Capitolo 44: Evelyn


Mi sistemo il lungo abito in raso, color celeste. 
Attraverso lo spacco, si intravedono le mie snelle gambe chiare. 
Do un'ultima occhiata al mio volto pallido, spento, smorto, prima di ricoprirlo di un compatto strato di fondotinta della mia stessa tonalità, così da poter nascondere la mia vera identità, la devastazione di questi giorni, che, inevitabilmente, colpisce il mio viso. 
Le borse sotto gli occhi, a poco a poco, svaniscono, le labbra prendono corpo, sotto lo spesso strato di gloss rossastro, gli occhi, limpidi, diventano più vispi, allegri, in netto contrasto con le folte ciglia scure. 

Faccio una piroetta su me stessa, ammirando tramite il grosso specchio che mi trovo davanti, il vestito ondeggiare sopra il mio esile corpo, costringendomi a fare le ''prove del sorriso'', che, nonostante il mio colossale impegno, risulta essere spento, opaco. 

Busso un paio di volte sull'enorme porta in mogano, prima che l'inconfondibile flebile vocina mi dia il permesso di entrare. 
La mia testa sbuca da dietro, scrutando nell'atmosfera buia, alla ricerca del corpicino di mia madre. Accendo, dunque, la lampada da scrivania, proprio di fianco a me, cercando, girando la manopolina, di scegliere un'intensita di luce piuttosto soffusa, così da non darle fastidio. 

Finalmente individuo il fiacco corpicino di mamma Carol, che tenta, debolmente, di sedersi sull'enorme letto, cercando, invano, di celare una smorfia di dolore. 
I boccolosi capelli rosso fuoco le ricadono perfettamente sulle spalle, e i suoi occhi, che papà dice trovare identici ai miei, spiccano come sempre, persino nella penombra di questa silenziosa stanza. 

Mi osserva, da capo a piedi, e abbozza un sorrisino dolente.
 «Sei una favola, tesoro...», la voce leggermente roca, gli angoli della bocca tremanti, la mia mano che si posa, delicata, sulla mia guancia. 
Mi si stringe il cuore... Ogni tentativo di apparire la ragazza spensierata e peperina che sono sempre stata, ai suoi occhi, è vano, quando la vedo, minuscola e ormai opacizzata, in un letto tanto grande. 
Mi sforzo di ricambiare quel sorriso, mentre le consento di contemplarmi ancora un po',  passandomi le mani tra i definiti boccoli ramati. 
«Grazie, mamma. Tornerò presto, okay?»
Lei continua a sorridere, non staccandomi gli occhi di dosso. Dopo di che annuisce, intimandomi di uscire da quella porta e divertirmi, almeno per una sera. 


[...]


Scendo le scale marmoree a passo spedito, accompagnata solo dal trapestio dei vertiginosi tacchi dorati che indosso.
Ian, stasera, ha avuto la brillante idea di portarmi fuori, per la serata di Capodanno. 
Aveva intenzione di bere qualcosa in un locale qualsiasi, attendere la mezzanotte e riportarmi a casa, ma ho insistito per partecipare all'evento organizzato dalla Jacob's, approfittando del fatto che, molto probabilmente, nessuno a noi conosciuto si presenterà. 
Layla e Millie, le mie due amiche, avevano altri piani, con i loro corrispettivi ragazzi, a quanto mi è stato detto, ed il mio dolce Ian è stato tanto carino da tenermi un po' di compagnia. 

Lo scorgo al piano terra, intento a parlare con Zach, mio padre, cercando, in qualche modo, di sistemarsi il papillon sotto il colletto della camicia bianca. 
Maledicendolo, anzi. 
Papà, con la bocca asciutta, richiama l'attenzione del ragazzo che tanto adora, picchiettandogli la schiena con le lunghe dita spigolose.
Ha sempre apprezzato la sua schiettezza, il fatto che si prenda cura di me, che mi voglia bene, ed è sempre stato convinto, sin da quando eravamo due bambini, che un giorno o l'altro, io e lui, saremmo finiti all'altare. 
Ian ora volge lo sguardo su di me... Mi sorride, sì, ma qualcosa nei suoi occhi mi fa intuire che non sia completamente ammaliato dalla mia figura, come, invece, lo è il mio papà, che nel frattempo mi porge il cardigan dorato, sistemandomelo sulle spalle. 
«Ti ringrazio, papi.», gli dico, prima di salutarlo con uno schioccante bacio sulle gote incavate. 
Ci dirigiamo fuori dalla mia imponente casa, diretti all'auto di Ian.
Grazie al Signore, si è risparmiato di venire con quella stramaledetta moto, che non tollero in alcun modo: i capelli che ti punzecchiano gli occhi, i moscerini che si spiaccicano contro il vetrino del casco, la paura di cadere ogni secondo. 

