Capitolo tre
Per i vecchi lettori: in questo capitolo sono cambiate un po' di cose, quindi sì, vi conviene rileggerlo, così eviterete di fare confusione con gli altri e seguire la storia passo per passo. ❤️
C'è un'alta probabilità che io sia stata colpita da una qualche strana maledizione. Non riuscirei a spiegarmi, altrimenti, il perché di tutta questa sfiga, che ormai mi circonda come un alone.
Ai piedi del mio letto c'è Cole che mi sta fissando come se fosse pronto a puntarmi alla testa una pistola.
Mentre mi sforzo di aprire del tutto le palpebre, cerco di fare mente locale e capire perché diamine lui sia qui, dentro casa mia.
«Buongiorno, raggio di sole!», esclama con finto entusiasmo e sposta il lenzuolo con cui mi sono coperta, gettandolo a terra.
«Ma che cazzo», bofonchio, mettendomi a sedere. Le tempie pulsano incessantemente e la sua voce è così fastidiosa, che preferirei mi colpisse in testa con un martello.
«Che diamine hai combinato ieri notte?», chiede, dando un'occhiata veloce al casino che c'è nella mia stanza. «Dov'è la nostra foto?», mi indica il comodino con il mento.
«Cole», mi appoggio alla testiera del letto e chiudo gli occhi. «Ti dispiacerebbe portarmi un'aspirina e un bicchiere d'acqua?»
Lo sento trattenere uno sbuffo ed esce dalla mia stanza senza protestare. Poco dopo ritorna da me e mi passa con poca gentilezza il quanto richiesto.
«Grazie», pronuncio, evitando il suo sguardo indagatore.
Non dovrei dargli nessuna spiegazione. Lui non l'ha data di certo a me! Cavolo, sono io quella cornuta tra i due.
«Kendra, possiamo parlare, per piacere? Al di là della conversazione imbarazzante che abbiamo avuto ieri davanti a quel coglione ammuffito e davanti alla mia collega di lavoro, voglio dirti che mi dispiace che tu ti sia fatta tutti questi film mentali su cose che non sono mai successe davvero», inizia a raccogliere le cose che ho lasciato per terra e le rimette al loro posto. Dio, Cole sa essere un maniaco dell'ordine anche in momenti simili.
«Ti prego, risparmiami queste stronzate», alzo il palmo della mano per zittirlo.
«Non sono stronzate! Se mi avessi dato la possibilità di spiegare, anziché buttarmi fuori come se fossi spazzatura, a quest'ora non ci sarebbero stati problemi tra di noi», pronuncia risoluto e mi guarda con quell'aria carismatica che lo contraddistingue. Cole ha sempre saputo come raggirare le cose a suo favore. È un maestro in questo. Ma... se stesse dicendo la verità? Se la colpa fosse mia, perché sono saltata a conclusioni affrettate?
Dio, sono un tale disastro!
Deglutisco e scendo dal letto. Infilo i piedi nelle mie ciabatte mezze consumate e mi dirigo in cucina. Lui mi segue come un'ombra.
«Cosa vuoi che ti dica?», prendo il latte dal frigo e lo riscaldo al microonde, poi mi preparo il caffè.
«Niente, voglio solo che tu sappia che ciò che hai visto non è reale. In quella foto io non la stavo baciando, cazzo! Le è morta la madre da poco, mi ero sporto verso di lei per abbracciarla. La foto è stata scattata da un'angolazione sbagliata, è ovvio!», cerca di spiegarmi, guardandomi attentamente negli occhi. In effetti, potrebbe avere ragione. Non ho nessuna prova concreta e quella ragazza non sembrava arrabbiata o imbarazzata. Anzi, mi è apparsa piuttosto a suo agio in sua compagnia.
Prendo la tazza di latte e ci verso dentro del caffè, poi mi siedo sullo sgabello e cerco di impedire alla mia mente di perdersi in paranoie inutili.
«Io...», non so esattamente cosa il mio cervello stia cercando di dirmi, ma gli occhi si riempiono di lacrime e improvvisamente mi sento più stupida del solito.
«Mi ami ancora, lo so», mi accarezza dolcemente il viso. «Ti amo anche io, Kendra. Te lo giuro», si piega verso di me per baciarmi, ma giro la testa e le sue labbra sfiorano la mia guancia.
