Capitolo ventisette

Kenneth puntella i gomiti sul bancone della cucina e solleva le ciglia lunghe, fissandomi dritto negli occhi. «Vieni con me», mi dice all'improvviso.

Un calore si estende a macchia d'olio al centro del mio petto.
Riluttante, gli do le spalle e mi prendo un secondo per riflettere.
«Non mi sembra un'ottima idea», rispondo accompagnando la frase con un sospiro pesante.

Sento lo sgabello strisciare sulle piastrelle e i suoi passi pesanti farsi più vicini.
La sua mano calda e grande si posa sulla mia spalla e io sollevo di scatto la testa.

«Perché no? Sei con me», mi prende il volto tra le mani e mi guarda con così tanta tenerezza che potrei sciogliermi.

«Perché so cosa penseranno gli altri di me», ammetto con una smorfia.

Lui accenna un sorriso delizioso, poi preme le labbra sulla mia fronte. «E a me da quando importa cosa pensano gli altri? Mi importa soltanto ciò che pensi tu».

La sua frase mi strappa un sorriso sincero. «Sai anche tu che non posso tornare con te in ufficio come se niente fosse».

Le sue sopracciglia si inarcano lentamente. «E questo lo decide... Chi?»

«È strano, Kenneth», sbuffo, distogliendo lo sguardo.

«Per me non lo è. Tenerti per mano davanti agli altri non è strano. Baciarti e dimostrarti davvero che ci tengo non è bizzarro. Non voglio nascondermi e non voglio darti questa impressione», mi dice cercando disperatamente di avere un contatto visivo con me.

Riporto lo sguardo su di lui e mi mordo il labbro. «Quello che hai fatto due giorni fa in aeroporto è stato-»

Lui sorride. «Incredibilmente bello? Pazzesco? Meraviglioso? Sbalorditivo? Sconcertante? Stupefacente? Entusiasmante?», accenna un mezzo sorriso malizioso e io gli colpisco il bicipite.

Lui simula una smorfia di dolore, facendomi ridere.

«Chiudi il dizionario di sinonimi e contrari che hai in testa, e cerca di essere ragionevole».

«Sissignora!», i suoi occhi si incatenano ai miei e sento il mio cuore sprofondare.

«Sono seria, Kenneth... Mi sembra sbagliato. Forse perché lo è», abbasso la testa, ma lui posa due dita sotto il mio mento e la risolleva.

«Lo è per chi?»

Mi stringo nelle spalle. «I tuoi dipendenti mi hanno vista andare via l'ultima volta. Mi guarderanno male».

Si lascia sfuggire una breve risata. «Li li licenzierò uno ad uno. Problema risolto. Altro?»

«Non puoi licenziarli soltanto perché mi guardano male», ribatto aggrottando le sopracciglia.

«Certo che posso! Qualche altro problema?»

«Kenneth, davvero, so quanto è difficile trovare un lavoro, quindi non ti permetterò di mandare quelle persone a casa soltanto perché inizieranno a borbottare non appena mi vedranno tornare in ufficio con te».

I suoi occhi si illuminano. «Quindi tornerai?»

«Non è ciò che ho detto».

«Invece sì. È ciò che hai detto. E per risponderti, so anche io quanto sia difficile, Kendra, ma se pensi che permetterò che i miei dipendenti pettegoli ti mettano a disagio e ti facciano venire voglia di nasconderti, allora forse non mi conosci abbastanza bene, altrimenti sapresti che non è un problema per me farlo. Ne ho licenziati alcuni per molto meno», mi accarezza dolcemente il volto e sento il mio stomaco contorcersi e un sorriso spontaneo baciarmi le labbra.

«Sei bellissima quando sorridi», si china verso di me e mi lascia un bacio sulla bocca. «Non permetterò a nessuno di farti sentire a disagio, né inferiore. Sei molto di più, Kendra. E te lo farò capire in qualche modo. Sei al sicuro con me, te lo prometto. Il tuo dolore è al sicuro e lui pure», posa la mano sul mio petto, all'altezza del cuore. Trattengo le lacrime e annuisco.

Da quando sono tornata a casa con lui non ho lasciato la sua stanza per un giorno interno. E non riesco nemmeno a dirgli che perfino questa casa mi fa mancare l'aria.

Non riesco a guardare quel letto senza farmi mille domande.

È lì che ha trovato la sua ex?

È lì che ha passato le notti in bianco?

È in quel letto che io gli ho detto silenziosamente addio.

