Capitolo tredici
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Little Mix, Power
Se il buongiorno si vede dal mattino, la mia giornata non sarà una delle migliori.
Il mio umore attualmente si sta rotolando sul pavimento e il mal di testa ha ben pensato di rendere il mio risveglio ancora più tragico.
Mi alzo lentamente dal letto e guardo i vestiti che ho addosso. Non mi sono nemmeno messa il pigiama ieri sera.
Sbadiglio e afferro pigramente il cellulare. Apro Spotify e metto la canzone Take on me al massimo. Lascio il cellulare sul comodino e mi dirigo in cucina. A quest’ora ho soltanto bisogno di una bella tazza di caffè e di una doccia, magari fredda, nonostante fuori non faccia caldissimo. Ma mi sarà sicuramente d’aiuto.
Canticchio a bassa voce mentre traffico dietro il piccolo bancone e scuoto la testa a ritmo di musica. Il mio entusiasmo si spegne non appena sento lo scarico del bagno.
Afferro saldamente il manico della padella e mi affaccio lentamente nel corridoio.
«Buongi-», sento dire da una voce roca e assonnata, ma io parto all’attacco e mentre mi sfugge un «Aaaah!» in stile spartano, gli do una padellata in testa e canto vittoria nella mia testa. «Dimmi un po’, stavi pensando di derubarmi? Ti è andata male, bello», stringo la padella tra le mani e inclino il capo per guardare meglio l’uomo davanti a me.
«Porca puttana», grida, portandosi in seguito la mano sulla testa. «Cazzo!», continua ad imprecare. Dopo pochi secondi realizzo che si tratta del mio capo.
Kenneth Harrison è in casa mia e io gli ho quasi fracassato il cranio. «Oddio, oddio, oddio», inizio a gridare a mia volta e mi allontano saltellando in preda alla disperazione. Poso la padella sul bancone e mi prendo la testa tra le mani. Cosa diavolo ho combinato?
Faccio un bel respiro e metto da parte i pensieri, poi apro il freezer e prendo una confezione di piselli surgelati. «Mi dispiace tantissimo», dico posando con poca delicatezza i piselli sulla sua fronte. Dalla bocca gli sfugge un gemito di dolore e mi lancia un’occhiata omicida.
«Ma che diavolo ti è preso?», grida mentre cerca di mettere a fuoco la mia figura. Schiocco le dita davanti al suo viso e poi chiedo: «Quante ne vede?»
Lui ignora la mia domanda e va a sedersi sullo sgabello, puntellando gli avambracci sul bancone. «Dannatamente fantastico!», brontola, passandosi una mano tra i capelli.
«Forse le verrà un bernoccolo», gli faccio sapere.
«Ma non mi dire! Mi hai tirato una dannata padella in testa», risponde stizzito, il suo petto ampio si gonfia ad ogni sua parola.
E io pensavo che il mio buongiorno fosse orribile.
«Mi sento terribilmente in colpa. Ma non capisco il perché della sua presenza in casa mia alle sei del mattino», cerco di mettere insieme i pezzi e all’improvviso mi ricordo della cena al ristorante.
Kenneth mi ha accompagnata a casa, ma non pensavo di certo che sarebbe rimasto qui a dormire. Un secondo, dove diamine ha dormito?
«Ho trovato il mio cellulare, comunque», lo estrae dalla tasca e me lo fa vedere. «E mi dispiace aver usato il tuo bagno, ma se non l’avessi fatto probabilmente avrei dovuto innaffiarti l’orchidea», mormora con un sorriso autoironico.
Cerco di togliermi dalla testa l’immagine di lui che fa la pipì sulla mia orchidea.
«Gradisce del caffè?», chiedo gentilmente, evitando di guardarlo in faccia.
«Kendra», pronuncia il mio nome come se fosse un qualcosa di proibito e il mio cuore palpita concitato.
Giro di poco la testa e lo osservo oltre la spalla, fingendomi disinteressata. «Sì?»