«Cole, io...», sospiro, distogliendo lo sguardo.
«Ti manco da morire, non è così? Avanti, siamo una squadra meravigliosa. Non lasciare che tutto ciò vada a rotoli. Guardami, Kendra», con una mano stringe delicatamente il mento tra le dita e con l'altra tocca la punta del mio naso.
Non riesco a cedere davanti al suo sorriso convincente.
«Ti dispiacerebbe ridarmi la copia delle chiavi di casa mia?», chiedo, cogliendolo totalmente di sorpresa.
«Perché? Kendra, abbiamo dormito insieme un sacco di volte», mi ricorda con un'espressione indignata. «Però se ciò potrebbe farti sentire meglio...», mi lancia un'occhiata da cucciolo bastonato e raccolgo tutte le forze che mi sono rimaste nel corpo per ignorarlo.
Continuo a bere in silenzio il mio latte, lui inizia a trafficare dietro di me.
«Il tuo frigo è vuoto», mi fa notare. «Hai bisogno di soldi?», prende il portafoglio dalla tasca e mi acciglio.
«No. Non ho avuto tempo per fare la spesa, tutto qua», mi giustifico.
«Se hai bisogno di aiuto, sai che me lo puoi dire...», mi accarezza nuovamente i capelli. Il suo tono di voce accompagnato da questo suo gesto pieno di compassione mi rende ancora più nervosa.
«Che ne dici di andare ora? Ne riparleremo dopo», cerco di liquidarlo. Scendo dallo sgabello e vado a riprendere il cellulare che ho lasciato sul pavimento ieri notte.
«Va bene, piccola! Non farmi aspettare troppo», mi raggiunge nuovamente e questa volta preme le labbra contro le mie. «Ti amo», sussurra.
Lo guardo sbalordita, non sapendo come reagire. In fondo, non so nemmeno se il suo sia stato un vero tradimento.
Mi siedo sul bordo del letto con le mani tra i capelli e sospiro. Come faccio a dirgli che quel coglione ammuffito l'ho rivisto ed è stato proprio lui a mettermi a letto ieri sera? Dio, dopo la figuraccia fatta al lavoro, il mio più grande desiderio era quello di non rivederlo più. Quell'incontro sarebbe dovuto essere un ricordo bizzarro da raccontare alla mia migliore amica e basta.
Eppure sono incappata per la seconda volta in quel paio d'occhi verdi. I più belli che io abbia mai visto.
L'ho guardato per brevi istanti, perché la durezza che scolpiva i tratti del suo volto mi faceva rabbrividire, ma in quelle iridi ho visto larghe distese d'erba costellate da sprazzi di rugiada scintillante alle prime ore del mattino; il miscuglio di freschezza e tranquillità che si avverte quando il mondo è ancora assopito.
Perché diavolo mi sono soffermata così tanto sullo sguardo di uno sconosciuto? I suoi occhi non hanno nulla di particolare, a parte il colore. Non ho percepito il calore e la tranquillità che trasmettono, invece, quelli di Cole.
Gemo e mi schiaffeggio la fronte mentalmente. Se solo potessi, mi annienterei da sola. Tutto pur di non servire di nuovo panini. Riesco a malapena a reggermi in piedi.
Ogni singolo giorno non faccio altro che immaginarmi seduta dietro ad una scrivania, con il mio bel computer davanti e con del caffelatte in uno di quei bicchieri enormi che si vedono spesso nei film, tra le mani.
Purtroppo, però, il mio vero lavoro chiama e i miei stupidi sogni rimangono chiusi nel cassetto.
«Kendra, non dormire», Christian, il mio collega, mi assesta una gomitata nel costato.
«Sono sveglia», borbotto, sbadigliando per la millesima volta. No signore, non ho studiato per farmi riprendere dai miei colleghi perché non riesco a servire in tempo i clienti.
«Vai e porta questo», ordina, mettendomi tra le mani un vassoio.
Mentre cammino, con la coda dell'occhio noto nientemeno che la ragazza perfida che, il mese scorso, mi ha rubato il posto di lavoro. Quello sarebbe dovuto essere mio. Me la ricorderei ovunque quella faccia angelica dalle sfumature diaboliche.