E quel divano? Dio, anche lì... Gli ho dato tutta me stessa e lui ha fatto la stessa cosa, ma anche in quell'atto così intimo mentalmente gli avevo detto addio; mi ero già rassegnata.

E quella cucina così poco luminosa mi fa venire l'angoscia.

Perfino quel bagno, tralasciando la meravigliosa vasca, mi fa pensare alla volta in cui ho passato la notte qui.

E combatto una guerra dentro di me e non voglio coinvolgerlo. Non voglio avanzare pretese. Non voglio sentirmi un peso.

«Sei tremendamente silenziosa. A cosa stai pensando?», mi sfiora le labbra con il pollice e io mi riscuoto dai miei pensieri e lo guardo.

«Niente di che», mi stringo nelle spalle con un sorriso finto.

«So quando menti, Collins. E so quando ti senti...» fa una pausa e sospira. «So come ti senti. L'ho provato anche io. In modo diverso, ma l'ho provato. E che tu ci creda o meno, mi fa male pensare che tu possa sentirti così. Non voglio. Quindi parla con me».

«Potrei... Potrei tornare a casa mia?», chiedo con un filo di voce.

«Perché? Ti senti soffocata? Ho fatto qualcosa? Ho detto qualcosa di male? Non ti piace la mia compagnia?», inizia a riempirmi di domande e scuoto la testa, allontanandomi leggermente da lui.

«Non sei tu», guardo i gigli di diversi colori nel vaso al centro del bancone e ne accarezza i petali. 

«Allora cosa c'è?», si avvicina e guarda anche lui i fiori e poi fruga con lo sguardo la cucina e lentamente riporta l'attenzione su di me, sorridendomi teneramente. «Sono i colori, non è così? È questa casa».

Spalanco gli occhi e schiude le labbra, sorpresa. Come ha fatto a capito?

«È questa casa», ripete questa volta più determinato. Si morde il labbro inferiore con fare pensieroso.

«È bellissima, non fraintendermi», cerco di rimediare.

Lui inclina il capo e mi sorride. «Te l'ho mai detto che sei una pessima bugiarda?»

Sento le guance andare a fuoco. «Solo un paio di volte».

«Questa casa non sarà un problema. Il lavoro non sarà un problema. Qualsiasi altra cosa che ti provoca angoscia non sarà più un problema. Basta dirlo e troveremo una soluzione», viene verso di me e mi prende la mani tra le sue.

«Non voglio sembrare... Dio, non so nemmeno spiegarlo».

«Lo so. Kendra, guardami», mi costringe a puntare di nuovo gli occhi nei suoi. Dio, mi ero quasi dimenticata di quanto fossero belli e intensi.

«Ti perdono. L'ho già fatto giorni fa. Ciò che hai fatto non ha più importanza, va bene? Non vivere con il senso di colpa. Ho sbagliato anche io», i suoi occhi sono incredibilmente sinceri.

«Lo so, ma non riesco a darmi pace. Continuo a pensare "Merita qualcuno che lo renda davvero felice, tu gli hai fatto male. Molto male e merito di stare da sola"».

«Io merito te. Io ho messo gli occhi su di te dal primo giorno che ti ho vista. Eri buffa, eri bella, eri spontanea, eri semplicemente te stessa. Tu non mi vuoi perché sono un Harrison. Tu mi vuoi perché sono Kenneth. E sai quando l'ho capito?», le sue scivolano dolcemente sulla mia guancia. «Quando quella sera ti ho riportata a casa e tu mi hai offerto il tuo sacchetto pieno di vomito. Un'altra probabilmente avrebbe fatto di tutto per infilarsi nel mio letto o per farmi restare lì con lei, tu invece eri così... Nel tuo mondo. Non volevi me. Non mi desideravi minimamente. Ero uno sconosciuto come un altro», sorride genuinamente. «E a me piaceva essere guardato in quel modo. E non voglio che tu smetta di guardarmi così. Mai».

«In che modo?», mi acciglio.

«Come se fossi la cosa più bella e inaspettata che ti sia mai successa nella vita».

«L'hai notato?», chiedo timidamente.

«Noto tutto. E mi piace tutto. Mi piace sempre. E mi piaceva essere il tuo ragazzo preso in prestito, perché potevo starti più vicino. Potevo...», allunga la mano verso la mia e fa intrecciare le nostre dita. «Potevo fare questo senza problemi».

