Capitolo venti

Come avrete notato, gli ultimi capitoli sono più lunghi. In realtà avrei dovuto spezzarli e dividerli in due, cosa che farò soltanto quando (e se) pubblicherò la storia in formato cartaceo. Fino ad ora sono già arrivata a 300 pagine, dunque non intendo scrivere un libro da 600 pagine, motivo per cui il libro a "capitoli" su Wattpad non sarà lunghissimo. Ma penso che modificherò i titoli degli ultimi capitoli mettendone due, così si capirà meglio. 😅 Voglio che abbia la lunghezza di un romanzo normale, ecco! E spesso su Wattpad la lunghezza non si capisce, perché non c'è il numero delle pagine, ma fortunatamente mi regolo scrivendo su Word.

Detto ciò, nel prossimo capitolo odierete tanto Kendra! (Penso) 🤐

Portare Eileen con me è stata davvero un'idea perspicace.
Senza di lei probabilmente a quest'ora sarei ancora chiusa all'interno dello sporco bagno del cafè alle nostre spalle.
«Ti è passato il mal di pancia?», domanda posandomi delicatamente una mano sulla schiena.

Rivolgo lo sguardo verso il cafè e guardo attraverso il vetro impolverato: due uomini si spintonano brutalmente, dando quasi inizio ad una baruffa. Afferro Eileen per la manica del suo maglione colore caramello e le faccio segno di risalire in macchina.

«Andiamo, questo posto non mi piace molto», mi lamento con una mano sullo stomaco. L'ansia ha fatto il suo dovere anche questa volta. Spero soltanto di arrivare a casa sana e salva.

«Tranquilla, manca poco e poi...», lascia la frase in sospeso, guardandomi con i suoi occhioni color ambra.

E poi cosa? Incontrerò la mia famiglia, la quale sarà impegnata a ricordarmi quanto io sia una fallita? Daranno il via all'argomento relazioni, amore e cuori spezzati? L'ultima cosa che desidero è parlare delle mie discrasie amorose davanti a mia madre. Me la figuro seduta sulla sedia, collana di perle al collo, camicia perfettamente stirata e occhi penetranti e affilati pronti a giudicare ogni mia mossa.

«E poi valuterò attentamente l'idea se buttarmi in un fosso prima o dopo il nostro incontro», elargisco un sorriso finto e salgo in macchina, rimettendomi la cintura di sicurezza.

Eileen prende posto accanto a me e mi rifila un'occhiata di rimprovero. «Non essere così pessimista, Kendra.»

«Non lo sono. So già cosa mi attende», incrocio le braccia sotto il seno e appoggio la testa al finestrino.

«Secondo me non andrà davvero così male... Avrai anche tempo e modo per pensare ad altro e dimenticarti per un paio d'ore di quel bellimbusto del tuo capo», mi strizza l'occhio e sorride maliziosamente.

«Così non mi stai aiutando.»

«Hai ragione», si schiarisce la gola. «Ho deciso di vedermi con suo fratello.»

Il mio sguardo saetta verso il suo. «Cosa?»

Una sfumatura rosea si spande delicatamente sulle gote e sul naso, accentuando le sue lentiggini.

«S-sì, stamattina abbiamo fatto colazione insieme. È divertente, è solare, mi fa ridere e, cosa più importante, mi scopa bene», il suo sorriso in questo momento mi ricorda quello del Grinch.

«Che fine ha fatto Eileen?», chiedo stupefatta. Non dovrei meravigliarmi in questo modo, ma non penso di averla mai vista uscire con un ragazzo sul serio.

«Tu hai sempre cercato l'amore, Kendra. Io invece ho sempre cercato di divertirmi e basta. Tu stai lì a soppesare i sentimenti, le parole degli altri, i gesti. A volte ti soffermi ad esaminare in modo minuzioso ogni minimo dettaglio assicurandoti che corrisponda alle tue aspettative e, se dovesse rispettare i valori che tu hai dato ad una relazione, allora finalmente apriresti le gambe e ti lasceresti andare. Semplice», si stringe nelle spalle con nonchalance.

Dio, sono davvero patetica. E so che se fossi davvero andata a letto con Kenneth, sarei stata peggio.

«Lui è più confuso di me», mi metto sulla difensiva.

La mia migliore amica abbozza un sorriso. «Ecco perché a breve capirete entrambi di essere due idioti», ride scuotendo la testa. «Sai, ho parlato con Cody. Gli ho fatto qualche domanda su suo fratello e sai cosa mi ha detto?», solleva un sopracciglio, io faccio cenno di no con la testa. «Che è davvero un tipo difficile. Tra i due, Kenneth è quello più tormentato anche se sembra il contrario», fa una smorfia.

«Meraviglioso», borbotto.

«Ho l'impressione che io e te saremo felici in qualche modo. Te lo prometto», mi prende la mano per pochi secondi. «Non lascerò che ti facciano del male.»

Con gli occhi in lacrime stringo forte la sua mano e me la porto sul cuore. «Grazie.»

«Le cose imprevedibili a volte sono davvero le più belle», si morde il labbro inferiore e guarda fuori con aria trasognata.

Accenno un sorriso genuino e poi abbasso lo sguardo. Non l'ho mai vista davvero presa da qualcuno, ma sono felice che per la prima volta si senta felice.

