Capitolo quattordici
Mentre penso al modo imbarazzante in cui me la sono data a gambe levate ieri, quando il mio capo si è presentato davanti a me, la voce di Emma mette in standby i miei pensieri. A quanto pare il loro discorso è molto più interessante.
«Penso che il suo nervosismo oggi sia dovuto principalmente alla presenza della sua ex ragazza, Leslie. Tiffany mi ha riferito tutto», dice alla mia sinistra mentre picchietta ripetutamente le unghie sulla scrivania.
«Racconta, racconta», la incita l'altra collega, battendo le mani con una gioia incontenibile, come se il gossip fosse la sua dose giornaliera di felicità.
«Ammetto di non avere troppe informazioni. Tiffany è stata un po' vaga. A quanto pare ha bisogno di lei per lavoro, ma penso ci siano ancora delle divergenze tra di loro», sghignazza. «Ah, tanto sappiamo come andrà a finire! Quante volte sono tornati insieme? Ho perso il conto.»
Mentre tengo gli occhi puntati sullo schermo del computer non posso fare a meno di ascoltare il loro discorso. Stanno chiaramente parlando di Kenneth e se lui lo venisse a sapere, qualcuno qui rimarrebbe sicuramente senza lavoro.
Perché mai avrebbe bisogno della sua ex? Ha già un team formidabile.
«Come mai la sua ex lavora per lui? Voglio dire, ha una bella reputazione e il suo nome è sulla bocca di tutti. Potrebbe avere chiunque dalla sua parte», mi inserisco all'interno della conversazione quasi senza pensarci.
Emma inarca un sopracciglio e mi lancia un'occhiata curiosa. «Il signor Harrison ottiene sempre ciò che vuole e se per ottenere quella determinata cosa dovrà farsi aiutare dalla sua ex, per lui non ci sarà alcun tipo di problema», si stringe nelle spalle con indifferenza.
«Perché si sono lasciati?», chiedo.
«A quanto pare non le dava abbastanza attenzioni. È un uomo d'affari, non è in grado di avere una relazione seria con una donna».
O magari perché è un grandissimo stronzo antipatico e presuntuoso, che pensa soltanto a dei nuovi modi per allargare il suo ego.
«Tu che cosa ne pensi, invece?», chiede Emma, dando una leggera spinta in avanti alla sua sedia girevole. Si sposta accanto a me e mette una mano sulla mia spalla.
«Riguardo cosa?», chiedo ingenuamente.
«Pensi che il signor Kenneth abbia tradito la sua donna? Mi sembra un ottimo motivo per lasciarsi», dice civettuola, facendo muovere le sopracciglia su e giù.
«Non lo so e non è affare mio», provo a tirarmi fuori da questa conversazione imbarazzante, ma Emma non demorde.
Non avrei dovuto mostrarmi così curiosa.
«Dimmi la verità, te lo sei già fatta anche tu mentalmente? Perché io avrò immaginato non so quante volte di essere sbattuta sulla sua scrivania e-»
«La, la, la», inizio a dire tappandomi le orecchie con le mani. «Non voglio sapere le tue fantasie erotiche. Senza offesa», un leggero calore inizia a propagarsi dalle guance fino alle orecchie.
«Vedi lei? Si chiama Lexie», indica la ragazza bionda seduta al primo posto. «È super timida, ma una volta il capo ha organizzato una festa, e lei si è ubriacata così tanto che ci ha deliziati con i dettagli dei suoi pensieri impuri sul nostro capo. Ogni volta che lo vede immagina di essere scopata forte nel suo bagno personale», sussurra, trattenendo a stento una risata.
Inclino la testa per osservare meglio Lexie, e a primo impatto sembra una ragazza molto riservata e timida, ma le sue fantasie non dovrebbero comunque essere sbandierate ai quattro venti.
«Non sono cose interessanti o belle da dire agli altri», la redarguisco, scoccandole un'occhiata infastidita.
Emma corruga la fronte e si dà una spinta all'indietro, raggiungendo nuovamente la sua scrivania. Mi guarda con aria torva, probabilmente in questo momento non le sto più così tanto simpatica.
Fantastico.
«Pausa pranzo, ragazzi!», dice la nostra collega alzandosi in piedi e stiracchiandosi.
Iniziano ad uscire fuori come se non vedessero l'ora di abbandonare questo posto, e io mi ritrovo ancora una volta ad ammazzare il mio tempo girovagando all'interno dell'edificio.