«Vederti con Martha mi ha fatto male. Ma non sei tu il problema», gli stringo la mano. «E provo una punta d'invidia quando ci penso ancora... L'hai aiutata tu a realizzarsi, in parte. L'hai fatto e lei non perderà mai tempo a rinfacciarmelo. Mi ripeterà che sono una fallita. Che non farò nulla nella vita. Mi proporrà ancora di lavorare per lei. E ogni parte di me odia il fatto che sia stato tu ad averla aiutata. Odio mia cugina. Odio mia madre. Odio la mia vita», l'ultima frase rimane sulla mia lingua come pezzi di vetro affiliati.

«Non lo sapevo, Kendra... Non avrei mai permesso che ciò accadesse», la sua mano si posa sulla mia nuca, mi attira a sé in un abbraccio e preme la bocca calda sulla mia tempia. «Rimedierò anche a questo».

«No», rispondo bruscamente.
«No. La odio, ma non voglio essere io la causa dei suoi fallimenti così come lei non è la mia. È la mia famiglia il problema».

«Ma io non intendevo farla fallire, Collins», ghigna e io ho paura di ciò che potrebbe nascondere dietro a quel sorriso.

«E cosa allora?»

«C'è qualcos'altro che le provocherà acidità allo stomaco», mi fa l'occhiolino.

«Ti dispiace essere meno criptico?», metto le mani sui fianchi e lo guardo male.

«Non pensi che quando ti vedrà, mano nella mano con la persona che l'ha aiutata a realizzare il suo sogno, le farà venire un infarto? Tu possiedi qualcosa che lei non avrà mai», mi prende la mano e me la bacia. «Hai me. Hai il mio cuore e tutta la mia attenzione. E finché stai con me, tutto ciò che è mio, sarà anche tuo. Quindi che si fotta!»

«Non voglio essere mantenuta da te», rispondo invece.

Lui apre la bocca per dire qualcosa, ma la richiude subito dopo. Dopo un breve silenzio, dice: «Non intendo farlo, infatti. Non sei così, lo so bene. Ma ogni tuo desiderio diventerà realtà. Quindi se vuoi aprire qualcosa a tuo nome, io ti aiuterò. Se vuoi lavorare con me, allora quel posto sarà sempre disponibile. Se vuoi...», abbassa la testa, un lampo di tristezza gli attraversa gli occhi. «Se vuoi cercare qualcos'altro, posso capirlo. Ma non sarò mai un ostacolo per te. Vorrei darti tutto ciò che ho. E per favore, non provare a fermarmi».

«Vorrei riavere il mio ufficio», dico con un ansito.

«È sempre stato tuo», un sorriso a trentadue denti gli illumina il volto. «Tornerai con me, dunque?».

Annuisco e lui mi bacia. Mi bacia come se volesse ringraziarmi, ma in realtà dovrei essere io a farlo.

«Chissà, ti avranno dato per disperso al lavoro», dico con tono canzonatorio.

Lui mi tocca la punta del naso. «Non è la prima volta e non sarà sicuramente l'ultima».

«Intendi assentarti ancora per giorni interi? E che esempio saresti per gli altri?»

«Ci assenteremo. Ogni volta che finisci nel mio letto, alzarmi diventa un'impresa. Quindi, non penserai mica di lasciarmi tutto solo a fantasticare su queste due bellissime-», fa per posare le mani sui miei seni, ma io gliele schiaffeggio divertita.

«Sei un pervertito».

«Solo con te», mi fa l'occhiolino.

«Lo spero».

Lui smette di sorridere. «Non sono mai stato quel tipo di uomo. E mai lo sarò, al di fuori dalla mia camera da letto. Nella quale ci sarai tu e soltanto tu».

Abbasso la testa, sorridendo tra me e me.

Mi sento... speciale. Per la prima volta, mi ci sento davvero. E non stiamo litigando. Non ci urliamo contro parole di odio. Nessuno dei due sta indossando una maschera questa volta.

«Sei incredibilmente bella quando arrossisci. E io adoro vederti arrossire. E adoro sentirti», sussurra al mio orecchio. «Sentirti tutta», le sue mani scivolano sul mio sedere e io trattengo il respiro.

«E non vedo l'ora di sentirti ancora», le sue labbra umide si spostano sul mio collo e mi spinge lentamente verso il bancone della cucina, ma io mi allontano ridendo.

«No, no. Dobbiamo andare».

Lui sporge il labbro inferiore e poi sbuffa. «Sei cattiva, Collins».

«E tu sei in ritardo».

«Sono il capo».

«Che capo irresponsabile», scuoto la testa divertita.

«Innamorato», mi corregge.

«Ciò non toglie che tu sia anche irresponsabile».

«Dio, mi ferisci in questo modo!», si porta la mano sul petto.

