Capitolo 39
«Cosa... cosa vuoi dire con questo?», riesco a dire tutto d'un fiato.
La testa che scoppia, il cuore che minaccia di squarciarmi il petto da un momento all'altro, osservando quell'espressione sul suo viso che comincia a suscitarmi una certa irritazione.
«E' complicato», si giustifica, puntando dritto davanti a lui, ignorando me per concentrarsi, invece, sui tergicristalli, intenti nello spazzare via la neve posatasi sul parabrezza.
Tutto qui? Le dita dei piedi iniziano a formicolare, per via della rabbia. Penso proprio di stare per esplodere...
«E' complicato, dici?», urlo, involontariamente, con la voce strozzata. Non mi riconosco, non più. Sono sempre stata una tipa decisamente pacata, e durante i litigi mai mi sono permessa di alzare il tono di voce, dal momento che sono sempre stata fermamente convinta del fatto che, la maggior parte delle volte, la tranquillità sia in grado di destabilizzare di più di uno strillo.
Tuttavia, nonostante i miei innumerevoli sforzi, con Ian è diverso: mi fa imbestialire, mi scombussola totalmente, mente e cuore. Quando sono in sua presenza, si fa sempre complicato identificare la vera me stessa, e di certo, la cosa non mi piace affatto.
«Ieri sera non sembrava fosse tanto complicato, eh?», continuo, stringendo i denti, pentendomi subito di essermi messa in ridicolo con un'affermazione tanto frivola.
Lui, ovviamente, non sembra essere turbato da ciò che mi sono appena lasciata sfuggire di bocca, ma sembra sul punto di arrendersi, finalmente.
Dopo una brusca sterzata col volante, frena di scatto, occupando il primo parcheggio libero sul viale che stiamo percorrendo.
Innesta il freno a mano, dopo di che si volta verso di me, finalmente manifestando un certo disorientamento. Mi guarda con gli occhi iniettati di sangue, mentre gli si gonfia una vena sul collo.
Deglutisco, aspettandomi il peggio.
«Tu... tu non sai proprio un cazzo.», urla, più forte di me, facendomi trasalire.
Incrocio le braccia, nell'attesa di un proseguo da parte sua.
Sospira, esasperato. «Non gira tutto attorno a te, Anthea.»
Le sue parole riecheggiano, all'istante nella mia mente. Fanno male, nonostante siano vere. Sono consapevole, io stessa, del fatto di non essere il centro del mondo, ma non merito forse delle spiegazioni? Non merito di sapere cosa gli prenda? Come andrà a finire? Io non voglio che finisca questo... non so nemmeno come dovrei definirlo.
«E allora cosa c'è? Cosa c'è?», tento di scuoterlo da quell'eterno trance. Gli occhi mi si riempiono di lacrime, e per l'ennesima volta in questo periodo, mi sento ridicola. Mi vergogno di me stessa.
«Si tratta di Evelyn...», comincia, dopo un respiro profondo.
Non mi guarda in faccia mentre pronuncia queste parole, ma giocherella nervosamente con il portachiavi argentato appeso alle chiavi della macchina, infilate nella serratura dell'auto.
Il mio cuore prende a battere ancora più rapidamente, cosa che fino al secondo prima non credevo possibile.
«Devi sapere che la conosco dall'asilo. C'è sempre stata per me...», prosegue, puntando gli occhi nei miei solo per un secondo, per poi distoglierli l'attimo dopo. «Anche quando... Beh, anche durante il periodo peggiore della mia vita, due anni fa». Capisco che si sta riferendo al drammatico episodio della sorella. Tuttavia, ancora non comprendo dove voglia andare a parare.
«Ecco... lei, ora, non sta passando un buon periodo e...»
Non capisco, non capisco cosa c'entri tutta questa storia con me e con lui. Cosa starà succedendo a Evelyn? Sicuramente, sarà una delle sue trappole per accalappiarsi l'attenzione di tutti. Sarebbe veramente deplorevole.
Sbuffo in una risatina isterica, ricolma di un'incomprensibile gelosia, prima che lui mi interrompa.
«Sua madre ha un cancro, cazzo.»