Mentre sto andando a prendere un caffè mi blocco non appena sento la voce cinguettante di Tiffany: «Sono sicura che la nuova arrivata sarà una fonte di guai per il nostro capo. Stamattina l'ho vista entrare nel suo ufficio e il signor Harrison non voleva nemmeno essere disturbato. Che presuntuosa! A lui sta chiaramente antipatica. Non ci crederai mai, ma adesso lei sarà la sua assistente. Certamente, non avrà il mio stesso valore. Magari diventerà la sua donna delle pulizie».
Facendo due più due mi rendo conto che la nuova ragazza di cui stanno parlando sono io.
Alzo gli occhi al cielo e sto per proseguire, ma lei aggiunge: «L'ho beccato perfino mentre annusava un muffin. Probabilmente aveva paura di mangiarlo. Qualcuno di noi gli ha portato i muffin oggi? Non sembrava molto contento. In ogni caso, sono soltanto curiosa! Questa persona merita di sapere che il suo adorabile capo rimetterà la cena di ieri sera grazie a lei», scoppia a ridere e l'altra ragazza l'asseconda. Forse se qualcuno mi avesse lanciato un mattone in faccia mi avrebbe fatto meno male, e probabilmente mi avrebbe addirittura fatto ragionare.
Ora capisco anche perché Eileen voleva tutti quei muffin per sé. Saranno disgustosi...
Il magone inizia a farsi sentire sempre di più, tant'è che mi passa perfino la fame. Indietreggio con le lacrime agli occhi, finché non sento una mano calda sulla mia spalla, e mi fermo.
«Ehi, attenta», dice Jacob dietro di me. Sollevo lo sguardo verso l'alto, provando a mandare via le lacrime. Metto su un sorriso finto e mi giro verso di lui.
«Jacob!», pronuncio il suo nome con enfasi.
«Kendra, ma che piacere rivederti! Stavi andando a pranzo?», domanda squadrandomi attentamente, come se provasse a decifrare la mia espressione.
«Oh no, non ho fame», sorrido a disagio e distolgo lo sguardo, mentre prego mentalmente che lui mi lasci in pace.
«Non dire sciocchezze, devi mangiare! Se vuoi, conosco un posto carino dove fanno del Fish & Chips buonissimo», mi fa sapere, lanciandomi uno sguardo languido, come se non volesse un no come risposta.
«Non saprei, io-», proprio mentre vorrei declinare l'invito il mio stomaco ci pensa a rispondere al posto mio, facendomi morire dall'imbarazzo.
«Qualcuno ha fame», sorride dolcemente.
«Vado a prendere le mie cose, aspettami fuori. Ti raggiungo lì», dico gentilmente e lui annuisce, incamminandosi verso l'uscita.
Prendo il cappotto e la borsa e mi fermo nel corridoio non appena Kenneth punta lo sguardo su di me.
«Per la prima volta decidi di abbandonare questo edificio a ora di pranzo», mi fa presente.
«Oh, sì. Se non fosse per Jacob, in realtà non sarebbe successo.»
Le sue sopracciglia schizzano verso l'alto e incrocia le braccia al petto. «Beh, mi dispiace dirtelo, ma tocca a te portarmi il pranzo. Oggi desidero mangiare spaghetti all'aragosta. Sai dove trovarli. Ti do mezz'ora di tempo».
«Non me lo poteva dire prima? È la mia pausa pranzo, questa», puntualizzo risentita.
«Ah, davvero? Beh, allora prendi due porzioni di spaghetti. Ti aspetto nel mio ufficio».
Oh no! Non avrà lui l'ultima parola!
«Sono stata invitata fuori a pranzo. Jacob mi sta aspettando», gli ricordo sorridendo freddamente.
Lui corruga la fronte. «Jacob? Sarebbe?»
«Fa il traduttore. L'ha visto anche l'altra volta», spiego.
«Volete pranzare insieme?», domanda assottigliando lo sguardo.
Alzo gli occhi al cielo.
«Mi ha invitata a pranzo, sì.»
«A pranzo. Insieme», ripete guardando un punto indefinito nel corridoio. Cerco di seguire il suo sguardo ma poi si riscuote dai suoi pensieri e punta di nuovo i suoi bellissimi occhi su di me.
«Sì. Ma a quanto pare lei non mi dà il permesso», digrigno i denti. «Le porterò il pranzo. Sicuramente sarà molto più gustoso dei miei schifosi muffin. Almeno non rischierà di morire avvelenato».
«Come, scusa?». Osservo inevitabilmente le sue labbra, che in questo momento formano una lieve smorfia.
