6 | THESE HEELS ARE MADE FOR WALKING


<<Sarei tornata dentro a prenderlo>> commenta stizzita Vittoria, afferrando il bavaro del cappotto e sistemandolo meglio sulle spalle mentre Archie la affianca.

<<Ti prego, smettila di ringraziarmi, così esageri>> la prende invece in giro lui, dondolando leggermente sui talloni.

La ragazza fa una smorfia scocciata.
Si guarda attorno, assicurandosi che le acque siano calme, che non ci sia nessun'altra ragione per lei di essere lì in quel momento, dopo di che comincia a camminare verso casa.

È la stessa distanza che copre ogni giorno per andare a lavoro, un chilometro scarso, troppo poco per giustificare la chiamata di un taxi e sopratutto per sacrificare la vista di Londra di notte. Sulle sponde del fiume, che deve attraversare per arrivare nella sua bella southwark, c'è sempre un'atmosfera magica con il buio.

Non è l'unica però a mettersi in marcia.

<<Che fai?>> le domanda infatti Archie, alle sue spalle.

<<Vado a casa>> sbuffa Vittoria, facendo un gesto con la mano senza girarsi.

Se pensava che questo sarebbe bastato per allontanare il ragazzo, si sbagliava alla grande.

<<Sei in macchina?>> continua lui, infatti. I suoi passi sono leggeri, probabilmente neanche si accorgerebbe della sua presenza se non fosse per le catene appese al pantalone che stridono scontrandosi tra loro.

Vittoria è sicura che per lui, quel modo di vestirsi, sia uno street wear d'alta moda. A suo parere dovrebbe però rivedere qualche fondamento del buon gusto.

<<Oh no, a piedi>> si decide a rispondere, nonostante avesse pensato di rimanere in silenzio e continuare a camminare.

Cosa che invece fa lui, affiancandola e passeggiandole accanto con le mani affondate nelle tasche e lo sguardo basso.
Quando prova a guardarlo con la coda dell'occhio potrebbe giurare di trovare un sorrisino beffardo sul suo viso.

<<Cosa stai facendo?>> gli domanda dopo minuti di silenzio, con un che di disperato nella voce.

<<Ti accompagno a casa>> afferma lui con tranquillità, come se fosse una cosa ovvia, come se l'avesse fatto centinaia di volte prima di quella sera <<In realtà avremmo potuto prendere la macchina, era nel parcheggio del locale, ma se te l'avessi proposto avresti detto di no. O magari avresti preso un volo per l'Italia>> aggiunge, non risparmiandosi l'efficace frecciatina.

<<Archie, non hai forse pensato che se ti rifiuto è perchè non voglio la tua compagnia?>> cerca di spiegargli lei, accelerando il passo per quanto i tacchi glie lo permettano. Per lui, con le sue belle sneakers, raggiungerla non è  un problema.

<<Ti rifiuti solo perchè non mi conosci>> puntualizza, girandosi a guardarla e reagendo al suo fastidio con un sorriso ora spudorato <<E comunque facciamo passi avanti>>

Vittoria ricambia il suo sguardo con un sopracciglio alzato, non capendo a cosa si riferisca. Sono soli sul marciapiede tra le eleganti strade della city mentre davanti a loro comincia ad intravedersi la sponda del fiume e Londra con i suoi suoni e le sue luci li ingloba e li inghiotte, rendendoli parte di un disegno molto più grande. Un disegno al quale non importa chi sono Vittoria Sperti e Archie Davidson, come si conoscono, perchè sono insieme, né se sia giusto o sbagliato.

Sono solo due puntini che camminano fianco a fianco, in realtà abbastanza divertiti della reciproca presenza.

<<Mi hai chiamato Archie>> le fa notare il ragazzo, allungando le labbra fino a mostrare la fila di denti bianchi con un piccolo spazietto tra gli incisivi. Vittoria non l'aveva mai notato, probabilmente perchè Archie non è tipo da sorrisi così aperti <<Anche se Mr. Davidson era piuttosto sexy, posso farmi andar bene anche Archie>>

<<Credo che smetterò di chiamarti allora>> commenta Vittoria, scuotendo la testa e mantenendo un tono risoluto.

<<Perchè? Avevi intenzione di chiamarmi?>> controbatte subito lui, decisamente meno sostenuto di lei e con un ghigno sul viso da manuale.

