14 | IL DISCORSO




Da quanto ha saputo di aver vinto il suo bel posto accanto ad Hernest e Wayne all'annuale conferenza organizzata dal suo studio, Vittoria ha avuto solo una settimana per scrivere un discorso - Il Discorso - che fosse degno del calibro degli ospiti che si sarebbero stati quel pomeriggio. Solo una settimana anche per trovare il tubino perfetto, ma questa è una storia molto più stressante e meno interessante.

Ad ogni modo, scrivere Il Discorso aveva richiesto la maggior parte del suo tempo quella settimana, andare in udienza aveva preso il resto e alla fine si era ritrovata ad avere come momento per respirare solo quella mezz'oretta nella quale cenava prima di rimettersi a fare ricerche e addormentarsi con la testa sulla tastiera del pc.

I tempi stretti facevano parte del peso che rappresentava presenziare alla conferenza. Rose, che continuava a fornirle informazioni e supporto morale, le aveva persino presentato un elenco di tutte le persone che avrebbero dovuto fare Il Discorso gli anni scorsi ma che avevano alla fine mollati tutto, a volte anche lo studio stesso e la carriera forense, motivo per il quale il secondo in lizza faceva sempre bene a preparare un discorso a sua volta.  Vittoria però, se lo ripeteva sempre, non sarebbe mai stata una di loro.

Avrebbe padroneggiato la scena come era nata per fare, prendendosi l'attenzione di tutti nella sala.

Clarice nel frattempo, nonostante fosse ancora parzialmente arrabbiata con Vittoria, era così tanto una brava amica che aveva mandato Rose ad informarsi sul tema che l'altra avrebbe voluto trattare per poi farle trovare pagine e pagine di ricerche sulla scrivania ogni sera. Per contraccambiare, Vittoria le aveva comprato durante la settimana gelato, fragole - e aveva girato mezza Londra per trovarne di buone -, un libro di poesie e una matita brutta presa direttamente dalla National Gallery per la sua collezione di matite brutte dei bookshop dei musei.

Si scambiavano le cose silenziosamente, lasciandole per casa e assicurandosi che l'altra le avesse prese non trovandole più al loro posto.

Senza il suo aiuto probabilmente Vittoria non ce l'avrebbe fatta a finire Il Discorso con ben ventiquattro ore d'anticipo.

<<Voglio vedere il vestito>> le dice Clarice la sera prima del convegno, affacciandosi in camera sua probabilmente dopo aver notato la busta del negozio che Vittoria aveva appositamente lasciato nell'ingresso. Sapeva che non avrebbe resistito alla tentazione di sapere cosa avrebbe indossato.

Vittoria, seduta a gambe incrociate sul letto e intenta a rileggere i fogli di bella, non ci pensa due volte. Salta giù dal materasso e con due passi è davanti alla sua amica, allarga le braccia e glie le getta al collo. Giusto un attimo di affetto, il massimo che Clarice potrebbe sopportare in quel momento, poi la bionda si sfila il pigiama per mostrarle il suo nuovo acquisto. Ovviamente un tubino al ginocchio. Ovviamente bianco.

Tra tutte le cose che hanno passato quella settimana, in silenzio, il vestito forse è la cosa più stupida con la quale ricominciare a parlare.  Ma sa tanto di ritorno alla normalità.

<<Ah e non ti ho detto una cosa>> aggiunge poi lei <<Mi ha chiamato Wayne, vogliono che chiuda la conferenza con un cenno allo sviluppo della professione dell'assistente legale>>

Il resto della nottata è fatto di perchè non me l'hai detto e dei due discorsi ripetuti all'infinito.




Il giorno dopo arriva e porta con sè un'aria frizzante, di attesa. Vittoria non è mai stata una persona ansiosa, piuttosto vive tutto con discreta leggerezza e nascondendo le palpitazioni, per poi sfogarsi una volta portato a termine l'incarico. Eppure quel sabato è un'agonia persino per una come lei.

