21 | ISTINTI






<<Hai aperto la busta senza di me? E Jennifer non è pazza? Lo sapevo>> afferma Clarice dall'altra parte del telefono, alzando il tono di un'ottava e aggiungendo esclamazioni a vanvera <<Lo sapevo!>>

<<Non ho aperto la busta, in realtà. Non ho letto la relazione>> mormora Vittoria, continuando ad osservare la carta bianca tra le sue mani. Non se n'era accorta prima, ma un po' le tremano <<E non credo di volerla aprire ora>>

<<Questa è la cosa stupida che vuoi che ti impedisca di fare?>> domanda allora l'altra, leggermente sorpresa <<E' stupida in effetti. Io non passerei un altro secondo senza la certezza della pazzia di quella stronza>>

<<Non voglio aprirla, perchè mi fido di lui>> risponde la ragazza, catturando nel mentre il riflesso nello specchio appeso sul muro davanti a lei. I tanti giorni passati fuori casa e la tensione degli ultimi tempi le hanno scavato leggermente il viso, gli occhi sono contornati da occhiaie violacee a contrasto con la pelle pallida, eppure quella folle idea glie li fa brillare. <<Voglio dirglielo. E' questa l'idea stupida. Voglio andare da lui e dirgli che gli credo, anche senza leggere un'inutile perizia>>

<<E hai chiamato me per impedirtelo?>> esclama Clarice, sarcastica <<Hai davvero voglia di farla questa cosa>>

Una mezza risata accompagna le sue ultime parole, cosa che fa levare al cielo gli occhi di Vittoria.

<<Devi essere obiettiva, so che puoi esserlo. Sii obiettiva e dimmi di non andare da Archie, che è un errore, che domani me ne pentirei>>

<<Non posso, Vi>> dice Clarice, tranquilla. Nel frattempo ai rumori di sottofondo si aggiunge la vocina di Emma e la ragazza lascia perdere la conversazione con Vittoria giusto il tempo di chiuderle il giubottino, caricarsi il borsone in spalla e lasciare la scuola di danza. <<Davvero non posso, andrei contro i miei ideali. L'amore vince su tutto e cazzate del genere non valgono solo per me, sarei un'ipocrita se ti dicessi di non crederci>>

Qualcosa che assomiglia tanto ad un grugnito vien fuori dalle labbra di Vittoria.

Batte un piede per terra, improvvisamente nervosa.

E' consapevole del fatto che, anche se Clarice le dicesse di non farlo, lei probabilmente correrebbe comunque da Archie, eppure ha bisogno di sentirsi dire che sarebbe un errore.

<<E se mi stessi sbagliando?>> continua, sperando di ricevere finalmente l'ammonimento che cerca <<Cosa succederà domani? Con che faccia guarderò Jennifer? Cosa ne sarà della mia credibilità>>

<<Concediti di sbagliare, Vi>> è invece la risposta di Clarice, perentoria. Un brivido sale lungo la schiena di Vittoria che continua a guardare il suo riflesso, a specchiarsi nella sua improvvisa e quasi sconosciuta fragilità <<Chi se ne frega di domani. Va' da Archie e se pure dovesse essere sbagliato, sbaglia. Non ti serve un motivo, non ragionare affatto. Poi troveremo un modo di uscirne insieme, però ora fa' questa cazzata>>

<<Ti odio>> mormora Vittoria.

Ondeggia sulle punte. Stringe i pugni e li rilascia per un paio di volte. Ogni parte del suo corpo formicola, ogni centimetro di pelle sembra reattivo a qualsiasi stimolo esterno.

<<Sei ancora a casa? Muoviti, esci>> esclama la voce nel telefono.

E Vittoria, seguendo il consiglio Clarice e non pensando più a niente, lascia la valigia nell'ingresso ed esce di casa solo pochi minuti dopo esserci rientrata, senza curarsi dei vestiti sporchi del viaggio o della faccia stanca o dei capelli in disordine. Porta solo se stessa e il peso delle tante parole che vorrebbe dire ad Archie  e la busta chiusa con il referto dello psicologo. Per la prima volta non riesce a costruire un discorso sensato nella sua testa, non riesce a fare una scaletta, un ordine logico, tutte cose che di solito le vengono naturali quando sa di dover parlare con una certa serietà. Invece con Archie dovrà totalmente improvvisare, e non sa se questo renderà le sue scuse più veritiere o solo un incasinato ammasso di pensieri che poi non sa spiegarsi neanche lei.