La ragazza proprio non ce la fa a trattenersi, così dalle labbra le esce un suono abbastanza imbarazzante tra una risata e uno sbuffo. Piegandosi leggermente in avanti nel mentre, il cappotto che teneva ancora poggiato sulle spalle le scivola di dosso.  Archie riesce ad afferrarlo al volo, poi si ferma al centro del marciapiede e le fa segno di avvicinarsi.

<<Cos'è? Una frase che usavi per rimorchiare quando al liceo eri il re del ballo?>> lo prende in giro lei, senza riuscire a togliersi dal viso l'ombra di una risata. Si fa davvero più vicina però, e lascia che lui la aiuti ad infilare bene il cappotto scuro. E' uno di quei gesti che le sono sempre piaciuti quindi non se ne lamenta, neanche quando con la mano Archie le aggiusta i capelli, attorcigliandoseli tra le dita e lasciandoli poi andare sulla schiena ora coperta dalla stoffa blu e pesante.

<<Oh no, al liceo ero brutto e sfigato. Le frasi da rimorchio ho dovuto impararle in fretta quando sono diventato ricco e famoso, anche se generalmente queste ultime due cose bastano>> risponde con leggerezza, mente lei gli lancia un'occhiata divertita.

Lui riprende a camminare senza nemmeno conoscere la direzione, questa volta un po' più vicino, un po' più sfacciato.

<<Sei sempre così impostata, sull'attenti>> si azzarda persino a dire, senza pensarci <<Ma ti diverti mai?>>

Vittoria alza gli occhi al cielo prima di tornare nuovamente a fissare il volto di Archie,  in cagnesco. In questo modo però probabilmente avvalorerebbe solo la sua tesi, quindi con uno sbuffo cerca di rilassare l'espressione, infila le mani nelle tasche del cappotto e scrolla le spalle.

<<Questa è una cosa che voi sportivi non capite mai>> risponde, facendo mente locale <<Anche se per vivere non facciamo qualcosa di divertente come guidare una macchina, o rincorrere un pallone, non significa che non ci divertiamo>>

Sono arrivati ormai davanti al ponte, ma anziché prenderlo Archie le fa segno di seguirlo lungo la sponda del Tamigi, indicando il Millennium Bridge a qualche metro di distanza.

Vittoria decide di non opporsi, non sia mai non fare un ponte potesse essere visto come sintomo di incapacità al divertimento.

<<È venerdì sera e indossi un completo seriosissimo, cosa che probabilmente fai tutto il giorno, tutti i giorni>> le fa notare, mentre con la mano accarezza il muro di pietra che costeggia il fiume <<Non fraintendermi, ha un certo fascino, ma non senti mai il bisogno di staccare?>>

<<Stiamo ancora parlando di me, o cerchi di dirmi qualcosa di te?>> rilancia lei, aguzzando lo sguardo che si illumina mentre passano accanto ad un vecchio lampione. Archie questa volta rimane a guardare davanti a sè, facendo una smorfia che dona un'aria quasi stanca al viso dai lineamenti dolci. Scrolla le spalle e Vittoria si rende conto di aver fatto centro, ma per qualche motivo ci tiene ad alleggerire nuovamente l'aria <<E comunque anche io a volte ho bisogno di staccare. Pensa che prima di venire da voi ero ad un concerto indie e mi sono addirittura tolta la giacca>> scherza, cambiando del tutto registro. Spalanca gli occhi e aspetta che lui ricambi il suo sguardo per sorridergli con fare divertito, e quando lo fa, lui non riesce a trattenere un'espressione sorpresa.

<<E non ti hanno radiato per questa follia? Pazzesco>> domanda stando al gioco, scuotendo platealmente la testa <<Che poi quello che è veramente sexy con la divisa in realtà sono io. Dovresti venire a vedermi in pista qualche volta. Nessuna donna potrebbe resistermi quando indosso quella puzzolente tuta bianca, neanche tu>>

Vittoria lascia andare una risata leggera, divertita dall'espressione di Archie in quel momento, dalla sua frase. Non le sembrava qualcuno capace di usare aggettivi dispregiativi per sé stesso, motivo per il quale il tutto sembra meritare almeno una risata.

<<Il tuo essere sexy è l'ultimo dei nostri problemi>> commenta lanciandogli un'occhiata di traverso, chiedendosi poi se non fosse un po' inopportuna come frase. O meglio, se potesse lasciare spazio a fraintendimenti che davvero non vorrebbe creare.

