Capitolo sette

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Extravagant.

I miei occhi stanchi e al contempo curiosi ondeggiano tra la scritta del locale e il connubio esplosivo di colori ridenti che lo raffigurano. È con questo nome che ci accoglie il locale dove mi ha trascinata Eileen per il tè pomeridiano.

La facciata è color celeste pastello con delle crepe bianche che si diramano sul muro intorno allo stipite della porta. L'ingresso è inorpellato da una cascata di fiori artificiali, un groviglio di colori autunnali: fulvo, cremisi, arancio, mattone.

L'aspetto mi strappa un sorriso, anche se la scritta messa a confronto con i colori mi fa storcere il naso. Perché stravagante?

Con un gesto pigro sposto una ciocca di capelli dietro l'orecchio e dico: «Perché questo nome? I colori esterni lo fanno sembrare come se fosse un luogo dove Barbie e le sue amiche verrebbero a prendere il tè», fisso ancora il nome, leggermente disorientata.

«In ogni caso, fammi una foto! Voglio postarla su Instagram», passo l'iPhone ad Eileen e mi metto in posa davanti all'entrata.

«Fatta», esclama, ridandomi il cellulare. Guardo la foto e sorrido.
Alla mia sinistra, vicino alla finestra, vi sono due biciclette arancioni con due grandi cesti di fiori, tra i quali spiccano graziosamente alcuni girasoli. Osservando meglio il suo aspetto armonioso, non sembra davvero così brutto come posto. Almeno si riescono a fare delle foto incredibili da postare sui social.

«Capirai il perché del nome! Entriamo», dice la mia migliore amica con un sorriso scaltro.

Appena ci addentriamo rimango letteralmente attonita dalla bellezza di questo posto.

L'interno sembra uno scenario autunnale dai profumi e sfumature primaverili.

Quadri incorniciati da foglie arancioni, altri ancora da spirali di fiori rosa e azzurri. Le luci soffuse delle applique attribuiscono una sfumatura aranciata ai tavoli in legno, e le sedie sono in velluto celeste. Il profumo di cannella che aleggia nell'aria, di caffè e dolci, di fiori freschi e di primavera, mi fanno sentire come se la me piccola si ritrovasse all'improvviso in cucina da mia zia. La dolcezza che inspiro qui dentro mi ricorda lei ai fornelli durante le festività natalizie.

«Wow», mormoro, scandagliando con lo sguardo ogni singolo angolo di questo posto.

Io detesto qualsiasi infuso alle erbe. E nonostante la formidabile estetica di questo locale, non posso fare a meno di storcere il naso non appena vedo le due ragazze sedute accanto a noi, che bevono graziosamente il tè in delle tazzine celesti dalle rifiniture dorate e motivi floreali rosa.

«Mi devi raccontare com'è andata oggi», mi esorta a parlare, Eileen.

Vorrei poter rispondere, ma i miei occhi sono troppo concentrati sul menù.
«Perché... Perché questi biscotti si chiamano Bevilo mangiando! ?», chiedo, battendo piano le palpebre.

«Ordina e vedrai!», mi fa l'occhiolino.

Cinque minuti dopo il cameriere mi porge davanti un piattino con un caffè doppio e dei biscotti a forma di bottiglia di whisky.

«Sul serio?», chiedo allibita.

«Si chiama Extravagant per un motivo!»

«Ma questo è bizzarro. La regina Elisabetta collasserebbe davanti a questo orrore!», le punto l'indice contro.

«Inizia piuttosto a raccontarmi del colloquio! È andata bene?», chiede mordendosi il labbro nervosamente.

«Sì, ma sai, in realtà penso mi abbia assunta per compassione. Il colloquio è qualcosa che in realtà vorrei dimenticare. Mi sono lasciata sopraffare dall'ansia ed è stato raccapricciante. E non ci crederai mai, ma il capo è quel tizio con cui mi hai visto alla festa. La mia vita è ridicola», incrocio le braccia al petto come una bambina indispettita.

Eileen per poco non sputa il tè.

