Capitolo 17
Ethan mi prende in disparte, come se non volesse coinvolgere Ian in quello che sta per dirmi.
Tuttavia, Ian ci fissa indispettito, e capisco che sentirà tutto.
Non ci capisco più niente.
«Volete dirmi cosa succede?», la mia voce si incrina. Non so cosa aspettarmi...
«Premetto che non sono più quello di una volta.»
Uno sbuffo di risata esce dalla bocca di Ian. Cerco di ignorarlo, mentre Ethan mi allontana ancora di più tirandomi per il braccio. Che vuol dire? Cosa ha combinato?
«Tempo fa... ecco...» inizia. «Diciamo che le mie abitudini non erano poi il massimo. Aspettavo il weekend per uscire alle feste più distruttive, e... beh, bere, bere molto. Delle ragazze non mi importava nulla, facevamo sfide in gruppo durante la serata, scommesse su chi riuscisse a baciarne in quantità maggiori, e nei casi più rari su chi riuscisse a portarsene a letto di più.»
Capisco che si sta imbarazzando dalle sue guance completamente paonazze, lo sguardo basso, le mani tremanti. Io non oso credere a quello che ha detto, non oso immaginare che l'Ethan tanto premuroso e cordiale nei miei confronti sia stato... questo. Per un istante temo che la nostra "frequentazione", se così si può definire, sia una finzione. Ma non credo possa arrivare a tanto. Non ho idea di cosa replicare, ma lui prosegue il discorso, non lasciandomi nemmeno il tempo di scandire due parole.
«Ecco... una sera, ad una delle feste di Travis, è toccato a Megan.»
Capisco solo ora il collegamento con Ian, quando al nome della ragazza sfreccia un pugno contro l'armadietto di qualcuno, non so esattamente di chi.
«Megan?» domando, bisognosa di più informazioni.
Si intromette Ian, furioso.
«Sì, Megan. Mia sorella Megan.»
L'ira gli si legge negli occhi, capisco che cerca però di trattenersi dal commettere qualcosa di cui potrebbe pentirsi, di nuovo.
«Questo stronzo, dopo averla fatta ubriacare come un'alcolizzata, ha deciso di portarsela a letto, per una stupida sfida, per giunta. Deve essersi vantato molto, coi suoi amichetti del cazzo.
E non è finita qui, dopodichè il tuo bel principino» dice rivolgendosi a me «ha deciso di farla guidare per il tragitto verso casa, dopo averla fatta bere all'impazzata, ed è andata a sbattere contro una macchina».Non riesco a distogliere il mio sguardo inorridito da Ethan, che fissa il vuoto, consapevole di non poter controbattere. Non posso credere a quel che sento.
«Oddio.» mi porto le mani alla bocca. «Co... come sta?» mi esce con voce strozzata, spaventata dalla risposta che sto per succedere.
«Beh...» il suo volto si incupisce... «è stata in coma per un paio di mesi, ma quel che è peggio è che...»
Ethan non ne può più... «Basta cazzo! Pensi che per me sia stato semplice? Credi che non ci pensi ogni giorno che passa? Mi dispiace, non sono più quello che ero». La voce tremante.
Ian diventa paonazzo, sicuramente dalla rabbia. E non mi sbaglio, dal momento che lo afferra per l'orlo della polo e lo fa sbattere contro l'armadietto, sollevando un boato tra tutta la folla, che ormai ci fissa.
«Ti dispiace? Ti dispiace?», ride, ma ovviamente non è divertito. «Come pensi sia stata lei, invece? Un uomo, un padre di famiglia è morto... Per colpa tua. Non si è ancora ripresa del tutto, testa di cazzo. E' dovuta fuggire da questa città, per via dei sensi di colpa, che dovrebbero essere tuoi. Lei si trasferisce lontano, mentre tu ancora passi i weekend nelle case strafighe dei tuoi amici figli di papà. Devi solo vergognarti.»
Non so cosa fare, non so nemmeno perchè mi trovo qui, e mi domando perchè io abbia insistito tanto nel conoscere ciò che stava dietro questo astio.
Il pugno di Ian allenta la presa, e sospiro di sollievo. Dopo un'occhiata carica d'odio si allontana, e sento un irrefrenabile bisogno di seguirlo. La folla, incredula, si allontana mentre lui si fa strada nel corridoio.
Una voce che non riconosco più mi chiama. «Anthea... sul serio. Non sono più chi ero prima.»
Mi volto per un istante, percepisco la mia espressione sconvolta, ma pur sempre mortificata, e mi sorprendo a continuare a seguire Ian, fuori dalla scuola.
Una volta superata la porta vetrata di ingresso, mi sento decisamente meglio. L'aria soffocante dovuta a tutte quelle confessioni in un colpo solo e l'oppressione degli studenti curiosi se ne va, lasciando spazio a una ventata di aria fresca, che, purtroppo o per fortuna, mi riporta alla realtà.
Ian si fa strada tra gli ultimi ritardatari che corrono verso l'ingresso, allontanandosi a passo spedito. E mi chiedo cosa fare. Non mi va di saltare le lezioni, ma non mi va nemmeno di lasciare la questione in sospeso con Ian. Non voglio lasciarlo solo, ora che so cosa lui e la sua famiglia ha dovuto passare. Rabbrividisco immaginandomi la sorella e tutta la sua storia.
Lo rincorro, e lo fermo afferrandogli il polso. Lui, ovviamente, si dimena, ma si volta.
«Lasciami stare». Non sta urlando, eppure il suo tono di voce mi fa sobbalzare, dalla paura, dalla delusione, non lo so... In un'altra situazione non me lo sarei fatta ripetere due volte, orgogliosa come sono, ma in questo caso... Beh, so che a parlare è la sua rabbia. Faccio cenno di no con la testa...
«Fa come ti pare», e continua a camminare, in silenzio, stringendo i pugni, e allentandoli leggermente solo dopo una dozzina di minuti.
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