«Vado a prepararmi e quando varcheremo la soglia del tuo ufficio, ti prego, cerca di non licenziare nessuno».

«Mi stai chiedendo troppo», incrocia le braccia al petto, come se volesse evidenziare di nuovo quanto lui sia potente e rigido.

«Ti sto chiedendo poco».

«Ci proverò».

«Ottimo», sorrido.

«Ma se ti faranno stare male-»

«Tu non farai un bel niente».

«Non sottovalutarmi, Kendra».

«Non intendo farlo».

«Bene, perché non ho alcuna intenzione di offrire lavoro a gente che parla male della mia donna. E su questo non cambierò idea. Mai. Quindi non dire niente».

Mi fermo e mi giro per guardarlo con gli occhi velati dalle lacrime.
Ho trovato la mia casa, dico a me stessa. Non sentirai più la freddezza di tua madre. Non troverai più i suoi occhi a scrutarti con odio. Le sue braccia gelide non ti sfioreranno più. Le sue parole non avranno più il potere di farti male. Sarai libera, Kendra. Sarai finalmente libera.

Kenneth si siede sullo sgabello e finisce di bere il caffè ormai freddo. «Se continui a fissarmi in quel modo, probabilmente il mio ritardo si prolungherà per ancora un po'».

«Vado», alzo le mani e raggiungo la sua stanza con uno stupido sorriso sul volto e una marea di farfalle nello stomaco.
Mi siedo sul bordo del letto e mi rendo conto di non essermi mai sentita in questo modo. Con nessuno.
E vorrei che durasse in eterno, questa dolce sensazione che mi avvolge il cuore.
Vorrei che questo attimo di pace e felicità mi stritolasse fino a farmi mancare il respiro.
Prendo gli indumenti e vado in bagno a prepararmi.



Mezz'ora più tardi siamo davanti alla K.H. publishing company. Rimango sulle scale a fissare l'ingresso.
Alfred è ancora lì, impassibile come sempre. Mi sento inchiodata al suolo. Rivedo Kenneth insieme a Cody e i giornalisti davanti a lui.

Una mano calda afferra la mia. «Sei con me. Il resto non conta».

Si dirige verso l'entrata e io lo seguo come un automa.
«Ti fidi di me?», mi chiede rivolgendomi uno sguardo dolce e comprensivo. Annuisco e guardo le mie scarpe come se fossero la cosa più interessante del mondo.

«Solleva la testa. Solo in questo modo potrai vedere chi oserà guardarti male. Non ricordo mai i loro nomi, ma tu sì. Quindi cerca di memorizzarli. Mi serviranno dopo», pronuncia con voce profonda facendomi rabbrividire.

Alzo il mento all'insù e gli stringo la mano, poi ci incamminiamo insieme.
Alfred ci rivolge un sorriso sincero. «Buongiorno, signor Harrison».

Kenneth si ferma e lo guarda. Alfred guarda me e io mi affretto a dire: «Mi chiamo Kendra».

«Kendra Collins», ripete Kenneth.

«Buongiorno, signorina Collins», mi regala lo stesso sorriso e ricambio, sforzandomi un po'. «Questa mattina è incredibilmente quieta».
Lo guardo battendo piano le ciglia, confusa. «Non va di fretta», sorride leggermente divertito.

«Oh», dico. «Già. Ho dato ascolto ai suoi consigli. Non voglio slogarmi una caviglia».

Lui ride. «Buona giornata».

Kenneth fa oscillare il suo sguardo tra di noi e nota il mio sorriso sincero, quindi all'improvviso lo sento dire: «Buona giornata a te, Alfred. Avrai un aumento».

Lo guardo con aria interdetta mentre supera l'ingresso senza mollare la mia mano.
Mi si blocca il respiro non appena entriamo dentro e vedo tutti i dipendenti girarsi verso di noi, scrutandoci con curiosità.

Non riesco a muovermi.

Kenneth mi accarezza dolcemente il dorso della mano.

«Avete visto qualcosa di interessante?», chiede lui con tono inflessibile.

Tutti tornano alle proprie facendo e lui mormora: «Quello che pensavo».

Mentre percorriamo il corridoio cerco in tutti i modi di non guardarmi intorno. La presa calda e rassicurante di Kenneth mi tranquillizza.

Arriviamo davanti al suo ufficio, lui apre la porta per me. Con la coda dell'occhio vedo una sua dipendente fissarci a bocca aperta, per poi girarsi immediatamente.

Me l'aspettavo. Tutto ciò era prevedibile.