È indecisa, non sa se entrare o meno. Lancia un'occhiata allo schermo del cellulare, poi sbuffa e decide di addentrarsi. L'umiliazione ha appena raggiunto l'apice.
Guardo la mia divisa e poi osservo i suoi eleganti pantaloni turchesi a vita alta, la maglietta bianca a barca e i suoi lunghi capelli biondi, che si appresta a spostare con un movimento del capo, sulla spalla.
Tiffany. Racchiude in quel nome tutta la sua bellezza, esattamente come un gioiello.
Forse, se lavorassi anche io un posto più serio, sfoggerei degli outfit da mozzare il respiro. O forse no...
Il mio armadio è zeppo di vestiti che risalgono almeno a quattro anni fa, quando ancora dividevo un minuscolo appartamento con altre quattro ragazze nella zona periferica di Londra. Tempi duri, parecchi sacrifici. E sono serviti proprio a niente!
Ho ancora dei calzini scoloriti che non ho ancora buttato, perché non ho nemmeno abbastanza soldi da potermi permettere di rifarmi il guardaroba. Eileen mi ha soprannominata la regina del risparmio.
Ho anche dei vestiti eleganti che spero di poter indossare un giorno, e non per andare a ballare. Sfoggerei quel tipo di outfit per le occasioni speciali, per esempio un colloquio di lavoro.
Sollevo il vassoio all'altezza del viso con la speranza di poter passare inosservata, ma quando Tiffany si ferma davanti a me, piega la testa e mi osserva meglio. «Ma sei Cristina? Katerina?», chiede fingendosi sorpresa.
«Kendra», la correggo. «Che meraviglioso piacere incontrarti in questo posto!», esclamo con una risata nervosa.
Tiffany mi asseconda, portandosi una mano davanti alla bocca. «Come darti torto. È davvero un incontro inaspettato».
Mi sta palesemente prendendo in giro.
«Portami un'insalata», ordina indicando un tavolo vicino alla finestra. «Sei una dipendente, giusto? Non hai più trovato il lavoro dei tuoi sogni, da allora?»
«In realtà...», eccola, la bugia. L'ennesima sulla lista, aggiungerei. «Questo posto è di mio zio, gli sto dando una mano». È così ovvio che sto mentendo, non capisco come faccia a guardarmi e a conservare quell'espressione sorpresa.
Le sue labbra si distendono in un sorriso. «E quindi fa di te una dipendente. Io aspetterò lì», indica nuovamente il tavolo.
«Non funziona esattamente così». Deduco sia la prima volta che mette piede in un posto simile.
«Il mio collega ti spiegherà», le dico sfinita e faccio cenno a Christian di raggiungerla.
Nel frattempo rimango immobile a fissare la marea di gente che esce ed entra continuamente. Poco dopo il mio collega mi affianca. «Sei giù di morale», mi fa presente.
«Vorrei scappare in bagno a vomitare le mie delusioni oppure sputare nell'insalata di Tiffany, ma non posso fare nessuna delle due cose», mi stringo tristemente nelle spalle.
Christian appare visibilmente preoccupato.
«Sicura di stare bene?», inclina il capo e mi guarda negli occhi.
«Alla grande», mormoro. Perché non dovrei stare bene? Sono in salute, ho un tetto sopra la testa, dei vestiti puliti ogni giorno.
Sono soltanto piena d'ansia, rischio di finire in strada ogni mese. Ci sono volte in cui non riesco a fare la spesa come vorrei e ceno con un misero budino.
«Puoi andare in bagno a vomitare le tue delusioni. Ti copro io», afferma Christian dandomi una carezza sul braccio. Faccio pena perfino a lui.
Mi chiudo in uno dei bagni e mi siedo sulla tavoletta. Prendo il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans e leggo il messaggio che mi ha mandato Eileen.
"Ho una mega sorpresona. Stasera si esce, di nuovo. Rimarrai senza parole, vedrai;)”.
Ruoto gli occhi al cielo e sospiro, chiedendomi cosa abbia fatto di male. Forse io e lei dovremmo mettere in chiaro delle cose e stabilire dei limiti.
La sera, quando torno a casa, trovo Eileen davanti al cancello, ad aspettarmi con una borsa enorme sulla spalla e un sorriso felice sul volto. «Indovina chi ha trovato un nuovo lavoro, degno di essere chiamato tale?», grida, facendo i salti di gioia.