Non che ci sia mai salita... Bè, non che mi abbia mai proposto di farci un giro, ma presumo che le sensazioni che si provano siano proprio quelle.



Ian mi lascia scegliere la musica dalla radio, e lo ringrazio per questo. 
Come sempre, tuttavia, è parecchio silenzioso, non spiaccica nemmeno una parola, così alzo il volume della musica, che mi immerge totalmente, ora. 

Il parcheggio della Jacob's straborda di macchine, e la cosa mi sorprende parecchio. 
Non ho mai partecipato ad una festa del genere, e fino all'anno scorso non ci avrei nemmeno pensato, poichè avrei sicuramente partecipato ad una delle feste di Luke, che anche quest'anno ci ha invitati. Tuttavia, non me la sento di vedere tutte quelle facce impietrite, tristi e compassionevoli. Non è ciò di cui ho bisogno. Necessito solo di lui. 
Lo osservo ancora un secondo, con quella sua espressione sempre imbronciata, che mi fa sorridere, spesso e volentieri, prima di scendere dall'auto. 

Ci dirigiamo all'interno della palestra, il cui ingresso è ornato da composizioni floreali, che trovo essere molto carine. 
Ci facciamo strada tra la folla, divincolandoci tra rigorosi ragazzi in giacca e cravatta ed elegantissime ragazze in lunghi abiti disparati, da quelli super luccicanti a quelli invece più sobri, semplici. 
 «Beviamo qualcosa?», propongo al broncio vivente, quale mio accompagnatore, che si limita ad annuire, palesemente annoiato da tutta la situazione, ma intuisco, in ogni caso, i suoi sforzi. 
Giochi di luci di ogni colore gli illuminano il volto, sotto il ritmo della musica. 
Ci avviamo, dunque, al centro dell'enorme sala, dove una ragazzina dai chiari capelli castani raccolti in un'alta coda di cavallo versa, estraendo da una ciotola in vetro, del punch, rigorosamente analcolico, in ogni bicchiere che i partecipanti le porgono. 
Indossa una semplice t-shirt nera, con una scritta a caratteri cubitali arancione: Staff.
Ci avviciniamo lentamente, e piano piano le luci provenienti dal soffitto, che la illuminano, consentono di identificarla: è Anthea, la cara amica di Ian... Non ci voglio credere, che ci fa qui?
 
Automaticamente mi volto verso Ian, che scopro avere gli occhi sbarrati. 
E' impietrito, proprio dietro di me. 
Percepisco tutto il suo sconcerto nel trovarla lì, anche dal fatto che rigira la pallina metallica proprio sotto il labbro, un gesto che fa sempre quando è irrequieto.
Torno a guardare lei, che, in un momento di pausa dal frenetico lavoro, si guarda attorno, asciugandosi la fronte con la mano, scrutando tra la folla alla ricerca di altri partecipanti volenterosi di assaggiare la sua bevanda rossastra, finchè i suoi sguardi incontrano i nostri, o meglio, quelli di Ian. 
Sobbalza, spalancando la bocca, e lasciando cadere il cucchiaio in metallo all'interno della ciotola, facendo traboccare la sostanza, rovesciandone un quarto sul tavolo in legno. 
Presa da un attacco di nervosismo, distoglie lo sguardo, tentando di assorbire il disastro creato con degli inutili tovagliolini colorati.
Non ho mai tollerato la sua impacciataggine, e in generale le persone che appaiono tanto innocenti, ingenue, quando nella stragrande maggioranza dei casi, non lo sono affatto. 
Ecco perchè non mi sono mai nascosta dietro a chi sono veramente. Risulterò acida, aggressiva, insolente, ma è ciò che sono, e mi sta benissimo così. Chi mi conosce abbastanza, e dunque coloro che realmente contano, sanno che c'è dell'altro, in me.

Ottimo, devo dire che si prevede una serata coi fiocchi. 

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Sono tornata, con un nuovo capitolo, stavolta dal punto di vista della chioma rossa, Evelyn. 
Che ne pensate? Cosa succederà, prossimamente? 
Un bacione :*





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