«Mi sembra di mandare sempre tutto a rotoli...», ammetto con una punta di disagio nella voce.

Eileen corruga le sopracciglia e mi lancia uno sguardo truce. «In che senso? Tu non fai niente di male, Kendra. Sei buona e gentile con tutti. A volte è il mondo ad essere cattivo con te.»

«Guardami un secondo, Eileen», sbuffo sonoramente. «Io non sono diversa dalle altre. Io sono maledettamente uguale alle altre. Sogno le stesse cose, ho le stesse paure che altre migliaia o altri milioni di persone hanno. Secondo te sono così speciale? Sogno ad occhi aperti, penso al mio capo e mi immagino già una nostra ipotetica relazione e sai qual è la cosa buffa? Non so nemmeno se gli piaccio davvero, però mi affascina. Capisci? Ha un modo tutto suo di fare e io sembro soltanto... », tiro su con il naso. «Mi sembra di non essere mai all'altezza per nessuno.»

La mia migliore amica ferma di nuovo la macchina e dice: «Ti lascio sul ciglio della strada se osi dire un'altra volta che non sei abbastanza. Cazzo, tu sei abbastanza, sei anche troppo per certe persone. Gli altri sono alla tua altezza? Te lo sei mai chiesta? Sono degni del tuo affetto? O guardi soltanto i loro sogni che si realizzano e pensi automaticamente che non ce la farai mai? Tu ce la farai eccome, brutta testa di cazzo», suona il clacson e sbuffa, buttando fuori l'aria dalle narici come se fosse un toro incazzato.

Mi asciugo le lacrime e metto su un sorriso sincero. «Sei veramente fantastica.»

«Lo so. E vedi di prendere esempio!», mi punta l'indice contro con fare minaccioso.

«Sì, mamma»,  sussurro.

Quando arriviamo davanti a casa mia, Eileen spegne il motore e mi rivolge un'occhiata dubbiosa, come se volesse dirmi "Pronta?".

Scendiamo dalla macchina e prendo la scatola piena di libri, che Kenneth ha lasciato premurosamente davanti alla porta del mio appartamento. Sì, non ha nemmeno chiamato.
Lui è stato poco bene e io sono stata impegnata con il lavoro. Non abbiamo avuto modo di vederci né di sentirci. O semplicemente mi sta evitando di nuovo, il che è molto probabile.

«Che weekend del cazzo», dico non appena citofono. Guardo la telecamera e arriccio il naso in una smorfia.

«Chi è?», chiede mia madre con la sua solita voce squillante.

«La tua adorabile figlia.»

Il portone si apre ed Eileen mi segue in silenzio, guardandosi intorno.
All'improvviso la mia camminata si arresta e vago di nuovo tra i ricordi del passato, sentendo di nuovo lo stomaco pesante come un macigno.
«Andiamo», Eileen mi dà una gomitata nel costato e indica con la testa mia madre, che ci attende a schiena dritta sulle scale del portico in mezzo ai due pilastri, come se fosse un soldato.
Indossa una camicetta turchese perfettamente stirata e un paio di pantaloni bianchi. La solita collana di perle al collo e i capelli biondi raccolti in uno chignon elegante. È sempre stata una donna bellissima, ma una madre pessima.

«È tardi per rimettermi in marcia e tornare indietro?», chiedo in un sussurro.

«Sì, ma ci sono io con te», risponde Eileen. Non mi tranquillizza molto. A mia madre non sta molto simpatica.

«Avevi detto che saresti arrivata per le dieci», mi redarguisce puntando lo sguardo sull'orologio che ha al polso.

Afferro il cellulare dalla tasca e guardo la schermata luminiscente. «Mamma, sono le dieci e venti.»

«Venti minuti di ritardo», i suoi occhi taglienti sembrano sul punto di vivisezionarmi.

«Non sono mica in ritardo per andare al lavoro», sbotto stringendo i denti.

«È così che mi saluti?», apre le braccia sorridendo freddamente e allunga di poco il collo verso di me. Le do un abbraccio veloce e ci scambiamo due finti baci sulle guance, staccandoci subito l'una dall'altra. Con una mano inizia a toccarsi nervosamente la collana di perle che ha al collo e guarda Eileen dalla testa ai piedi, facendole una breve radiografia.

«Mmh, ciao», ci volta le spalle e ci fa segno di entrare.

«Ho così tanta voglia di prenderla dai capelli fino a farle sparire quel biondo piscio che ha in testa», sibila la mia migliore amica. Mi porto una mano davanti alla bocca, trattenendo le risate.

Appena varco la soglia trovo mio padre con le braccia aperte davanti a me. È perfettamente sobrio. È di nuovo il mio papà.
«Sono felice di rivederti», gli dico, posando la scatola e il borsone a terra, poi lo abbraccio. Con la vista leggermente offuscata perlustro le foto appese al muro alle sue spalle.

«Mi sei mancata», sussurra al mio orecchio. La sua mano mi accarezza dolcemente i capelli, facendo dei cerchi immaginari sulla mia nuca. Da piccola lo faceva quando voleva farmi addormentare.

«Il borsone», mia madre cerca di attenzionarmi. «Portalo nella tua stanza. Non iniziare a lasciare le cose sparse in giro.»

