twenty-three

23. The death


ATTENZIONE: se siete soggetti facilmente impressionabili o comunque deboli di stomaco, consiglio di non leggere il capitolo. se decidete di continuare, lo fate a vostro rischio e pericolo, quindi mi aspetto di non ricevere critiche o commenti su questo. 


La scoperta che Mike aveva riferito fece sì che Dummer avesse sempre più dubbi sull'effettivo legame tra la Jauregui e il ragazzo trovato nella casa; questi lo portarono a fargli visita in ospedale.
La prima cosa che notò fu lo sguardo con cui il ragazzo lo accolse: duro, freddo, apatico da fare gelare il sangue. Quel ragazzo sembrava senza anima, i suoi occhi cosi spenti fecero paura all'investigatore che temette per la sua lucidità.  Se non fosse stato nel pieno delle sue facoltà l'interrogatorio non sarebbe stato possibile.
Dummer fece cenno ai due agenti appostati fuori di chiudere la porta; prese una sedia di plastica e la posizionò al lato del letto sedendosi e incrociando le braccia.  -"Allora?" chiese.
Il ragazzo gli rivolse un'occhiataccia e tornò a fissare la parete bianca di fronte a lui: non voleva collaborare. -"Il tuo nome deve essere Shawn Mendes, vero? Io sono Troy Dummer e lavoro per l'FBI, avrei bisogno di farti delle domande".
Ma niente, Shawn non gli prestava attenzione cosi l'investigatore rincarò la dose.
-"Tuo zio è morto, lo sapevi?" Chiese aspettandosi una qualche reazione che, però, non ci fu. Questo fece rabbrividire Dummer; quel ragazzo non provava niente o forse lo shock aveva giocato a suo sfavore.  Nonostante questo dubitava l'origine di quei problemi, ovviamente rischiare di morire non è facile, ma in quel ragazzo Troy vedeva problemi più radicati. Forse qualche patologia psichica.
-"Lo so", rispose poi con una risata maligna. Dummer sussultò sulla sedia e raddrizzò la schiena come un soldatino sugli attenti. -"Allora sai chi è stato?"
-"Certo che lo so", rise ancora più forte. -"Sono stato io".
La leggerenza con cui furono pronunciate quelle parole, tolsero il respiro al signor Dummer che rimase quasi pietrificato davanti alla sfacciataggine - e alla depravazione - di quel ragazzo. Lo aveva ucciso lui e lo aveva ammesso in maniera cosi semplice da sembrare uno scherzo.
-"S-Sei stato tu, Shawn? Sicuro?" chiese incredulo.
-"Sì, voleva uccidere Camila". Rispose, stavolta nel suo sguardo ci fu un cambiamento: era triste, Shawn era diventato triste all'improvviso. Il suo umore era una molecola impazzita, cambiava cosi velocemente da non lasciare all'investigatore il tempo di comprendere cosa stesse succedendo.
-"Camila? Camila Cabello, è di lei che parli, vero?"
Shawn annuì. -"Lui voleva ucciderla perché è fuggita, capisci? Se fugge poi non può lavorare, e se non lavora io non posso stare con lei". Adesso sembrava un bambino triste, un bambino triste e solo. Faceva quasi pena a vederlo cosi. -"Hai ragione, Shawn. Se Camila scappa poi non può stare con te, ma allora perché sta scappando?"
Dummer capì che assecondarlo era l'unico modo per riuscire a estrarre le risposte di cui aveva bisogno, perché Shawn era in uno stato di regressione; un bambino che muore dalla voglia di raccontare, e lo stava facendo, in qualche modo.
-"Perchè si è innamorata di lei, capisci? Di lei!" Ancora un'altra faccia: la rabbia. Shawn adesso stava gridando, forte, troppo forte. E si stava agitando, e Troy non riusciva a capire. Camila si era innamorata?
-"Si è innamorata di quella disgraziata! Lauren me la sta portando viaaa!" Gridò ancora.
-"Avrei dovuto uccidere anche loro!" Gli occhi di Dummer si spalancarono. -"Cosa?"
-"Dovevo ucciderle", ridacchiò in maniera isterica Shawn. -"Ma sono riuscite a scappare prima che ci riuscissi".
Finalmente qualche tassello cominciava a tornare al suo posto: quella Camila doveva essersi innamorata di Lauren e per questo la stava seguendo, e forse lavorare con Alien l'aveva aiutata a fuggire. E Shawn aveva ucciso suo zio per salvarla, ma poi aveva tentato di ucciderla lui stesso, possibile? A quanto pare sì; ma tutto questo non dava cenni su quello che sembrava essere il segreto di Lauren, ad ogni modo. 

Poi quella chiamata. -"Troy, le abbiamo trovate. Le hanno avvistate, si stanno dirigendo verso una pista di atterraggio poco lontana dalla fine del bosco".
Dummer si alzò di scatto dalla sedia sotto gli occhi confusi del ragazzo. 
-"Sicuro che siano loro?" chiese voltando le spalle al letto di ospedale. Un'infermiera entrò nella stanza lasciando un carrellino, probabilmente con della medicina per Shawn, e se ne andò. 
-"Sì, sicuro. Devi venire subito qui, le bloccheremo alla pista". L'investigatore annuì come se il collega potesse vederlo; chiuse la chiamata e portò il cellulare nella tasca del pantalone. 
Si voltò nuovamente verso il letto d'ospedale e rimase sconvolto quando vide il ragazzo impugnare una siringa. -"Che stai facendo?!" Urlò. 
-"Non andrò in carcere, non lo farò!" Gridò il ragazzo per risposta. La rabbia nei suoi occhi era tale che un brivido percorse la schiena dell'investigatore, che rimase immobile senza sapere bene cosa fare. Se gli fosse finito addosso avrebbe rischiato di farsi del male e di farne a lui; ma lasciarlo fare era peggio. 
Così proprio quando si decise a fermarlo, questo strinse i denti e conficcò la siringa dritto nella pelle; il sangue colante sporcò il braccio, e le lenzuola, e il camice che aveva indosso. 
-"Oh mio dio, che cazzo hai fatto?" Gridò esterrefatto. -"Infermiera! Infermiera presto!", continuò a urlare tenendo premuto il pulsante rosso d'emergenza. 
Shawn ormai era in pieno a una sorta di crisi epilettica,il corpo fu colto da un tremore improvviso, piano e poi sempre più forte, e una schiuma bianca usciva dalla sua bocca. Shawn stava morendo. 
Shawn aveva preferito morire piuttosto che finire in carcere; piuttosto che vedere Camila felice con Lauren, forse. Piuttosto che vivere la vita in solitudine e nel rimorso. 
Shawn morì così, con una siringa conficcata nel braccio e gli occhi di chi sta guardando la morte e se ne sta prendendo beffa. 
Le infermiere arrivarono poco dopo, ma lui era già morto e fu possibile solo determinarne il decesso. 
Dummer si passò una mano sulla bocca, in tutti i suoi anni di carriera non si era mai trovato in una situazione del genere. Corse fuori dalla stanza, lo stomaco prese a fare male, la gola bruciò sempre di più e in bocca uno strano sapore impastava la sua lingua. Si avvicinò ad un secchio, nel bel mezzo del corridoio, e ci vomitò dentro liberandosi completamente; paura, disgusto, sofferenza, incapacità. Avrebbe potuto salvarlo, ma non lo aveva fatto. Shawn era una persona orribile, ma in questi momenti ti chiedi quanto giusto sia lasciare qualcuno morire nonostante i suoi sbagli.
Nessuno merita di morire, nessuno. 



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