«Mamma! Voleremo su uno di quelli?»
Cory mi tira per la mano, che tengo saldamente stretta alla sua. Con le piccole dita indica gli imponenti velivoli sulle piste di partenza, che possiamo osservare attraverso la vetrata dell'aeroporto di Milano. Mi guarda eccitato e nei suoi grandi occhi nocciola noto quella instancabile ed innocente curiosità che sicuramente non ha ereditato da me.
Cerco di aprirmi nel mio sorriso più rassicurante: «Sì, piccolo, prendiamo un grande aereo!»
Controllo automaticamente di avere nella tasca della felpa le gocce di Fiori di Bach prese in farmacia. Non hanno nessuna efficacia dimostrata, ma spero fortemente nell'effetto placebo.
Ho sempre avuto il terrore dell'aereo e sono tanti anni che non viaggio, ma diventare mamma mi ha obbligata ad affrontare le mie paure in un modo completamente diverso: ho dovuto imparare ad essere io il porto sicuro, il punto fermo per Cory, senza aspettarmi che qualcuno lo fosse per me.
«E dove stiamo andando?» mi chiede per l'ennesima volta, con quel tono estremamente enfatico che caratterizza i bambini della sua età.
«Andiamo a Seoul, a fare una bella vacanza e a trovare zia Sharon!»
'E a conoscere tuo padre', penso tra me e me.
Annuisce, fingendo di capire cosa sia Seoul, e riprende a guardarsi attorno con stupore.
Poco dopo il gate si apre e finalmente veniamo imbarcati. L'aereo mi sembra veramente enorme, ma me lo aspettavo essendo la tratta del volo particolarmente lunga. Mi concentro sul trovare i nostri posti e sistemare una felpa sulle gambe di mio figlio per coprirlo dall'aria condizionata come sempre troppo forte, mentre cerco di non farmi prendere dal panico.
Apro la boccetta di quello che, al momento, mi sembra un salvavita, faccio cadere qualche goccia sulla lingua e mi ripeto che in qualche minuto sarò sicuramente più calma.
Quando l'aereo inizia a prendere velocità, sento il cuore salirmi fino alla gola e cerco di fermare l'impulso di stringere le ginocchia al petto. Non mi mancava per niente questa sensazione angosciante. Stringo forte il bracciolo della mia seduta, mentre Cory guarda divertito fuori dal finestrino, fortunatamente ignaro di tutto. Ringrazio che non si stia rendendo conto della mia pelle che ha perso diverse tonalità di colore.
Le ruote si staccano dal suolo e io sento le lacrime riempirmi gli occhi.
'La partenza, è la partenza che detesti di più, ora andrà meglio', continuo a ripetermi.
Dopo qualche istante l'aereo finalmente ha preso quota, si stabilizza ed, evitando di guardare dal finestrino, riesco a convincermi di essere su un grosso autobus.
«Mamma è bellissimo, si vedono le nuvole!» Cory è al settimo cielo e il suo entusiasmo mi strappa un sorriso.
«Vediamo un film?» gli propongo, offrendogli un auricolare e accendendo lo schermo che ci troviamo davanti. Cory annuisce e mi guarda con quei dolci occhi a mandorla che non somigliano ai miei.
Sono riuscita a lungo ad ignorare i suoi tratti somatici evidentemente ereditati del padre, ma più mio figlio cresce, più sembra somigliargli terribilmente e, quando lo guardo, mi ritrovo spesso a pensare all'uomo a cui ho permesso più volte di spezzarmi il cuore. Penso al suo sorriso luminoso ornato da due splendide fossette, ai suoi capelli ribelli, ai suoi occhi limpidi ed estremamente espressivi... Mi sembra siano passati solo pochi mesi dall'ultima volta che ci siamo visti, eppure, continuo a chiedermelo:
'Sono davvero pronta ad incontrare di nuovo Chan?'
. . .
Siamo finalmente nell'appartamento che ci ospiterà per i prossimi due mesi. Cory è crollato dal sonno nella sua nuova stanza. I suoi capelli, corvini e lucenti come i miei, sono completamente scompigliati e respira con la bocca aperta. Sono di parte, ma penso sia uno dei bimbi più belli della terra.