Poi i loro occhi si agganciano. Quelli scuri e profondi di lui in quelli improvvisamente più grandi e più chiari di lei, e viceversa.

E quello, per Vittoria, è il segnale per accelerare il passo.

<<Non farlo, no>> le dice Archie, balzando in avanti quando lei lo stacca di qualche centimetro. Sono sul ponte ora, uno dei posti più magici di Londra. C'è la cattedrale di St. Paul alle loro spalle platealmente illuminata, e alla fine della lunga passerella d'acciaio si trova la sponda Sud del Tamigi, con le sue lucine, e gli artisti di strada. E' il piccolo punto felice di Vittoria, quello, e non è giusto per lei trovarsi lì con Archie, scherzare con lui come se non fossero persone che non dovrebbero neanche rivolgersi la parola per plurimi motivi.

<<Tutto ciò è bello>> cerca di convincerla lui, afferrandole il polso per non farla scappare <<Non chiudermi fuori di nuovo>>

<<Di nuovo?>> domanda sarcasticamente la ragazza, tirando via il braccio dalla sua stretta e mettendo su l'espressione che la contraddistingue, con il labbro leggermente sollevato e le narici strette. La faccia dello sdegno. <<Credi che queste sue chiacchiere cambino qualcosa?>>

<<Io ne farei volentieri molte di più>> controbatte, scansando il suo attacco e guardandola piuttosto con fare innocente, come se effettivamente la colpa fosse la sua.

La colpa però non è di nessuno.

E' a priori il problema. Non devono aprirsi l'uno con l'altro, né passeggiare, né scherzare. Non facendo nessuna di queste cose, nessuno potrebbe rimanerci male.

<<Buonanotte, Mr. Davidson>> dice Vittoria, abbozzando un lieve sorriso sulle labbra rosee e guardandolo un'ultima volta prima di girarsi e riprendere a camminare sul ponte, accompagnata ora solo dal rumore dei suoi tacchi.

La passeggiata è piacevole anche da soli, anzi, la maggior parte delle volte per Vittoria è meglio così. Prendendo il Millenium Bridge ha allungato un po', ma non le dispiace camminare nonostante il freddo e i tacchi, entrambe cose alle quali è ormai abituata. Non pensa a niente, si guarda attorno e questo basta a farla sentire bene.

Ha sé stessa, ed è nel suo posto preferito.

Non serve altro.

Quando passa davanti ad un piccolo gelataio italiano pensa però ad un'altra persona. Così si ferma e chiede una vaschetta di gelato alla stracciatella, il ragazzo al banco la accontenta nonostante stessero chiudendo.

Pochi minuti dopo è a casa.

Clarice deve essere arrivata da poco, la babysitter sta raccogliendo le sue cose ed è in procinto di andarsene. Vittoria la saluta e dopo essersi sfilata il cappotto si dirige direttamente in cucina, dove poggia la vaschetta cilindrica sul tavolo e aspetta l'arrivo della sua coinquilina.

<<Dobbiamo parlare>> dice non appena la bruna varca l'ingresso della cucina.

Quest'ultima alza un sopracciglio, ma sorride quando intravede il suo gusto di gelato preferito. Qualsiasi cosa sia è risolvibile affondando il cucchiaio lì dentro, è questo il messaggio.

E' di Archie Davidson che parlano, della loro passeggiata, del caffè che lui voleva prendere con lei pochi giorni prima. Vittoria le racconta tutto, per filo e per segno, consapevole di ferirla ma fermamente certa che sia meglio essere sempre sinceri piuttosto che tenersi cose, dentro, che con il tempo potrebbero fare più male. Parla piano, sottovoce, e Clarice la ascolta con le labbra strette e gli occhi bassi.

<<Se non ci fosse tutta questa situazione... insomma, se non ci fossi stata di mezzo io, e il divorzio di sua moglie, tu...>> mormora alla fine lei, senza sapere cos'altro dire.

Vittoria allunga le dita verso la sua mano poggiata sul tavolo e la stringe leggermente.

<<Ho tutto sotto controllo>> le risponde, sorridendo con fare affettuoso verso la sua migliore amica.

Che poi è una non risposta, ma è la cosa importante.

Finchè avrà tutto sotto controllo, nessuno si farà del male.

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