«Oddio, significa che finirai per scoparti il capo come accade nei film e nei libri?», esclama concitata e gli occhi importuni di alcuni presenti vengono puntati su di noi.

«Ma che diavolo ti passa per la testa?», sibilo, stringendo i denti. «Quello lì è più rigido di un sasso! Inoltre, pensa che non sia brava a lavorare come editor, quindi mi ha inserito nel comitato di lettura», la mia voce assume una tonalità sempre più bassa.

«Accidenti... Be', guarda il lato positivo, potrai leggere un sacco di libri ed essere pagata per farlo», mi fa l'occhiolino.

«La paga è decente, ma non ci sarà chissà quale variazione a livello economico nel mio portafoglio. Non ho concluso niente», sbuffo e mordo il biscotto a forma di bottiglia, sentendo un retrogusto di... Cos'è questo? Whisky? Diamine, è buono!

«Magari ti rivaluterà. E se fosse solo un periodo di prova?»

Potrebbe avere ragione, ma Kenneth è stato abbastanza serio su quel punto. Non sono adatta a fare l'editor. Il destino mi sta facendo un bruttissimo scherzo. Vorrei tornare indietro soltanto per evitare di incontrarlo e conoscerlo soltanto come il mio futuro capo.

Eileen mi tira un calcio da sotto il tavolo. «Non farti le paranoie. So che pensi di essere una fallita», mi rimprovera.

«No, in realtà per una volta non lo stavo pensando. Ho firmato il contratto subito dopo aver pranzato, gliel'ho mandato tramite email. Ciò fa di me una disperata?», le chiedo con una punta di disagio.

«Kendra, smettila subito! Ascolta la tua migliore amica, andrà tutto bene. Riesco a sentirlo», conclude con una strizzata d'occhio e sorrido forzatamente.

Finisco di bere il caffè e sento lo squillo del cellulare. Mi affretto a tirarlo fuori dalla borsa, ma appena leggo il nome di mia madre il panico arriva veloce come fulmine a divellere brutalmente il sorriso dalle mie labbra. Guardo recalcitrante lo schermo, indecisa sulla prossima mossa da compiere.

«È mia madre», dico ad Eileen dopodiché rispondo alla sua chiamata.

«Mamma!», esclamo con voce esageratamente squillante.

«Kendra Josephine Collins», quando questa donna pronuncia il mio nome completo significa soltanto una cosa: guai in vista.

«Cosa ho fatto questa volta?», domando già con aria rassegnata.

«L'ho scoperto... Sono così delusa, Kendra. Così delusa!», inizia a dire con il suo solito tono drammatico.

«Ah, davvero? E cosa hai scoperto di preciso?», l'ansia sta calciando con tutte le sue forze dentro il mio petto.

«Tu e Cole... Cielo, ma cosa ho fatto di male per meritare una figlia come te? Pensavo andasse alla grande tra voi due, e adesso scopro che stai uscendo con più uomini per farlo ingelosire e fargli un torto?», grida e io allontano leggermente il cellulare dall'orecchio. Guardo Eileen come se avessi appena visto un fantasma. Non può essere seria... Non mi ha chiamata per dirmi davvero questo.

«Non è così, mamma. Non è al centro del mio universo», mi rilasso contro lo schienale della sedia. Dall'altra parte una risata divertita mi graffia dolorosamente le orecchie. Perché sta ridendo?

«Martha mi ha raccontato tutto. Pensa un po', Cole l'ha chiamata piangendo qualche sera fa e si è sfogato con lei. Hai idea di quanto ti ami quel povero ragazzo? Lo stai punendo per un tuo capriccio, santo cielo! Non ti ha nemmeno tradita», dice con disprezzo. Adesso sono tentata di ordinare direttamente una bottiglia di Jack Daniel's e trangugiarla insieme ad Eileen, nel disperato tentativo di cancellare dalla mia mente ogni singola frase pronunciata da mia madre, su quanto io sia una delusione per lei.

«Sì, che buffo», maschero il rincrescimento con una risata nervosa. «Mi dispiace mamma...», stringo gli occhi, impedendo alle lacrime di scendere.