Qualcuno suona il campanello e lui si acciglia.
«Ma chi diavolo potrebbe essere a quest’ora?», borbotto guardando la porta con sospetto. Di solito Eileen mi chiama prima di recarsi qui. E lei non viene mai così presto a casa mia.
Kenneth mi fa cenno di rimanere dove sono. «Ieri sera una determinata persona stava morendo dalla voglia di accompagnarti a casa», dice alzando un sopracciglio.
A passo deciso va verso la porta e senza nemmeno guardare dallo spioncino, la spalanca con una mossa decisa e vedo il mio vicino, Arnold, con un mattarello stretto in una mano e lo sguardo furioso.
«Ho sentito delle urla! Chi è il ladro? Lui?», chiede, puntandogli il mattarello contro il petto.
Vedendolo sulla soglia della mia porta mentre minaccia di colpire il mio capo non è il massimo, quindi mi precipito verso di lui, mettendomi davanti a Kenneth.
«Non ci sono ladri. Mi sono semplicemente spaventata», cerco di spiegargli.
Lui sembra dubbioso. «E perché ti sei spaventata?»
«Beh, perché ho visto il mio capo in casa mia», gli dico senza riflettere e lui spalanca gli occhi.
«Dunque essere il suo capo ti dà il diritto di fare irruzione nel suo appartamento e farla urlare dallo spavento, svegliandomi?», apre la mano e colpisce minacciosamente il palmo come se volesse dire “Mi hai appena dato un altro motivo per farti fuori”.
«Arnold, non volevo svegliarti. Ti chiedo scusa, adesso potresti andartene? Se ammazzi il mio capo, io resterò senza lavoro e poi sarò io ad ammazzare te», sorrido come una psicopatica e lui annuisce, comprensivo.
«La prossima volta se ci tieni a farla urlare, prova in altri modi. Buona giornata», tira su i pantaloni del pigiama, che fino a pochi secondi fa stavano scivolando sul suo sedere, e lo guardo andare via.
Kenneth si gira verso di me, leggermente disgustato. «Hai vicini di questo tipo?»
«Io e Jacob siamo i più normali, penso», ridacchio, divertita.
«Jacob?», inclina il capo e aggrotta le sopracciglia.
«È il mio vicino e lavora per lei», dico, schiarendomi la gola. «Bene! Adesso che è tutto a posto potrebbe, per piacere, andare via?»
Kenneth sembra ancora più turbato. Forse perché fino ad ora nessuno ha mai osato fargli una simile richiesta. Lavoro per lui, ciò non vuol dire che io gradisca la sua presenza perfino nel mio appartamento.
«Visto che adesso sei la mia assistente…», prende il cellulare dalla tasca e guarda lo schermo. «Farò apportare qualche modifica al tuo contratto».
«Io non sono la sua assistente», gli ricordo, mettendo le mani sui fianchi in un motto di stizza.
«Mi dispiace deluderti, ma da oggi lo sei. Ti farò avere un cellulare aziendale, l’attuale assistente ti mostrerà la mia agenda e i futuri impegni. Sicuramente saprà istruirti bene, Collins», fa un sorrisetto tirato e poi si sistema il colletto della camicia e dà un’ultima occhiata al mio appartamento, mormorando: «Come fai a vivere in questo buco? C’è odore di muffa», indica il soffitto e un’ondata di imbarazzo mi investe in pieno.
«Arrivederci!», grido, indicando la porta.
Lui si allontana con sguardo scettico e io chiudo la porta con un colpo secco, stringendo i denti.
Mi sento umiliata e arrabbiata. Certo, lui non sa mica cosa si prova a dover vivere in un posto del genere, ad avere una famiglia che non ti dà il minimo supporto e ad avere un fratellino che viene sballottato da una casa all’altra come se fosse un pacco, soltanto perché nostra madre non è abbastanza stabile mentalmente da potersi prendere cura di lui come si dovrebbe.
«Presuntuoso del cazzo!», grido a pieni polmoni in bagno.