«I muffin...», mormoro grattandomi la nuca.
«I muffin», ripete, premendo le labbra l'una contro l'altra con fare pensieroso.
«Fanno vomitare, non è così?», domando, temendo di sapere già la risposta.
«Non capisco», scuote la testa, dopodiché si passa una mano tra i capelli.
«Le voci girano, signor Harrison», sussurro, cercando di non guardarlo negli occhi. «Spero non si sia sentito male.»
«E perché diamine dovrebbero girare delle voci su dei maledettissimi muffin?», sbotta, facendomi sussultare. Penso sia la prima volta che perde la pazienza davanti a me.
«Lasciamo perdere. Cercherò di non metterci tanto», dico in fretta, cercando di svignarmela.
«Kendra», mi afferra per il polso dolcemente, trattenendomi. «Vorrei davvero smettere di licenziare le persone ad ogni sbaglio che commettono, ma se trovo chi ha messo in giro delle voci simili, sappi che lo sbatterò fuori da questo posto. Goditi il pranzo con Joseph», lascia il mio polso e gira la testa di lato, chiudendo gli occhi per pochi secondi, come se stesse cercando di calmarsi.
«È Jacob», lo correggo.
«Sì, è esattamente il nome orribile che ho pronunciato pochi secondi fa. Vai, non fare tardi! Geronimo ti starà aspettando», indica con il braccio l'ingresso e mi incammino, con lui che tiene il mio stesso passo. Non ci rivolgiamo la parola, ma avanziamo verso lo stesso punto. Alcuni dipendenti lo salutano con garbo e io mi appresto ad aumentare il passo. Non voglio pensino che tra me e lui ci sia davvero qualcosa.
«Sembra quasi tu voglia scappare da me», mormora alle mie spalle, cogliendomi di sorpresa.
«Non voglio essere vista insieme a lei. Potrebbero pensare male», ammetto con una punta di disagio nella voce.
«Al diavolo quello che potrebbero pensare gli altri», risponde, ma appena usciamo fuori, mi imbatto in un Jacob parecchio sorridente.
Kenneth si mette gli occhiali da sole e anche se i suoi occhi verdi vengono nascosti dalle lenti scure, so per certo che sta lanciando un'occhiata omicida a Jacob.
«Sta andando a pranzo, signor Harrison?», dice quest'ultimo.
«Sì, ho appena deciso di pranzare fuori. Perché a quanto pare la mia assistente non è disponibile», risponde burbero.
Jacob mi guarda confuso. «Bene, buon pranzo allora!»
Mentre Kenneth scende le scale, borbotta: «Buon pranzo, chiunque tu sia.»
La mia bocca si spalanca automaticamente, perché so che sa il suo nome. Gliel'ho detto soltanto pochi minuti fa.
«Certe volte, quando ha la luna storta, è davvero stronzo», mormora Jacob, scuotendo la testa con disappunto.
«Poco fa sembravi sconvolta. È successo qualcosa?», chiede con fare premuroso il mio vicino e collega mentre andiamo a prendere da mangiare.
«Oh, nulla di che! Sciocchezze», cerco di non pensarci, ma non nego che le parole di Tiffany mi abbiano fatto male. Nonostante non mi stia particolarmente simpatica, spero che Kenneth non scopra che è stata lei a spettegolare su di lui.
«Non vedo l'ora di mangiare», esclama allegramente Jacob e sorrido tristemente mentre la mia mente vola altrove.
✨🪐✨
Dopo aver mangiato, io e Jacob affrettiamo il passo per tornare al lavoro, dato che siamo in ritardo. Avrei dovuto immaginarlo che quel posto, dopotutto, non sarebbe stato davvero così vicino come diceva lui! Magari non aveva preso in considerazione i miei tacchi. Maledizione! Kenneth ucciderà entrambi.
«Non preoccuparti, nonostante il capo ami la puntualità, non sta mai lì a controllare i minuti esatti in cui una persona rientra al lavoro», cerca di tranquillizzarmi e io vorrei davvero credergli.
Quando finalmente arriviamo, mi metto a correre su per le scale, e vedo il portinaio intento a guardarmi male, dopodiché grida: «Faccia piano, signorina!»
«Grazie», mi avvicino a lui e leggo il nome sul tesserino. «Grazie signor Alfred», e dopo averlo salutato per poco non vado a sbattere la testa contro la vetrata. Jacob mi afferra per i fianchi, ridendo. «Attenta. La porta è di là», la indica con fare divertito.
