...», lo informo, osservandolo alzare gli occhi al cielo, improvvisamente colpito da una palpabile preoccupazione.
«Ti ringrazio, comunque. Provo a cercarla in giro per il paese, qui dentro non è di certo.», mi comunica lui.
Annuisco, silenziosa, mentre l'istinto prende il sopravvento: «Vengo con te.»
Lo sento irrigidirsi sotto i miei occhi, mentre mi congeda... «Non ce n'è bisog...», inizia, ma, captando il mio sguardo insistente, pare cedere, acconsentendo con un alzata di mani.
D'altronde, ormai ci sono dentro, e inizio a sentirmi sinceramente in apprensione per la ragazza.
Ci dirigiamo verso l'uscita, ostacolati dalla folla che, per qualche inspiegabile ragione, si raduna, per l'ennesima volta, davanti al solenne palcoscenico.
Percepisco la voce del preside, leggermente esaltata. «Forza, ragazzi, è giunto il momento!», esclama, mentre io cerco di divincolarmi tra quella marea di persone, aiutata dagli spintoni di Ian. Il Forks continua. «E' giunto il momento del countdown! 10... 9... 8...», urla, imitato da tutti i ragazzi, che alzano i bicchieri al cielo, creando un emozionante boato di entusiasmo.
Riusciamo, a fatica a raggiungere l'uscita, accompagnati dalle voci di tutti i partecipanti: «7... 6... 5... 4...»
Altre persone ci si piombano davanti, impedendo di proseguire, ma Ian, ovviamente, li allontana, consentendomi il passaggio.
Scorgo Sheyla, che ride in compagnia di Peete, l'amico di Ian, che gli stringe la mano in un gesto amichevole, e la prendo per le spalle, riportando l'attenzione su di me. «Io... io devo andare, torno presto.», le comunico, prima di allontanarmi, senza concederle nemmeno il tempo di darle una spiegazione plausibile.
Ci troviamo sulla strada, proprio di fronte alla palestra, scrutando a destra e a sinistra, nel tentativo di scorgere l'inconfondibile chioma rossa di Evelyn. Ian si solleva le maniche della camicia bianca, per poi allentare il papillon nero, staccandolo e gettandolo a terra.
Così va molto meglio, ammetto a me stessa, mentre lo osservo riacquistare l'immagine leggermente rude che lo caratterizza alla perfezione, e che non posso fare a meno di trovare ammaliante.
I boati ci fanno da eco, lontani... «3... 2... 1... Auguri!», li sentiamo impazzire al di là dell'ingresso, esplodendo in un risonante fragore, ricco di urla gioiose, di strombazzamenti e di festose risate.
Ian, che fino ad un secondo fa stava camminando spedito verso qualche strada a me sconosciuta, si blocca di colpo, e per poco non vado a sbattere contro la sua schiena.
L'odore che mi era tanto mancato, in questo traumatico periodo di tempo che mi è parso interminabile, mi riempie le narici.
«Buon anno, Anthea.», mi sussurra, tenendo lo sguardo fisso sul vuoto.
Il cuore prende a battermi all'impazzata, le guance si ravvivano in un baleno, le mani iniziano a sudare. Mi ha colta alla sprovvista.
«Buon anno anche a te, Ian.»
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