Lascio cadere il cappotto sulla poltrona e faccio ruotare il mio collo, cercando di rilassarmi. Le sue mani si posano sulle mie spalle e inizia a massaggiarle con delicatezza. «Sei troppo tesa, Kendra. Va tutto bene», mi lascia un bacio dietro l'orecchio e ridacchio. «Mi fai il solletico».

«Non vedo l'ora di scoprire in quanti altri punti diversi soffri il solletico», bisbiglia e mi abbandono con la schiena contro il suo petto, sollevando di poco la testa per guardarlo. Mi sorride. La sua mano mi accarezza il fianco e sale lentamente sempre più su.

«Ho bisogno di un caffè», dico staccandomi da lui. «Vuoi qualcosa?»

Corruga la fronte. «Il caffè ce lo porterà la mia assistente».

«No. Tornerò subito».

Lui sospira profondamente e si appoggia alla scrivania. «Va bene. Non metterci troppo. Potresti mancarmi».

«Cinque minuti».

«Cercherò di sopravvivere», risponde con sarcastico e prende posto sulla poltrona e accende il portatile. Appoggia il gomito sulla superficie di legno e si sorregge la testa. Il suo sguardo adesso è concentrato.

«Sei sexy», gli dico afferrando la maniglia.

«Sono già passati cinque minuti?», chiede guardando l'orologio che ha al polso.

Ruoto gli occhi al cielo ed esco dal suo ufficio, andando verso l'area relax. Qualche mese fa mi rifugiavo qui per non imbattermi in lui, e adesso...

«Incredibile. Davvero incredibile! Vorrei avere la tua faccia tosta», commenta velenosa Tiffany alle mie spalle.

Mi giro verso di lei, un nodo mi serra la gola. So perché lo dice. Lo so bene cosa sembra.

«Quanto ci hai messo a infilarti nel suo letto?».

«Sicuramente io ci metterò di meno a licenziarti. Prendi pure le tue cose e vattene», dice Kenneth alle sue spalle. Per poco non mi cade la mascella.

«Signor Kenneth, io non... Non intendevo-».

A Kenneth non importa nulla del suo boccheggiare come un pesce, nonostante sia il precursore di un pianto imbarazzante.

«Fuori», si scosta di lato per farla passare.

Lei si prende il viso tra le mani e sparisce in un attimo.

Rimango da sola con lui.

«Mi credi stupido, Kendra?», si avvicina a me in modo deciso.

«No», sussurro.

«So perché sei venuta qui. So che sei curiosa di sapere cosa dicono gli altri su di te. Fallo, se vuoi. Ma poi voglio che tu mi dica i nomi e i cognomi», posa la mano sotto il mio mento e mi costringe a guardarlo negli occhi. «Intesi?».

Lo fisso come se il suo sguardo mi avesse completamente rapita.
Mi mancava vedergli quest'espressione severa sul volto e mi mancava questo suo fare da presuntuoso e arrogante. Dopotutto, mi piace anche per questo.

«Sai incutere timore, sai?»

«Dicono questo di me, sì», sorride malizioso.

«E ti piace?», inarco un sopracciglio.

«Sì. Come ho già detto, mi fanno sentire forte e inavvicinabile», si lecca le labbra e fa un altro passo verso di me.

«Sulle donne ha l'effetto opposto», gli dico quasi con il fiatone.

«Dimmi di più», ghigna e io indietreggio. «Voglio sapere cosa provi tu. Delle altre non mi frega nulla».

«Lexie immagina di essere scopata da te nel tuo ufficio», dico all'improvviso con una punta di gelosia.

«E io immagino di scoparmi te sulla mia scrivania, pensa un po'», affonda i denti nel labbro inferiore e per poco il suo corpo non mi schiaccia contro il muro.

«Ci vedranno», mi oppongo al suo tocco, cercando di sgattaiolare via.

«Lascia che ci vedano», appoggia la mano sul muro, intrappolandomi.

«Non mi sembra appropriato».

«Sai cosa non mi sembra appropriato? Che i miei dipendenti insinuino che tu sia qui perché ti sei infilata nel mio letto», si allontana da me. «Ma hai visto? C'è un rimedio per ogni problema».

«Sei incredibile».

«Tra poco il mio migliore amico verrà a trovarmi. Prendi pure il tuo caffè, poi raggiungimi», mi lascia un bacio sulla fronte e fisso la sua schiena mentre sparisce dietro l'angolo.

Non avevo dubbi sul fatto che volesse dimostrarmi che ci tiene davvero a me, ma non mi sembra ancora reale.

Mi vuole.

Vuole me e non ha paura di mostrarlo al mondo intero.