Appena entriamo, appoggiato di schiena alla ringhiera vi è il nostro capo, mentre una furia omicida si scatena all'interno delle sue iridi. Il suo sguardo scende lentamente sull'orologio che ha al polso e pronuncia ad alta voce: «Siete in ritardo di dieci minuti.»
«È colpa mia», Jacob si sposta all'improvviso davanti a me, cercando di prendersi tutte le colpe.
«Oh, ma su questo non avevo nemmeno mezzo dubbio», sibila. «Tengo molto alla puntualità. E Collins è sempre stata puntuale. Fino ad ora», specifica e intravedo un muscolo guizzare sulla sua mascella.
Alcuni dipendenti si fermano, bisbigliano e ci fissano con smodata indiscrezione.
«Non succederà più», la frase di Jacob non è altro che un mormorio tremante.
Il fastidio altera i lineamenti duri del suo sguardo, rendendolo ancora più severo. Ignora completamente le sue parole e i suoi occhi mi costringono a spostare tutta la mia attenzione su di lui.
«C'è qualche problema?», domando, deglutendo rumorosamente.
«Sì. C'è sempre qualche maledetto problema!», getta le braccia in aria, un gesto esasperato, e aggiunge, guardando gli altri: «Sareste così gentili da fornirmi qualche misera spiegazione sulla vostra immotivata pausa?»
Il suo tono è così autoritario che non posso fare a meno di provare l'ardente desiderio di scappare e raggiungere rapidamente la mia scrivania, ma la sua voce mi ferma: «Non tu Collins. Nel mio ufficio, subito!», solleva una mano e mi fa cenno di seguirlo. In questo momento pregherei Jacob di spingermi accidentalmente oltre la ringhiera e mettere fine alla mia inutile esistenza nel mondo, ma avrei paura che il mio capo venisse a licenziarmi perfino nell'oltretomba. Esattamente per quale ragione non mi sono buttata dalla finestra la prima volta che l'ho incontrato nel suo ufficio? Forse non è il momento giusto per usare il sarcasmo.
Lo seguo in silenzio con lo sguardo puntato verso il basso.
«Solleva lo sguardo, Collins. Si cammina a testa alta, sempre.»
«Posso considerarmi licenziata, non è così?», chiedo picchiettando il dito sulla sua schiena.
«Ci sono cose peggiori al momento», afferma inflessibile. Appena entriamo nel suo ufficio, trovo mia madre seduta su una delle poltrone imbottite ad attendere, con le gambe accavallate e le braccia poggiate sui braccioli. Mi fermo di colpo, andando quasi a sbattere contro Kenneth. All'improvviso mi sembra di non sapere più come si respira. Trattengo il respiro nei polmoni e la fisso incredula.
Non è possibile. Questo dev'essere un incubo!
Kenneth chiude la porta e si avvicina alla scrivania. «È qui.»
Mia madre si alza lentamente e si gira verso di me, rifilandomi un sorriso che è tutto tranne che dolce.
«Mamma», dico con voce tremante. Non ricordo nemmeno di averle detto dove lavoro di preciso. O ha fatto qualche ricerca o è stato Cole a dirglielo!
Kenneth si acciglia. «È finita la pausa pranzo. Non posso fare eccezioni sul posto di lavoro, quindi spero si sbrighi.»
«Continuo a pensare che la tua insolenza sia intollerabile», ribatte mia madre con un finto sorriso.
Mi prendo la testa tra le mani e sospiro.
«Avrebbe potuto avvisarmi prima», borbotto, rivolgendomi a Kenneth.
«Dai del lei al tuo ragazzo?», domanda mia madre con fare indignato.
Kenneth trattiene la voglia di ribattere con il suo solito tono arrogante, ma si limita a staccarsi con una mossa brusca dalla scrivania, dicendo: «Kendra, hai dieci minuti di tempo», ed esce dal suo ufficio.
Non appena chiude la porta, la prima cosa che dico è: «Quando la smetterai di mettermi in ridicolo?E poi, cosa ci fai qui? Pensavo te ne fossi andata!»
Mia madre si passa le dita in modo delicato tra i boccoli biondi e sbuffa una risata. «Ti stai mettendo in ridicolo da sola, figlia mia. Permetti addirittura che il tuo uomo ti tratti come se fossi una dipendente qualsiasi.»
Vorrei dirle che io sono una dipendente qualsiasi.
«Abitudine. Sono al lavoro, nel caso non l'avessi ancora notato», mento, rivolgendo lo sguardo dalla parte opposta.