Gli lascio un piccolo bacio sulla fronte e mi dirigo in salotto, per godermi la vista della città attraverso l'ampia vetrata dell'appartamento, e posso finalmente tirare un sospiro di sollievo: il volo non ha avuto intoppi, le valigie sono al sicuro, Cory non ha avuto paura e l'appartamento è meglio di come me lo aspettassi. Nell'alloggio ci sono due camere: una piccola e confortevole per Cory e una con un letto a due piazze per me. Il soggiorno funge da salotto, grazie a un divano grigio scuro, e presenta un piccolo cucinotto moderno. C'è tutto quello che ci serve in questi sessanta metri quadri.
Completamente sfasata dal fuso orario, al momento non sento minimamente il richiamo del sonno, così apro il mio MacBook per lavorare un po'. Sono pochi mesi da quando sono stata assunta in una grande casa editrice come content editor e, sinceramente, non potevo sognare di meglio: posso lavorare in smart working, ho gli orari che preferisco, riesco a occuparmi di Cory e, soprattutto, leggo, leggo tanto. Leggere è una delle attività che danno senso alla vita, soprattutto alla mia. Mi ritengo estremamente fortunata ad aver trovato questo lavoro, a meno di un anno dalla laurea magistrale.
Dopo qualche ora, il sonno inizia ad avere la meglio. Mi concedo una doccia rilassante e mi butto nel comodo ed ampio letto.
Sono a Seoul, ma non riesco ancora a crederci.
. . .
Mi sveglio senza avere idea di che ore siano, noto che Cory si è infilato nel mio letto senza che me ne accorgessi e dorme ancora. Sorrido dolcemente e gli accarezzo la folta chioma. La luce filtra dalla tapparella che ho abbassato quasi del tutto ieri sera, quindi suppongo che sia già passato mezzogiorno.
Afferro lo smartphone sul comodino e, in effetti, sono quasi le 15. Il mio stomaco mi ricorda che non mangio da almeno dieci ore, obbligandomi a lasciare il letto per dirigermi in cucina. Fortunatamente ho pensato bene di portarmi un pacco di spaghetti e una bottiglia di salsa di pomodoro in valigia, da vera italiana espatriata, quindi riesco a cucinare velocemente un piatto di pasta. Sveglio Cory e ci mettiamo a mangiare sulla penisola che divide l'angolo cottura dall'area salotto.
«Oggi vediamo zia Sharon, sei contento?» domando, sentendo gradualmente la sensazione di vuoto allo stomaco ridursi.
Cory annuisce vigorosamente: «Zia Sharon!»
'Come si fa a non essere felici di vederla?' penso sorridendo.
Mia sorella ha quattro anni più di me, un'energia impressionante e un carattere carismatico. Ovunque vada si fa amare e rispettare e con Cory, nonostante la distanza, ha un bellissimo rapporto. Ci videochiama spesso, quando i turni in ospedale e il fuso orario glielo consentono, e mensilmente invia un pacco con dolcetti e regali per noi o, meglio, per il mio piccolo angelo. Si è trasferita a Seoul diversi anni fa, prima della mia gravidanza, e lavora come medica in uno degli ospedali più grandi della città.
Per me non è solamente una sorella, è stata la mia principale àncora in questi ultimi anni. Mi chiedeva continuamente di andare a vivere con lei, nella capitale coreana, pur sapendo perfettamente il motivo per cui non volevo nemmeno metterci piede. Mi sarebbe piaciuto averla al mio fianco, sapere che Cory avesse anche lei su cui contare, ma non riuscivo a immaginarmi di vivere a Seoul, che nei miei ricordi era semplicemente la città di Chan. Non sarei mai riuscita a sentirla mia.
Dopo aver vestito Cory ed essermi data una sistemata, faccio un respiro profondo e ci inoltriamo nelle strade di Seoul. Non sembra cambiata poi così tanto e, stranamente, mi sento accolta dai suoi alti palazzi e dal suo caotico ritmo di vita. Cammino per qualche isolato, mentre il piccolo moro saltella al mio fianco, giocando con un modellino di aeroplano - uno dei tanti regali della zia.