«Le persone sono come i fagioli», grida dall’altra parte Arnold. «Se sono marce, ti faranno cagare», emette un lamento di dolore e poi sento una scorreggia e mi affretto ad uscire dal bagno, maledicendo il giorno in cui ho accettato di vivere qui.
Arnold e le sue benedette zuppe di fagioli.
Mi butto sul letto a peso morto, prendo un cuscino e soffoco un urlo. Poi, non appena sento il petto più leggero, agguanto il cellulare e chiamo la mia amica.
«Dimmi che non hai dato fuoco alla casa», mugugna.
«Ho trattato malissimo il mio capo. Adesso sono diventata la sua assistente. Penso di essere a rischio, e se all’improvviso decidesse di farmi pulire i cessi?», piagnucolo.
«Scusati in qualche modo, allora. Non è così difficile. Ora lasciami dormire altri dieci minuti», riattacca e io rifletto in silenzio. Dovrei scusarmi…? Ma certo, non voglio essere ancora declassata.
Vado in cucina e apro tutti gli sportelli e inizio a cercare gli ingredienti necessari. Gli farò dei muffin. Insomma, tutti amano i muffin.
Un paio di minuti più tardi sento il cellulare squillare. È Eileen, mi sta videochiamando.
«Adesso sono sveglia. Cosa stai combinando?»
«Ho preparato i muffin. Mi scuserò in questo modo», le dico mentre li incarto.
«I muffin?», chiede lei.
«Sì, quelli che ti piacciono tanto.»
«Oh. Ti ho detto che mi piacciono?», domanda, sbattendo velocemente le palpebre.
«Certo! Da impazzire», le ricordo.
Lei inizia a ridere sguaiatamente, come se fosse impazzita, poi grida: «No! Non puoi! Sai che c’è? Sono gelosa. Lasciali da parte, voglio mangiarli tutti io».
«Non se ne parla nemmeno, Eileen! Farò finta di scusarmi, dopodiché ai suoi occhi apparirò di nuovo buona e brava come un angelo e magari mi farà avere un mio ufficio un giorno».
Lei si acciglia. «Stai facendo la leccaculo?»
«È l’ultima cosa al mondo che avrei voluto fare, ma questa volta sono costretta. Ti auguro una buona giornata!», le mando un bacio, lei mi guarda ancora sbalordita.
Mi preparo e sorrido, immaginando già la sua reazione.
Mentre guido per andare a lavoro, canticchio a voce piuttosto alta Rock you like a hurricane e osservo l'ora sullo schermo del cellulare.
Ce la farò. Sarò di nuovo puntuale.
E un paio di minuti dopo, mi ritrovo a correre su per le scale con la borsa che pende dal braccio e il sacchetto che stringo gelosamente al petto.
«Buongiorno, signorina», dice il portinaio aggiungendo con garbo: «Potrebbe gentilmente evitare di correre sulle scale? Rischierà di slogarsi una caviglia un giorno».
Leggermente sorpresa, rimango a fissarlo. «Lei è gentile», dico con un sorriso che diventa sempre più ampio.
Appena entro nell'edificio, mi imbatto niente meno che in Tiffany.
«Collins», pronuncia il mio nome quasi ringhiando e mi osserva in seguito dall'alto verso il basso.
«Payne», rispondo sorridendo allegramente. Uno dei dipendenti passa in modo frettoloso accanto a noi, urtandole per sbaglio la spalla. Una smorfia di dolore deforma il suo viso, poi gira di scatto la testa, gettandogli un'occhiata di fuoco. «Da Payne e Pain è un attimo», mi scappa una risata, ma lei, non cogliendo il senso del mio umorismo, mi guarda come se volesse buttarmi giù dalle scale.
«Ho capito, vado», sollevo due dita in segno di saluto e mi fermo davanti alla scrivania della segretaria.
«Il signor Kenneth è nel suo ufficio?», chiedo.
«Sì. Non vuole essere disturbato», poi sventola una mano in aria, facendomi segno di levarmi dai piedi.