Che poi anche l'idea stessa di presentarsi a casa sua le sembra stupida, per quanto ne sa potrebbe essere nel Principato, o in giro a godersi la sua libertà, o ancora peggio avere ospiti, al tempo stesso sente di aver bisogno di un grande gesto per poter portare avanti questa storia. Un messaggio, una chiamata, non avrebbero lo stesso effetto.

Deve attraversare il Tamigi e mezza Londra per arrivare a casa di Archie. Nonostante la temperatura mite di quella serata brividi di freddo la scuotono durante tutto il percorso, un po' a causa della stanchezza e un po' dell'eccitazione del momento. Più si avvicina alla meta, più quei brividi vengono accompagnati da un'instancabile batticuore e una leggera sensazione di nausea. Vittoria sente quasi come se il suo corpo stesse rigettando l'idea di ciò che ha in mente di fare.

Tutta la foga del momento, però, scema lentamente mentre passeggiando affannosamente lungo strada sulla quale è sicura si trovi casa di Archie, con Oxford Circus alle sue spalle, si rende conto di non ricordare assolutamente quale sia il portone giusto. Una risata isterica sfugge dalle sue labbra mentre, stringendosi nella giacca, cammina a casaccio sul marciapiede.

Di certo non si aspettava che sarebbe stato facile, ma così le sembra eccessivamente arduo. Cosa dovrebbe fare? Mettersi a leggere tutti i nomi sui luminosi citofoni lungo la strada? Si azzarda addirittura a farlo, con il primo palazzo che incontra. Almeno finchè non si sente troppo stupida per continuare.

Non saprebbe ridire dopo quanti altri minuti di vagabondaggio decide di mollare, ma lo fa. Si impone di lasciar perdere, di tornare indietro.

Appena prima di vedere Archie attraversare la strada.

Ad un centinaio di metri da lei un ragazzo con la pelle scura e una maglia arancione raggiunge il suo stesso marciapiede, prima di sparire in una rientranza tra due palazzi.

<<Archie>> lo chiama a gran voce Vittoria, cominciando a camminare frettolosamente verso di lui.

E' buio e per quanto riesce a vedere potrebbe non essere davvero lui, ma in quel momento sente il bisogno quasi estremo di credere che quello sia proprio Archie in procinto di tornare a casa e di ascoltare tutte le scuse e le ragioni che portano Vittoria lì.

Il ragazzo però non si gira a quel richiamo e quando lei riesce finalmente a raggiungere la rientranza verso la quale era diretto lui è già scomparso. Ci sono due portoni lì, uno di fianco all'altro, ed uno di questi le risulta dannatamente familiare.

Si costringe a provare un'ultima volta a cercare il suo nome sul citofono, solo una.

Il tassello con su scritto Davidson, retroilluminato da una luce fredda, le appare davanti agli occhi dopo qualche minuto di ricerca tra le decine di nomi incolonnati.

Senza pensarci compone il numero di chiamata sul tastierino lì accanto, consapevole che se quello di prima fosse stato davvero Archie a quel punto sarebbe già arrivato su a casa, in tempo per risponderle. La terra sotto i piedi sembra tremare mentre la lucina della videocamera si illumina ed il citofono comincia a squillare.

<<Andiamo>> mormora tra sé e sé, gli occhi puntati dritti nell'obiettivo <<Apri>>

Vittoria si accorge di star trattenendo il respiro solo quando la luce si spegne e il mero sbalzo di luminosità le fa girare la testa, accompagnato dall'idea che Archie sia a qualche piano da lei, dall'altra parte di quell'obiettivo, e abbia deciso di non risponderle.

Dopo essere arrivata fin lì però e dopo tutta quella scenata per trovare il palazzo giusto non si può certo fermare davanti a quel misero rifiuto, piuttosto preferirebbe far suonare quel dannato citofono per tutta la notte.

Ricompone il numero quindi e cerca di raggiungere nuovamente casa di Archie.

<<Lo so che sei lì>> esclama alla telecamera illuminata, puntandogli persino un dito contro <<E forse capisco anche che tu non voglia aprirmi, però ho bisogno che tu mi dia la possibilità di guardarti in faccia e sentirmi dire ancora una volta che tu non hai fatto niente>>

Un passante si gira a guardarla, stranito, ma oltre questo la strada è sgombra.

Così prende un respiro e decide di continuare.

