twenty-six

26. interrogatorio pt.2

Lauren se ne stava seduta su di un materasso vecchio e consumato aspettando che qualcuno la venisse a chiamare per la seconda parte dell'interrogatorio.
Non aveva chiuso occhio tutta la notte, i rimorsi le bruciavano dentro tormentandola perfino nei sogni, o meglio dire incubi. La stessa scena, le stesse persone, le stesse parole. Ogni notte riviveva quella sera come un fotogramma inceppato nel proiettore. Sarebbe voluta andare avanti, ma non poteva, qualcosa l'ancorava a quel dannato ricordo sebbene avesse già preso la sua decisione.
Forse il fatto che l'investigatore Dummer si fosse dimostrato cosi disponibile aveva fatto sì che il suo inconscio venisse tentato dalla possibilità di dire la verità. Passare la sua vita in carcere non era certo quello che voleva, ma sapeva essere la scelta giusta per tutti quanti.
Quando una guardia venne a chiamarla dalla finestrella della porta, la sua compagna di cella le rivolse una risatina isterica - era finita dentro per aver cercato di incendiare la casa del suo patrigno - e Lauren la fulminò con lo sguardo. -"Che cazzo hai da ridere, mh?"
La tizia dai capelli ricci smise di ridacchiare e sul suo volto apparve uno sguardo di sfida. -"Io faccio quello che mi pare, capito?", ringhiò per poi ridere nuovamente. -"Solo perché passi la vita a farti seguire dai poliziotti e dai paparazzi, non vuol dire che devi darti tante arie".
Alla ragazza parve di aver fatto una battuta, ma Lauren non rise bensì le si fiondò addosso dandole un pugno in pieno viso. Le due si presero a botte rotolando sul pavimento, tirandosi i capelli e urlandosi parolacce di tutti i tipi finché la guardia non intervenne allontanando la nera. -"Jauregui, sei già abbastanza nei guai!", la riprese la guardia spingendola fuori dalla cella.
I due presero a camminare verso la stanza dove sarebbe avvenuto il secondo interrogatorio, mentre la tizia continuava ad urlare insulti dalla sua finestrella. Lauren chiuse gli occhi e fece un respiro profondo cercando di non cedere nella provocazione. Non avrebbe fatto che peggiorare la situazione.

-"Una rissa? Lauren, davvero?!", chiese retoricamente Dummer sbattendo le mani sul tavolo. La guardia aveva raccontato all'investigatore il fatto increscioso appena successo; Lauren passò il tempo a fissare una macchia sul tavolo lucido mentre l'uomo camminava avanti e indietro parlando a vanvera. -"Mi stai ascoltando?", chiese infine. La nera sollevò lo sguardo incontrando quello dell'investigatore, non diede cenni ma rimase a fissarlo vuota di ogni emozione.