«Tesoro, è appena arrivata», si lamenta mio padre. Sono poche le volte che osa ribattere davanti a lei.

«Si chiama educazione. Muoviti, Kendra!», la sua voce trasuda sconcerto. Gira sui tacchi e va in soggiorno.

«Ho voglia di staccarle la testa dal collo», dico sorridendo. «Ma finirei all'inferno perché è mia madre. E visto che sono così fortunata, probabilmente la ritroverei al posto del diavolo», prendo le mie cose e vado spedita verso la mia vecchia camera.

«Che piacere rivederla», Eileen abbraccia papà. «Ho già investito sua moglie almeno cinque volte nella mia mente. Glielo dica pure, io non mi offendo», con il suo solito sorriso angelico si allontana e viene verso di me.

«Tuo papà è un orso adorabile, sta meglio. Tua madre è la cacciatrice di orsi che vende le loro pellicce», di colpo diventa seria in viso.

Appena entro nella mia stanza poso il borsone e la scatola ai piedi del letto e poi mi lascio cadere a peso morto sul materasso coperto dalla vecchia trapunta rosa con le margherite. Sulla mensola alla mia sinistra vi sono ancora i libri delle fiabe che papà e la nonna mi leggevano quando ero piccola. Sopra la testata del letto c'è ancora l'enorme poster delle Witch. Mi sorprende che mia madre non l'abbia ancora rimosso aggressivamente dal muro. Ogni anno mi aspetto una camera diversa, eppure sembra che nessuno ci metta piede qui dentro.
Chiudo gli occhi e inspiro profondamente. Vorrei lasciarmi alle spalle il mondo e anche il ricordo di me nel letto di Kenneth, ma il senso di vergogna che provo mi attanaglia l'anima.

«Io non sono davvero così pudica, Santo Dio», sbuffo coprendomi il viso con le mani per pochi secondi.

«Stai avendo di nuovo una delle tue crisi?», chiede la mia migliore amica

«Eileen...», con un tremulo bisbiglio sbircio tra le dita delle mani e vedo il suo sguardo curioso puntato su di me. «Ho fatto davvero così schifo a quell'appumtamento?»

La mia migliore amica scoppia a ridere, gettando la testa all'indietro. Si siede sull'altro letto singolo e accavalla graziosamente le gambe fasciate da un paio di skinny jeans neri.

«Hai fatto un bel casino, amica mia», mi guarda come se celasse qualcosa di inconfessabile dietro al suo sorriso malizioso. «Innanzitutto, ti sei ubriacata. Non ti sei trovata molto a tuo agio con David», assorbo l'informazione in silenzio.

«E poi?», il cuore inizia a crivellarmi la cassa toracica.

«E poi niente, mi hai mandata a casa mentre tu sei rimasta con lui. Cavolo, il resto lo sai».

Sento il calore propagarsi furiosamente su tutto il viso.
«Beh, tu intanto hai organizzato quell'appuntamento nonostante fossi già presa da Cody. Sbaglio?»

Presa da un colpo di vergogna, abbassa lo sguardo e si schiarisce la gola. «Dovevo capirmi», precisa con uno sbuffo. «Non sempre sai cosa desideri, quindi fai delle stronzate», distoglie lo sguardo, mordicchiandosi il labbro inferiore.

«E alla fine ti sei capita?»

Si alza in piedi e sorride timidamente. Ma chi è che e cosa ha fatto della vera Eileen?

«Forse. Ma non stavamo parlando di me.»

Dio, se fossi stata sobria non avrei mai scritto a Kenneth. Eppure, da ubriaca non faccio altro che pensarlo e cercarlo.

«Vuoi fare pace con te stesso?», grido puntando l'indice contro la mia tempia.

Eileen si acciglia. «Quando inizi a parlare con te stessa mi metti un po' di paura.»

Provo a issare all'insù un sorriso forzato e poi la figura coriacea di mia madre si materializza davanti alla mia stanza. Gli occhi gelidi scivolano su Eileen e in seguito su di me.

«Vi creerebbe così tanto disturbo offrirmi una mano in cucina?», chiede educatamente ma i suoi occhi fiammeggianti bruciano sulla mia pelle.

«Arriviamo», brontolo alzandomi dal letto.

«Tu no. Tu puoi restare qui», dice alla mia migliore amica, cambiando immediatamente idea.

Eileen, al contrario, si alza e viene con me. «Non dica sciocchezze. Aiuterei volentieri Kendra», sorride con strafottenza e mi segue in silenzio. Compie un gesto con la mano come se volesse strozzarla e poi sorride cordialmente non appena vede mio padre.

«Dovevi davvero portare anche lei? Hai per caso bisogno di una babysitter, adesso?», nel tono di mia madre non vi è alcun accenno di indulgenza. Se potesse probabilmente spedirebbe entrambe a Londra con un calcio nel sedere.

«Mamma, lei è come una sorella per me», le ricordo, fulminandola con lo sguardo.

«Avresti dovuto avere questo rapporto con Martha!», ringhia con veleno mentre entra in cucina.

Io ed Eileen ci scambiamo uno sguardo di mutua intesa e ci stringiamo nelle spalle. Conosce benissimo la mia famiglia e, soprattutto, mia madre. Non si offende. Lei non dà mai peso alle parole degli altri.