<<Perchè questa volta Archie, se me lo ridirai, questa volta ti crederò>> afferma quasi con rassegnazione <<E non ho aperto la busta della perizia, voglio crederti e basta. Ho sbagliato tutto con te, tutto>>

Eppure, nonostante Vittoria senta di star parlando con il cuore in mano, la luce del citofono si spegne nuovamente e il portone rimane chiuso. La parte di se che riesce ancora a ragionare cerca di suggerirle che Archie potrebbe davvero non essere in casa, eppure non riesce a convincersene. E' più forte il pensiero, amaro, che Archie sia lì a vedere quella scena e semplicemente abbia deciso di non aprire. Non avrebbe tutti i torti poi, lui infondo ci ha sempre provato a farsi conoscere da Vittoria, a farle capire le proprie ragioni, la sua parte della storia, ma lei l'ha sempre chiuso fuori, metaforicamente.

Questa volta, lui le sta semplicemente restituendo il favore. Letteralmente.

Riprova.

<<Lo so che me lo merito, stare qui a penare sarà come una rivincita per te, ma dannazione non credi che di dramma ne abbiamo già avuto abbastanza? Fammi salire. Ho solo bisogno di sentirmi dire ciò che già so, dopo di che potremo finalmente goderci un piccolo sprazzo di calma tutto nostro prima che ci si abbatta contro la tempesta>>

Di nuovo, nessuna risposta.

La ragazza inspira profondamente e chiude gli occhi, stringendo la dita sulla radice del naso alla ricerca di una calma che sembra averla abbandonata totalmente. Piuttosto vorrebbe sbattere la testa lì, contro il citofono, pensando all'umiliazione alla quale si è appena sottoposta. Salva il suo bel viso però e lascia che sia il palmo della mano a colpire violentemente il muro, cosa che subito dopo le fa salire alle labbra una risata isterica. Era proprio per un pugno contro la parete che Archie aveva rischiato una denuncia per violenza domestica, per la stessa cosa che lei aveva appena fatto così, senza pensarci. Solo che lui aveva lasciato una traccia del suo passaggio e qualcuno aveva deciso di approfittarsene, mentre lei è lì, in mezzo alla strada ed in compagnia solo del suo sconforto.

Poi il telefono comincia a squillare.

Vittoria fa cadere la busta del referto dallo spavento e si mette a cercare il cellulare dopo averla raccolta, rimanendo leggermente delusa dalla vista del numero della sua coinquilina.

<<Una parte di me sperava che non rispondessi al telefono, avrebbe significato che eri impegnata a fare altro>> esordisce Clarice, con una finta leggerezza tradita da un tono di voce troppo alto <<E' andata così male?>>

<<Mi sono confessata ad un citofono, devo dire che è stato emozionante. Molto più che con certi esseri umani>> risponde Vittoria, mettendosi a scalciare fiori secchi abbandonati sul marciapiede pur di intrattenersi con qualcosa <<Ma non sono stata brava abbastanza da convincere la persona dall'altra parte ad aprire>>

<<Ma sei sicura che fosse a casa?>> domanda l'altra, mentre dietro di lei si sente il familiare rumore del portone di casa che si chiude <<E comunque non sarei sorpresa se avesse deciso di non aprire, immagino che schifo di discorso ispirato gli avrai fatto. Non sei tagliata per questo. Mi immagino una roba tipo "mi piaci ma ti distruggerò, aprimi stronzo". Non funziona così con le dichiarazioni, Vi>>

<<Mi è sembrato di vederlo rientrare, però non saprei>> afferma la ragazza, alzando lo sguardo verso le finestre del palazzo e provando a cercare una familiare vetrata illuminata, o qualcuno affacciato a guardare giù <<E comunque ho fatto un bel discorso, bilanciato, diretto, ti sarebbe piaciuto>>

<<E quindi ora, che si fa?>>

<<Torno a casa, con la coda tra le gambe>>

<<A questo proposito, Alex mi ha chiesto se mi andasse di mangiare qualcosa con lui sta sera. Io gli avevo detto di no, ma visto che...>> comincia Clarice, mentre Vittoria già riesce ad immaginare ciò che le chiederà. Nemmeno la sfacciataggine della sua migliore amica, però, è abbastanza per concludere il preambolo, così taglia corto e mormora un <<Potresti...>>

<<Certo, la tengo io Emma. Sarò a casa tra un po'>> afferma Vittoria. Nel frattempo, un avviso di chiamata disturba la conversazione. <<Devo chiudere, a dopo>>

Non era pronta però a leggere Archie Davidson sullo schermo non appena mette giù con Clarice.

Sente un tonfo nel petto mentre comincia a guardarsi attorno, pensando che quella non può essere solo una coincidenza. Per strada è sola però e persino dietro tutte quelle finestre che si ritrova davanti non sembra esserci nessuno a curarsi di lei.

Alla fine, presa dal panico, non fa neanche in tempo a premere il bollino verde sul telefono.

