twenty - eight

28. Abbi cura di te.

Dipende tutto da te Lauren.

Queste parole la tormentarono per notti intere - con la speranza di dimenticarle, si accingeva a svolgere più attività possibili ma era tutto inutile. Tornavano sempre più forti e più chiare di prima, almeno fino a quando non richiedeva una spirina per il mal di testa e di corsa filava a letto. La compagna di cella ormai non era più un problema, una guardia si era accorta dei continui litigi e alla fine avevano optato per un cambiamento e Lauren era rimasta sola. Non che le dispiacesse, ma la solitudine era difficile da sopportare.

Se aggiungiamo l'ansia per il processo sempre più vicino, Lauren poteva dirsi davvero stressata. La notte, le poche volte che riusciva a dormire, si svegliava urlando disperata. I sensi di colpa la tormentavano trasformandosi in incubi.
Non trovava via di uscita.

Inutile negare che per un attimo l'idea di suicidarsi le era passata per la mente; in quel modo avrebbe smesso di vivere col rimorso e non avrebbe rovinato la vita di nessuno se non la sua. Ma poi l'immagine della sua famiglia e quella di Camila le apparsero davanti agli occhi, e alla fine non riuscì nemmeno in quello. Gettò il pezzetto di vetro che aveva ricavato dallo specchio rotto nel cestino, e chiamò la guardia facendosi scortare fuori.

Il giorno del processo, quello sì che fu duro. La mattina stessa la svegliarono di buon ora buttandola giù dal letto, lo stesso Dummer entrò nella sua cella aspettando che si preparasse per ricevere i suoi genitori.
Prima dell'udienza avrebbe incontrato il suo avvocato e i familiari per discutere le ultime cose per la difesa. Ma Lauren di difendersi non ne voleva sapere, lei voleva solo essere accusata e sparire dalla vita di tutti.

-"Hai riflettuto sul da farsi?", domandò l'investigatore poggiandosi con la spalla al muro, mentre Lauren si lavava i denti in un lavandino minuscolo sulla parete.
Sputò e si asciugò la bocca con uno straccio. -"Le importa tanto?", chiese guardandolo negli occhi.
Dummer sospirò scuotendo il capo. -"In questo carcere ci sono detenuti che sono dentro per aver compiuto delle vere e proprie stragi. Inoltre abbiamo pochi posti, mi infastiderebbe tenere occupata una cella per un tuo capriccio."
-"Oh, adesso sono anche una ragazza capricciosa", ridacchiò Lauren con aria sarcastica. Prese un elastico e si legò i capelli in una coda alta, tornando a guardare l'investigatore.
-"Credo che debba lasciare da parte l'amico comprensivo e tornare a fare il suo mestiere."
Sul volto di Dummer apparve un breve sorriso, si avvicinò al suo orecchio. -"Il mio lavoro lo svolgo sempre e con la mia coscienza sono apposto."

Lauren rimase in silenzio, guardò oltre le spalle dell'uomo e lo superò seguendo la guardia. Sentiva i passi di Dummer dietro di lei, ma non si voltò, nemmeno una volta e nemmeno per sbaglio. Cosa voleva quell'uomo da lei? Perché ci teneva tanto che dicesse la verità? Infondo per lui, l'unica cosa che doveva davvero contare, era che il caso si chiudesse e basta. E invece no.

Il corridoio sembrava infinito, sui lati solo celle piene di donne e uomini senza scrupoli che urlavano di tutto. Lauren ebbe un brivido che le percorse tutta la schiena; se avesse deciso di rimanere in silenzio...che stupidaggine! Lei aveva già scelto.