«Diamoci da fare!», grida Eileen afferrando un coltello. Guarda mia madre inclinando lievemente la testa. «Io sono un genio in cucina.»
No, non direi. E in questo momento sembra più intenta a volerla fare fuori che a cucinare.

All'ora di pranzo mio padre decide di darmi una mano ad apparecchiare il tavolo.

«Abbi pazienza con tua madre. È un po' severa, ma...», frena il resto della frase. Sa che non cambierà mai, ma si ostina a difendere l'indifendibile.

«Papà!», sollevo un sopracciglio. «Continua a ricattarmi, ad umiliarmi, a farmi sentire un aborto della società, e a paragonarmi a Martha. Tu dovresti lasciarla e pensare a stare bene, andare in un centro per alcolisti e fare di nuovo il padre, perché io non riesco a badare a mio fratello e mantenere voi due.  Va bene? Ti voglio bene, ma sono stanca, cazzo! Ringrazio che Elliott non sia qui adesso», dopo il mio piccolo sfogo mi fermo e faccio un bel respiro. Mio padre resta in silenzio, assorto nei suoi pensieri. Annuisce e sorride, guardandomi con la vista appannata.

Mi sento una vera stronza in questo momento.

«Mi dispiace, sono stressata. Non volevo ferirti», mi prendo la testa tra le mani e chiudo gli occhi.

«Hai detto la verità, Kendra», si siede sulla sedia e io prendo posto accanto a lui. Mio padre mi capisce. Lo ha sempre fatto. Nell'ultimo periodo è stato assente e si è allontanato sempre di più, ma per fortuna ricordo com'era quando stava bene.

«Mamma è incorreggibile, lo so. Mi piacerebbe avere una famiglia normale e una madre che mi ami», tiro su con il naso e appoggio la testa sulla sua spalla. «Ma starò bene».

«Non meriti tutto questo astio da parte sua, Kendra... Bambina mia», si gira per abbracciarmi forte. «Io non capisco l'atteggiamento di tua madre. Ci ho provato, ma non capisco.»
Lo stringo forte a me e sospiriamo entrambi.

«Abbraccio di gruppo?», esclama Eileen alle nostre spalle. Apre le braccia e cerca di accogliere entrambi in un abbraccio caldo.

Il nostro breve attimo di pura magia si spezza quando sentiamo la porta chiudersi con forza e una voce acuta dire: «Siamo qui!»
Aspetta, siamo?

Mia madre si affaccia nel corridoio con gli occhi scintillanti e colmi di emozione ad accogliere Martha.

«Prego, di qua!»

Vedo mamma e Martha venire verso di noi. Si scambiano abbracci calorosi e sguardi pieni d'amore.

La gelosia che provo nei suoi confronti supera ogni limite, ma non mi è permesso buttarla fuori di casa, quindi sorrido e cerco gli occhi della mia migliore amica, che in questo momento si rifiutano di schiodare l'attenzione da qualcos'altro. Il suo viso assume una sfumatura pallida e i suoi occhi si spalancano sempre di più.

Mi giro e vedo la figura di Kenneth stagliarsi alle spalle di mia cugina. La sua espressione ardente mi trafigge come una spada. Indossa un paio di pantaloni grigi della tuta e una felpa nera oversize. Non sembra nemmeno l'uomo che sono abituata di vedere ogni giorno al lavoro. È come se avesse assunto una nuova sfumatura. All'improvviso mi dimentico di mia madre, di mio padre, di Martha e di tutto il resto. Siamo soltanto noi due in mezzo ad una stanza, che ci fissiamo con orrore.

La rabbia che provo è interamente incanalata verso l'esterno; vorrei prorompere in un pianto disperato o gridare e prenderlo a pugni in faccia. Vorrei che si aprisse un varco tra me e lui e sparissi nel nulla.

«Zia, lui è il mio amico e anche la persona che mi ha aiutato a realizzare il mio sogno», cinguetta felicemente Martha. «Se non fosse per lui, adesso la mia casa editrice non esisterebbe».

Amico? Sono amici?
Mi viene da vomitare.

Mia madre rimane immobile a fissare me, Martha e Kenneth.

Vorrei dire qualcosa. Qualsiasi cosa. Ma la delusione che provo in questo momento è più forte perfino della ragione. Non riesco a formulare una frase di senso compiuto.

Kenneth si passa una mano sulla guancia, il rossore sfuma via piano piano dal suo viso. Intercetto un muscolo guizzare sulla sua mascella e gli occhi saettano rapidamente su Martha, come se volesse incenerirla.

«Questa sì che è una meravigliosa scoperta», mormora mia madre, spostando l'attenzione su di me. «E tu, figlia mia, come sempre non perdi un singolo attimo dalla tua vita di renderti ridicola e provare a mettere in cattiva luce tua cugina. Che diavolo pensavi di fare, Kendra?» sibila con furore. Mi affianca, stringendomi il polso con forza. «Ne riparleremo dopo. Farò finta di niente, ma sei un'enorme delusione, sappilo. Era impossibile che fosse il tuo ragazzo.»

