Capitolo due

Per i vecchi lettori: qui è cambiata leggermente soltanto la parte finale! Non serve rileggerlo tutto.

«Che hai fatto?», strilla Eileen, strabuzzando gli occhi e spalancando la bocca. Forse non riesce ad accettare che proprio la sua migliore amica, quella pacata e che non alza mai la voce, abbia fatto una cosa simile.

«Esattamente quello che ho detto. Io non lo conosco nemmeno, quel tizio lì! In questo momento mi starà dando della pazza», racchiudo il mio viso tra i palmi delle mani e sospiro, osservando il tappeto con un certo sgomento.

«Questa volta forse ti sei spinta un po' troppo in là», mi informa abbassando la voce e mordendosi il labbro con preoccupazione.

Sollevo lo sguardo e mando giù il groppo che mi si è formato in gola. Nei suoi occhi riesco a leggere il lieve disappunto mischiato ad una sfumatura di orgoglio. Boccheggia un paio di volte, poi si passa la mano sul collo e si appresta ad aggiungere con voce instabile: «Volevo dire complimenti! Sei grande e hai fatto la cosa giusta in quel momento», solleva la mano per battermi il cinque, ma cela la voglia di dirmi quanto io sia stata idiota e precipitosa dietro ad un sorriso tirato.

«Adesso spero soltanto di non rivederlo mai più. Quella è stata la figuraccia più grande che io abbia mai fatto», mi lamento, stringendo forte al petto il cuscino ricoperto da una fodera in velluto colore arancio.

«Dovremmo brindare», annuncia con un battito di mani.

Mi acciglio. «Al mio fallimento? E non ti sembra di stare un po' esagerando con l'alcool ultimamente?». Mi sento una mamma in questo momento.

Lei alza le spalle e la bretella del top rosa corallo, di raso, le scivola lungo il braccio, lasciandone scoperto metà seno. Mi passo una mano sulla guancia e poi mi sdraio sul divano, continuando a stringere il cuscino al petto, come unica consolazione.

Sullo schermo della TV, tra i lenti battiti di ciglia, cerco di seguire la figura di Selena Gomez in bianco e nero che si muove e fa uscire dalle sue labbra parole che arrivano alle mie orecchie come piccole carezze. Perfino lei appare triste e affranta per colpa di un uomo. La canzone non migliora di certo il mio stato attuale. Anziché risollevare il mio umore, lo sta seppellendo molto più in profondità.

La mia relazione agli occhi degli altri appariva come perfetta. Cole, all'esterno, sembra il genere di ragazzo che tutte le donne vorrebbero avere accanto. Era sempre dolce e attento con me, non mancava mai di rispetto e non mi ha mai fatto sentire come se fossi un semplice e inutile passatempo per lui. Adesso la mia mente è costretta a rimodellare l'immagine che si è fatta di lui. Evidentemente è soltanto l'ennesimo stronzo su una lunga lista che, molto probabilmente, continuerò a stilare.

Mi rammarica ammettere che, tuttavia, a me lui piaceva. Mi riempiva di attenzioni, non dimenticava mai nulla di me o degli impegni che prendevamo. Due anni buttati nel water e per colpa sua ho tirato anche lo sciacquone.
Eileen torna da me con un bicchiere di latte e dice: «Con il miele, come piace a te. Come ti senti?»

Indico lo schermo e lei sbuffa.
«Selena, non è il momento giusto», afferra il telecomando con poca grazia e preme sul pulsante, cambiando canale.

Le lacrime scendono calde e imperterrite sulle mie guance ed Eileen avvolge il mio corpo con le sue braccia esili e coperte da diversi tatuaggi di colori variopinti.
«Su, tu sei più forte di così. Non lasciare che i ricordi ti schiaccino», sfrega la mano sulla mia schiena nel tentativo di darmi conforto.

«Sono pessima, non è così? È colpa mia se mi ha tradito», asserisco con convinzione.

Eileen si passa la mano tra i capelli corti neri, che le arrivano a malapena sopra l'orecchio, e trattiene un gemito.
«Non dirlo neanche per scherzo, cazzo sei sexy da morire, simpatica e se fossi uomo ti stenderei subito su quei dannato tavolo! Quindi vai e mettiti il vestito più sexy che hai, perché andiamo fuori per almeno due orette. Muoviti», mi afferra per le braccia e mi fa alzare contro la mia volontà, spingendomi con poco garbo verso la mia camera.