Entrò in una stanza che somigliava tanto a quella dell'interrogatorio, ma in fondo quelle stanze erano tutte uguali: tristi e buie.
Per l'agitazione non riuscì nemmeno a sedersi, rimase in piedi camminando avanti e dietro in attesa che arrivasse la sua famiglia.
Quando la porta si aprì, il suo cuore quasi non uscì fuori dal petto. Le figure di suo fratello Chris e sua madre le apparvero davanti, che quasi non riusciva a credere che fossero lì.
Lauren rimase quasi paralizzata, le mani le tremavano ma non pianse. Quella che invece finì in lacrime fu sua madre che corse ad abbracciarla. -"La mia piccola", sussurrò tra una lacrima e l'altra.  Quell'abbraccio per Lauren significò tutto.
Era cosi confortante, si sentiva come al sicuro, protetta nel suo nido materno. Chiuse gli occhi e scoppiò a piangere come un fiume in piena. Crollò, fragile e debole com'era.
Sua madre non disse niente, continuò ad accarezzarle la testa baciandole la guancia. -"Non piangere, si sistemerà tutto", le parole di sua madre erano cosi confortanti, ma non erano la verità. 

Subito dopo ricordò che lì dentro c'era anche Chris, suo fratello. Sciolse l'abbraccio con sua madre e si avvicinò a lui, che rimase impacciato a fissare il pavimento. Lauren non ci pensò due volte e si fiondò fra le sue braccia stringendolo forte a sè.
Chris la strinse a sua volta affondando il viso nell'incavo del suo collo.

-"Ho paura", sussurrò debolmente. La madre non potè sentire, ma per Lauren fu più che chiaro. Suo fratello stava tremando e lei avrebbe voluto tremare assieme a lui, ma si impose di rimanere ferma. Fece un respiro profondo e chiuse ancora una volta gli occhi raccogliendo tutta la sua forza di volontà.

-"Andrà tutto bene, Chris", sussurrò riaprendo gli occhi e fissando il vuoto. Adesso sì che sapeva cosa fare.
Non avrebbe mai detto la verità.
Non poteva.

Quando l'abbraccio si concluse, Lauren tornò a guardare la porta. -"E papà? Taylor? Stanno arrivando?", chiese.
Entrambi si guardarono negli occhi rivolgendo poi lo sguardo altrove;  Lauren guardò sua madre e poi suo fratello. Lesse l'imbarazzo nei loro occhi.
-"Loro...Loro non verranno", rispose la madre con lo sguardo basso.
-"Non vogliono saperne niente...", ammise Chris.
La nera rimase ad occhi sbarrati nel vuoto: suo padre non voleva saperne niente di lei e nemmeno sua sorella. Si vergognavano di lei e come dare tutti i torti?
Per tutti lei era una fuggitiva che aveva ucciso delle persone e, come se non bastasse, adesso tutti sapevano della sua storia con Camila, della sua omosessualità.

Era una vergogna.

-"Papà si vergogna di me", constatò.
-"Ma no che dici?", chiese con esitazione la madre. -"Lo sai com'è...Lui è fatto così, vedrai che gli passa..." cercò di rimediare.

-"Gli passerà?! Ho ucciso un suo collega, no? Come può perdonarmi?!", gridò Lauren con le lacrime agli occhi.
Chris sussultò guardando sua sorella in quelle condizioni. -"Tu non hai ucciso nessuno perché..."

-"Perché sappiamo che non ne saresti mai capace, tesoro", lo interruppe la madre senza volerlo. Lauren fece un respiro di sollievo, ma non riuscì a guardare sua madre negli occhi.

-"F-Forse dovete andare, tra poco arriverà l'avvocato per discutere gli ultimi punti della difesa".

-"Va bene, allora noi andiamo. Mi raccomando, abbi fiducia e tutta questa storia finirà presto", sorrise sua madre regalandole un ultimo abbraccio. E poi fu il turno di Chris che la strinse cosi forte; non avrebbe mai voluto lasciarla lì dentro.
Ma sua madre lo richiamava, e cosi abbandonò le sue braccia guardandola negli occhi mentre le lacrime scivolavano da sole.

-"Abbi cura di te, ti voglio bene.", mimò con le labbra Chris prima di sparire.
Lauren rimase stupita non capendo a cosa fossero dovute quelle parole, c'era troppa nostalgia e troppo dolore per essere solo una raccomandazione. Ma non ci fece troppo caso, l'avvocato entrò e assieme ripassarono la difesa.
Ormai era solo questione di ore.

-♥

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