Le parole provenienti dalla sua bocca, rimbombano amare nell'auto, lasciandomi stupefatta, pentendomi istantaneamente della reazione infantile, ma sicuramente impreparata, di un istante fa.
Mi porto una mano alla bocca, tappandomela con forza. Le lacrime si fanno sempre più corpose.
«Mi... mi dispiace, sul serio», tento di giustificarmi, scossa da un brivido in tutto il corpo.
Lui mi snobba, voltandosi verso il lato del finestrino.
Decido di volerlo rassicurare, posandogli una mano sulla spalla, nel tentativo di tranquillizzarlo.
Voglio dirgli che andrà tutto bene, fargli capire che riuscirà ad uscirne. Ma chi sono io, chi mi da il diritto di fingere di saperne qualcosa?
Capisco che non ottengo l'effetto sperato quando si gira di scatto, intimandomi, senza il bisogno di aprire bocca, di mantenere una distanza di sicurezza.
Obbedisco, asciugandomi una lacrima sfuggita al mio controllo, che mi scende giù lungo la guancia.
«Anthea tu... tu non capisci.», riprende. «L'altra sera, quando ti ho portata via dal locale con Luke e Peete, avevo appuntamento con lei, a casa sua, perchè due giorni prima era venuta a conoscenza della notizia, e aveva chiesto di voler passare del tempo con me».
Annuisco, sinceramente, attendendo che continui.
«Ci ho provato, a starle vicino esattamente come lei ha sempre fatto con me, per tanto tempo ma... Non ho resistito, avevo in testa te, cazzo.», sobbalzo, e un piccolo granulo di triste serenità mi si impianta nel petto. «Sai cos'è successo, la sera stessa, dopo averla abbandonata, con una scusa infantile?».
Faccio cenno di no, distogliendo lo sguardo, colpita da un improvviso senso di colpa. Posso solo immaginare...
«La madre ha avuto uno dei suoi attacchi. Lei era sola, impaurita. Ha tentato in ogni modo di chiamarmi, ma ovviamente io ero... ero distratto. Non merita questo, Anthea. E nemmeno tu meriti questo.»
Ogni parola è un macigno, per me, che mi schiaccia prima lo stomaco, dopo il petto. Mi spinge giù, verso il buio più totale, non consentendomi di respirare. Vorrei solo avere la forza di sollevarlo, colpita da un qualche strano potere. Tuttavia, sono consapevole del fatto che sono destinata a soffocare.
Una lenta e lacrimevole, ma al tempo stesso inconfondibile melodia, si dirada nell'auto, proveniente dalla radio.
''Sorrow'', degli Sleeping at last. Niente di più azzeccato.
«It feels like falling, it feels like rain, Like loosing my balance again and again. It one was so easy... Breathe in, breathe out, but at the feet of this mountain, I only see clouds.»
La canzone descrive esattamente la mia emozione. Sono vuota, raggelata, stanca.
Ian sembra decisa a sferrare la sua mossa finale, come per stendermi definitivamente.
«Lei ha bisogno di me. E tu... c'è qualcun altro ad attenderti.»
Ecco, l'ha detto. Ora sono al tappeto. Sventolo la bandierina bianca.
Non mi degna di uno sguardo, ovviamente, ma non ho più intenzione di lottare. Sono distrutta, e consapevole del fatto che Evelyn ora abbia bisogno di qualcuno che le stia vicino. Non è da biasimare. Non ho la benchè minima idea di cosa stia passando, ma sono certa che io sono solo un intralcio, un ulteriore intralcio.
Non ho idea di dove mi trovi, ma qualunque posto andrà bene, pur di evitare di passare un altro istante in questa claustrofobica situazione.
Annuisco, sfinita. Non ho nemmeno più le forze di salutarlo. Salutarlo per l'ultima volta, mi ricorda spietata la mia coscienza.
Apro la portiera, tenendomi salda allo sportello per evitare di cadere. Inspiro a pieni polmoni l'aria che finalmente mi consente di respirare, almeno lo stretto necessario. La musica rimbomba nella mia testa, decisa a non smettere. Le lacrime che, ormai, sgorgano come fiumi giù per le gote. Devo allontanarmi da tutto ciò, da lui.
https://youtu.be/lV9dOY878OM
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top