In questo momento non rinuncerei per niente al mondo alla maglietta bianca con i cactus che mi arriva quasi alle ginocchia; ormai è il mio outfit preferito quando sto in casa. I capelli sono tutti aggrovigliati e probabilmente ho gli occhi gonfi per colpa delle lacrime che ho versato nelle ultime ore. Per quanto io mi sia mostrata forte davanti a Cole oggi, dentro di me sto morendo. E, odio ammetterlo, ma mi manca. Non so se lui o le attenzioni che mi dava.

Eileen chiude la porta e apre le ante del mio armadio, rovistando al suo interno. Prende due vestiti tra le mani, uno rosso fuoco che mi lascia la schiena scoperta, e uno nero con una profonda scollatura sul davanti e molto attillato. Oh no, quello nero a malapena mi fa respirare. Adesso che ci penso, forse l'ho preso di una taglia più piccola durante i saldi estivi.

Eileen sventola davanti a me il vestito rosso e mi rivolge un sorriso audace.
«Eccolo! Mettitelo», lo lancia verso di me e lo afferro al volo.

Lo fisso dubbiosa per un breve istante, poi agguanto anche le mutande più sexy dal cassetto e decido di non indossare il reggiseno.

Mi vesto e sciolgo i capelli che cadono morbidi sulle spalle e li spazzolo con le dita. Eileen mi dà una mano ad acconciarli con l'aiuto di alcune forcine in modo da non farmi sembrare una pazza, e poi spruzzo un po' di profumo sul collo. Metto un po' di mascara, il mio rossetto rosso preferito e i tacchi che non indosso quasi mai.

Eileen emette un fischio d'approvazione.«Cavolo, sei uno schianto!», mi fa fare una piroetta.

«Va bene, devi ancora fare un po' di pratica», sorride, gettando un'occhiata veloce sulle mie gambe, leggermente instabili.

Se con la mia laurea avessi trovato davvero il lavoro dei miei sogni, i tacchi li avrei messi eccome! Non mi sono mai sentita così inutile... Ho studiato per realizzare i miei sogni, ho sprecato ore sui libri, ho rinunciato alla possibilità di uscire e socializzare con altre persone, e il risultato finale è stato questo. Magari è presto per dirlo, ma mi aspettavo più grinta da parte mia, quindi me la prendo anche con me stessa.

I miei genitori non hanno nemmeno idea di che lavoro io faccia. Sanno che lavoro come redattrice editoriale per un'importantissima casa editrice e, secondo le mie bugie, mi pagano anche profumatamente.

Spero non scoprano mai che fallita io sia in questa fase della mia vita. Certo, non sono passati dieci anni dalla mia laurea, ma non mi sarei di certo aspettata di finire direttamente al McDonald's. Mia cugina sembra incline a voler aprire una sua azienda. E la competizione tra me e lei è talmente ingente, che ai pranzi in famiglia non si parla di altro che dei nostri successi. Una gara a chi arriva in alto per prima. E il mio successo, in questo caso, si basa su una marea di bugie che finirà per travolgermi in pieno.
Ma insomma, nessuno ha bisogno di un editor al giorno d'oggi?

Sospiro e aspetto che Eileen finisca di prepararsi. Fa una giravolta davanti a me, con la pochette stretta sotto il braccio, e mi apre la porta, indicandomi l'uscita. Non è la prima volta che andiamo fuori insieme, ma conoscendo la mia migliore amica, so in parte quello che mi aspetta.
Non ho mai avuto tempo per andare in giro a divertirmi e a comportarmi come se non avessi pensieri per la testa. Non vivo con leggerezza ed è la cosa che più mi rende scettica sul futuro. L'amarezza che circonda la mia routine è diventata quasi un'amica inseparabile.

Saliamo nella sua macchina e spero soltanto che non scelga un locale troppo... chiassoso. Quando mi capita il turno di notte, al mcdrive, tra un ordine e l'altro, mi viene voglia di mischiare le mie lacrime all'olio delle patatine fritte.

Quando arriviamo a destinazione, Eileen slaccia la cintura di sicurezza con uno scatto veloce e apre lo sportello, facendomi cenno con la mano di seguirla. La osservo da dietro, rimanendo quasi attonita alla vista della sua ragguardevole bellezza e femminilità.

Per fortuna non c'è bisogno che io le rammenti quanto sia meravigliosa, perché ha autostima da vendere. Vorrei ben vedere, con quel corpo tonico e quegli occhi che ti scrutano come due gemme d'ambra con filamenti color miele e la spruzzata di lentiggini sul naso, mi innamorerei di me stessa anche io. Il vestito nero attillato che avvolge in modo sensuale il suo corpo la rende aggressiva e sicura di sé agli occhi degli altri. Una che sa ciò che vuole e che sa afferrare con gli artigli le sue prede.