Diamine, ha cantato per me in un dannato aeroporto soltanto per farmi restare! Ormai lo sanno tutti. Cosa sarà mai tenermi per mano davanti ai suoi dipendenti?

Per lui è nulla, per me è tutto.

Mi massaggio le tempie e vado a prendere il mio caffè.
Poco dopo ecco dall'area relax e mi imbatto in Christine, la segretaria.
Si abbassa gli occhiali sul naso e mi guarda con aria di superiorità.

«Ho appena saputo che Tiffany è stata licenziata, quindi non fare questo errore anche tu», dice Jacob alle sue spalle.

Mi sento sollevata.

«Ciao», gli dico con un sorriso.

«Patetica», borbotta Christine, andando via.

«Lo riferirò io al capo, tranquilla», posa la mano sulla mia spalla.

«È da un po' che non ci vediamo. Sai, le voci girano», fa un cenno della testa verso l'ufficio di Kenneth.

«Sì, beh, noi...». Stiamo insieme? Andiamo a letto insieme? Ci amiamo? Cosa vorrei dirgli?

«Siete belli, Kendra. Ma potresti dirgli che il mio nome non è Joseph e nemmeno Geronimo? Grazie. Non ha nulla di cui temere, sono gay e tu lo sai», fa spallucce.

Dio, mi sento in imbarazzo.

«Penso che in fondo lo sappia anche lui», mi gratto la nuca a disagio.

«Lo spero. Non intendo perdere il posto di lavoro, quindi ci vediamo in giro», mi fa l'occhiolino e io rimango ferma. Mi appoggio al muro e sospiro. Non voglio che la gente venga licenziata per colpa mia. Ma so che Kenneth è irremovibile.

Christine mi guarda con lo stesso astio con cui mi guarda mia madre. Mi chiedo cosa le abbia fatto di male. Mi dirigo verso di lei a passo deciso e incrocio le braccia al petto.
«Cosa c'è che non va? Perché mi odi tanto?»

«Non ti odio. Non nutro una particolare simpatia per le giovani che cercano in tutti i modi di infilarsi nel letto del nostro capo. Tu eri come noi, e adesso pensi di essere superiore soltanto perché lui ti tiene per mano? Ne ha tenute altre, prima della tua, quindi non sentirti speciale, fiorellino. Sai quante ragazze sono entrate e uscite da quella porta? Davvero pensi che ti offrirà il suo cuore come se niente fosse?»

Sento una morsa allo stomaco talmente forte che mi viene da rimettere.
«Magari questa volta sarà diverso», riesco a dire.

«Magari», fa girare la penna tra le dita con indifferenza. «Ma probabilmente un giorno ti vedrò di nuovo uscire da quella porta e qui dentro non ci tornerai più».

«Parli come se... Come se nutrissi dell'affetto per lui», le dico guardandola con stupore.

Lei ha la stessa espressione di una persona che è appena stata colta sul fatto. «Lavoro qui da anni. È normale avere un senso di protezione verso un ragazzo più giovane e ancora inesperto in amore. E ripeto, so quello che vogliono quelle come te».

«Quelle come me?»

«Arriviste».

Poso entrambi i palmi delle mani sulla sua scrivania e la guardo attentamente negli occhi. «Bene. Se è ciò che pensi di me, allora ti conviene tenerlo soltanto per te se non vuoi perdere il posto di lavoro».

«Non hai alcun potere di farlo», risponde con stizza.

«Io no. Ma Kenneth sì. Ed è stato abbastanza chiaro su questo».

Lei resta in silenzio e mi dirigo nuovamente verso il suo ufficio, ma prima di entrare faccio un respiro profondo e poi apro la porta.

«Nome e cognome, grazie», dice lui non appena mi vede.

«Lascia stare», mi siedo sulla poltrona e guardo il soffitto.

«Se pensi che lascerò che gli altri pensino che io usi il tuo corpo a scopo ludico nel mio ufficio, ti sbagli di grosso», si alza e viene verso di me, inginocchiandosi. «Sono innamorato di te. Lo hai capito, sì?»

Faccio di sì con la testa.

«Quindi mi darai un nome?»

«Christine sembra abbastanza protettiva nei tuoi confronti. Pensa che io sia una sporca attivista», dico con un sorriso mesto.

«Christine», sussurra sulle mie labbra. «La mia segretaria?», chiede poco convinto.

«Sì. Mi odia».

«Ah, davvero?», risponde distrattamente mentre indugia ancora un po' prima di lasciarmi un bacio all'angolo della bocca. «È maledettamente brava in quello che fa. Prima di lei ne ho cambiate cinque. Ma posso licenziarla comunque», sfrega il naso contro il mio e sorrido.