«Senta, qual è il suo nome?», le dico con un sorriso tutto tranne che allegro.
«Christine», risponde piccata.
«Okay, Christine. Grazie», alzo il pollice in su e mi allontano, scimmiottandola.
Il mio capo non vuole essere disturbato. Deduco che svegliarsi nel mio povero appartamento lo abbia messo di cattivo umore. Alzo gli occhi al cielo. Cosa mi tocca fare…
Mi fermo davanti alla porta del suo ufficio e busso un paio di volte.
«Quante volte devo ripetertelo ancora? Non voglio essere disturbato!», grida, facendomi sussultare.
«Le ho portato una cosa», dico, pentendomi subito dopo di aver aperto bocca. Ma perché non mi faccio mai gli affari miei?
Insomma, un essere così insopportabile e arrogante non dovrebbe nemmeno avere la mia attenzione.
Attendo un attimo, ma non ricevendo più alcuna risposta da parte sua, faccio marcia indietro proprio nel momento in cui la porta si apre.
«Buongiorno, Kendra», mi guarda, poi i suoi occhi scendono sul Rolex che ha al polso.
«Oh, sono puntuale! Ci sono volute esattamente...», mi fermo un attimo a pensare. «Cinque canzoni per arrivare qui!»
Kenneth mi guarda attonito. «Cinque canzoni?», chiede.
Probabilmente si starà chiedendo che razza di psicopatica abbia assunto, ma non importa. È arrivata l’ora di sfoggiare le mie doti culinarie.
«Oh sì, quando vengo al lavoro spesso conto il tempo in canzoni.»
Mi fissa e basta. Non dice niente. Il suo sopracciglio si solleva lentamente verso l'alto, poi lui si sposta di lato e mi fa cenno di entrare.
Svitata. Penserà sicuramente che sono una svitata.
«Non era mia intenzione piombare in questo modo nel suo ufficio, e forse sarebbe stato meglio se avessi proseguito dritto verso il manicomio in realtà, però-», mi fermo e faccio un respiro profondo. «Le chiedo scusa, sto iniziando a straparlare di nuovo.»
Stringo il sacchetto al petto e mi mordo la lingua. Dopo il nostro spiacevole risveglio, questo non è il modo migliore per provare a metterci una pietra su e fare finta che tutto ciò non sia mai avvenuto.
«Niente di nuovo per me, Collins. Cos'hai lì?», domanda, guardando il sacchetto che ho tra le mani con aria scettica.
«Le ho portato i muffin. Lei non mi ha ancora licenziata e dopo il disastro di ieri sera, è il minimo che possa fare per rimediare», allungo il sacchetto verso di lui e lo afferra con poca gentilezza. Va a sedersi al suo posto e mi fa cenno di prendere posto sulla poltrona.
Si sta comportando come al solito, come se fossi una semplice dipendente che ha assunto da poco e basta. Nella sua mente non sono più colei che lui ha portato a casa per più di una volta.
Tira fuori il vassoio, toglie il coperchio, e assottiglia lo sguardo.
«I muffin non dovrebbero avere una forma più...», inclina il capo, provando ad osservarli meglio.
«Si sono un po' schiacciati durante il tragitto. Ma sono buoni! Perché non ne assaggia uno?», chiedo con eccessiva enfasi.
«Ho già mangiato, ma...», ne afferra uno tra le dita, lo osserva dubbioso e poi lo morde.
«Allora?», chiedo, unendo le mani e aspettando con trepidazione il suo verdetto.
Rimane con lo sguardo fisso su di me, fa perfino fatica a masticare. Poi mette su un sorriso da statuetta e manda giù il boccone.
«Talmente insipido che-», dice rivolgendo lo sguardo verso di me. Mi preparo ad incassare il colpo. Ho fallito. Ma com’è possibile? Eileen li adora! «Questo retrogusto amaro è magnifico», sorride freddamente. «Qual è l’ingrediente segreto?»