E il mondo mi crolla addosso per un secondo. Sono davvero felice per lei, ma mi sento come se tutti intorno a me stessero realizzando i loro sogni e io fossi ancora ferma in un punto.
«Davvero? Caspita! E dove?», le chiedo. Mi segue su per le scale e appena arriviamo davanti mio appartamento, apro la porta e corre in salotto, battendo le mani come una bambina.
«Agenzia pubblicitaria Cooper & Hilton», esclama con uno scintillio negli occhi.
«Wow.... ma loro sono molto rinomati», aggrotto le sopracciglia.
«Infatti spero di essere alla loro altezza».
Le sorrido e mi avvicino, stringendole una spalla: «Tu sei nata per questo, sei bravissima. Vedrai che te la caverai alla grande», la incoraggio. Il suo sogno è quello di lavorare come analista. Certe volte mi chiedo come faccia a dubitare delle sue capacità.
«Oh, e guarda qui», sventola davanti ai miei occhi un pezzo di carta rettangolare.
«Sembra un invito», osservo la scritta elegante color argento.
«Già! A quanto pare hanno raggiunto un altro traguardo e vogliono festeggiare. Mi hanno invitata nonostante non abbia ancora iniziato a lavorare per loro, ci credi? Dicono che potrebbe servirmi anche per ambientarmi un po' e conoscere gli altri membri del team», i suoi occhi sono pieni d'entusiasmo e di fronte al suo stato d'animo euforico non posso fare a meno di sorridere e abbracciarla. Sono davvero felice che almeno a lei le cose vadano meglio.
«E ovviamente sarai la mia accompagnatrice. Posso portare qualcuno, quindi se non ti dispiace...», mi fa gli occhi dolci. Non sono ancora riuscita smaltire la sbornia dell'altra sera, ma non riesco a dirle di no. «Va bene, ma staremo poco e io non berrò. E magari cerca di non sparire di nuovo insieme a qualche bellimbusto, grazie. O almeno, avvisami prima», le lancio un'occhiata torva.
«Promesso!», mi stringe a sé e sospiro, pensando al mio letto, che nemmeno questa notte vedrò troppo presto.
Io ed Eileen ci siamo messe in ghingheri, e come sempre mi sento esageratamente esposta e anche un po' ridicola. Indosso uno dei suoi infiniti vestiti attillati, perché a detta sua, stasera merito di brillare più del solito. Magari qualcuno, in mezzo a questa platea di persone ricche, sarà così carino da farmi un'offerta di lavoro. Magari un lavoro per il quale ho studiato.
Eileen spera, invece, che qualche riccone si innamori di me all'improvviso e mi faccia vivere come una principessa per il resto dei miei giorni.
Ma io non sono un'arrampicatrice sociale e le sue idee a volte non le condivido affatto.
In questo momento preferirei di gran lunga stare sul divano a guardare un film strappalacrime e ingozzarmi di gelato.
Osservo il lungo vialetto in ghiaia in stile provenzale, e appena scorgo la fila di macchine costose mi assale la tentazione di fare marcia indietro. La mia auto, a differenza delle altre qui presenti, sembra un rottame.
«Sei sicura che sia il posto giusto?», le chiedo, sperando dica di no.
«Sì, sono ricchi. Ricordi?», risponde.
Certo, ricchi. Probabilmente finiranno per scambiarmi per quella che serve da bere.
Io ed Eileen avanziamo a braccetto, sorridendo a disagio ad alcuni dei presenti. Perfino lei, che di solito è abituata a puntare su uomini di alto rango, si sente un po' fuori luogo. Brutto segno.
«Signorina Park, ci ha onorato davvero con la sua presenza», un ragazzo dai capelli ricci e corti ci accoglie, ignorando del tutto me.
«Salve, Randall», allunga la mano. «Lui è il nipote del mio capo. Lavora nel settore marketing», sussurra verso di me.
«E lei chi è?», chiede lui, facendo un cenno del mento verso di me.
«Sono Kendra, la sua migliore amica. Piacere di conoscerti», gli stringo la mano e lui ricambia, facendolo sembrare quasi un gesto caloroso. Al diavolo la formalità, vorrei attirarlo in un abbraccio veloce e dargli una pacca sulla schiena, ringraziandolo per aver accettato Eileen nella loro azienda.