Si ritrova davanti al suo sfondo con una notifica di chiamata persa e mentre la guarda decide che non sarà lei a richiamarlo, che si è già umiliata troppo per una vita intera.

Poi però il cellulare riprende a squillare.

<<Che vuoi?>> esclama Vittoria, portando frettolosamente il telefono all'orecchio e girandosi di scatto, ancora convinta della presenza di Archie nelle vicinanze.

<<Giuro che avrei voluto chiamarti e interrompere quello strazio, ma ho pensato di dover approfittare del momento e sentire cosa avevi da dirmi>> dice Archie dall'altro capo dell'apparecchio, con una voce piuttosto divertita.

<<Avresti potuto aprirmi anziché lasciarmi qui fuori come un'idiota>> controbatte la ragazza, stizzita. Ha una voglia matta di ritrovarselo davanti e metter su una scenata, invece è costretta a trattenersi senza sapere dov'è, se la sta guardando in quel momento.

La parte peggiore di tutto ciò, però, è che sentire il suo tono leggero un po' la fa sentire meglio. Il che, conseguentemente, la fa apparire ancora di più una stupida.

<<Avrei potuto aprirti>> afferma lui, con un tono che quasi dipinge la sua espressione dietro le palpebre di Vittoria. Un sorrisino soddisfatto e divertito, l'aria di chi l'ha avuta vinta. <<Però non sono a casa>>

<<Sappi che se ti stai godendo la scena da dietro una macchina, nascosto nel buio, mi rimangio tutto e vado a denunciarti una volta per tutte>> esclama Vittoria, consapevole forse dell'inopportunità di quella battutina di cui però aveva bisogno per ristabilire i soliti equilibri. Lei, la cattiva. Archie, il sentimentale.

<<Sai in questo mondo che presto verrà governato dalle macchine hanno inventato un aggeggio che non avevo mai considerato troppo utile, fino ad ora>> le risponde Archie. In sottofondo, Vittoria potrebbe giurare di aver sentito anche un'altra risata. <<Incredibilmente ho la telecamera del citofono collegata ad un'app qui sul mio telefono, mi sono goduto lo spettacolo come fosse la puntata di qualche serie su Netflix>>

Vittoria boccheggia, fermandosi al centro del marciapiede e smettendo finalmente di cercarlo nei dintorni.

<<Sai credo anche che sia registrato da qualche parte, potrò rivederlo quando voglio e ...>> continua lui, finchè un verso simile ad un grugnito non fuoriesce dalle labbra della ragazza appena prima di gridare <<Archie!>> in preda al nervoso e visibilmente scossa da quella pubblica umiliazione.

<<Sei ancora sotto casa?>> domanda lui però, lasciando perdere quel modo di fare divertito per sostituirlo con un tono di voce improvvisamente morbido, dolce <<Io sono in macchina con Nicky, ti passo a prendere e ci andiamo a mangiare una cosa tutti insieme?>>

<<Ciao Vi>> esclama una vocina conosciuta, ed ecco che Vittoria si spiega quell'accenno di risata che credeva di aver sentito.

<<Ciao Nicky>> mormora la ragazza, concentrandosi sull'idea del bambino in ascolto per calmarsi e farsi passare la voglia di prendere Archie a parolacce. In più, per quanto dopo l'accaduto non desidererebbe altro che poterlo vedere dal vivo, si ricorda dell'impegno ormai preso per quella sera. <<Devo tornare a casa, la mia coinquilina mi ha chiesto di tenere Emma>>

Nel successivo attimo di silenzio, poi, pensa una cosa che a primo acchito le pare totalmente folle. Eppure si butta.

<<Volete venire da me?>>

Non crede neanche lei alle sue parole, tanto che si batte una mano contro la fronte cercando di non fare rumore e mima un "ma come ti viene?" al proprio riflesso sul vetro di un portone in modo piuttosto teatrale.

<<Nicky può giocare con Emma e noi possiamo parlare e posso rifare i french toast>> sente il bisogno di aggiungere, straparlando e cominciando a camminare verso la metro per tenersi occupata prima di cominciare a dare di matto.

<<Passo a prenderti comunque>> afferma lui, mentre Nicholas domanda <<chi è Emma?>>.

<<No, no, ci vediamo da me. Sto già andando a prendere la metro>> risponde Vittoria, che dalla fermata è in realtà ben lontana e per questo comincia a correre. Di certo non può permettersi che Clarice ed Archie si incontrino, quindi deve arrivare a casa prima di lui. <<Ricordi dov'è?>> domanda cercando di dissimulare il respiro pesante.