«Non hai risposto alle mie chiamate. Non hai risposto al citofono. Ti sembra il modo corretto di trattare tua madre, Kendra?», mi afferra bruscamente per il braccio e mi guarda dritto negli occhi. «Che questa sia l'ultima volta, sono stata chiara? E vedi di mandarci dei soldi, perché i soldi di mio padre li ho investiti tutti in quella misera facoltà che tu hai frequentato e adesso non abbiamo più niente per colpa tua!», mi ammonisce, puntandomi l'indice contro il petto.
«Il nonno aveva messo quei soldi da parte per me. E ho dovuto anche farmi il culo per pagare il resto delle spese. Sono soldi miei. Adesso sono adulta, vivo da sola, dannazione! E non è facile», alzo la voce, liberandomi dalla sua stretta.
«Sei la nostra unica fonte di guadagno! E tu non vuoi di certo vedere stare male tuo fratello, giusto?», si porta una mano sul petto con fare drammatico.
«Vattene», sibilo, ma in men che non si dica il palmo della sua mano entra in contatto con la mia guancia.
«Non permetterti mai più, Kendra Josephine Collins, o ti assicuro che farò in modo che Londra rimanga soltanto un ricordo per te. La nonna non sarebbe per niente fiera di te. Sei una delusione», continua a dire, ma non proferisco più parola.
Si rimette il cappotto, afferra la borsa con stizza e prima che lasci questo posto, pronuncia con tono acido: «Ci vediamo a Natale. Hai capito? E dato che hai il fidanzato ricco sfondato, portaci dei bei regali».
Trattengo le lacrime mentre si avvicina lentamente alla porta. «Dimenticavo! Tua cugina è a Londra, probabilmente ti chiederà di incontravi. Mi aspetto che tu non faccia un'altra delle tue figuracce. Presentati all'appuntamento e sii garbata. Da lei potresti soltanto prendere esempio», apre la porta e se ne va, mentre in lontananza sento il ticchettio dei suoi tacchi contro il pavimento. Rimango immobile a fissare il tappeto, non riuscendo ad alzare più lo sguardo.
Kenneth rientra nel suo ufficio e si avvicina a passo deciso. «Tutto bene?», domanda.
Le parole di mia madre mi hanno pietrificata.
«Kendra», Kenneth mi sposta una ciocca di capelli da davanti al viso per guardarmi meglio, poi si abbassa per incontrare il mio sguardo. «Va tutto bene?», ripete.
E con gli occhi pieni di lacrime annuisco vigorosamente e faccio un respiro così profondo che mi sembra di aver appena ripreso a respirare.
«Non stai bene», constata. I suoi occhi sono attraversati da un lampo di preoccupazione.
E mentre sto per prorompere in un pianto disperato e ridicolo, il mio capo allunga un braccio verso di me e mi dà qualche imbarazzante pacca sulla schiena. Poi si avvicina di più e mi dà un fugace abbraccio.
«Non piangere, Kendra», sussurra al mio orecchio. «Non tutti i dolori meritano realmente le tue lacrime.»
Non riesco a pronunciare nemmeno una parola, ma lui continua a dire: «Non avrei dovuto lasciarti da sola con lei. Avrei dovuto immaginarlo che sarebbe andata così visto l'incontro dell'altra volta. E sono ancora il tuo ragazzo in prestito, fino a prova contraria.»
Mi stacco lentamente da lui e osservo le tracce di mascara sulla sua camicia.
«Mi dispiace», mi affretto a dire, indicando la macchia scura.
Kenneth mi fissa quasi imbambolato. Sembra che di quella macchia non gli freghi nulla. Non presta nemmeno attenzione a ciò che gli dico. È semplicemente concentrato a guardarmi.
«Rimani qui con me», dice all'improvviso, indicando la scrivania di Tiffany.
«No, non posso.»
«Oh, non era una domanda, Collins. È un ordine», ecco di nuovo quel sorriso impertinente.
Si avvicina alla sua scrivania e afferra un fazzoletto di carta. «Tieni, asciugati le lacrime. Non voglio che gli altri ti facciano domande, quindi rimarrai qui con me.»
«E Tiffany?»
«Chi è Tiffany?», domanda con aria smarrita.
«La sua assistente», gli ricordo.
«Oh, giusto», si siede e chiama la segretaria. «Che nessuno entri nel mio ufficio, chiaro? Nemmeno la mia assistente. Sono indaffarato».
«Brutta giornata?», domando, asciugandomi le lacrime.