«Prego, entrate!»
Mi faccio spazio tra le persone, e nonostante abbia promesso a me stessa che non avrei per niente al mondo trangugiato nemmeno un misero goccio di alcool, afferro un calice di vino paglierino, probabilmente più costoso dell'affitto che pago mensilmente, e lo mando giù.
Randall ha ben pensato di portare via la mia amica, presentandola probabilmente ai suoi futuri colleghi di lavoro.
Ma non mi dire, pensavi davvero che sarebbe rimasta al tuo fianco?
Gironzolo da una parte all'altra, senza alcun intento di socializzare, anche perché, ora come ora, non ne sarei in grado.
Afferro un altro bicchiere dal vassoio d'argento e poi mi dirigo verso il buffet. Mentre osservo tutte quelle prelibatezze, qualcuno attira la mia attenzione.
«Fammi indovinare, la tua passione segreta è quella di intrufolarti alle feste per bere e mangiare gratis. Dico bene?», chiede una voce roca alle mie spalle e per poco il bicchiere non mi scivola dalle dita.
È davvero lui.
Mi giro e rimango fulminata dalla sua bellezza. Stasera indossa un completo blu navy che, oltre a fasciare perfettamente le sue spalle larghe e le gambe toniche, mette in risalto ancora di più la sua carnagione ambrata e gli occhi verdi. Il ciuffo castano scende ribelle sulla fronte; i suoi capelli questa volta appaiono più disordinati.
«Oh, che coincidenza!», cinguetto. «Ho accompagnato la mia amica», spiego.
«La stessa che l'altra sera ti ha abbandonata? Sicura di averne una?», solleva un sopracciglio e poi mi affianca per prendere da mangiare.
«Lei esiste», batto le palpebre ripetutamente.
«Ah, davvero? Sarebbe preoccupante se non esistesse, non pensi? Ricordami il tuo nome.»
«Kendra», rispondo monocorde.
Mi guarda con la coda dell'occhio e mi rifila un mezzo sorriso divertito. «È interessante», afferma. Mi acciglio, lui aggiunge: «Passi dal servire clienti al McDonald's a bere in un club rinomato, e adesso ti incontro ad una festa dove, sono sicuro, non c'entri proprio nulla», la sua aria critica mi fa provare un leggero disagio. Gli è bastato farmi la radiografia con gli occhi per capire che sono una poveraccia. E non posso nemmeno replicare, perché so che ha ragione.
«Spero tu ti diverta», prende due bicchieri di champagne e mi sorride compiaciuto. Gentile modo di dirmi "Non è il tuo posto, dovresti andare via".
Sorrido e annuisco. Fisso la sua schiena in mezzo alle persone, maledicendomi mentalmente.
E, ciliegina sulla torta, in mezzo ai presenti intravedo Cole mentre parla animatamente con un ragazzo. Guarda verso di me per un secondo poi osssrva il suo interlocutore, ma subito dopo riporta lo sguardo su di me, come se si stesse accertando che ciò che ha appena visto è reale.
Non sembra arrabbiato. È sorpreso e confuso. Lascia in sospeso l'argomento e si incammina verso di me, aprendo le braccia.
«Kendra, perché sei qui?», mi abbraccia, facendo premere la mano sulla mia schiena con fare possessivo.
«Ho accompagnato Eileen», non è del tutto una bugia.
La sua mano scorre lungo il mio braccio e mi lascia un bacio dietro l'orecchio. «Sono felice di vederti qui, ma ti dispiace se ti lascio da sola per un po'? C'è anche il mio capo e dovrei fare bella figura davanti a lui, magari mi darà un aumento entro la fine dell'anno. Non posso pensare a te adesso.»
Probabilmente il suo capo non sa nemmeno che io esista, ma in questo momento desidero stare da sola, quindi mi farebbe soltanto un favore.
«No! Figurati, ho già della compagnia», ridacchio, mentre con la coda dell'occhio cerco la figura di Eileen.
«Bene, perfetto», mi accarezza il viso e fa scendere la mano verso il mio fondoschiena, sorridendomi maliziosamente. «Magari più tardi...», allude probabilmente ad una sveltina da qualche parte in questa villa, ma mi limito a sorridere imbarazzata. Ho davvero bisogno di stare da sola.
