Capitolo quattro
Nascondermi da Cole e da Kenneth in un luogo dove pullula di persone ricche, dovrebbe rientrare tra le attività più impegnative al mondo. Cole probabilmente non vede l'ora di spingermi all'interno di uno sgabuzzino, lontano dagli occhi indiscreti, per palparmi il sedere.
Kenneth invece sicuramente muore dalla voglia di farmi sentire una reietta, dunque seminarli è diventato l'obiettivo principale della serata.
Le mie gambe si muovono da sole da un posto all'altro, giro e sorrido ai presenti, evitando tutti i loro tentativi di volermi inserire all'interno di una loro conversazione. Passo accanto ad uno dei tanti tavoli coperti da una tovaglia color avorio e decorata con dei dettagli floreali e striature eleganti. La luce del lampadario, dall'aria costosa e che scende come una cascata formata da goccioline di cristallo e piccole perle al centro della sala, si riflette sulle stoviglie eburnee, facendole brillare e sottolineandone i rilievi pretenziosi e i contorni dorati.
Vestiti costosi, pietre preziose che sfavillano intorno al collo, che pendono dai lobi delle orecchie, che circondando i loro polsi. Cosa ci faccio esattamente in questo posto? Nonostante il vestito che mi ha prestato la mia migliore amica mi stia bene, so per certo che la sua provenienza non è di certo da un negozio di Versace e ne tantomeno da Gucci.
Sospiro e sposto una ciocca di capelli dietro l'orecchio; abbasso in seguito gli occhi sulle piastrelle dai colori nero e bianco, e stringo forte le labbra con aria pensierosa. Mi sento come se fossi su una scacchiera e fossi pronta ad essere demolita. Dalle mie elucubrazioni mentali si evince che sono tediata e forse anche un po' alticcia. Sapevo che non avrei dovuto afferrare quel primo bicchiere tra le mani. Si sa che un bicchiere, poi, ne attira un altro.
Giuro sulla mia bacchetta di Harry Potter, regalatomi da zia per il mio undicesimo compleanno, che non metterò più alcool in bocca.
In mezzo alla sala intravedo Eileen. Stringe delicatamente tra le dita un calice di vino, mentre appare impegnata in una conversazione chiassosa e amena con un gruppo di persone. Sta ridendo, sembra divertita. Immagino che la notizia del nuovo lavoro abbia esiliato temporaneamente dalla sua mente la sua migliore amica. È comprensibile, giusto?
Nonostante la sensazione gratificante che provo nel saperla così felice, la voglia di sfumare via tra gli altri, fino a sparire, s'insinua nella mia mente con veemenza, ma cerco di scacciarla via.
Sospiro e mi giro, imbattendomi in Cole. La prima cosa che noto è il suo sorriso malizioso.
«Finalmente ti ho trovata», sussurra mentre mi attira in un abbraccio intimo. La sua mano calda scivola lungo la mia schiena e reprimo l'istinto di staccarmi da lui con una mossa brusca.
«Che ne dici di spostarci in un luogo più appartato?», e mentre lo dice inizia a trascinarmi verso le scale. Inizio a divincolarmi senza dare troppo nell'occhio.
«Piantala», dico a denti stretti.
Qualcuno si schiarisce la gola dietro di me e poi una voce profonda mette a tacere entrambi. «Gradirei che tu non toccassi in quel modo la mia donna». Kenneth è davvero venuto in mio soccorso? Colgo così tante sfumature nella sua voce, nel suo modo di parlare e di apparire, che mi viene difficile inquadrarlo per bene.
«La tua cosa?», chiede Cole lasciando la presa e incrociando le braccia al petto. Assottiglia lo sguardo, visibilmente turbato.
«Hai sentito bene. Pensavo di essere stato abbastanza chiaro l'ultima volta», la voce perentoria di Kenneth mi fa schiudere le labbra, gli occhi di Cole scattano su di me. «Ho capito, ce l'hai ancora con me. Ti lascio un po' di spazio, se è ciò che vuoi, ma ti sconsiglio di provare ancora a mettermi in cattiva luce davanti agli altri. Sono stato chiaro, piccola? E smettila di portarti appresso questo coglione», mi afferra il mento tra le dita e serra la mascella. Kenneth fa un altro passo verso di noi, ma Cole alza il mento in segno di provocazione e si allontana.
«Davvero molto gentile da parte tua, grazie», bofonchio con lo sguardo puntato sulle mie scarpe. Se fino a qualche ora fa il mio obiettivo principale era quello di ignorare entrambi e sfuggire ai loro sguardi, adesso gli sono quasi grata di avermi salvata da Cole. Alzo finalmente lo sguardo, ma forse non avrei dovuto farlo.