«No, voglio che lei lo capisca col tempo che non è come pensa. Voglio... Voglio dimostrarglielo».

«Non devi dimostrare nulla a nessuno, Kendra».

«Lo so. Ma non muori dalla voglia di vedere la soddisfazione sul mio viso?», gli chiedo sorridendo contro la sua bocca.

«Mmh-mh», le sue labbra scivolano sulle mie e si solleva di poco per allungarsi verso di me e baciarmi di più. La sua lingua si fa spazio tra le mie labbra e affonda il ginocchio sulla poltrona, tra le mie gambe divaricate.

«Il mio sogno sta per diventare realtà?»

Lo afferro per il colletto della camicia e lo attiro di più verso di me.
Fa per togliersi la giacca, ma qualcuno bussa alla porta.
«Siamo qui», dice qualcuno.

Kenneth borbotta qualcosa a bassa voce e si tira indietro, dandosi una sistemata. «Che tempismo».

Si siede al suo posto e mi fa cenno di avvicinarmi. Sposta la sedia vuota e la posizione accanto alla sua. «Vieni qui».

Indugio un po', ma lui allunga la mano verso di me e io gliel'afferro, sedendomi accanto a lui.

Si schiarisce la voce e dice: «Entra».
La porta si apre rivelando la figura di Andrew e Leslie.
La sua ex.

«Dov'è quell'espressione del cazzo che hai sempre in volto?», chiede il suo migliore amico avvicinandosi per dargli una pacca sulla spalla.

«Oh, la ragazza del caffè», sorride a trentadue denti. «Ciao».

«Il suo nome è Kendra. E non voglio ricordartelo mentre ti prenderò a calci nel sedere», pronuncia Kenneth, incrociando le braccia al petto come se volesse marcare il territorio.

«Oh, eccola, l'espressione!», indica la sua faccia ridendo e poi si lascia cadere sulla poltrona.

«Non ti ho ancora sentito chiedere scusa», ribatte Kenneth.

Gli stringo la mano sotto la scrivania. Lui mi guarda e la rabbia sfuma via dal suo volto.

«Perdonami, Kendra. Ho la memoria di una lumaca, quindi non prendertela troppo».

«Kenneth», dice Leslie e mo' di saluto. Si avvicina, sporgendosi sulla scrivania per lasciargli un bacio sulla guancia.

Tutto il mio corpo va in fiamme.

Kenneth gira lo sguardo dall'altra parte e sospira.

Un po' troppo tardi, vorrei dirgli.

Lascio la sua presa e lui aggrotta le sopracciglia, ma non dice nulla.
Cerca di nuovo la mia mano, ma io la infilo tra le cosce e non la tolgo più.
Lui abbassa lo sguardo e inarca un sopracciglio.

«Ciao, Leslie», dico io con un sorriso perfido.

«Ciao, non ti avevo notata», sorride con fare innocente.

«È normale. Andando avanti con l'età capita che la vista inizi a danneggiarsi», rispondo con una punta di sarcasmo e Kenneth si porta la mano davanti alla bocca per nascondere un sorriso.

L'altra mano si posa inaspettatamente sulla mia coscia e inizia a muoverla su e giù delicatamente, fermandosi ogni tanto sul mio ginocchio.

«Mi piace», esclama Andrew, guardandomi divertito.

«Parliamo del perché siamo venuti qui, possiamo?», si intromette Leslie.
E mentre loro iniziano a parlare di lavoro, io mi alieno nella mia mente.

Ma guardati.
La sua ex pensa ancora di avere del potere su lui. E se Christine dovesse avere ragione? Dopotutto, quando mai hai avuto fortuna in amore? Ricordi cosa ha fatto Cole?

Le dita calde di Kenneth si fermano sul mio interno coscia e io torno in me.

«Andare in America non rientra tra i miei piani al momento», mormora Andrew con fare scocciato.

«Ma se sei sempre in giro!», lo apostrofa Leslie.

Kenneth sorride.

Sembrano... Sembrano ancora in sintonia e io mi sento morire dentro.

Ma ha scelto te. Sei accanto a lui. Davanti alla sua ex. Vorrà pur dire qualcosa, no?

Le sue dita fanno su e giù sulla mia coscia e vorrei continuare ad essere arrabbiata, ma per colpa della sua mano mi sento eccitata.

Dannazione, Kenneth!

«Kendra, sei rossa. Stai bene?», chiede Andrew.