<<Sì, sì, a dopo>> dice Archie prima di chiudere la chiamata.

Da lì in poi la testa di Vittoria diventa una matassa confusa di pensieri, domande, che non riesce mai davvero a mettere da parte, neanche quando torna a casa da Emma e Clarice che non vede da più di dieci giorni.

<<Sono in ritardissimo>> annuncia la sua migliore amica non appena si incrociano nel salone, Emma nel frattempo le è già saltata in braccio <<Lascio a dopo i convenevoli, ma sappi che mi sei mancata e non puoi sparire così, la mia vita è noiosa quando non ci sei>> dice Clarice, coinvolgendo le altre due donne di casa in un frettoloso abbraccio. <<Come sto?>>

<<Da quando mi chiedi come stai per uscire con Alex?>> domanda curiosa Vittoria, facendo un passo indietro per guardarla meglio e trattenendo la bimba contro il suo petto. Nel frattempo, nonostante gli sviluppi tra i suoi due migliori amici siano una delle cose che più la interessano la mondo, non riesce al trattenersi dal cambiare di scorso ed esclamare <<Archie e suo figlio stanno venendo qui>>

<<Oh, cazzo>> quasi grida Clarice, portandosi subito dopo una mano alla bocca e sporcandosi conseguentemente le dita con il rossetto rosso appena steso.

<<Mamma, non si dice cazzo>> la riprende Emma, ridacchiando divertita contro la spalla di Vittoria. Quest'ultima si lascia andare in un'espressione innocente, mostrando quanto quella situazione abbia preso il sopravvento anche su di lei.

<<Chiudo camera mia a chiave, lì c'è il book di Alex con le ricerche sulla famiglia Davidson. Tu pensa a far sparire le foto dal salotto e mettile sul mio letto>> prende possesso della situazione la bruna, cogliendo al volo l'impossibilità, per Vittoria, di ragionare con freddezza <<Toglile anche da camera tua, che non si sa mai>> aggiunge con fare ammiccante.

Vittoria le fa una boccaccia, lasciando Emma per terra e fiondandosi a raccogliere le cornici disseminate tra le mensole della parete attrezzata del salotto, le polaroid appese al frigorifero e gli album accatastati sotto il tavolino basso davanti al divano.

<<Ah Clary>> la richiama poi, prima di andare in camera sua a lasciare tutte quelle cianfrusaglie. La ragazza sporge la testa oltre la porta del bagno, guardandola incuriosita. <<Stai benissimo>> le dice, rispondendo alla domanda di prima.

La bruna sorride, e la scena sarebbe sicuramente riuscita meglio se non avesse del rossetto rosso sui denti.

Vittoria così scoppia a ridere e prima di sparire in camera di Clarice le fa segno di pulirsi i denti, mentre quest'ultima esclama un <<ah, che schifo>>.

La bionda osserva le proprie mani mentre lasciano cadere le foto sul letto, quasi domandandosi se appartengano davvero a lei, in uno stato d'ansia che non provava da tempo. Si sente strana, su di giri, ma al tempo stesso è convinta che le gambe potrebbero cederle da un momento all'altro. Fa avanti e indietro per casa controllando che non ci siamo tracce del viso di Clarice in giro, poi comincia a tirar fuori gli ingredienti per la cena, tampinata da Emma che osserva curiosa una Vittoria che forse, così nervosa, non aveva visto mai.

Ma se pensava che con l'arrivo di Archie i suoi pensieri si sarebbero placati, che il suo cuore avrebbe ripreso a battere con regolarità, si sbagliava di grosso.

Perché quando apre la porta di casa e se lo ritrova lì davanti, pensa che in tutte quelle notti passate a rimuginare su ciò che era successo tra loro, sull'ipotesi che fosse davvero una persona violenta, sui suoi occhi alla stazione di polizia, sulla sua voce che la pregava di credergli, sulle loro mani strette in quella chiesetta di Southwark, non gli aveva mai reso davvero giustizia.

O forse non aveva mai davvero voluto notarle, certe cose. La piega morbida del suo sorriso, l'attenzione che i suoi occhi le riservano e le ciglia lunghe e scure che li incorniciano, il modo in cui la sua pelle sembra invitarti a sfiorarla.

La sua voce bassa e carezzevole mentre, con una mano sullo stipite della porta e l'altra sulla spalla del bimbo davanti a sé, mormora <<Ciao>>

E forse, ancora, era stato meglio non far caso a tutte quelle cose, perchè ora che il suo campo visivo ne è pieno si chiede come abbia fatto a resistergli tanto a lungo e come farà, quando l'irrazionalità del momento finirà, a lasciarle andare.