«Ti dispiace? No, Kendra, tu non hai mai provato rimorso. Hai desiderato con tutto il cuore fare le valigie e andare via, lasciandomi da sola. E hai mandato quel piccolo stronzetto da tua zia, ma io sono la madre, hai capito? Puoi pure dire a tua zia di rimandarlo a casa», abbaia contro di me e appoggio il gomito sul tavolo, sorreggendomi la testa con una mano.

«Mamma, sai che non è così... Elliott aveva bisogno di un po' di tranquillità. Puoi andare a trovarlo, dopotutto non ha lasciato la città», cerco di spiegarle con calma. Eileen mi guarda con la fronte corrugata.

«Tutte menzogne! So che gli stai riempiendo la testa con quelle tue idee stupide! Convincerai anche lui a lasciarmi da sola?», sbraita.

«Mamma, devo andare», tento di sfuggire al suo sermone, ma lei continua a parlare.

«Certo, scappa! Vigliacca», pronuncia a bassa voce.

«Ti richiamerò», tentenno, Eileen inizia a muovere le braccia davanti a me. «E ti prometto che parlerò con Cole.»

La mia migliore amica si tira uno schiaffo sulla fronte.

«Faresti bene a darti una mossa! Quel ragazzo attende una tua chiamata, Kendra. Non farti desiderare troppo, finirà per lasciarti e io non voglio.»

Una lacrima mi bagna il volto e mi mordo la lingua per non urlare.

«Non prende più, mamma! Non ti sento. Ci sei?», metto in atto questa stupida scenetta, dopodiché chiudo la chiamata e poso con forza il cellulare sul tavolino.

«Ha fatto una delle sue scenate?», chiede Eileen e annuisco. «Gradisce altri biscotti?», chiede all'improvviso il cameriere e sorrido cordiale. «Sì, grazie. Ne ho proprio bisogno!»

«Tua madre ti sta col fiato sul collo in modo eccessivo. Un giorno impazzirai sul serio.»

Come se io non lo sapessi già! Quella donna è un incubo. Le voglio bene, però mi sta facendo desiderare di trasferirmi in America. E io odio l'America.

Sento il cellulare squillare di nuovo e lo afferro bruscamente, premendo sul tasto verde e pronunciando aggressivamente: «Sì, madre, desideri qualche altra cosa? Magari l'invito al mio matrimonio?»

Dall'altra parte qualcuno si schiarisce la gola, poi la sua voce roca e perentoria per poco non mi fa cadere dalla sedia: «Ho chiamato in un brutto momento?»

Eileen si sporge sopra il tavolo e cerca di origliare la nostra conversazione. Oddio, perché lui? È una persecuzione!

«Signor Kenneth? Come fa ad avere il mio numero?», chiedo ormai senza fiato, Eileen balza all'indietro e spalanca la bocca.

«Ammetto che tutto ciò è divertente. Mi chiami Signor Kenneth, ma sono certo che vorresti farmi fuori in questo momento. E comunque, ci tengo  ricordarti che sei stata tu ad aver inserito il tuo recapito telefonico nell'email di risposta», afferma con tono professionale. Vorrei battere la testa contro il tavolo.

«Oh, ma certo! C'è qualche problema con il contratto? Ho firmato», gli ricordo, sperando che la conversazione finisca in fretta.

«Inizierai domani. Vorrei discutere con te, prima. Sei in giro? Posso raggiungerti?»

«Perché?», sembra che l'abbia chiesto con tono d'accusa. «Voglio dire, come mai?».

Lui risponde sempre con cortesia. «Se preferisci,  ne parleremo meglio domani mattina. È una cosa importante.»

Non sarebbe scortese da parte mia rifiutare il capo già da adesso? Forse sembrerei maleducata.

«No, adesso va bene», dico risoluta, ma Eileen mi fa cenno di non farlo.

Mi stringo nelle spalle. Cos'altro potrei dirgli?
Do l'indirizzo a Kenneth e appena chiudo la chiamata, Eileen per poco non mi prende a schiaffi. «Ma sei matta? Perché gli hai dato questo indirizzo?»