Il nostro appartamento non dista molto dal palazzo dove vive mia sorella che, secondo Google Maps, dovrebbe trovarsi proprio in questa via. Ci incamminiamo lungo una strada in salita che sembra portare verso una zona collinare e, dopo pochi metri, veniamo circondati da alberi e vegetazione. I grandi palazzi della metropoli spariscono venendo sostituiti da sporadiche villette.
Proseguiamo finché l'applicazione non ci segnala una meravigliosa villa moderna.
Cory spalanca la bocca, in estasi: «Woah... La zia vive qui?»
Annuisco, ammirando l'immensa dimora. L'architettura dell'edificio mi ricorda in qualche modo l'Italia e si distanzia molto dagli enormi palazzi in vetro della Seoul dei miei ricordi. Ha un'aria elegante, ma al contempo accogliente, ed è completamente immersa in un meraviglioso giardino. Mi chiedo se mia sorella abbia assunto un giardiniere, in quanto, a differenza mia che ho sempre avuto quello che chiamano "pollice verde", Sharon fatica a tenere in vita anche solo una pianta grassa.
Prima che possa riprendermi dalla sorpresa e avvicinarmi al campanello, la vedo spuntare da una delle ampie finestre del primo piano, sfoderando un sorriso contagioso:
«Nena! Cory!» sventola la mano vigorosamente, mentre il mio piccolo comincia a saltellare, agitando le braccia per ricambiare il saluto.
Sharon sparisce dalla finestra e riappare nel giardino, correndoci in contro e accogliendo calorosamente Cory, che si lancia tra le sue braccia. Poi si alza e finalmente i nostri occhi si incrociano. Sento i miei pizzicare, ma mi obbligo a trattenere le lacrime e a non pensare al fatto che non vedevo mia sorella da un anno.
«Roni, mi sei mancata...» le sorrido, usando anche io il suo soprannome di infanzia.
Mi stringe tra le sue braccia e vengo invasa dal suo inconfondibile profumo: è da che ne ho memoria che utilizza Poison Girl di Dior. Inspiro quella fragranza ormai familiare.
«Anche tu piccola peste!» sussurra, accarezzandomi i capelli.
Non ho mai amato il contatto fisico, mi ha sempre messa a disagio, sin da piccola, ma Sharon è l'unica, a parte Cory, con cui riesco completamente a lasciarmi andare alle effusioni.
«Entriamo, vi mostro la casa!» esclama, eccitata. Prende per mano il nipotino, che è già partito con la raffica di domande, e lo porta in giro per l'enorme villa.
L'interno è ancora più strepitoso, completamente bianco con dei dettagli in legno chiaro che, assieme alle enormi vetrate, rendono l'ambiente estremamente luminoso.
«È immensa...» esclamo, perdendo il conto delle stanze che ci sta mostrando.
Mi lancia un'occhiataccia: «Io te lo avevo detto che potevate stare da me, tu hai insistito ad affittarti quel buco di appartamento!»
Alzo gli occhi al cielo ed evito di risponderle, per non ripetere per l'ennesima volta questa discussione.
«Comunque...» esordisce per cambiare discorso, rivolgendosi a Cory, «Vuoi fare un tuffo in piscina?»
Cory sembra nel paese dei balocchi, il suo viso si illumina e comincia a urlare, in preda all'estasi. Gli metto una mano sulla spalla per tranquillizzarlo, ma non riesco a trattenere un sorriso.
Sharon entra in una delle stanze del primo piano, che credo sia la sua camera da letto, e torna con due costumi: «Ecco, cambiatevi» ordina allungandomi un bikini nero. Probabilmente ha scelto il più sobrio che possiede, conoscendo i miei gusti. Cory afferra un piccolo costume verde, comprato appositamente per lui, ed è talmente esagitato che ha già iniziato a togliersi i vestiti nel bel mezzo del corridoio. Guardo Sharon e scoppiamo insieme in una risata fragorosa.
Non riesco a smettere di guardarla, è sempre stata bellissima e mi era mancata così tanto la sua risata. Ha un sorriso estremamente ampio, un naso a punta molto fine, ornato da un anellino dorato, e gli occhi verdi come quelli di nostra madre. Anche i capelli biondi, che ultimamente porta in un lungo caschetto, sono nettamente in contrasto con i miei e sono un'eredità materna. In quanto a me, invece, sono la perfetta copia di mio padre: dai capelli neri fino agli occhi azzurri. Ci dev'esser stato poco rimescolamento genico tra i nostri genitori.