<<Ciao, bestia!>> esclama Emma, scivolando davanti a Vittoria sull'uscio della porta e sollevando lo sguardo verso il ragazzo.

<<Emma!>> la riprende subito la ragazza, sentendo un tonfo al cuore e cominciando già a rimpiangere quell'invito. Archie scoppia a ridere subito dopo. <<Ti giuro che per lei è un complimento>> mormora subito Vittoria, mettendo le mani sulle spalle della bambina e portandola con sè verso sinistra, lasciando spazio a sufficienza per far entrare in casa i due ragazzi.

<<Ah quindi ora sarei la bestia? L'ultima volta hai detto che zia Vi mi odiava perché non lo ero>> scherza Archie, allungando le dita fino a farle finire tra i capelli di Emma per poi scompigliarglieli e provando di non aver dimenticato quell'altrettanto imbarazzante momento in cui Emma gli aveva rivelato quale fosse la principessa Disney preferita di Vittoria.   Certo, ora la situazione è peggiorata visto che la piccola pensa che lui sia diventato il suo principe.

La ragazza decide di lasciar perdere e passa a salutare Nicky, il bambino fotocopia del padre che già sembra cresciuto a dismisura dall'ultima volta in cui l'ha visto fuori al tribunale il giorno della prima udienza del caso Davidson. Per un attimo immagina cosa stia passando in questo momento nella sua testa, i problemi dei suoi genitori, le sedute dallo psicologo ma, questa volta per fortuna, Emma si intromette. Di fianco a Vittoria studia attentamente il bambino che ha davanti.

Nicholas, qualche centimetro più basso di lei, la guarda con una leggera diffidenza. Non c'è da biasimarlo considerando che ha appena chiamato suo padre bestia.

Emma ondeggia leggermente sui talloni, sembra particolarmente tenera quella sera con due treccine nei capelli scuri e una maglietta gialla, eppure qualcosa dice a Vittoria che il piccolo Nick non si è lasciato ingannare da quell'aspetto innocente.

<<Nicky, presentati>> lo incita il padre, improvvisamente accanto a Vittoria. Lei sente il braccio di lui quasi sfiorare il suo ma non si gira a guardarlo, fingendo di prestare tutta la sua attenzione ai due bambini.

Non è il maschietto, però, a fare il primo passo. Nicholas è un bambino introverso, timido, tratti che invece decisamente non corrispondono al carattere di Emma che pensa bene, come primo approccio, di mettergli una mano in testa.

<<Mi piacciono i tuoi capelli>> esclama, passando le dita corte nel cespuglio di ricci castani che lui si ritrova. Lui boccheggia per qualche attimo, ma quando sembra essersi deciso a parlare lei decide di girarsi a guardare Vittoria <<Sono venuti per il mercoledì principesse?>>

<<Mercoledì principesse?>> domanda allora Nicholas, che sarà anche un timidone ma probabilmente tiene alla propria credibilità di bambino di nove anni.

<<E chi se lo ricordava che oggi fosse mercoledì!>> afferma allora Vittoria, battendosi una mano sulla fronte. Solo allora trova il coraggio di girarsi verso Archie che silenziosamente e con un sopracciglio alzato ritrova intento a fissarla. <<Archie, mi dispiace per ciò a cui andrete incontro>>

Nel frattempo chiude la porta d'ingresso e invita i due a seguirla in cucina, facendo strada con una mano sulla schiena di Nicholas e l'altra su quella di Emma.

<<Nicky, ad Emma piacciono un sacco i cavalli, perchè non le parli di Mocha?>> dice, cercando di trovare qualcosa di cui i due possano parlare. Sente lo sguardo di Archie addosso nel mentre e quando, una volta davanti all'angolo cottura, si gira a guardarlo, lui non prova neanche a fingere di non aver distolto lo sguardo da lei dal momento in cui è arrivato.

Emma nel frattempo, presa dall'idea che il bambino davanti a lei possieda un cavallo, trascina Nicky verso il tavolo e gli impone di sedersi accanto a lei, e anche di farle vedere delle foto di Mocha. Lui, sicuramente non abituato ad essere comandato a bacchetta in quel modo, inizialmente sembra leggermente spaesato dalla cosa, poi probabilmente deve rendersi conto che al suo essere timido qualcuno come Emma non può che far bene, così semplicemente la asseconda.