William Hernest la chiama un paio di volte per assicurarsi che vada tutto bene, suo padre non è poi da meno, gasato dall'idea che la sua piccolina stia per fare qualcosa di cosi grande in quel mondo per il quale condividono la passione.

Vittoria non tocca cibo e neanche Clarice in realtà, pensando a sfamare solo Emma e ad assicurarsi che la babysitter arrivi in tempo visto che Alex ha insistito tanto per esserci alla conferenza e, non possedendo il dono dell'ubiquità - cosa per la quale ancora Clarice lo colpevolizza - non potrà tenere Emma.

Oltre a non mangiare poi, a Vittoria sembra difficile anche respirare.

Tutto ciò, però, solo finchè lei e Clarice non varcano l'ingresso dell'albergo nel quale si terrà la conferenza. Una volta lì le cose sembrano semplicemente essere al loro posto, così prende finalmente un grosso respiro e comincia a godersi il momento, il suo momento.

William Hernest arriva poco dopo di lei e se la prende sotto braccio, presentandola ad ogni gruppo di avvocati che si accinga ad andare a salutarlo. E' un uomo affabile Will, con un'ars oratoria invidiabile e lo sguardo magnetico. Se per calibrare in generale il suo peso nel mondo del diritto basta sommare gli uffici in giro per l'Europa che portano il suo nome sopra, lì a Londra poi sua fama è triplicata. Tutti coloro i quali mettono piede nella hall di quell'elegante albergo nella City vogliono rivolgergli una parola, dargli un saluto, e a tutti loro anche Vittoria si ritrova a stringere la mano, accompagnata dalle gentili parole di Mr Hernest.

<<E' tipo il ballo delle debuttanti>> si ritrova a spiegare poco più tardi ad Alex, quando lo raggiunge davanti al bancone del bar. Clarice è impegnata a parlare poco distante con Renee del ventitreesimo piano, reparto amministrativo <<però in mezzo agli squali della city>>

<<Sembra divertente>> commenta il ragazzo, facendo scorrere lo sguardo tra i signori eleganti che stanno riempiendo l'albergo. Per la prima volta da anni ha i capelli ordinati e non solo una camicia, ma anche giacca e cravatta. Vittoria è convinta di non vederlo così sistemato dal giorno della sua laurea, ben cinque anni fa.

<<Lo è>> afferma lei, rubando un sorso del Martini di Alex e guardandosi attorno allo stesso modo <<Ah e comunque lì c'è Mr. Wayne, se volessi ringraziarlo per gli spuntini che gli rubi in ufficio>>

<<Credo di voler rimanere nell'anonimato>> risponde Alex, ridacchiando <<Sai, mi dà più fascino>>

Vittoria  viene richiamata da William dopo poco e, dopo aver lasciato una carezza sulla spalla dell'amico, si accinge a raggiungere il suo capo incappando in George Reyes lungo la strada.

<<Sperti>> la richiama quest'ultimo, con il solito tono lascivo e falsamente cortese <<Le negoziazioni non sono andate bene, ma a quanto pare sei brava abbastanza per parlare accanto ai pezzi grossi>>

La ragazza gli risponde con un semplice sorriso, senza fermare la propria camminata. Si sarebbe dovuta aspettare la presenza dell'avvocato più detestabile della storia e, a dirla tutta, non le dispiace affatto che sia lì a vederla.

<<Andiamo Vittoria, andiamoci a sedere>> dice invece William Hernest non appena lo raggiunge, poggiandole una mano sulla schiena e facendo strada verso la scalinata che porta alla sala conferenze. Vittoria cerca Clarice per avvisarla, ma quest'ultima è già tra le grinfie di Mr Wayne.

La sala conferenze è un semicerchio con candelabri importanti e pesanti tende di velluto mezze scostante, le cui finestre affacciano sulle vetrate del Gherkin. E' illuminata a giorno e metà delle poltrone rosse sono già occupate mentre il tavolo dei grandi, ancora vuoto, è una lunga scrivania in noce sulla quale sono posizionati cartellini con il nome e microfoni. La ragazza cerca il proprio dispensando sorrisi ovunque guardi, in un moto di improvvisa euforia. Quando prende posto esattamente tra Hernest e Wayne non può che sentirsi più che mai invincibile. Sapere poi che anche Clarice è a quel tavolo, invece, la riempie di orgoglio.

