Capitolo 38
«Where there is light,
A shadow appears.»
La suoneria che tento di ignorare da una decina di minuti mi costringe ad aprire gli occhi, consapevole del fatto che così facendo, forse la smetterà.
Allungo la mano sul comodino, dove la sera prima ho poggiato il telefono.
Balzo sul letto quando mi ritrovo almeno 5 chiamate perse da mia madre: sarà furiosa.
Tuttavia, ormai il guaio è fatto, e di certo non ho intenzione di scappare via da Ian, non stavolta, per lo meno. Ignoro le chiamata, impostando il silenzioso.
Mi si arrossano le gote al ricordo di noi due, ieri sera, in quel momento di intimità, che ancora ai miei occhi pare così inusuale, così innaturale, nei miei panni.
Mi mordicchio l'interno della guancia, colpita da una ventata di nervosismo, voltandomi lentamente: Ian è sveglio, si massaggia la nuca, con espressione seria, fissando il soffitto. E' ancora pensieroso, e la cosa mi delude decisamente... Ho come la sensazione che per oggi siano previste delle confessioni, che finora ho tentato di evitare in tutti i modi. Sono certa che me ne pentirò.
Quando si accorge del mio risveglio, si volta lentamente, sorridendomi.
Si tratta di un sorriso dolce, su questo non c'è dubbio, ma scorgo in quel gesto una certa preoccupazione. Gli angoli della bocca leggermente tremanti, ma rivolti verso l'alto.
Come se, nel suo profondo, stia avvenendo una lotta estenuante tra ragione e impulsività, desiderio. Ed Ian sta combattendo con tutte le sue forze per far sì che la razionalità abbia la meglio, per qualche strano motivo, che non sono certa di volere scoprire.
Ricambio con un mezzo sorriso, mettendomi a sedere, e abbracciandomi le ginocchia con forza, ispirando un'altra volta, e forse anche l'ultima, l'inconfondibile profumo che impregna l'enorme felpa scura che indosso.
Ian tende un braccio verso di me, accarezzandomi la guancia con lo sguardo più serio che io abbia mai visto sul suo viso così particolare, ma al tempo stesso perfetto, inappuntabile.
Un istante dopo, tuttavia, la ritrae, distogliendo lo sguardo, e in quel preciso momento, capisco che non posso più fingere di non essermi accorta di nulla: devo sapere, devo sapere tutto quanto. Cosa gli prende? Cosa sta passando in quella testolina anonima?
Si alza dal letto, e si dirige verso la porta, ancora a torso nudo, con indosso solamente i pantaloncini. «Scendi, se vuoi fare colazione...», mi avverte, in tono secco.
Un brivido mi scuote, e una spina di delusione sembra conficcarmisi nel fianco.
Lo inseguo, tirando la felpa il più in basso possibile, sulle mie cosce fredde. Non ho nient'altro di comodo da indossare, e di certo non mi metto a frugare nei cassetti di Ian, senza permesso.
Non sembra essere di buon umore oggi, e non ho intenzione di incorrere in rischi.
Al piano di sotto, Megan ci attende al solito tavolo, in cucina, morsicchiando una cialda al cioccolato, intenta a leggere una rivista.
Ci accoglie con un sorriso malizioso, ma non appena scorge il coscienzoso sguardo del fratello, si incupisce leggermente. Io, invece, ricambio il sorriso, augurandole il buongiorno.
Ian, senza aprire bocca, mi porge delle cialde avanzate dalla sorella, che mi costringo ad accettare per non sembrare scortese.
Tuttavia, il mio stomaco, in questo momento, non sembra proprio avere intenzione di collaborare, dal momento che una sensazione di nauseante repulsione, dovuta al timore di quello che mi toccherà affrontare tra poco, si impossessa di me.
Mi sforzo di deglutire piccoli brandelli della colazione offerta, arrendendomi al terzo tentativo.
Sono certa del fatto che Ian sia consapevole del mio cambio di umore, tuttavia non fa nulla per giustificarsi. La nausea lascia posto, ora, ad un accenno di rabbia.
Un telefono squilla, e la suoneria proveniente dalla sua tasca riecheggia in tutta la stanza, alterando il fastidioso silenzio creatosi nel frattempo.
Il volto di Ian si accende in un'espressione difficile da decifrare, se non impossibile. E' tensione, quella che scorgo? O forse preoccupazione? Paura? Rabbia.
La mia testa è sul punto di esplodere, devo capirci qualcosa.
Tuttavia Ian si allontana, scattante, dirigendosi su per le scale. Mi vuole evitare? Non vuole che io sappia?
Beh, mi dispiace, ma sono stufa... Non ho più voglia, nè tempo, nè tanto meno le forze di evitare di affrontare la cosa, di nuovo.