Gli occhi mi cadono su Cory, che invece è la perfetta sintesi tra me e Chan: occhi nocciola allungati e fossette come quelle del padre, capelli lisci e neri e naso piccolo come il mio. Penso abbia preso il meglio da entrambi.
Sharon allaccia il costume del nipotino e lo prende per mano, guidandoci all'ultimo piano, dove un'ampia piscina ci accoglie. Si affaccia su Seoul e sul magnifico giardino della villa e, non posso negarlo, penso che vivere qui sarebbe magnifico.
Sorseggio una Schweppes Lemon, rilassandomi sulla sdraio, godendomi il calore del sole sulla pelle. Cory si è addormentato all'ombra, dopo aver fatto diverse lezioni di nuoto con la zia, che tra le altre cose, è una nuotatrice fantastica.
«Come stanno mamma e papà?» domanda lei, continuando a massaggiarsi la crema solare sulle lunghe gambe.
«Bene, ma già lo sai: vi sentite tutti i giorni!» sghignazzo.
Lei accenna un sorriso e alza gli occhi al cielo. L'ho sempre presa in giro per il suo atteggiamento da figlia perfetta e mammona, eppure sono io quella che ancora vive con loro.
Il mio viso si raggrinzisce in una smorfia. Sharon si gira verso di me e mi scruta da sopra le scure lenti firmate Dior:
«E tu? Tu come stai?»
Sospiro impercettibilmente e annuisco tra me e me: «Mi sento bene, Roni. Il nuovo lavoro mi piace molto, sento di star riprendendo la mia vita in mano.» ammetto.
Gli ultimi anni, tra la gravidanza e il post partum, sono volati e tutto ciò che non riguardava Cory è passato in secondo piano: la mia carriera, i miei studi, le mie passioni. Ero solamente una mamma, nient'altro, e mi sembrava di aver perso le redini della mia vita.
I miei genitori, nonostante faticassero inizialmente ad accettare che fossi rimasta incinta, per di più di un uomo che viveva dall'altra parte del globo e che non avevo intenzione di mettere al corrente della mia dolce attesa, hanno fatto di tutto per aiutarmi a crescere Cory e permettermi di continuare a studiare letteratura. Sono due persone meravigliose e due nonni unici, ma ovviamente abbiamo bisogno di crearci una nostra famiglia, una nostra piccola casa, ho bisogno di avere una mia indipendenza per sentirmi una donna e non più solo una "ragazza madre". In fondo, sto lavorando per quello, devo solo avere pazienza.
«Sei pronta per domani?»
Sharon mi risveglia dai miei pensieri.
'Domani', penso, 'sono pronta a rivederlo?' mi chiedo, cercando di figurarmi la scena nella mia mente.
Scuoto la testa: «Per niente, ma va fatto.»
Lei annuisce e sembra riflettere un'istante prima di parlare: «Vuoi che ti accompagni?»
«No, devo farlo da sola. Preferisco tu tenga Cory, perché non so come reagirà Chan.» spiego, non riuscendo a prevedere la sua espressione o ciò che dirà. Si arrabbierà o mi lascerà spiegare?
«Non ti preoccupare per Cory, mi sono presa una settimana di ferie apposta per fare la zia!» esclama lei, per riportarmi il sorriso.
«E in quanto a Chan... Se fa lo stronzo, andrò di persona alla JYP a tirargli quelle grosse orecchie che si ritrova.» sbotta, stringendo la mano a pugno. Devo dire che è abbastanza minacciosa.
Scoppiamo a ridere e concludiamo la nostra giornata come due normali sorelle, spettegolando dei colleghi di Sharon o dei nostri amici di infanzia italiani e, anche se sono lontana chilometri da Bologna, mi sento a casa.
. . .
Note:
Eccomi con il prologo, fatemi sapere cosa ne pensate e come credete che andrà l'incontro tra Chan e la protagonista!
Prossimo capitolo: giovedì prossimo se ricevo qualche stellina/commento <3
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