Le presentazioni toccano a Michael Wayne, ma Vittoria ha già staccato il cervello, impegnando piuttosto tutto il tempo che manca al suo turno per ripassare mentalmente Il Discorso, annuendo ogni tanto. L'unica cosa che attira la sua attenzione dopo non sa neanche quanto tempo è un braccio, in fondo alla sala, che comincia a muoversi con insistenza.

La ragazza si scuote dal torpore, incuriosita, ed affinando lo sguardo riesce a riconoscere la figura esile di Rose. Ha il telefono in una mano e lo sta scuotendo, poi comincia ad indicarlo. O qualcosa del genere. Non è facile vedere fin lì.

Vittoria prova a controllare con indifferenza il proprio cellulare, chiedendosi se quei segnali siano per lei. In effetti trova una chiamata persa di Clarice e due messaggi.

<<Sono in bagno, veni>>

<<Corri>>

Aggrotta le sopracciglia e si fa leggermente indietro con le rotelle della poltrona, quanto le basta per controllare oltre le schiene del resto degli ospiti che il posto occupato da Clarice al tavolo sia vuoto.

In quel momento sta parlando un socio senior del reparto tributario e dovrebbe mancare tempo abbastanza al suo intervento, ma l'idea di alzarsi e lasciare la sala davanti a tutti non le piace comunque troppo.

<<MUOVITI>> appare in quel momento sul telefono, accompagnato da una vibrazione. 

Vittoria sente una leggera ansia stringerle lo stomaco, non pensandoci oltre mette su un bel sorriso e cercando di fare meno rumore possibile si fionda fuori dalla sala conferenze. In corridoio si guarda intorno senza avere la più pallida idea di dove sia il bagno, finchè da qualche parte alla sua sinistra non sente un leggero <<psst>> che la fa sobbalzare.

A qualche metro da lei la testa di Clarice spunta da una porta semichiusa, con la mano le indica di avvicinarsi velocemente. 

<<Ma non eri in sala?>> domanda Vittoria dopo essere corsa all'interno del bagno. Guarda l'amica e non può fare a meno di notare, nonostante il trucco, quanto il suo viso appaia cereo.

<<Sono uscita per fare pipì, e sai chi ha rischiato di vedermi?>> risponde subito Clarice, parlando frettolosamente. <<Archie Davidson>>

Vittoria non sembra capire, così scuote la testa. Nel petto il cuore comincia una corsa furiosa.

<<Archie. È qui>> esclama la ragazza bruna, facendo un mezzo giro su sè stessa e portandosi la mano sul viso, con fare disperato <<È nella hall, sta parlando al telefono>>

È la fine, pensa semplicemente Vittoria.

La fine.

<<Ti ha visto?>> chiede, prima di cominciare ad elencare una serie di parolacce in fila.

<<Se era in sala prima ... si>> dice Clarice cercando di fare un punto della situazione <<Se è arrivato ora no, per poco ma no>>

<<Ok, possiamo uscirne>> ripete più volte Vittoria, forse più come incoraggiamento a sè stessa che credendoci davvero. Come non lo sa, con il cuore che le pulsa nelle orecchie in quel modo non riesce a pensare lucidamente, ma se la caveranno. Lo fanno sempre.

<<Devi mandarlo via>> esclama l'altra, continuando a fare respiri corti e veloci <<Vi, non solo non può vederci insieme, non può neanche vedermi neanche lì seduta al tavolo. C'è un cazzo di cartellino con il mio nome ed io per lui sono Lisa, e non faccio l'assistente legale>>

<<Sono mesi che provo a mandarlo via e lui torna sempre>> grida quasi con esasperazione la bionda.
Quel modo di lamentarsi però non è da lei. Piuttosto che lamentarsi, di solito, Vittoria agisce. Tornando in sé lancia un'ultima occhiata a Clarice ed esce prepotentemente dal bagno, percorrendo a ritroso il corridoio fino a raggiungere le scale che portano alla hall, pensando a qualcosa da fare.