Le sue labbra si incurvano leggermente all'insù, contornate da una freddezza pungente, e il suo sguardo vaga per un attimo per la sala, come se avesse paura che gli occhi curiosi degli altri si posassero su di lui, poi mi abbassa gentilmente la mano e sussurra: «Era alquanto impossibile non notare la tua espressione esacerbata e la palese difficoltà che provavi nel sostenere il suo sguardo. Perciò, tengo particolarmente che tu recepisca questo semplice messaggio: cerca di non abituarti troppo a tutto questo. Non sono davvero il nuovo tizio con cui ti frequenti e non sarò sempre nei paraggi a salvarti. Spero di essere stato abbastanza esaustivo. Se questo è troppo per te, penso di poter trovare un modo per appianare il discorso e fare in modo che tu riesca ad elaborarlo senza troppa fatica», mi punta l'indice contro il petto, sfiorando la sottile collana che porto al collo.
Le mie labbra si contraggono in una smorfia. Ma quanto è arrogante?
Forse eri sotto effetto di sostanze psicotrope quando hai scelto proprio lui per fare ingelosire Cole, sghignazza una voce malefica nella mia testa.
Lui assottiglia le labbra e mi guarda dall'alto, gli occhi velati da un dubbio. Vorrebbe andare via, lo sento, eppure qualcosa lo trattiene qui, quasi come se avesse paura di vedermi nuovamente con Cole.
Inarca lentamente un sopracciglio e mi fissa a lungo, deglutendo e allentando il nodo della cravatta. «Adesso devo andare. Cerca di non metterti nei guai.»
Mi faccio da parte e lascio che lui vada via. Continua a serbare quell'espressione aspra e severa, ma quando il suo corpo mi scivola accanto, noto l'ombra di un sorriso impadronirsi delle sue labbra piene. Un sorriso breve come un battito di ciglia.
Raddrizzo le spalle per sembrare sicura di me e raggiungo la rampa di scale. Ci sarà qualche stanza libera dove rifugiarmi fino al termine di questa festa, giusto?
Mentre salgo le scale facendo attenzione a non inciampare, qualcuno davanti a me per poco non mi fa capitombolare come un sacco di patate.
«Ma diamine!», grido, ghermendo immediatamente la ringhiera; la persona davanti a me si appresta ad afferrarmi per la vita, tenendomi stretta.
«Scusami, ero distratto», dice un ragazzo e sollevo lo sguardo verso di lui, pronta a vomitargli addosso una serie di insulti, ma la marcata somiglianza tra lui e Kenneth mi lascia a bocca aperta.
«Sei per caso il fratello di un certo Kenneth o qualche suo parente?», domando, ricomponendomi.
Il ragazzo mi rifila un sorriso malandrino e alza un sopracciglio. Sembra di qualche anno più piccolo rispetto a me. Capelli biondo cenere, occhi verdi di una sfumatura più scura rispetto a quelli di Kenneth, un po' più basso.
«Si nota così tanto?», chiede.
«No, ma dai! Cosa te lo fa pensare?», ribatto in tono ironico e mi accingo nuovamente a salire, ma mi blocca il passaggio.
«Io sono Cody Harrison, piacere di conoscerti», allunga la mano verso di me e gliela stringo con poco entusiasmo. «Kendra Collins», mi presento.
L'aria qui dentro inizia a farsi sempre più irrespirabile. Il ragazzo continua a sorridere come se avesse messo gli artigli sulla sua nuova preda, quindi soggiungo: «Sarebbe davvero carino se potessi protrarre la mia permanenza per un altro po' qui e portassi avanti questa conversazione fatta interamente di sguardi penetranti e sorrisi maliziosi, ma, sfortunatamente, devo andare».
«Sei simpatica, Kendra. Scommetto che sei quel tipo di ragazza che dà del filo da torcere agli uomini», commenta con una risata divertita.
Improvvisamente il sorriso si spegne sul mio viso e la serietà si impossessa nuovamente dei miei tratti faciali.
Perché tutto quanto è sempre riconducibile all'essere maschile? Loro non sono mica al centro dell'universo!
E a quanto pare do così tanto filo da torcere agli uomini, che arrivano perfino a farmi sentire insicura e paranoica.
«Se ti fossi trattenuto dal pronunciare l'ultima frase, forse ti avrei trovato simpatico anche io», borbotto irritata.
«Accidenti, non dirmi che questa rabbia è dovuta al rifiuto da parte di mio fratello», inclina il capo per analizzare meglio la mia espressione. Oh, adesso sta dando per scontato che suo fratello mi abbia perfino rifiutata?