<<Noi parliamo più tardi?>> mormora Archie, ora poggiato con la schiena contro il bancone della cucina e pochi passi da lei. Indossa una maglietta di parecchie taglie più grande, arancione chiaro, e deve essersi rifatto le treccine da poco perchè sono più ordinate del solito ma con una trama diversa sul cranio. Vittoria non avrebbe mai pensato di potersi sentire così attratta da una persona del genere, credeva di aver abbandonato le t-shirt oversize e i baggy jeans ai primi anni di università. Invece lo guarda e in quel momento, solo in quel momento, quasi non le importa del suo look strambo o del suo personaggio, di chi sia Archie al di fuori del ragazzo che con uno sguardo acceso aspetta una sua risposta, totalmente a suo agio nella sua cucina.

<<Io ho già parlato parecchio oggi>> risponde Vittoria, poggiandosi al suo fianco sul bancone ma nel verso opposto. Ride piano, senza distogliere gli occhi dal viso di lui che a sua volta si apre in una risata. <<E poi, oggi è il mercoledì principesse. Credimi, sarà davvero difficile avere una conversazione>>

Archie non capisce cosa questo possa significare finchè non si ritrova, dopo una cena veloce, seduto su un divano con una maschera di bellezza in tessuto sul viso. Vittoria continua a guardarlo e ridere, ridere di gusto, mentre si allunga per lasciargli un calice con un dito di vino. Dopo di che si getta sui cuscini del divano, all'estremità opposta, mentre i due bambini al centro discutono su quale debba essere il cartone animato da vedere quella sera. Nicholas quasi se l'è dimenticata la timidezza pur di lottare per vedere ciò che preferisce.

Alla fine si incontrano nel mezzo e decidono di far partire Il re leone.

Vittoria si mette comoda sul divano, versandosi della birra nel bicchiere dalla lattina che ha poggiato sul tavolino al suo fianco. Se pensa al fatto di essere su un divano, con Archie Davidson e due bambini, a rispettare la tradizione del mercoledì principesse, le si chiude lo stomaco. Esattamente come succede quando lui si gira, ogni tanto, a guardarla. Certo poi lei ride, perchè mai si sarebbe aspettata di vedere Archie in quelle condizioni, ma la pancia è lì a farle quasi male. Una parte di lei avrebbe voluto rimanere sola con lui, ma questo avrebbe significato non passare ottantanove minuti a crogiolarsi in quella sensazione sospesa, tra il non sapere cosa sarebbe successo e ciò che voleva succedesse. O ancora, non avrebbe visto Emma e Nicholas interagire tra loro, tra una presa in giro per una lacrimuccia di troppo e qualche canto stonato, sentire la risata di Nicholas e rendersi conto che nonostante tutto quello che gli sta succedendo è ancora capace di godersi una serata così, a cuor leggero, come ogni bambino meriterebbe.

Finito il film, Vittoria sparisce in cucina per andare a lasciare i bicchieri sporchi e mettere apposto i piatti lasciati in giro dalla cena. Affida ad Archie il compito di ripulire i piccoli dai rituali di bellezza e darsi una sistemata a sua volta, guadagnando così un momento per per sé stessa, per focalizzarsi su ciò di cui lei e il suo improbabile ospite dovranno discutere.

Mentre sfila i piatti dall'acqua corrente del lavandino per incastrarli tra le griglie della lavastoviglie sente il vociare dei bambini che tornano in salone e il leggero cigolio del divano, sente anche dei passi che le vanno incontro ma non si gira, concentrandosi sullo sciacquare le mani come fosse un'azione di vitale importanza.

Le dita che le afferrano il bacino la fanno sussultare. L'attimo dopo il petto di Archie si ritrova a sfiorare la sua schiena, incastrandola perfettamente tra il suo corpo e il bancone della cucina. Rispetto alla gabbia metaforica in cui si era sentita intrappolata durante tutti quei giorni passati a costringersi a non pensare a lui, quella sensazione è nettamente più piacevole. 

<<So che questo sarebbe il mio turno di parlare>> mormora piano, le labbra ad un soffio dall'orecchio di lei le fanno venire la pelle d'oca. Archie stringe la presa sui suoi fianchi, con la punta delle dita che si infila tra i pantaloni e la camicia, cercando un lembo di pelle scoperto da poter sfiorare. Vittoria, d'istinto, stringe la presa sul bordo del lavello <<Ma mentre ti guardavo lì, sotto casa mia, pensavo solo ad una cosa>>

Con una leggera pressione le sue mani le muovono il bacino, facendola lentamente rigirare tra le sue braccia.