Scatto in piedi, facendo sobbalzare la sorella, seguendolo con passo felpato, fermandomi proprio dietro lo stipite della porta di camera sua, così da non farmi vedere da lui.
«Pronto?», risponde, mentre percepisco i suoi passi frettolosi.
Sento il rumore dell'apertura di un'anta, e collego al fatto che stia aprendo l'armadio, alla ricerca di qualcosa da indossare.
Il silenzio è palpabile, ma nonostante tutto non riesco a percepire la voce dall'altra parte della cornetta.
«Ehy, ehy... Calmati.», lo interrompe lui, in tono di rassicurazione. «Dammi mezz'ora, okay? Arrivo.»
Sento un ticchettio. Ha riattaccato.
Dove deve andare? Con chi stava parlando? E cosa succederebbe se Ian mi scovasse qui fuori, ad origliare?
Tento in qualche modo la fuga, quando sento i passi di Ian diretti verso l'uscio della camera.
Lo avverto sobbalzare, proprio dietro di me, poi mi volto, nel tentativo di giustificarmi, in qualche modo.
«Cazzo, Anthea.», mi rimprovera. Non mi sbagliavo, dal momento che si è infilato in un paio di pantaloni della tuta e in una felpa grigia.
«Mi... mi dispiace», mi esce... «Volevo solo cambiarmi». Tento di sembrare credibile.
Ovviamente non ci casca, nonostante non me lo faccia notare. Abbassa lo sguardo, osservandosi la punta dei piedi scalzi.
«Io... Io ho un impegno. Ti riaccompagno a casa.», mi avvisa, freddo come il ghiaccio.
Annuisco, e silenziosa, raccolgo da terra il vestito rosso, gettato malamente a terra, infilandomelo rapida.
Ripiego la felpa, posandola accuratamente sull'angolo del letto disfatto.
Cerco di imprimermi nella mente ogni singolo coccio di ricordo della serata trascorsa, la serata più terrificante della mia vita, ma con una fase conclusiva da mozzare il fiato.
Mi soffermo, per un attimo, ad osservare questa stanza, che probabilmente, da domani, non vedrò mai più. Respiro a pieni polmoni questo odore, che mi pervade completamente le narici, il cuore, l'anima.
Mi costringo ad andarmene, raggiungendo Ian al piano di sotto.
Si sta infilando le sneakers bianche, così lo imito, indossando i miei tacchi, le uniche calzature disponibili.
Megan mi si avvicina, abbracciandomi, con l'intenzione di salutarmi.
«Ci si vede, è stato un piacere», mi sorride. Ricambio l'abbraccio, nonostante le sue parole sembrino essersi tramutati in macigni nella mia mente.
Ci si vede, dice eh? Annuisco, mentendo più a me stessa, che a lei.
Ian, apre la porta, dandomi la precedenza, mentre mi infilo la giacca in pelle.
Mi indica una Chevrolet parcheggiata in fondo al vialetto, e con estrema delusione, scopro che non ci sarà il contatto, ancora tanto bramato da parte mia, che avremmo avuto in moto.
Mi sistemo sul sedile del passeggero, mentre lui gira la chiave, accendendo la radio, ponendo così ancora più distanza di quanta già ce ne sia.
Durante il tragitto, Ian sembra non avere intenzione di spiccicare una parola, come se non mi dovesse spiegazioni. In effetti, forse non me ne deve, ma io devo saperlo, e non resisto più.
«Posso sapere che ti prende?», mi esce dopo essermi fatta tanta forza, continuando ad osservare fuori dal finestrino, evitando un contatto diretto con i suoi occhi spiazzanti.
«Proprio niente...», mente, mordendosi il labbro inferiore. E' agitato, ma tenta di celare il tutto.
«Bugiardo», dico, cercando di sembrare sicura di me, ma la voce strozzata mi tradisce... Sono sul punto di piangere, se non di esplodere.
Lui sembra accorgersene, ma non cambia la sua rigidità.
«Anthea... Non possiamo continuare così...», stringe saldamente il volante.
Mi volto con uno sguardo che spero sia in grado di incenerirlo. Era questo che doveva dirmi? Che non mi vuole? Che non mi desidera? Perchè mente?
Non sono stupida, e sono ancora in possesso di un briciolo di dignità da capire che non mento a me stessa, quando percepisco i sentimenti che lui prova.
Allora perchè, ora, mi dice questo?
Ecco di nuovo che la straziante sensazione di nausea mi sconvolge lo stomaco. La gola serrata, gli occhi che prendono a inumidirsi, le dita che fremono dalla rabbia, dalla delusione.
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