«Punto numero uno: tuo fratello non è esattamente il mio tipo. Punto numero due: riesco a far cadere ai miei piedi qualsiasi essere dotato di un pene e lui di certo non si salva», sorrido civettuola, spostando teatralmente i capelli sulla spalla. Qualcuno emette un colpo di tosse alle mie spalle.
«È dietro di me, non è così?», gli chiedo e Cody annuisce. L'ilarità nel suo sguardo inizia ad essere fastidiosa.
«Conversazione interessante. Ti prego, continua pure a deliziami con queste tue convinzioni», proferisce Kenneth. Sgrano gli occhi così tanto che Cody scoppia a ridere e io vorrei semplicemente correre a scavarmi una fossa.
Mi schiarisco la gola e mi giro verso di lui, il suo sguardo giudicante mi investe come un camion, prendendomi in pieno e mandando in frantumi l'ultimo briciolo di felicità di cui ero in possesso.
«Cody, finalmente ti ho trovato», si rivolge al ragazzo dietro di me. «Potresti smetterla di sparire nei momenti meno opportuni?», lo rimbrotta come un fratello maggiore.
È passato davvero molto tempo dall'ultima volta che ci siamo visti. Sta diventando un incubo.
«Questa festa, per quanto sia piena di belle donne e gente importante, è di una noia mortale», esclama Cody con sincerità. Non posso dargli torto.
Scende alcuni scalini e raggiunge il fratello, dandogli una pacca sulla spalla. «Però ti auguro buona fortuna con lei, fratello. Qualcuno qui sta fumando di rabbia», indica con un cenno del capo una persona alle nostre spalle. Mi giro e appoggiato con la schiena al muro c'è Cole, che ci fissa come se volesse incenerirmi con lo sguardo. Si porta il bicchiere di champagne alla bocca e io inarco un sopracciglio, sfidandolo. Oh, cosa si prova? Fa male, vero?, vorrei chiedergli.
Kenneth si massaggia la nuca e fa un passo in avanti, finché la sua figura possente non torreggia su di me. Il suo sguardo mi incute timore, sembra infastidito.
«Che cosa ho fatto adesso?», gli chiedo, confusa.
«Mi chiedo se sarai in grado di tornare a casa sana e salva oppure mi toccherà di nuovo farti da tassista», si umetta le labbra e lancia un'occhiata alle sue spalle. «Non mi piace affatto come ti sta guardando», dichiara. «So di cosa sono capaci i ragazzi che ti fissano così, soprattutto dopo aver bevuto.»
«Forse mi conviene cambiare nuovamente nascondiglio», con un sorriso tirato inizio a salire le scale fino a raggiungere il corridoio.
Tiro un sospiro di sollievo, ma in men che non si dica Kenneth mi affianca. Si toglie la cravatta e se l'attorciglia intorno alla mano, mantenendo lo sguardo fisso sul muro.
«Ho bisogno anche io di stare un po' da solo. Seguimi», mi fa cenno con la mano verso una stanza.
Apre una porta bianca dal pomello color oro lucido e mi fa entrare per prima. Non vorrà mica...
E il fatto che davanti a noi ci sia un letto matrimoniale non smantella di certo i miei dubbi.
Schiudo le labbra, lui chiude la porta con la massima imperturbabilità e va a sdraiarsi sul letto, serrando gli occhi e beandosi del silenzio che ci circonda.
«Vuoi restare così? In silenzio?», gli chiedo.
Apre un occhio e mi guarda. «Esatto.»
«Bene! Allora io resterò qui», rimango appiccicata alla porta, indecisa se muovermi o meno.
«Come ti pare», risponde indifferente.
Dopo un paio di minuti inizio ad avvertire dolore ai piedi. Kenneth non muove più un muscolo, non ha più aperto gli occhi.
Mi tolgo i tacchi e inizio a massaggiarmi lentamente i piedi. Quanto mi mancano le mie amate converse in questo momento.
Con la coda dell'occhio sbircio verso di lui.
Sembra tranquillo e vigile allo stesso tempo, come se fosse pronto a scattare dal letto in caso di emergenza.
Gonfio le guance e ammiro il lampadario. Non ho proprio nulla da fare e quindi mi limito a passare in rassegna con lo sguardo ogni angolo di questa stanza.
Mi alzo e mi avvicino a Kenneth. Mi abbasso e lo guardo attentamente. Si è addormentato? Sul serio?
«Va bene, Harrison», sussurro e vado a sdraiarmi sull'altra metà del letto, aspettando silenziosamente che lui si risvegli. Potrei semplicemente andare via, no?
Poso piano la testa sul cuscino morbido e guardo con orrore la sua posizione da mummia. Come diavolo fa a dormire in questo modo?