Archie Davidson è proprio lì. Ha salito in quel momento l'ultimo gradino e si sta mettendo il telefono nella tasca della giacca. Indossa un abito scuro, senza cravatta.
Quando lo vede, Vittoria viene persuasa dalla voglia di dargli uno schiaffo.
Quando la vede, ad Archie si blocca per qualche attimo il respiro.

<<Che ci fai qui?>> esclama subito lei, spingendosi fino ad arrivargli ad un soffio dal naso <<Perchè sei qui?>> riprova quando Archie non le risponde, con gli occhi spalancati e la fronte aggrottata. 

<<Mi ha invitato George Reyes>> risponde lui con un ghigno divertito, probabilmente non captando quanto, questa volta, Vittoria sia arrabbiata, e che scherzare con lei in questo momento è molto vicino ad avvicinarsi a un animale selvatico, molto carnivoro, molto affamato.

<<Archie>> mormora, minacciosa. Fa un ulteriore passo in avanti e la sua fronte ora quasi sfiora quella di lui, alte allo stesso modo. <<Va' via>>

Archie però non la ascolta, le mostra un sorriso. Quello strafottente, presuntuoso. Quel sorriso che è la sua firma.

<<Quindi questo è quanto devo farti arrabbiare per averti vicina così?>> domanda, piegando leggermente il viso e guardandola un'ultima volta prima di concentrarsi sulle sue labbra.

<<Archie>> ripete con fare autoritario, cercando di mantenere la sua postura composta e stringendo la mano in un pugno che spinge verso il basso mentre pronuncia il suo nome. Il ragazzo deglutisce piano.

<<Sono venuto a vederti vincere>> dice lui, senza tirarsi indietro. La sua voce è in realtà un filo sottile, ma è così vicina che non si perde una parola.

E mentre per Vittoria il tempo sembrava essersi fermato, persa nel buco nero che sono gli occhi di Archie, alle loro spalle si leva un applauso fragoroso. La conferenza continua, le vite degli altri scorrono ad un ritmo normale. E' in quella galassia che dovrebbe trovarsi lei, quella che ha davanti la affascina ma non le appartiene.

Quando però le è chiaro come liberarsi di Archie, si rende conto che dovrà restarci ancora per un po'. E che lei sarà l'unica a non vincere quella sera.

Fa un passo indietro ed il peso di quella decisione le fa abbassare il capo, mentre senza guardare Archie si getta in un corridoio sulla destra. Cammina veloce, non può fare altrimenti, e altrettanto veloce sente il sangue pulsare nelle vene.

I passi di Archie dietro di lei sono leggeri.

Era sicura che l'avrebbe seguita anche questa volta.

<<Io lo sto che sto sbagliando tutto, lo so che non dovrei essere qui>> esclama il ragazzo alle sue spalle, avvicinandosi abbastanza da afferrarle un polso. Vittoria sente la sua pelle contro la propria, calda, quasi familiare. Non ha dimenticato di quella stretta di mano in chiesa. Non riesce a dimenticare quasi niente di lui, non come vorrebbe. I soli ricordi le fanno battere il cuore con la stessa forza con cui le si stringe nel petto in quel momento <<Ma io volevo essere qui sta sera>> continua, cercando di trattenerla nel mezzo del corridoio <<E so che tu sei quella che ha ragione, ma Vittoria...>>

Archie non finisce mai la sua frase e Vittoria non è più dalla parte della ragione, perchè prima che possa smettere di parlare le labbra di lei sono su quelle di lui.

Il tutto per tutto.

L'all in di Vittoria in quel gioco che hanno cominciato la prima volta che gli occhi di Archie l'hanno sfidata.