«Li ho un po’ bruciati, ma sono commestibili».
Consapevole di aver fatto una figuraccia, inizio ad indietreggiare verso la porta, ma lui alza una mano, fermandomi.
«Sono contento che le cose siano a posto tra di noi, nonostante ciò che è successo ieri sera».
«Non siamo mica andati a letto», dico, mettendomi sulla difensiva.
«No, ma io di certo non faccio da tassista, non mi fingo il ragazzo di una mia dipendente e, soprattutto, non dormo in un simile buco ammuffito, che tu chiami casa», fa una smorfia di disgusto.
Dio, quanto spero che ti strozzi con quei muffin!
Dal suo viso sparisce qualsiasi emozione e io piombo nuovamente con i piedi per terra, lasciando da parte i pensieri omicidi.
«Che hai detto?», chiede, nervoso.
Detto? Che cosa ho detto?
«Niente», rispondo con calma.
Preme un pulsante e all’improvviso sento la voce di Christine: «Mi dica».
«Mandi la mia assistente nel mio ufficio».
Oh, no.
«Preferisco leggere i manoscritti», la voce mi esce piuttosto squillante.
«Oh, ma li leggerai. Quando lo deciderò io», si alza in piedi e si appoggia alla scrivania, incrociando le braccia al petto.
Tiffany bussa una volta e poi entra. Mi giro verso di lei, ci guardiamo in cagnesco.
«Vi dividerete i compiti. Kendra sarà la mia assistente in prova. Non ti sto licenziando, ma ho bisogno che una delle due prenda gli appuntamenti per me e che sia precisa e puntuale come un orologio svizzero, e che l’altra mi accompagni e faccia le cose superflue. Vediamo come va», il suo sguardo si sofferma per pochi secondi su di me e mi pare di vederlo divertito.
«M-ma io sono abbastanza brava. Lei è sempre stato contento del mio lavoro. Voglio dire-», Tiffany cerca di protestare, ma senza successo.
«Hai sentito l’ultima parte del mio discorso?», ribatte Kenneth, inarcando un sopracciglio.
«Sì, mi scusi».
«Potrete parlarne meglio nell’area relax», ci indica la porta.
Appena fuori dal suo ufficio, Tiffany mi dà una spallata. «Non penserai mica di cavartela con poco, vero? Se il mio stipendio verrà dimezzato per colpa di una che ama servire panini e patatine fritte, giuro che ti farò rimpiangere il giorno in cui sei nata», minaccia a denti stretti.
«Sì, divertente, ma con me non funziona», sbadiglio e mi dirigo verso l’area relax. Mi preparo del caffè e lei si siede sulla chaise longue.
«Dunque, la prima cosa da sapere è come il nostro capo prende di solito il caffè», mi dice, lanciandomi un’occhiata torva.
«Beh, qui c’è tutto», indico la macchinetta del caffè.
«Povera illusa», sorride perfidamente. «Ti conviene prendere appunti».
Prendo il cellulare e apro il blocco notes.
«Lunedì mattina, alla prima ora, ama prendere il caffè amaro, tazzina di vetro, né troppo caldo e né troppo freddo».
«Tiepido?», suggerisco.
«Più o meno».
«E cosa dovrei fare? Soffiarci dentro finché non si raffredda?», chiedo, trattenendo una risata.
«Durante la giornata di solito prende il caffè lungo, con mezza bustina di zucchero, panna e cannella».
Segno tutto sul cellulare e poi dico: «Stai scherzando?»
«Quando non andrà fuori a pranzo per via dei troppi impegni, dovrai portarglielo tu. Da Armando ama mangiare spaghetti all’aragosta, paella all’astice, pesce spada con contorno di patate al rosmarino e non dimenticarti la fetta di limone», apre l’agenda e inizia a sfogliare le pagine. «Bistecca al sangue, dallo spessore di tre centimetri, accompagnata da verdure grigliate, niente cipolla, sì alle noci e ricordati che è allergico alle banane».