«Oh...», mormoro, dopodiché faccio cenno al cameriere di raggiungermi. «Mi può portare una tazza di tè? Qualsiasi tipo, non importa. Grazie.»

«Tu odi il tè», mi ricorda Eileen.

«Bisogna fare dei sacrifici», affermo, poi mangio alcuni dei biscotti dal piattino, sperando di finirli prima che lui arrivi qui.

Un paio di minuti dopo sento il campanellino della porta che viene aperta e mi giro di scatto, rischiando quasi di strozzarmi con il biscotto. La sua semplice entrata in questo locale mi congela sul posto.

La donna che prepara il caffè smette subito di trafficare con le tazzine e si ferma ad osservare Kenneth. Perfino le ragazze vicino al nostro tavolo sembrano ammaliate dalla sua bellezza.

Mi gratto il collo a disagio e guardo Eileen.

«Kendra, sei rossa», mi fa presente lei con aria preoccupata. «Cavolo, quello sì che è irraggiungibile», lo guarda con aria trasognante.

«Non fissarlo», la ammonisco.

Appena sento i suoi passi farsi sempre più vicini, un profumo maschile inebriante mi impregna le narici, quasi fino a stordirmi. Dio, perfino il suo profumo sembra sia stato creato appositamente per lui.

«Kendra», pronuncia il mio nome come se fosse un rimprovero. Leggermente intimorita, sollevo lentamente lo sguardo e i suoi occhi vengono puntati nei miei, come se fosse alla perenne ricerca di avere un contatto visivo con me ogni volta che stiamo per intavolare un dialogo.
Quei due frammenti di vivianite sfregiati da ombre corvine, che si mescolano a quel verde maliardo, mi ipnotizzano, risvegliano qualcosa dentro il mio petto; qualcosa di inspiegabile e dall'intensità deleteria. Il ciuffo titilla fastidiosamente la sua fronte, ma con una mossa lesta sposta i capelli all'indietro e continua a tenere il mio sguardo incatenato al suo.

Boccheggio come un pesce, dopodiché finalmente rinsavisco e riesco a dire: «Salve! Prego, si sieda», gli mostro con un cenno della mano la terza sedia vuota al nostro tavolo. Eileen si guarda intorno spaesata.

«Io vado ad ordinare qualcosa, discutete pure», dice lei, alzandosi in fretta e furia, come se nemmeno lei riuscisse a sostenere il suo sguardo a lungo.

Kenneth prende posto e osserva scettico la tazzina di tè. «L'ha ordinato per me?», domanda.

Non mentire. Non mentire. Non mentire!

«No, non proprio...», ammetto, evitando di guardarlo ancora in faccia. Volevo soltanto che vedesse il motivo per cui mi sono recata qui.

«Oh, quindi sei un'amante del tè, vedo», getta un'occhiata veloce intorno. «Posto curioso.»

E io vorrei con tutta me stessa smetterla di fissare il suo profilo come una che non ha tutte le rotelle al posto giusto, ma quei maledetti occhi, che in questo momento è come se avessero rubato la scena a questo locale e avessero incastrato tra le ciglia nere i suoi colori armoniosi, mi costringono imperterriti a non distogliere l'attenzione. È come se racchiudessero il verde della primavera e la freddezza dell'autunno.

Basta, Kendra! Torna in te.

«Già», mi schiarisco la gola e lui rivolge di nuovo tutta l'attenzione su di me. Non mi sono mai sentita così a disagio davanti a qualcuno, ma Kenneth riesce a farmi sentire come se fossi sotto processo. Perché mi sta fissando in questo modo?

«È successo qualcosa? Ho già sbagliato?», chiedo, torturandomi nervosamente le unghie.

«Kendra...», inizia a dire, ma si ferma per appoggiare la borsa ventiquattrore sull'altra sedia.
Forse se non fosse così rigido e severo, la gente non scapperebbe a gambe levate da quel posto.

«La nostra casa editrice è molto importante. Penso tu lo sappia già», solleva un sopracciglio, come se mi stesse mettendo alla prova.