«In effetti non molto. Forse ho un po' di febbre», mento e Kenneth lo capisce, perché sorride beffardo affondando ancora di più le dita nella mia carne.
Stringo le cosce d'istinto, ma la sua mano si fa spazio lentamente tra le mie gambe, fino a toccare la stoffa delle mie mutande.

Smetto di respirare.

All'improvviso premo il tacco sul suo piede e lui sussulta, togliendo la mano.

«Cazzo», sibila.

«Cosa?», chiede Leslie.

«Niente. Una mosca mi stava infastidendo», risponde lui stringendo la mia coscia in segno di avvertimento.

«

Sì. Maledette mosche!», lo imito con un sorriso malizioso e la sua testa scatta verso la mia.

«Avrei da fare, adesso. Mi farò sentire io», dice posando entrambe le mani sulla scrivania in bella vista, come se volesse dimostrare chissà cosa.
Entrambi lo guardano con sospetto ma non dicono nulla. Si alzano e appena lasciano l'ufficio, Kenneth si gira verso di me.

«Dovrai farti perdonare. Mi hai fatto male», afferra la mia sedia e con una mossa mi fa avvicinare a lui ancora di più. «Mi dispiace, ma le tue dita impertinenti mi stavano dando fastidio», gli sorrido civettuola.

«Capisco», dice alzandosi in piedi. Va verso la porta e la chiude a chiave.

Oh.

Mi raggiunge nuovamente e si piega, sorridendomi come un vero stronzo. «Questa volta non mi sfuggi».

«Non avevo intenzione di scappare, tranquillo», rispondo trattenendo a stento un sorriso.

«Bene. Perché non ti permetterò di scappare da me. Mai più», si avvicina e si inginocchia davanti a me. Mi lascia un bacio sul ginocchio e inizia a salire lungo la coscia facendomi chiudere gli occhi. Infila le mani sotto la mia gonna e sollevo il sedere, permettendogli di abbassarmi le calze.

Le sue mani afferrano dolcemente il mio piede e mi toglie la scarpa, e mentre fa la stessa cosa con l'altro piede mi regala quel sorriso peccaminoso che amo. Mi sfila del tutto le calze e mi prende la gamba, accarezzando dolcemente il mio polpaccio. «Sei tutta mia e non mi stancherò di baciare ogni centimetro del tuo corpo. Mai», le sue mani afferrano l'orlo della mia gonna e mi abbassa la zip, prima di sfilare via anche questa.

Mi fissa intensamente e mi fa alzare in piedi.

Libera la sua scrivania, facendo cadere a terra alcune scartoffie e le penne, e mi fa sedere su di essa, mettendosi tra le mie gambe.

«Mi piaci tantissimo. E te lo dirò fino a quando non avrai più alcun dubbio. Ti appartengo. Sono tutto tuo, Kendra. Dal primo istante», mi lascia un bacio sul collo e piego la testa all'indietro, sorridendo con i sensi completamente offuscati dalla sua presenza tra le mie gambe.

«Mi piace anche lei, signor Kenneth», lo afferro per il colletto della camicia e lo attiro a me.

«Mi ucciderai», mormora mentre le mie mani raggiungono la sua cintura.

«In modo molto, molto lento», rispondo smaliziata.

«Mi farò andare bene questa tortura», gli tolgo la cintura, lanciandola a terra e gli sbottono i pantaloni.

«Ah sì?», gli mordo il labbro e lui geme.
Mi divarica ancora di più le gambe e le sue dita si infilano sotto la stoffa delle mie mutande, scostandole di lato.

«Così. L'ho immaginato esattamente così», schiude le labbra mentre le sue dita scivolano tra le mie pieghe umide.
«Sei perfetta», mi bacia forte, con la lingua, come se volesse divorarmi. I suoi pantaloni scivolano a terra e si abbassa i boxer. I miei occhi cadono sul suo membro e sento le mie guance andare a fuoco.

Mi afferra per i fianchi e mi attira di più a se, facendo scivolare il suo pene sul mio sesso più volte. Si ferma e si mette il preservativo, poi sento di nuovo la punta vicino alla mia fessura. «La prima volta di tante altre», mi morde il lobo dell'orecchio e con una spinta decisa entra dentro di me e mi aggrappo alle sue spalle.

«Puoi scommetterci», rispondo e lo sento ridere mentre cerca di baciarmi il collo.

«La donna perfetta esiste, allora», dice e io mi abbandono completamente a lui.

Spero vi sia piaciuto ❤️ dopotutto, questi due non sono così male, vero? 😏
Manca poco alla fine! ❤️

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