Da quando si conoscono lei aveva immaginato cosa sarebbe potuto accadere nel momento in cui eventualmente, un giorno, lui l'avrebbe baciata. Sembravano quasi pensieri profani, che teneva per sé in gran segreto. Aveva studiato i modi in cui l'avrebbe respinto, si era domandata se avrebbe avuto la forza morale di allontanarlo, quanto sarebbe stato sbagliato trattenersi un po', giusto per vedere cosa avrebbe provato. Sopratutto, era sicura che ne sarebbe venuta fuori una grande esplosione.

Non avrebbe mai potuto pensare che sarebbe stata lei, a baciarlo, nè che non ci sarebbe stata nessuna esplosione.

Un'esplosione sarebbe stata veloce, facile da gestire.

Invece quando Archie risponde a quel bacio, e le sue mani si stringono attorno alla vita di lei e le loro lingue si incontrano, a Vittoria sembra di essere cosparsa, lentamente, di lava.

E' un calore che si espande piano, parte dai fianchi, lì dove Archie tiene salda la presa, poi passa al ventre e si irradia verso il petto. Quel lento risvegliarsi dei suoi sensi le dà alla testa, o forse sono le dita di lui che cominciano a muoversi lente sulla sua schiena.

Il suo ultimo pensiero razionale è riconoscere che quella è una totale follia, ma ha fatto la sua mossa e non si torna indietro ora. E visto che quella è la sua mano, tanto vale giocarla fino in fondo.

Alza i palmi e li porta sul viso di Archie, lo stringe, sente la barba pungente contro la propria pelle e la sua mascella muoversi quando lui approfondisce il bacio, spingendo verso Vittoria con tanta forza da costringerla ad indietreggiare. C'è dell'urgenza nel modo in cui si stringono, in cui le loro labbra non si lasciano andare neanche per respirare, come se sapessero che tutto ciò è provvisorio, che non appena la realtà busserà alla porta dovranno tirarsi indietro.

Fino a quel momento però si aggrappano un po' di più l'un l'altro, con la stessa intensità con la quale si sono sfidati fino a quel punto e, sicuramente, con la quale continueranno a farlo dopo.

<<Il discorso>> mormora poi Archie, trovando il coraggio di scostarsi.

Apre gli occhi, due pozze scure e agitate, e li fissa in quelli di lei mentre solleva una mano per poggiargliela sul viso.

Vittoria ha bisogno di un secondo prima di parlare e rimane a guardarlo in silenzio, sentendo il suo corpo contro il proprio, il respiro pesante che le solletica le labbra.

<<Portami da te>> risponde invece lei.

Sente un tonfo nel petto ma non si scompone, mentre Archie in risposta stringe la presa sul suo viso e le passa il pollice sulle labbra. Il suo sguardo è cauto. Sta tastando il terreno, cerca di capire se lei si stia prendendo gioco di lui.

<<L'ho già fatto il discorso>> aggiunge quindi la ragazza, cercando con le dita il colletto della camicia di Archie e stringendola. Quasi sente la mancanza delle sue eccentriche felpe.

Sorride leggermente, ma deve farlo con aria triste perché il ragazzo aggrotta le sopracciglia, una domanda è implicitamente espressa tra le rughe della fronte.

<<Archie>> lo richiama con la voce bassa, come fosse una carezza <<Voglio stare con te sta notte, se è quello che vuoi anche tu>>

Questo sembra finalmente convincerlo, tant'è che lascia scivolare una mano lungo tutto il corpo di Vittoria fino a trovare quella di lei e stringerla. Cerca la sua bocca per un altro, profondo, bacio.

Ed anche se c'è un mondo di bugie dietro quella frase, un palazzo fatto di ragioni sbagliate, Vittoria non mente sul voler stare con lui.

<<Mai desiderato di più qualcosa da quando ti conosco>> mormora Archie, sulle sue labbra.

Lascia un bacio sul dorso della mano di Vittoria che continua a stringere e comincia a spostarsi nel corridoio, tenendo però gli occhi puntati su di lei. La ragazza cerca di sorridere. E' sul suo sguardo carico di significato, di desidero, che si concentra quando si separano. Lui per andare a prendere la macchina, lei per fare qualcosa di molto più doloroso.

