- Capitolo 3 -
Brooklyn's POV
La tanto attesa ultima campanella arrivò scatenando una violenta maratona di tutti gli studenti. Spintoni, sorpassi e incidenti per le scale erano all'ordine del giorno nella mia scuola. Sinceramente non capivo tutta questa fretta, rischiare la vita solo per arrivare qualche secondo prima rispetto ai tuoi compagni al portone dell'edificio. Evelyn ed io aspettammo che gran parte della folla lasciasse i corridoi e poi ci incamminammo con calma, come avrebbe fatto qualsiasi persona normale.
-Strano che Wynter non sia venuta, sta mattina pensavo che fosse in ritardo come al solito ma non è proprio arrivata- commentai.
-Magari non ha sentito la sveglia o non si sentiva molto bene. I suoi tornano a casa tra pochi giorni, forse vuole godersi gli ultimi attimi di libertà- rispose. Prese il suo smartphone un po' scassinato e guardandolo aggiunse: -Non mi ha mandato nessun messaggio-.
-Nemmeno a me- notai prima di lasciare cadere l'argomento perché si stava avvicinando Matthew.
-Tra poco c'è la partita, venite a fare il tifo per la vostra scuola?- chiese mostrando la felpa della squadra di basket credendo che ci avrebbe reso più patriottiche. Evelyn acconsentì per entrambe e il ragazzo si allontanò per andare a parlare con gli altri giocatori. Stavano ridendo e non ci volle molto a capire che avevano fatto uno scherzo all'altra scuola. Rapito la mascotte, lasciato degli striscioni con il nome della nostra scuola, tinto i palloni con i nostri colori... Ogni anno le squadre si facevano tra di loro qualche stupido dispetto e puntualmente il loro era molto meglio del nostro. Per quanto insistessero a prepararlo sempre più in grande erano sempre un passo avanti a noi. Sinceramente non mi importava ma molte persone a scuola la prendevano come una questione di onore, come se ne dipendesse la propria vita.
-Evelyn, io vado da Wynter a lasciarle i compiti e a vedere come sta, dopo vi raggiungo. L'ho chiamata ma risulta irraggiungibile e non avere il telefono sempre a portata di mano non è da lei- esclamai rivolta alla mia amica che si limitò a salutarmi freddamente.
Presi l'auto e guidai velocemente fino a casa della mia migliore amica. Suonai più volte il citofono ma inutilmente. Non rispondeva nessuno e le luci dell'appartamento erano spente. Probabilmente Wynter stava ancora dormendo anche se era già il primo pomeriggio. Conoscendola, dopo che ero andata via, aveva cambiato l'idea iniziale di dormire e aveva visto una decina di episodi di qualche serie TV.
Fortunatamente dopo un paio di minuti arrivarono una madre con due bambine piccole che mi aprirono il cancello. Con quell'aria allegra e spensierata e i vestiti rosa e viola mi ricordarono me e Wynter alla loro età.
Salii con l'ascensore ma quello che vidi quando arrivai al sesto piano mi sconvolse.
La porta della casa era aperta e dentro c'era un caos pazzesco. Sapevo che era disordinata ma i mobili spostati e la lampada rotta non erano semplice disordine. Entrai lentamente e un po' spaventata, poi mi guardai intorno in maniera circospetta.
-Wynter! Wynter! Dai, smettila con questi scherzi idioti, non nasconderti perché non mi spavento- urlai girando per il soggiorno. In un lampo realizzai che non poteva essere come credevo perché non sapeva che sarei passata da lei. Camminai per ogni stanza della casa perché volevo credere che si stesse nascondendo anche se tutto era contro questa ipotesi. Quando finii non c'era ancora traccia della mia amica e, per quanto volessi pensare che fosse tutto un equivoco, sapevo che non era così.
Sfilai il cellulare dalla tasca e solo mentre lo sbloccavo mi accorsi che stavo tremando. Inviai la chiamata al numero che avevo registrato in rubrica perché aveva insistito mia madre. Quando lo avevo scritto non credevo che l'avrei mai usato ma, evidentemente, la vita aveva in serbo qualche sorpresa per me. Mi rispose una voce automatica che diceva che avrei parlato con qualcuno a breve. Probabilmente passarono solo pochi secondi ma mi sembrarono infiniti. Mi chiesi se avessero mai pensato che una persona in punto di morte non potesse aspettare ma forse per loro non era importante.
-Buongiorno. Qui è la stazione di polizia di Bleak Haze- rispose un uomo evidentemente abituato a chiamate senza alcun valore. In quella città c'erano più gatti sugli alberi che in tutto il resto della Columbia Britannica.
-Una mia amica è scomparsa. Ho trovato la casa aperta con segni di scasso- spiegai con voce tremante -Vi prego venite subito qua-.
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