«Adesso lo è di sicuro, Collins.»
«È successo qualcosa? Ne vuole parlare?», tiro su con il naso e lo vedo sorridere per pochi secondi.
«Sì, ne voglio parlare», incrocia le braccia al petto e non faccio altro che fissare quella macchia di mascara scadente sulla sua camicia. Forse dovrei iniziare ad usare quello resistente all'acqua.
«La ascolto», mormoro, cercando di focalizzare tutta la mia attenzione su di lui e non pensare più a mia madre.
«No, voglio che sia tu a farlo. Parlami», le sue parole mi lasciano di stucco.
«Di cosa dovrei parlarle?», chiedo, confusa.
«Di quello che desideri. Voglio sapere cosa provi».
Sorrido mestamente. «Oh, è un dolore passeggero.»
«Qualsiasi dolore è degno di attenzione», replica, poggiando gli avambracci sul piano lucido della scrivania.
«Non il mio.»
Lui si spinge in avanti e mi fissa intensamente: «Soprattutto il tuo, Collins.»
«Non so cosa dirle...», giocherello con l'anello che ho al dito.
«Quando ho detto che ci tengo al benessere dei miei dipendenti, non stavo scherzando, Kendra», si alza in piedi e si sposta davanti a me, sbottona i polsini e inizia ad arrotolare le maniche della camicia fino al gomito. Ottimo modo per distrarmi.
«Quindi lei fa da psicologo a tutti i suoi dipendenti?», chiedo, un sorriso divertito mi dipinge il viso.
«No», risponde, distogliendo lo sguardo.
«Allora lei tiene al benessere dei suoi dipendenti o ci tiene in particolar modo al mio?», azzardo a chiedere. Il suo sguardo scatta su di me fulmineo.
«Scherzavo», aggiungo in fretta con il cuore che batte a mille.
«È un po' da presuntuosi pensare che la mia attenzione si focalizzi unicamente sul tuo dolore adesso», ribatte con fare arrogante.
«Sì. Ha perfettamente ragione. Non avrei dovuto dirlo», inizio a torturarmi nervosamente le dita.
«Una presunzione che non mi crea il minimo fastidio.»
E si rimette davanti al suo computer, lasciandomi immersa nei miei pensieri. Non sembra più in vena di portare avanti la conversazione. E ho l'impressione di aver detto di nuovo qualcosa di sbagliato.
«E io cosa dovrei fare adesso?», chiedo guardandolo con timore.
«Quello che di solito ami tanto fare, Kendra», risponde senza guardarmi, le sue dita sono impegnate a digitare energicamente qualcosa sulla tastiera e i suoi occhi si spostano rapidi sullo schermo.
«Ovvero?»
Punta nuovamente i suoi occhi verdi su di me e sorride maliziosamente: «Fissarmi, Collins. Tu ami fissarmi e non ti impegni molto a nasconderlo.»
E per la seconda volta oggi, trattengo la voglia immensa di defenestrarmi.
«In ogni caso, tra mezz'ora portami il caffè», ordina.
«Si dice per favore», stringo i denti e lui mi guarda con la coda dell'occhio.
«Tra mezz'ora gradirei che tu mi portassi un caffè, per favore», dice la frase come se stesse trattenendo la rabbia e sorrido tra me e me.
«Ha visto? Lei ha bisogno di me», dico in tono cantilenante.
«Chi altro mi porterebbe il caffè, altrimenti?», ribatte pungente.
«Chi altro le insegnerebbe le buone maniere?», dico assottigliando lo sguardo.
Lui gira lentamente la testa verso di me e mi guarda per un paio di secondi in silenzio.
«Cosa?», chiedo sentendomi a disagio.
Apre la bocca per dire qualcosa, ma il suo cellulare squilla.
«Andrew?», risponde, appoggiando l'avambraccio sul bracciolo. «Oh, sei insieme a Leslie? Vi aspetto nel mio ufficio, allora».
Oh bene, conoscerò finalmente la sua ex ragazza.
Ehi, cari lettori ❤️ non ho portato avanti gli aggiornamenti perché il mio ragazzo è sceso da me per tre settimane dato che non ci vediamo spesso, quindi diciamo che ho preferito pensare a me, ma adesso mi ha dato la giusta carica per proseguire, infatti aspettatevi a breve anche l'altro capitolo, che sicuramente inizierò a scrivere questa sera ❤️🧚 se volete sostenermi, votate, commentate o consigliate la storia agli altri 🥺<3 grazie
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