Eppure quello sguardo aiuta.

Se fosse appartenuto a qualcun altro, non avrebbe mai avuto il coraggio di sfilare dietro il tavolo della conferenza e andare ad acquattarsi davanti alla sedia di Clarice, cercare il suo orecchio e sussurrarle <<Fai tu il discorso>>

Quello sguardo e il bisogno di proteggere sé stessa, ma sopratutto Clarice. Due cose che mai come in quel momento erano state in contrasto.

Clarice le arpiona la mano con la quale si è poggiata alla sua sedia, aggrotta le sopracciglia.

<<Che stai dicendo?>> domanda in un mormorio agitato. Qualcuno seduto alla scrivania si gira a guardarle, ma l'attenzione generale è su Mr. Hernest che parla di un importante caso chiuso quel mese.

<<Il foglio è al mio posto, ma tanto lo conosci. Dì che sono dovuta andar via e che hai collaborato a scriverlo. Parlerò io con Hernest e Wayne>> dice Vittoria, sbrigativa <<Saremo al sicuro così, e se qualcuno deve essere premiato sta sera, sono felice che sia tu>>

<<Ma che farai? Archie?>> continua, decisamente poco convinta.

<<Non aspettarmi sveglia>> è tutto ciò che ha la forza di dirle Vittoria, poi le stringe una spalla con la mano e le fa un sorriso che è fatto al tempo stesso d'incoraggiamento e di scuse, e di tante altre cose di cui dovranno parlare dopo quella notte.

Poi Vittoria lascia la sala conferenze con la testa bassa, in silenzio, togliendosi la corona e lasciandola a qualcuno di meritevole, forse anche più di lei. Cammina in fretta accompagnata dal ticchettio dei tacchi e con la stessa velocità entra nella macchina nera di Archie, allungandosi per dargli un bacio non appena chiude lo sportello alle sue spalle. Archie non lo sa ma lui è sia la causa di quella sconfitta che l'unica ragione per cui, forse, Vittoria sopravviverà a quella notte.

Lui guida quasi senza riuscire a staccare gli occhi da lei, tenendo una mano stretta sulla coscia e sorridendo quando Vittoria sorride perchè lui sorride. Lei tiene le dita sulla sua nuca, giocando con le punte delle treccine, accarezzandogli il collo ed osservandolo non con meno intensità di quanto faccia lui.

Quello è un momento rubato da una vita che non è la loro, che non può appartenergli, ed è tremendamente eccitante anche per quello.

Vittoria non saprebbe ridire come si ritrovano a casa di Archie, è tutto confuso tra baci e sospiri e pelle che accarezza altra pelle. In realtà si aspettava che stesse ancora in albergo, mentre a quanto pare è riuscito a trovare il suo appartamento da scapolo.

<<E' diversa dalla casa di Kensington>> commenta la ragazza, con fare scherzoso, nel momento in cui Archie la lascia andare per chiudere la porta d'ingresso alle loro spalle.

L'attimo dopo è dietro di lei e Vittoria chiude gli occhi per godersi appieno i baci che le lascia sul collo dopo averle scostato lentamente i capelli.

<<È la mia vita ad essere diversa>> le risponde senza allontanarsi dalla sua pelle.

Vittoria scalcia i tacchi e tocca con la pianta del piede il pavimento freddo, poi lascia andare la testa all'indietro, poggiandola sulla spalla di Archie. Il corpo di lui è come uno scoglio, teso, spigoloso, un appiglio sul quale sostare prima di buttarsi nell'ignoto. Lui la tiene in pugno, con un braccio che le circonda il ventre mentre nell'altra mano ha stretti i suoi capelli, e lei in quel momento sente tutto. Ogni terminazione nervosa è attiva e pronta a recepire qualsiasi carezza, qualsiasi bacio, qualsiasi sospiro.