Alzo lo sguardo sull'insegna e leggo il nome "Cherry" dal colore fucsia neon, con accanto un paio di ciliegie. Non penso di aver mai messo piede in questo posto. Intercetto le luci colorate che illuminano l'interno e la musica pompa a tutto volume.
Non sembra una squallida discoteca dove io ed Eileen andavamo di solito con i nostri amici. Questo posto sembra per persone con la puzza sotto il naso.
«Ci divertiremo», grida la mia migliore amica al mio orecchio, poi mi trascina dentro, non dandomi tempo di ribattere.

Divanetti bianchi in ecopelle posizionati vicino alle pareti, tavolini pieni di bicchieri, bottiglie e posaceneri ormai stracolmi, corpi sudici che si muovono a ritmo. L'odore acre del fumo che mi solletica le narici e un lezzo di sudore mischiato a qualche profumo costoso mi fa storcere il naso.
«Sai, questo posto non mi ispira tanto», dico a voce alta per farmi sentire.

«Oh, ma stai zitta!», mi prende per mano e andiamo a sederci su uno di quei divanetti. Subito dopo una cameriera ci raggiunge e io ordino un semplice caipiroska.

È stupido da parte mia pensarlo, lo so, ma mi sento come se tutti gli occhi fossero puntati su di me.
«Sei bellissima, rilassati», Eileen cerca di rassicurarmi. Probabilmente ha percepito la mia irrequietezza.
Quando arrivano i nostri drink, mando giù un sorso e cerco di sciogliermi un po'. I miei occhi perquisiscono questo posto con curiosità; mi sembra quasi di stare analizzando ogni singola persona che vi è all'interno soltanto per riuscire a farmi un'idea della gente che lo frequenta. Ma perché? Cosa frega a me degli altri?

Faccio una smorfia e mando rapidamente giù il resto del drink.
«Woah, così ti voglio! Andiamo a ballare», non attende nemmeno una mia risposta, perché Eileen mi afferra per il braccio e mi fa alzare con la forza.

Cammino pencolando, facendo attenzione a non urtare gli altri.
Sembra sia passata un'eternità dall'ultima volta che ho messo piede in un posto simile. Eppure, una volta io amavo perdere il controllo e godermi l'attimo. Adesso, invece, mi sento come un pesce fuori dall'acqua.

Eileen alza gli occhi al cielo e mi fa cenno di seguirla al bancone. Mi sorride smaliziata, si siede con grazia sullo sgabello, accavallando le gambe e sorreggendosi il volto con una mano. Si lecca le labbra e dice al barman: «Qualcosa che sia in grado di farla sciogliere. È più rigida di una pietra», mi indica e sorrido a disagio, ancora in piedi come una statua, accanto a lei.

Non so cosa mi abbia servito esattamente, ma mando giù il drink insieme alla mia amica e sento la gola bruciare e gli occhi lacrimare.
«Cazzo», esclamo.

Eileen si alza e con l'indice mi fa cenno di avvicinarmi. Mette le mani sulle mie spalle e inizia a muoversi, chiudendo gli occhi e ondeggiando i fianchi, invitandomi a lasciarmi andare.

Dopo diverse occhiate lanciate alla gente intorno a me, decido di seguire il suo consiglio e inizio a rilassare le spalle, piano piano la musica mi culla e mi trasporta in un'altra realtà. I pensieri abbandonano lentamente la mia testa e io mi sento libera.

Continuo a muovermi finché non inizia la canzone Boyfriend di Mabel e crolla la maschera felice che ho indossato fino a qualche secondo fa. Mi rattristo e mi giro verso Eileen, dicendo: «Odio gli uomini!»
Ma davanti a me non c'è più la mia migliore amica, bensì lo sconosciuto che ho incontrato al McDonald's.

Oddio, no. Non lui. Mi sono già umiliata parecchio.

«Come, scusa?», chiede osservandomi con uno sguardo divertito.

«I-io», inizio a balbettare «Ho perso la mia migliore amica», i suoi occhi scendono lungo il mio corpo, gettando su di me un velo d'imbarazzo.

Non è possibile. Perché diavolo è qui? Mi sta seguendo?
No, certo che no! È soltanto una stupida coincidenza. Chi diavolo seguirebbe una come me?