Il mio dubbio viene spazzato via nell'esatto momento in cui si gira sul fianco e allunga il braccio possente sulla mia pancia. Un leggero russare solletica le mie orecchie e mi mordo il labbro per non scoppiare a ridere.
Quando la sua mano inizia a muoversi lentamente sul tessuto morbido del mio vestito, spalanco gli occhi.
Dovrei svegliarlo? Chissà da quanto tempo non dorme...
Ma cosa diamine ti importa? È uno sconosciuto che ti sta palpando mentre dorme! Urla una vocina isterica nella mia mente.
Kenneth si avvicina ancora di più e mi stringe a sé. Questa volta sono io ad aver assunto la posizione di una mummia. Deglutisco rumorosamente poi vedo la porta aprirsi all'improvviso e sento Eileen gridare: «Oh, miseriaccia!», la richiude e Kenneth balza in piedi come un fulmine, guardandosi intorno spaesato.
«Tranquillo, ti sei semplicemente addormentato. Non è successo niente», cerco di spiegargli con calma.
Lui si passa nervosamente una mano tra i capelli e fa una smorfia. «So che non è successo nulla. Non sono così idiota da andare a letto con una come te», le sue parole dure mi fanno abbassare la testa.
«Sì, appunto», bisbiglio. Scendo dal letto e mi rimetto le scarpe.
«Da quel che ricordo, avevi deciso di restare appiccicata alla porta», si schiarisce la gola e si rimette la cravatta intorno al collo, facendosi il nodo. Perfetto, adesso mi guarda come se volesse buttarmi fuori da questa villa a calci nel sedere.
«Senti, Ken, cercherò di mantenere la calma», inizio a dire con una risata nervosa. «Tu sei crollato, va bene? E io avevo bisogno di rilassarmi e stare lontana da tutta quella gente insopportabile. Non è successo niente, quindi piantala di comportarti come se ti avessi molestato nel sonno». Per un breve istante appare confuso e quasi desolato, ma eccola di nuovo, quell'espressione da riccone arrogante!
Mi rifila un ghigno. «Gradirei che evitassi di chiamarmi in qualsiasi altro modo che non sia Kenneth. Chiaro?»
Lo guardo esterrefatta mentre si aggiusta il colletto, la camicia delinea un petto ampio sotto la giacca.
«Le persone ricche sono disgustose», mi lascio sfuggire, facendo una smorfia.
«Come dici?», chiede, avanzando.
Scuoto la testa e arriccio il naso, poi giro sui tacchi e mi dirigo verso la porta, affermando ad alta voce: «Sei patetico», gli mostro il dito medio ed esco, sbattendo la porta.
Eileen è nel corridoio ad aspettarmi, con le labbra nascoste dietro l'orlo di un bicchiere. Forse sapeva che sarebbe andata a finire così?
«Andiamo a casa?», chiede e annuisco. Finisce il suo Martini, lascia il bicchiere a terra, ma quando stiamo per andare via, Kenneth apre la porta e fissa entrambe.
«Kendra», pronuncia il mio nome come se fosse pronto a sentenziare la mia condanna. «La tua scollatura», si limita a dire.
«Eh?», esclamiamo io ed Eileen all'unisono. Abbasso lo sguardo sulla mia scollatura e riesco ad intravedere parte dell'areola.
«Il tuo capezzolo sta per uscire fuori dalla tua scollatura», sibila Eileen al mio orecchio, dopodiché con un gesto brusco mi sistemo meglio il seno.
Mi fischiano le orecchie. Sto per svenire davanti a lui.
Non pensavo che potesse andare peggio di così.
Avanza verso di me e i suoi occhi rimangono fissi sul mio sguardo. Sempre con la solita serietà e senza alcun accenno di depravazione, dice in tono fermo: «Se ho fatto qualcosa di inopportuno, ti chiedo scusa», accenna un breve sorriso e osservo le chiazze bluastre sotto gli occhi. Fa un cenno del capo e poi va via. La camminata decisa e il portamento sicuro di sé.
«Cosa è stato quello?», chiede Eileen, inebetita.
«Era dispiacere quello sul suo viso?»
«I ricchi sanno chiedere scusa?», continua a domandare lei con gli occhi puntati su Kenneth.
«A quanto pare...», batto le palpebre e la mia migliore amica mi prende a braccetto, facendomi cenno di andare via.
«Non ti è andata così bene stasera, vero?»
«E ne sei sorpresa?», mi rassegno, facendo spallucce.
Kenneth mi fa passare la voglia di desiderare di essere ricca. Spero di non sposare un uomo come lui. Mai nella vita.
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