«A dopo, Cole», prendo le distanze e gli do le spalle, facendo un respiro profondo. Se lui è qui, significa che anche la sua collega è in mezzo a queste persone.
E Cole non deve assolutamente vedere Kenneth. Maledizione!
Mi aggiro per la sala, confusa e a disagio. Kenneth è ai piedi della scalinata, sta conversando con un altro uomo. Finisco di bere il mio vino, poi mi avvicino lentamente, piazzandomi dietro di lui come una ladra. Picchietto le dita sulla sua spalla e sorrido all'altro uomo, incitandolo ad andare via.
«Posso esserti utile?», chiede, inarcando un sopracciglio.
«Devi...», boccheggio, sbattendo le palpebre come una pazza. «Devi sparire», butto fuori d'un tratto.
Lui si acciglia. «Come, scusa?»
«Ecco...», come faccio a dirglielo senza sembrare pazza? «Il mio ragazzo è qui... E ti ricordi quello che è successo l'ultima volta, giusto?», chiedo abbozzando un sorriso forzato.
Kenneth appoggia il gomito sulla ringhiera e mi fissa. Sembra alquanto confuso e anche infastidito.
«Non ti sto seguendo», dichiara. «E non intendo nemmeno farlo. Buona serata», fa per lasciarmi qui da sola, ma gli blocco di nuovo il passaggio, aprendo anche le braccia questa volta.
«Sul serio?», si avvicina pericolosamente a me e io indietreggio.
«N-no, non avvicinarti così tanto. Potrebbe vederci», pronuncio, guardandomi intorno con il panico che mi scorre nelle vene.
«Che peccato...», fa un altro passo verso di me fino a rubarmi il respiro. Abbassa lo sguardo sulla mia scollatura e alza una mano come se fosse intenzionato ad appoggiarla sul mio fianco.
Con una mossa goffa cerco di sottrarmi al suo tocco, ma vado a toccare lo scalino con il retro del piede, perdendo l'equilibrio. Muovo le braccia in aria come una foca disperata e una sua mano si posa velocemente sulla mia vita, impedendomi di cadere, mentre l'altra è ferma sulla mia nuca. La schiena per poco non sfiora gli scalini, Kenneth è prono su di me.
Lo guardo negli occhi terrorizzata, lui lascia la mia testa e con la mano libera afferra l'orlo del vestito e lo tira in giù.
«Oh, mio signore! Si è fatta male?», chiede una donna, affiancando Kenneth.
«No, l'ho afferrata giusto in tempo», dichiara lui con un sorrisetto soddisfatto.
Mi aiuta ad alzarmi e io sistemo meglio il vestito. In questo momento ho la vergogna incisa sul viso. Non riesco nemmeno a guardare in faccia l'uomo davanti a me.
«Cara, stai bene?», la signora si rivolge a me con una premura inaspettata.
«Sì, per fortuna, sì», le mie guance vanno a fuoco. «Scusatemi», mi dileguo sfoggiando nel frattempo un sorriso imbarazzato e salgo le scale aggrappandomi alla ringhiera. Non voglio di certo capitombolare come un sacco di patate e fare un'altra figuraccia davanti a tutti.
Mi fermo nel lungo corridoio e intravedo uno dei camerieri che trasporta agilmente con una mano sola un vassoio d'argento. Afferro un altro bicchiere e mi appoggio al muro, con lo sguardo fisso sul quadro davanti.
Mi sento al sicuro per adesso. Non ho alcun piano e non intendo tornare dagli altri.
A fine serata probabilmente troverò un modo per darmela a gambe levate senza dare troppo nell'occhio. In fondo, nessuno noterebbe l'assenza di una persona come me.
Questa situazione è umiliante. Eileen è lì da qualche parte a godersi la serata, io sto scappando da un uomo che fino all'altro giorno ha fatto capire a Cole che prima o poi si infilerà nel mio letto e io in questo momento mi sento tra l'incudine e il martello.
Batto la testa contro il muro e soffoco un gemito.
«Odio l'amore», borbotto tra me e me. Se l'amore fosse stato bello, io non mi sarei di certo ritrovata con due ragazzi: uno è un presunto traditore e l'altro l'ho preso in prestito contro la sua volontà. Davvero meraviglioso!
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