Ora si guardano, occhi negli occhi, vicini come non lo erano da quella notte passata insieme. Eppure in modo totalmente diverso.
La ragazza di quella notte non era Vittoria, questa sì. Questa è lei che deglutisce piano e pensa a quanto sarebbe bello se le loro labbra si sfiorassero, è lei che sa quanto questo le costerà eppure è sempre lei che decide di non tirarsi indietro, e non perché ha bisogno di aggrapparsi ad Archie ma perché vuole farlo.

E lo vuole come non voleva qualcosa da tanto.

Poi, semplicemente, lui si sporge quel che basta per far combaciare le loro labbra.

<<Pensavo a questo>> sussurra, proprio sulla sua bocca, prima di smettere definitivamente di parlare e cercare la lingua di lei con la propria, in una lenta carezza che scioglie tutto ciò che c'è di non detto tra loro e crea qualcosa di nuovo. Qualcosa, finalmente, di vero.

Archie le afferra i polsi per spostarle le mani dietro il suo collo, infischiandosene che fossero ancora bagnate, poi le accarezza il viso mentre Vittoria si stringe a lui, assecondando le sue labbra con altrettanta intensità e trasporto.

In questo incontro non c'è niente della teatralità, del dramma, che aveva caratterizzato il loro primo bacio. Nessuna scenata, nessun rincorrersi. Solo la familiarità di due persone che non aspettavano altro da tutta la sera, in una cucina, senza abiti importanti o mezzi appuntamenti a Monte Carlo.

Il puro piacere di sfiorarsi e basta, di sentire i propri corpi l'uno contro l'altro, di rimanere a baciarsi lì in piedi come ragazzini impacciati, di riprovare emozioni che credevano sopite.

Il che fa più paura di tutto ciò che abbiano mai vissuto insieme.

Perchè Vittoria avrebbe potuto immaginare Archie in qualsiasi veste tranne che in quel quadretto calmo e ordinario, come fossero persone qualunque in una storia d'amore qualunque. Non che ci fosse amore in ballo, quello per Vittoria era fuori discussione, ma quel contatto tanto agognato è così inebriante che le scatena qualcosa che ci si avvicina parecchio.

Tutta l'ansia del vedersi, del parlare, confluisce e finisce in quel semplice e lunghissimo bacio.

<<Posso vederti domani?>> domanda Archie dopo un lasso di tempo indeterminato.
Vittoria storce il naso, più per l'assenza delle sue labbra contro le proprie che per la proposta in sè. Si lascia andare leggermente in avanti, portando la sua fronte contro quella di Archie e chiudendo gli occhi, le braccia ancora strette attorno al suo collo <<Dimmi solo di sì>>

La ragazza mugugna qualcosa, ma prima che una vera parola possa uscire dalla sua bocca le labbra di Archie sono nuovamente sulle sue per un bacio leggero. Suggella così una promessa non detta, dammi domani e non te ne pentirai.

E forse domani, svegliandosi, si odierà per averlo fatto, ma annuisce lentamente. Non si mette troppo in ballo, l'ha già fatto con quei discorsi sotto casa sua, ma anche solo quel cenno le costa tanto. È che dirgli di no le costerebbe di più.

Così Archie sorride leggermente, fa per avvicinarsi nuovamente alle sue labbra ma poi la lascia andare, ricreando uno spazio tra loro che era stato inesistente per tutti i minuti passati.

Vittoria generalmente avrebbe preso in giro chiunque avesse fatto qualcosa del genere, ma tutto ciò che riesce a fare in quel momento è guardarlo in silenzio mentre sparisce in salone e si carica Nicky in braccio, pensando a quanto perfetto sia quel momento e, di conseguenza, a che guaio enorme sta andando incontro.

<<Ciao Emma>> saluta Archie, mentre Nick ridendo tra le sue braccia prima muove la mano verso la bambina e poi verso Vittoria.

<<Ci vediamo presto>> dice mentre il padre cammina verso la porta e agevolmente la apre.

<<A presto Nicky>> lo saluta Vittoria, totalmente spaesata, imitando il suo gesto con la mano.

Il suo sguardo poi si sposta su Archie che, prima di scomparire nel corridoio, la guarda e mima "a domani".

Mai un "a domani" aveva avuto nella testa di Vittoria un suono così contraddittorio, sospeso tra il calore di quella promessa e l'infimo dolore di giocare con qualcosa che non potrai mai avere, qualcosa che sei certo ti farà del male. Che poi lei un po' ci spera, che le faccia male.

In fin dei conti, le piace il modo in cui Archie le fa provare cose. Belle o brutte che siano, almeno le fa sentire qualcosa.

A domani.








🌸🌸

BASICALLY, Vittoria all'inizio del capitolo:

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