Le sue parole sforacchiano la mia mente come punture a spillo. Ogni mio pensiero è come una bolla di sapone che svanisce nel nulla. Non rimane che il vuoto e un'amara sensazione dentro di me.

Io e Kenneth ci fissiamo a lungo. Sembra che per lui Martha non esista più. Il braccio con cui stringe il borsone trema per la tensione. Chiude gli occhi per un secondo e sospira profondamente.
E per la prima volta nei suoi occhi verdi colgo una sfumatura di profondo rimorso e voglia di dissolversi fino a sparire nel nulla.

«È-è un piacere conoscerti», mormoro con voce asfittica mentre la stretta sul mio polso si fa sempre più forte. Mia madre sussurra freddamente: «Fai finta di niente. Annuisci e basta.»

Perché è il momento di Martha e basta. Perché io non esisto più. Perché quello che avevo presentato a mia madre come mio ragazzo adesso è l'amico di Martha e probabilmente la sua futura fiamma. Lo vedo il modo in cui lei lo guarda. Ma non avrei mai potuto immaginare che questa stronza si sarebbe abbassata a tanto.

«Il pranzo è pronto!», annuncia mia madre con finto entusiasmo. Prendiamo posto al tavolo e non sollevo più lo sguardo dal piatto.

Kenneth prende posto davanti a me. Una marea di brividi mi travolge in pieno. Vorrei soltanto alzarmi e andare via. Cosa me lo impedisce? Perché sono ancora qui?

Eileen mi stringe la mano da sotto il tavolo.

«Gran bella sorpresa del cazzo», dice fissando con occhi colmi d'odio Kenneth.

«Che problemi hai?», chiede mia cugina, puntando gli avambracci sul tavolo.

«Che problemi hai tu? Razza di psicopatica!»

La gamba di Kenneth sfiora la mia accidentalmente. I nostri sguardi si incrociano per pochi secondi, ma gli occhi offuscati dalle lacrime mi impediscono di mettere bene a fuoco la sua figura.

«Dunque, Martha», la rabbia si fa spazio dentro di me, sedimentandosi tra vecchi ricordi che improvvisamente ritornano a galla. «Hai per caso qualcosa da annunciare?»

«Tutto al momento giusto, Kendra.»

E in questo momento vorrei davvero che qualcuno mi dicesse per una volta: Questa è una candid camera.

«Non vedevamo l'ora di conoscere il bel giovanotto di cui Martha continuava a parlare così bene», mio padre, ignaro di tutto il casino tra di noi, rompe il silenzio, cercando di mettere a suo agio Kenneth. «Lei è Kendra, mia figlia.»

«Ciao, Kendra», sussurra.

Ecco il grande impegno che aveva! Martha. Io mi sono presa cura di lui. Io ci sono stata per lui. È pieno di amici eppure pensa di essere solo. E io come una perfetta idiota sono corsa tra le sue braccia.
E adesso mi sento rotta. Presa in giro. Sfigata.
Non sarei mai dovuta tornare qui. Questo ambiente è sempre stato insalubre e ostile per me.
Mia madre è il terribile motivo dei giorni passati a digiunare, delle lacrime amare che hanno irrorato ripetutamente la federa del cuscino nel cuore della notte e delle nottate passate ad escogitare un piano per scappare di casa... Ho trascorso giornate, ore, attimi interminabili a riflettere su quanto sarebbe stato piacevole per me se non fossi mai nata o se fossi stata la bambina di un'altra donna.

Non avrei mai dovuto permettere al suo tono di voce ruvido e privo di alcuna emozione di farmi così male.
Ero soltanto una bambina. Guardavo il mondo con occhi ingenui e pieni di vita da una finestra nuova che si affacciava su uno sfondo pieno di colori allegri senza sapere che, un giorno, quei colori sarebbero sfumati via del tutto, lasciando il posto ad uno sfondo neutro, vuoto. Il richiamo della solitudine.

E gli occhi ingenui di una volta oggi sono abili scrutatori, vigili e disincantati. Ma forse questa volta non sono stati così bravi a trovare l'inganno, a prevenire il dolore e a impedirmi di sentirmi ancora una volta schiacciata da mia madre e da mia cugina.

Non fingerò di non essere debole, perché decantare una forza che non possiedo non farà di me una guerriera. L'idea di gettarmi da un ponte in questo istante mi alletta in maniera smisurata, ma non posso di certo concludere il pranzo in famiglia con un lutto.

Mia madre non fa altro che elogiare in maniera svenevole Kenneth. Stranamente adesso le sta molto simpatico. Mi chiedo come mai. Sarebbe felice se stesse con Martha. Lei la aiuterebbe economicamente, ecco il perché. Io non sono capace e non sono un'arrampicatrice sociale come invece lo sono loro due.

Non so quante volte ormai lui abbia toccato volontariamente la mia gamba o abbia provato in qualche modo a sfiorare la mia mano, cercando in tutti i modi di avere un contatto con me.

Afferro il plateau sul quale vi sono rimasti soltanto due gamberetti e mi alzo per portarlo via.

La voce sonante di mia madre mi blocca. «Magari Kenneth desidera mangiarli.»

«O magari no», si intromette Eileen afferrandoli e mettendoli nel suo piatto.

Prendo anche il mio piatto vuoto e le posate.