Con il fiato corto e i rivoli di sudore che scendono lungo la mia schiena, raggiungo con difficoltà il divanetto e mi siedo, facendo cenno alla cameriera di avvicinarsi.
«Due margarita, grazie».

Guardo tra la calca, ma non c'è nemmeno l'ombra di Eileen. Probabilmente ha trovato qualcuno con cui divertirsi, ma avrebbe potuto avvisarmi. La solita incosciente!

Quando arrivano i drink, afferro il primo e lo bevo senza fare alcuna pausa.
Un ragazzo si siede accanto a me e mi squadra con aria critica.
«Sei da sola?», chiede.

«No, siamo io e il mio margarita», alzo il bicchiere e lui ride.

«Ti stai divertendo?», domanda, facendosi più vicino a me. Le sue dita, al tatto ruvide, si posano sulla mia spalla nuda e io deglutisco rumorosamente.

«Un mondo», la mancanza d'entusiasmo trapela nella mia voce.

«Ti va di divertirci insieme?», china il capo verso di me e l'altra sua mano si posa inaspettatamente sulla mia coscia nuda, facendomi sussultare.

«Ma che fai?», grido, spostando il suo braccio.

Non demorde e si avvicina nuovamente. «Dai, so che sei venuta qui per divertirti, esattamente come tutti gli altri», traccia una linea immaginaria lungo la mia coscia fino all'orlo del vestito e la mia bocca diventa di colpo secca. Probabilmente sono diventata anche pallida.

«Guarda, te lo dico con gentilezza: levami le tue mani di dosso altrimenti ti ficco il mio tacco quattordici in un occhio».

Lui, anziché sentirsi minacciato, scoppia a ridere di gusto.
«E la parte non gentile quale sarebbe?», le sue dita si incurvano nella mia pelle.

«Leva la tua cazzo di mano dalla sua coscia», pronuncia con voce rauca lo sconosciuto, facendo la sua comparsa dietro il tizio pervertito.

Dovrei chiamarlo il mio salvatore?
No, no, no. Ho chiuso con questa roba. Nessuno mi salva. Io sono il mio Superman.
Va bene, a partire da domani, magari?

«L'ho adocchiata per primo», protesta il pervertito e spalanco gli occhi.

«Lei è con me. Quindi alza il tuo cazzo di culo e vattene. Adesso», ordina con un tono talmente autoritario che viene voglia anche a me di alzarmi e andare via. Per fortuna il ragazzo non se lo fa ripetere di nuovo e se ne va borbottando una serie di insulti, non proprio indirizzati a me.

Lo sconosciuto-salvatore si siede accanto a me e afferro l'altro margarita, guardandolo da oltre l'orlo del bicchiere.
«Non dovresti stare qui da sola», mi dice, facendomi nuovamente la radiografia. «I depravati ci sono ovunque.»

«Lo so, ma non sono da sola», rispondo, stringendo il bicchiere tra le dita.

«A me sembra di sì», si guarda intorno, poi riporta lo sguardo su di me.

«La mia migliore amica è con me. È andata un attimo in bagno.»

«Strano che un'impiegata del McDonald's abbia tempo anche per divertirsi. So i ritmi che avete in quel posto», pronuncia con una nota ironica nella voce. Mi guarda un'ultima volta come se volesse memorizzare il mio viso, poi se ne va.
Raggiunge un gruppo di ragazzi e sospiro con aria affranta.

A chi voglio darla a bere? Io non potrei mai attirare l'attenzione degli uomini di quel rango.

E così, un paio di drink più tardi io sono definitivamente ubriaca e di Eileen ancora nessuna traccia. Mi alzo in piedi e oscillo sui tacchi, ma cerco subito di rimettermi in equilibrio.
Inizio a maledirla in tutti i modi possibili e cerco di raggiungere l'uscita.
Oh dio, sto per vomitare. Trattengo i conati di vomito e prendo il cellulare dalla borsetta, cercando con la vista appannata il contatto di Cole.
Lo chiamo.

«Sono ubriaca e anche se mi hai spezzato il cuore, mi manchi. E sono appiedata. Ho già detto che sono ubriaca?», gli chiedo, singhiozzando.

«Sapevo che non sarei dovuto andare via così in fretta», dice una voce profonda alle mie spalle.

Inclino il capo all'indietro, provando anche a girarmi lentamente verso di lui, ma mi afferra per i fianchi, offrendomi sostegno. Mi prende il cellulare dalle mani lentamente e chiude la chiamata.