Non aveva ascoltato nemmeno una parola e, sinceramente, neanche le interessava cosa avesse da dire, ma improvvisamente il cuore si fece pesante. C'era qualcosa, qualcosa che non riusciva più a sopportare. Sentiva il bisogno di sfogarsi, doveva farlo o sarebbe impazzita di lì a poco.
Una lacrima rigò il volto di Lauren che nemmeno se ne accorse; una goccia cadde sul tavolo attirando l'attenzione di Dummer che improvvisamente si fermò e rimase in silenzio. Difficile dire se fosse per stupore o perché non aveva idea di come comportarsi in una situazione simile.
Forse non era nemmeno sicuro che stesse piangendo davvero. Forse un riflesso.
Ma poi cadde una seconda goccia, e una terza, e una quarta.
-"Perché piangi?", finalmente si decise a parlare e Lauren fu grata di questo. Quel silenzio la stava uccidendo. -"Non so cosa fare, Signore".
Dummer si sedette davanti a lei. -"Cosa? Cos'è che non sai come fare?", l'investigatore capì subito che quello poteva essere il momento giusto per estrapolarle delle informazioni.
-"Vorrei dire la verità, ma non posso farlo".
-"Allora ammetti di non essere stata tu", commentò. Lauren scosse il capo cercando di asciugarsi una guancia ormai bagnata dalle lacrime. -"La credevo più furbo", rise tristemente la ragazza e Dummer si trovò ad abbozzare una risata.
-"Giusto. Io so che non sei stata tu, ma non capisco perché tu non voglia dire chi è stato".
-"Perchè rovinerebbe tutto", piagnucolò Lauren.
-"Tutto cosa?"
-"La sua vita...", rispose incerta Lauren.
-"E la tua? La tua vita com'è adesso, Lauren? E' come avresti sognato che fosse? E' cosi che ti immaginavi da grande? Qui, tra quattro mura senza una via di uscita. Oh, andiamo, tu sei uno spirito libero! Come può una persona come te trovarsi a guardare il cielo per un ora al giorno? Non dureresti una settimana qui dentro".
Lauren scosse il capo contrariata - "Posso farcela, io sono forte".
-"Ma non abbastanza forte per questo posto", affermò Troy Dummer. Lauren rimase in silenzio fissando le sue mani come se fossero la cosa più interessante al mondo.
Poi un sospiro. Uno sospiro lungo ma fragile destinato a spezzarsi nel vuoto.
-"Te lo chiederò un'ultima volta, Lauren. Camila c'entra qualcosa?"
Lauren scosse vivamente il capo. -"No, le assicuro che non sapeva niente di tutto questo!"
Sul volto dell'investigatore apparve una strana smorfia che la ragazza captò.
-"Che succede? Non mi crede più adesso?" Lauren era stupita, l'unico che sembrava essere dalla sua parte, adesso le stava andando contro.
Dummer si passò una mano sulla fronte e poi sul mento coprendo la bocca. Davanti a lui un fascicolo di fogli, uno di questi era fra le sue mani. La nera capì che c'era qualcosa che non andava ed era esattamente in quei documenti.
-"Può spiegarmi che succede?" Sbottó d'un tratto Lauren stanca di quel silenzio.
L'investigatore sospirò lasciando cadere il foglio sul tavolo. -"La tua versione non combacia con quello che ha detto Camila Cabello".
-"Cosa? N-Non è possibile...Lei..."
-"Dopo essere arrivata a Portland, è andata a costituirsi." affermò.
Lauren non riuscì a credere alle sue orecchie, non poteva essere vero, non poteva averlo fatto sul serio. -"N-Non è possibile".
-"Ha anche confessato la sua verità..."
-"Sarebbe?"
Dummer prese del tempo per rispondere. -"Lei sostiene di conoscerti da prima del tuo arrivo in Liberty City."
Lauren annuì. -"Certo, gliel'ho detto. Lei mi conosceva per le mie fughe, tutti sanno chi sono".
Ma l'investigatore scosse il capo, -"No, Lauren, lei...lei sostiene di aver ucciso quell'uomo".
La ragazza non riuscì a credere alle sue orecchie; con la bocca spalancata e gli occhi sbarrati, continuò a fissare l'investigatore Dummer. Non era possibile che Camila avesse fatto una cosa del genere. Perché? 
Le lacrime presero a scendere nuovamente, non poteva rovinare anche la vita di Camila.
-"L-Lei non deve credergli!" - gridò Lauren - "La prego, non le creda. Non è vero, io non la conoscevo!"
-"Io non le credo, sono certo che lo stia facendo perché non vuole lasciarti sola. Quella ragazza ti ama cosi tanto da toccare il fondo assieme a te."

Lauren cercò di asciugare le lacrime inutilmente.  -"Devo vederla, la prego, ho bisogno di vederla. La convincerò a dire la verità cosi potrete mandarla da sua sorella", il tentativo della nera era mosso dalla disperazione. Non avrebbe mai lasciato Camila cadere giù con lei. Piuttosto si sarebbe uccisa.
-"Si trova in una struttura penitenziaria a Portland, resterà lì fino alla data del processo".
-"Una settimana?!" Gridò Lauren. -"È tutto quello che possiamo fare, ma..." Dummer si fermò per un istante. Si guardò attorno poi prese una penna e scrisse qualcosa su di un foglio di carta, barbottando cose a caso che Lauren non capì. D'un tratto fece scorrere questo foglio sul tavolo lucido e la nera potè finalmente leggere.

Sei. Mensa.
587473 Portland.
Cabello.

Lauren lesse in fretta e prese un foglietto accartocciandolo e infilandolo nella tuta arancione che aveva indosso. L'investigatore le avrebbe dato la possibilità di comunicare con Camila e forse era l'unica chance si convincerla a dire la verità.
Se Lauren doveva finire all'inferno, ci sarebbe andata da sola.

n/b:
scusate se ci ho messo tanto ad aggiornare, ma wattpad mi ha cancellato tutti i capitoli finali che avevo preparato e quindi sto cercando di riscriverli.
ad ogni modo ci stiamo avvicinando sempre di più alla fine.
secondo voi come andrà a finire? chi è stato il vero assassino?

(sembra d'essere a mistero) lol

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