«Oh, e questo», Martha allunga il suo vassoio, ma fingo di non aver sentito e mi dirigo verso la cucina. Poso con un tonfo il tutto sul ripiano e sobbalzo non appena sento la ceramica sbattere contro il marmo.

«Fanculo», digrigno i denti e mi prendo la testa tra le mani. «Sei una cogliona. Vedi? Che ti aspettavi? Deficiente! La devi smettere di incasinarti la vita», i miei denti affondano con forza nel labbro inferiore e mi giro verso la finestra che dà sul retro. Sulla mensola accanto intravedo la tazza che mi regalò mia nonna per il mio decimo compleanno. Mi allungo per prenderla e la osservo con curiosità. Grazie a Dio è sempre rimasta lì, intatta.

Le do una sciacquata e mi verso del succo di frutta. Il leprechaun verde disegnato sulla ceramica bianca sembra mi stia sorridendo divertito. Arriccio il naso e mi porto la tazza alle labbra, ma la voce di Kenneth alle mie spalle per poco non mi fa trasalire.
«Te ne sei andata per colpa mia, non è vero?»

Con tutta la calma del mondo gli rivolgo un'occhiata dubbiosa. «No, ma dai! Non avevo dubbi sul fatto che fossi un tipo sveglio.»

Lui posa il piatto sul ripiano e si avvicina prudentemente a me, rimanendo tuttavia a circa un metro di distanza. Lo fisso con la coda dell'occhio, poi mi giro come una pazza furiosa verso di lui, fulminandolo con lo sguardo. «Come hai potuto?», sibilo stringendo i denti.

Lui si acciglia e abbassa lo sguardo per una frazione di secondo. «Kendra, non sapevo che lei fosse tua cugina. So che non mi credi, ma se l'avessi saputo, io non sarei venuto qui. Lei... l'ho conosciuta mesi fa ad una cena di beneficenza, era l'accompagnatrice del mio migliore amico. Non c'è niente tra me e lei, semplicemente-»

«Semplicemente lei vorrebbe qualcosa di più da parte tua, altrimenti non ti avrebbe mai portato ad un fottuto pranzo di famiglia. Ma tu sei troppo cieco per capirlo», gli punto il dito contro il petto.
«Sono il suo socio. Andrew voleva che le dessi una mano. E tanto per la cronaca, avrebbe dovuto raggiungerci anche lui, ma è rimasto intrappolato in una riunione di lavoro e sono venuto soltanto io. Più tardi verrà anche lui.»

«Ti aspetti che io creda a queste stronzate? Sul serio?», apro le braccia esasperata. «Ti sei presentato qui con la persona che odio di più al mondo».

«Non lo sapevo», continua a dire con tono calmo.

«Ho fatto una figura di merda per colpa vostra. Ti ho presentato a mia madre come il mio ragazzo, o  te lo sei già dimenticato?», scandisco bene ogni parola, allungandomi verso di lui con fare minaccioso.

Si passa la mano tra i capelli e chiude gli occhi. «Cosa vuoi che ti dica?», punta i suoi occhi verdi su di me e mi stringo nelle spalle.

«Non lo so. Non penso tu sia in grado di dirmi qualcosa che riesca a farmi stare meglio», sorrido tristemente e osservo di nuovo la tazza che ho tra le mani. Mi sembra di aggrapparmi all'unico ricordo capace di non farmi crollare davanti a lui.

«Ora capisco la tua espressione. Ti piacciono davvero i leprechaun, vedo», sul suo viso spicca un sorriso divertito. «È tua?»

«Sì, è mia», pronuncio quasi come se volessi intimorirlo.

Kenneth non stacca gli occhi dal mio viso. Un altro passo cancella la distanza tra di noi. Adesso è a pochi centimetri da me. Solleva la manica della felpa fino al gomito e poi mi prende la tazza dalle mani, portandosela alle labbra.

Rimango a fissarlo come un'idiota.

Dietro l'orlo della tazza intravedo il suo sorriso malizioso e i suoi occhi sono attraversati da una scintilla di divertimento.

«A quale cazzo di gioco stai giocando?», sbotto, riprendendomi la tazza e stringendola al petto. «Smettila subito.»

«Avevo sete, Kendra», il sorriso svanisce dal suo volto. È come se cercasse in tutti i modi di avermi intorno a lui; come se volesse a tutti i costi sentirmi.

«Sei un vero imbecille», lo dico con talmente tanto odio che sussulto persino io.

Kenneth indietreggia di colpo, come se qualcuno l'avesse appena schiaffeggiato.
«Come dici?», appoggia il palmo della mano sul ripiano, le sue vene diventano ancora più sporgenti, e so che non dovrei guardarle, ma è meglio che guardarlo negli occhi in questo momento.

«Hai sentito bene. Sei un imbecille», ripeto, sorridendo in maniera sadica.

«Ritira subito quello che hai appena pronunciato, Collins», decide di nuovo di accorciare la distanza tra noi due.

«Oh, non ci penso nemmeno, Harrison», faccio un passo indietro, ma lui appoggia anche l'altro palmo della mano sul ripiano, facendomi sentire in trappola.

«Non lo sapevo, Kendra», cerca di farmi ragionare.