Archie continua a passare le sue labbra sul collo di lei, rendendolo un supplizio infinito, poi le lascia un bacio sull'orecchio, sulla mascella, persino sulla guancia, lì all'angolo delle labbra. Nel mentre, Vittoria ha afferrato la mano che lui prima teneva sul suo ventre e se l'è portata alla bocca. Bacia l'indice e il medio piano, con le labbra dischiuse, poi accarezza con la lingua il pollice.

Un breve gemito di Archie si infrange contro il suo orecchio, facendo rompere qualcosa dentro di lei che la costringe a lasciarsi ancora più andare.

Lui la fa rigirare tra le sue braccia e si ritrovano di nuovo faccia a faccia, intenti a guardarsi con gli occhi lucidi e le labbra aperte nella penombra del loft illuminato dalle ultime luci di un tramonto di fuoco.

Se Vittoria aveva trattenuto fino a quel momento una piccola speranza di salvarsi da quella situazione, incontrare i suoi occhi in quel momento glie la fa perdere. Sopratutto quando le mani di lui cominciano a scivolare lungo i suoi fianchi fino ad arrivare al bordo del tubino che poi con un colpo secco tira verso l'alto. L'attimo dopo si ritrova tra le sue braccia, con le gambe attorno al suo bacino, le mani di lui strette sul suo fondoschiena. Provvede a slacciargli la camicia e a baciarlo mentre lui cammina per il salone, raggiunge una scala e comincia a salirne piano i gradini.

Archie la tiene con fermezza e mai, con chiunque altro, ha provato quella sensazione di pura e totale fiducia. Sa che Archie non la lascerebbe mai andare. Non sa come lo sa, eppure ne è certa.

Ed è una sensazione confortante.

Così quella sera, Vittoria Sperti si trasforma in una di quelle ragazze che ha sempre invidiato, una di quelle alle quali basta stare tra le braccia di un uomo per sentirsi contente, soddisfatte, complete. Ha perso l'occasione della sua vita a quella conferenza, ma Archie Davidson la bacia così bene che in quel momento non vorrebbe essere da nessun'altra parte se non nel suo letto, quello sul soppalco davanti al quale la lascia scendere dolcemente.

La cosa la terrorizza.

Per questo sobbalza quando lui le domanda, tenendo il busto sollevato sui gomiti per non schiacciarla con il peso del suo petto nudo, <<Hai paura?>>

Vittoria lo osserva, sentendosi improvvisamente piccola sotto il suo sguardo. Ingoia rumorosamente un groppo di saliva e comincia ad accarezzargli la schiena fino ad arrivare al bordo dei pantaloni già slacciati, per poi tirarli più giù. Lei non ha più nessun indumento da togliere se non gli slip.

<<Perchè me lo chiedi?>> dice, quasi con innocenza nella voce.

<<Perchè mi stai baciando velocemente>> risponde Archie, abbassando il viso fino a sfiorare semplicemente le labbra di lei <<E chi bacia veloce ha paura>>

Vittoria riconosce quelle parole, glie le ha dette lei, ma per quanto le piacerebbe essere per una volta sincera non può rivelare ad Archie le proprie paure. Non può fare anche questo a sè stessa.

<<Dovresti baciami ancora più veloce>> mormora, guardandolo con uno sguardo che sente ancorarsi definitivamente agli occhi di lui e anche oltre.

Archie lo fa, la bacia con irruenza, la stessa con la quale si fa spazio tra le sue gambe e ci rimane fino a quando non ne hanno abbastanza e poi di nuovo e di nuovo ancora. Per la prima volta da tanti anni, Vittoria smette di avere il controllo e riscopre un certo piacere nel lasciare le briglie a qualcun altro.

Lui sembra ben felice di sentirla sua, completamente sua, anche se solo per quel momento, e nonostante la sua forza, nonostante i suoi modi di fare quasi bruschi, Vittoria ritrova una dolcezza nascosta che è meglio per entrambi tenere nascosta, coperta dai gemiti e dal letto che batte contro la parete.

Ed è presto l'alba.

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