Inaspettatamente mi brontola lo stomaco, e anche forte.
Pensavo davvero che i miei stupidi muffin sarebbero stati in grado di conquistare la sua simpatia? Probabilmente il suo palato adesso mi starà odiando.
«Spaghetti allo scoglio, sushi solo presso Chang Sushi…» continua ad elencare e spalanco gli occhi. Quel presuntuoso si strozza con un muffin fatto da me e non con il pesce crudo?
«Desidera anche prendere il tè con la regina Elisabetta, per caso?», chiedo, sbuffando rumorosamente.
Il suo cellulare squilla e risponde immediatamente.
«Il capo vuole il caffè. Buona fortuna», si alza in piedi e se ne va, lasciandomi da sola.
Dunque… cos’è che gli piace?
Guardo la lista delle cose che ho segnato e trattengo un’imprecazione.
Inizio a preparare il caffè nella tazzina di vetro e cerco la panna. Dove diavolo è?
Intanto metto lo zucchero e mescolo con il cucchiaino. Finalmente trovo la panna e riempio la tazzina, aggiungendo poi una spolverata di cannella.
Con le mani tremolanti raggiungo il suo ufficio.
Busso con la punta del piede e poi entro, aprendo la porta con il gomito.
«Ecco il suo caffè», gli dico, ma solo dopo qualche secondo noto l’altro uomo seduto sulla poltrona alla mia sinistra.
«Grazie», dice, poi continua a parlare. «Voglio che quell’accordo vada a buon fine. Non mi interessa come, voglio che loro scelgano noi».
«Amico, io ci ho provato. C’è soltanto un’altra persona più brava di me in questo, ed è Leslie».
Nel sentire il suo nome mi sfugge una breve risata. Poso la tazzina di caffè sulla sua scrivania e l’altro uomo si gira verso di me, dicendo: «Sei nuova?»
«Sì. Io sono Kendra Collins», allungo la mano verso di lui e con mia grande sorpresa, me la stringe.
«Io sono Andrew Leighton, piacere di conoscerti, Kendra», mi regala un sorriso mozzafiato e io cerco di ricambiare.
«Vuoi per caso prendere parte al discorso? Non so, desideri dei biscotti, del tè?», il tono pungente di Kenneth mi fa stringere lo stomaco.
«Oh, mi scusi… Non era mia intenzione», dico mortificata.
Manda giù un sorso di caffè e poi prende un fazzoletto e lo sputa. «Hai messo il sale. Cristo!».
«Le brutte notizie lo rendono irascibile e un gran cafone», sussurra Andrew, facendomi sorridere.
«Gliene porto subito un altro. Mi dispiace da morire».
«Ne porteresti uno anche per me? Normale, grazie» mi prega gentilmente Andrew e annuisco.
Kenneth fa vacillare lo sguardo tra di noi e alza gli occhi al cielo.
Preparo di nuovo i caffè, stando più attenta questa volta.
«Inizia pure a leggere un manoscritto, se vuoi. Quando avrò di nuovo bisogno di te, allora ti chiamerò».
Andrew cerca di nascondere il sorriso divertito dietro il palmo della mano.
«A quanto pare lei avrà spesso bisogno di me. Qualcuno dovrà pure insegnarle le buone maniere», gli lancio un’occhiata fulminante e poi esco dal suo ufficio, mordendomi l’interno guancia. Me la farà pagare. Oh, e sarà dannatamente brutto e doloroso.
Stai giocando con il fuoco, Kendra.
Ore più tardi, vado a prendere una bottiglietta d’acqua, ma qualcuno dietro di me si schiarisce la gola.
«Dunque, vorresti insegnarmi le buone maniere, Collins?»
Sento il viso andare a fuoco, il cuore batte talmente veloce che ho paura esploda da un momento all’altro.
Sono finita?
Spero vi sia piaciuto il capitolo 🥰❤️
Vi piace la nuova copertina che ho fatto? A me piace molto di più rispetto a quella di prima 😍
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