«Ti odio. Anzi, vi odio con tutto il mio cuore», vorrei abbassare la testa, ma l'orgoglio me lo impedisce.

«Non mi odi», scuote la testa.

«Oh, ti odio dannatamente tanto», un'altra risata nervosa sfugge dalla mia bocca.

All'improvviso preme il suo corpo contro il mio e avvicina pericolosamente le sue labbra alle mie. Trattengo il respiro, il cuore martella come impazzito contro la cassa toracica.

E in questo momento vorrei maledirlo in tutte le lingue del mondo, ma il modo in cui i suoi occhi colmi di lussuria continuano a cercarmi mi rendono impotente. Vorrei impormi almeno per due secondi. Vorrei dimenticarmi dell'evidente attrazione tra noi due, girare sui tacchi e andare via. Però la sua mano destra me lo impedisce. Scivola in maniera inaspettata sul mio fianco e lo fa con una lentezza insopportabile. Un'attesa atroce.

«Il tuo corpo non mi odia. E l'ho capito nell'istante in cui ti sei presentata nel mio ufficio», sussurra al mio orecchio. Un brivido precipitoso si arrampica sulla mia schiena, costringendomi quasi a stringermi nelle spalle, per poi allungare il collo all'indietro. Non importa se dall'altra parte ci sono le due persone che odio di più al mondo. Non sento altro che il suo respiro controllato che mi solletica il viso e la sua mano possessiva sul mio fianco.

«Cosa vuoi da me?», chiedo con un filo di voce.

«Voglio che tu abbia fiducia in me», le sue mani risalgono fin sopra le mie braccia e mi guarda negli occhi.

«Fiducia? Kenneth, stavi per massacrare mia madre a quella cena, ricordi? E adesso parla come se quella serata l'avesse cancellata dalla sua mente. Io ero felice perché... Perché qualcuno era riuscito a rimetterla al suo posto, e adesso tu ti presenti qui con quella», sollevo lo sguardo per non permettere alle lacrime di scorrere sulle mie guance.

«Non volevo farti del male», muove il pollice sulla mia guancia, ma sposto bruscamente la testa.

«Pensavo fossi diverso dagli altri», metto con forza le mani sul suo petto e lo allontano da me.

«Lo dici spesso, non è così? Quando le cose non vanno come vorresti, quando le tue aspettative crollano, te lo ripeti come se volessi consolarti da sola, giusto?»

«Cosa c'è, adesso? Intendi farmi di nuovo da psicologo?»

Il suo sguardo si incupisce. «No, ma ci sono passato. E il dolore che io ho dovuto affrontare mi ha lasciato una cicatrice così profonda, che non sarà Martha a cancellarla e neanche tu.»
All'improvviso mia cugina entra in cucina e ci guarda con sospetto.

«Per caso ti ha infastidito? Mia cugina tende ad essere parecchio drammatica e ironica. Le ho detto un sacco di volte che non fa ridere nessuno con le sue battute. È per questo che hai questa faccia?»

«Non so cosa vuoi dimostrarmi, Martha, ma mi rendo conto che se tu non avessi ricevuto l'aiuto di Kenneth, adesso non saresti stata altro che  una fallita come me», sogghigno.

«Non osare dirlo un'altra volta. Kenneth è stato come una manna dal cielo, ma tu cosa diavolo ne puoi sapere? Hai studiato quella merda perché volevi fare la giornalista e adesso probabilmente starai facendo un lavoro inutile. Non guadagnerai mai quanto me e ti dà fastidio, non è così? Perché dovrai aiutare i tuoi genitori e mantenere tuo fratello e sei consapevole che non ce la farai», dichiara con voce velenosa.

Kenneth mi guarda senza battere ciglio. È sconvolto.

«Smettila», la sua voce brusca la zittisce. «Lavora per me. È una fantastica editor e con una semplice chiamata potrei portarla molto più in alto. Non ti conviene giocare sporco, Martha. Non con me».

Martha lo guarda e inizia a boccheggiare come un pesce. «Non pensavo che lavorasse per te. Judy non me l'ha detto», adesso è lei quella ad essere sorpresa.

Mando giù il groppo che ho in gola e ritorno dalla mia migliore amica.

«Ci hai messo un po'», mi fa presente mio padre.

«Bene, che ne dite di prendere una boccata d'aria fresca?», suggerisce mia madre. «Per fortuna abbiamo un bel giardino, perché non sfruttarlo?»

«Sfrutterei il potere delle streghe solo per sacrificare tua madre a Satana», sussurra la mia migliore amica.

Scoppio a ridere, appoggiando per pochi secondi la testa sulla sua spalla.
«Grazie.»

Mi afferra la mano e la stringe piano. «Finirà presto.»

Ci alziamo e prendiamo i nostri giubbotti, poi usciamo fuori. Mi incammino a passo lento verso l'altalena, mentre l'attenzione di Eileen viene catturata dai strani racconti di mio padre.

Vorrei essere in qualsiasi altro posto adesso. Non importa se i suoi occhi cercano continuamente me. Non importa se assottiglia lo sguardo ogni volta che cerca di comprendere le emozioni che mi travolgono. Continuo a sentirmi come se la vita fosse un'enorme prova di sopravvivenza per me.