«Sì, lo so, ma cosa c'entra-»

«Pubblichiamo e distribuiamo libri in tutto il mondo. So che mi trovi insopportabile, molte delle persone che si sono presentate al colloquio e che sono state assunte, poi sono scappate dopo una settimana. La mia rigidità ha il suo perché, ma sono abbastanza corretto come persona», mi fa sapere. Non è molto confortante sapere che sono scappati tutti da quel posto.

«Sì, lo so già», ammetto con un sorriso imbarazzato.

«Bene», apre la borsa e tira fuori un mucchio di fogli, dopodiché li appoggia sul tavolo e li spinge verso di me. «Hai sbagliato a firmare. Ti ho riportato il contratto, assicurandomi che questa volta tu lo firmi correttamente davanti a me», con la penna picchietta lo spazio vuoto sul foglio.

Afferro la penna con poco garbo e firmo di nuovo, trattenendo gli insulti che vorrei rivolgere a me stessa. Nella fretta di voler iniziare a lavorare, non ho nemmeno prestato abbastanza attenzione al posto in cui avrei dovuto firmare.

«Tutto bene?», mi chiede all'improvviso, cogliendomi di sorpresa.

Ripenso alla telefonata di mia madre, al fatto che per lei sarò sempre una delusione, alla sua solita insensibilità nel ricordarmi quanto io sia sempre sull'orlo del fallimento.

«Sì, tutto bene», metto su un sorriso, nonostante la tristezza e l'umiliazione siano intente a fare squadra contro di me.

«Non penso davvero che tu non sia brava a svolgere quel tipo di professione. È un lavoro importante dove non puoi fare errori, Kendra. Voglio vederti lavorare, ti darò questa opportunità, altrimenti non ti avrei fatto firmare questo contratto. Hai l'aria di una persona che vorrebbe dare il meglio di se stessa al lavoro, ma questo devo vederlo con i miei occhi. E prima che tu te lo chieda, sì, ti ho assunta perché mi è dispiaciuto vedere una ragazza come te lavorare in quel posto. Eri infelice», rimette i fogli nella borsa e mi guarda con la coda dell'occhio.

Dunque gli ho fatto pena...

«La ringrazio», mormoro con gli occhi puntati sul tavolo.

«Perfetto», si alza dalla sedia. «Un'ultima cosa, Kendra», la sua mano afferra lo schienale e i miei occhi scendono ad osservare la sua presa ferrea. «Risolvi i problemi con il tuo ragazzo. Adesso che lavorerai per me non voglio avere niente a che fare con questa storia.»

«Non si preoccupi, non intendo metterla nei guai.»

Lui afferra la borsa e prima di andare via, dice: «Vedremo.»

Confusa, abbasso il capo e guardo le mie scarpe. Vedremo? Che vuol dire? Non si fida di me?

«Domani mattina alle otto ti voglio puntuale nel mio ufficio. Non un minuto in più, non un minuto in meno. Ci tengo alla puntualità». Mi giro per guardarlo con aria stizzita ma lui è già andato via.

Chi diavolo lo capisce!

Eileen torna di corsa da me e i suoi occhi sono attraversati da uno strano sfolgorio.

«Roba di lavoro, Eileen. Non mi ha proposto di sdraiarmi nuda sulla sua scrivania, tranquilla», mormoro impassibile.

«Deduco sia andata bene, visto il tuo umore vivace», mi prende in giro.

«Io me ne torno a casa. Tu fai come ti pare», mi stringo nelle spalle e prendo la mia borsa, mettendola sulla spalla.

«Non ti lascio in queste condizioni, sembri intenta a voler andare fuori e rigargli la macchina. Torno a casa con te», enuncia e sorrido a malincuore.

Ho perso il lavoro ingiustamente, e adesso rischio di mandare tutto a rotoli per colpa della mia insicurezza.

Metto in dubbio anni di studio e tutte le mie qualità. Gli obiettivi sembrano sempre più difficili da raggiungere.

Forse sono troppo sensibile e con la testa tra le nuvole -come dice il mio capo -, ma sono tenace e caparbia. Ce la posso fare.
Anzi, ce la devo fare.

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