Stringo con forza i pugni sulle ginocchia quando all'improvviso una voce a me familiare mi distoglie dai miei pensieri.

«Josy? Sei davvero tu?». Dall'altra parte del muretto c'è Steve, il mio vicino nonché amico d'infanzia. Non lo vedo da un bel po' di tempo, ma so che ha concluso da poco il suo master in informatica a Manchester. Grazie, Facebook.

«Steve?», grido con euforia. Corro verso il muretto, mentre lui è già in procinto di scavalcarlo.

«Da quanto tempo!», esclama mentre piomba a terra e allunga le braccia verso di me.

«Diamine, sono passati secoli», lo stringo a me, sfregando la mano amichevolmente sulla schiena.

«Steven! Che piacere vederti», lo accoglie mio padre. «Vieni qui, giovanotto.»

«Ronald», Steve gli dà una pacca sulla spalla.

Mio padre lo guarda dall'alto verso il basso e dice con un sorriso: «Ti è rimasto ancora il vizio di scavalcare il muretto per salutare mia figlia, vedo.»

Colgo una sfumatura rosea sulle guance del mio amico. I suoi occhi blu hanno da sempre attirato la mia attenzione.

«Oh, mio caro ragazzo», esordisce mia madre, venendo verso di lui.

Steve si gira verso di me e sorride con aria imbarazzata. Sa che non la sopporto.

«Sono felice di rivederti.»

«Lo sono anche io, Judy. Sei bellissima come sempre.»

Leccaculo.

«Ehi, sfigato! Non saluti anche me?», urla Martha, cercando di attirare la sua attenzione.

«Non più sfigato di te», replica Steve mentre va a salutarla. Come avevo già previsto nella mia mente, gli presenta anche Kenneth.
Quest'ultimo non sembra molto contento di stringergli la mano. Lo guarda negli occhi come se volesse ridurlo in cenere.

Steve fa per ritirare la mano, ma Kenneth gliela stringe con più forza. Martha finge un colpo di tosse e i ragazzi sciolgono la presa.

Gli lancio un'occhiata torva. Che diavolo gli prende?

Mi avvicino a Steve per metterlo a suo agio.
«Dimmi un po'», gli do una gomitata nel costato. «Non odiavi con tutto il cuore studiare informatica?»

«Il mio amico qui presente ha un sacco di contatti, se hai bisogno di una mano, chiedi pure», dice Martha, facendogli l'occhiolino.

«Ti sembro un centro per l'impiego?», il tono infastidito di Kenneth la fa sussultare. «Ma, certamente, se avrai difficoltà a trovare un lavoro, cercherò di darti una mano», prova a sciogliere la tensione.

«No, grazie. Molto gentili entrambi, ma ho già un posto assicurato», ci informa con una punta di orgoglio nella voce, poi si passa la mano tra i capelli neri e io seguo con gli occhi la sua mossa.

«Ma è magnifico!», lo abbraccio.

«Magnifico», ripete Kenneth.

«Stai bene?», chiede Martha.

«Alla grande», risponde atono.

«È così felice per te, che è rimasto senza parole!», si intromette la mia migliore amica.
Ci allontaniamo da loro, avviando una conversazione tra noi due.

«Kendra», la voce bassa e profonda di Kenneth mi fa voltare di colpo.

«Sono impegnata», commento stizzita.

«Qualcuno desidera il tè?», chiede mia madre con fare gentile.

«Oh, io amo il tuo tè», esclama con aria trasognata Steve. È uno tra i pochi a cui è permesso dare del tu a mia madre. Forse perché la riempie sempre di complimenti.

Mentre ci accingiamo a rientrare, Kenneth aspetta che tutti gli altri siano dentro e mi afferra per il polso, trattenendomi ancora prima che possa varcare la soglia.

«Chi. Diavolo. È. Quello?», scandisce ogni parola con rabbia.

«Pensavo fosse abbastanza evidente», ribatto con nonchalance.

Kenneth si piega verso di me, contraendo la mascella. «Non sarò diplomatico a lungo, Kendra.»

«Fammi il piacere e spostati, Harrison.»

Lascia il mio polso, ma blocca l'entrata con il suo braccio, pronunciando un'ultima frase: «Una giacca e una cravatta non annullano le emozioni che spezzano il mio equilibrio interiore, Collins. Dietro al completo elegante e il fare composto si nasconde un uomo che spaccherebbe volentieri la faccia a chi oserebbe privarlo di una cosa che lo fa stare bene.»

«Quindi cosa vuoi da me, Kenneth? Cosa diavolo vuoi?», avvicino il mio viso al suo, guardandolo dritto negli occhi.

La sua mano scatta verso la mia nuca, si intrufola tra i miei capelli e mi fa avvicinare ancora di più. «Voglio te, Collins. E farò di tutto per averti.»

Le sue labbra sfiorano le mie, l'altra mano scivola verso la parte lombare della mia schiena e spinge piano la fronte contro la mia. Cerco di raccogliere tutta la forza che mi è rimasta nel corpo per rispondere come se fossi sicura di me. «Tu non mi avrai più.»

Provo a dargli una spallata, fallendo miseramente, e raggiungo la mia migliore amica, sibilando: «Dobbiamo andare via da questo posto del cazzo. Subito».

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