«Mai chiamare gli ex da ubriaca. È la prima regola da rispettare quando si beve», dice con tono piatto.

Ma io mi allontano di qualche metro e mi piego su me stessa, buttando fuori tutto ciò che ho bevuto.

«Maledizione», lo sento dire. «Stai bene?»

Cerco di mettere a fuoco la sua faccia.
«Come diavolo ti chiami?», chiedo con una smorfia sul viso.

«Kenneth. Niente abbreviazioni, niente nomignoli strani e niente tentativi di provarci con me», mi dice aspramente.

«Mmh-hm», dico stropicciandomi un occhio. «Ma chi diavolo ha voglia di provarci con te? Mi hai appena sentito in chiamata con il mio ex», gli ricordo e cerco di pulirmi gli angoli della bocca con il dorso della mano.

«La tua amica?», mi passa un fazzoletto di carta.

«Persa», apro le braccia.

«Ti chiamo un taxi. Dove abiti?», domanda, cercando di stabilire un contatto visivo con me per più di un secondo.

Barcollo ancora e mi aggrappo al suo braccio.
«A Londra», rispondo.

«Siamo a Londra. Mi serve un indirizzo».

«Non lo so?», appoggio la testa sulla sua spalla e lo sento sbuffare.
All'improvviso mi scappa un singhiozzo e mi rendo conto di star piangendo. «Sono proprio una nullità», dico con le lacrime che scorrono sulle guance.

«Senti, cerca di calmarti, va bene? Sei soltanto ubriaca. Ora prova a dirmi dove abiti e ti porterò a casa io».

Mi asciugo le lacrime e dopo un lungo silenzio, gli do l'indirizzo – o almeno spero sia quello giusto – e mi accompagna verso una macchina nera. È lucida. Ha un aspetto più sobrio del mio.

Mi apre la portiera e mi fa sedere davanti, mettendomi anche la cintura di sicurezza come se fossi una bambina. Sale anche lui e tira fuori dal cruscotto un sacchetto di carta.
«Nel caso ti venisse da vomitare», spiega. Annuisco e poi chiudo gli occhi; man mano che ci allontaniamo, lentamente sprofondo in un sonno per nulla tranquillo.

Al risveglio lo sento armeggiare con la cintura di sicurezza e una sua mano mi sfiora per sbaglio la coscia, facendomi sussultare.
«Siamo arrivati», mi fa sapere e scendo, aggrappandomi allo sportello per non inciampare. Inizio a cercare le chiavi dentro la borsetta, ma lui mi si para accanto. «Faccio io».
Quando le trova, le fa tintinnare e gli indico l'ingresso del palazzo dove abito. Mi accompagna, tenendomi saldamente per il braccio anche nell'ascensore, poi apre la porta ed entra subito dopo di me.
«La tua stanza?», domanda.

Resto immobile a guardare casa mia come se non fosse davvero mia. Punto l'indice contro una direzione e poi sento il mio corpo sollevarsi da terra. Mi ha preso in braccio?
«Ti ubriachi sempre così tanto?», mi chiede e scuoto la testa.

Mi appoggia sul letto e poi si abbassa per togliermi le scarpe.
«Sdraiati. Ti porto dell'acqua», le sue azioni sembrano gentili, ma la sua voce un po' meno.

Con un occhio aperto lo fisso mentre è intento a ispezionare la mia stanza. Mentre va in cucina, mi rimetto seduta e uso il sacchetto che mi ha dato per vomitare ancora. La stanza ruota intorno a me e lo sconosciuto mi raggiunge, posando il bicchiere sul comodino.

«Ma insomma, non ce l'hai un bagno?», la sua voce adesso è irritata. Mi stringo nelle spalle e gli passo il sacchetto, dicendo: «Questo tienilo tu». Poi afferro il bicchiere e trangugio tutta l'acqua.

«Incredibile. Dannatamente incredibile!», borbotta, sollevando il sacchetto e guardandolo con disgusto.
Poi gli cade lo sguardo accanto al letto e aggrotto le sopracciglia, sporgendomi oltre il bordo per guardare anche io. Ci sono le mie mutande sul pavimento.
Chiudo gli occhi e gemo.
Perché a me?

«Grazie. È stato molto gentile da parte tua», bofonchio con la testa che affonda nel cuscino sprimacciato.
Mi giro a pancia in giù e il vestito si solleva di più, fin sotto il sedere.
Kenneth si schiarisce la gola. «Ricordati di prendere l'aspirina domani mattina, ne avrai bisogno.»

«Non voglio servire panini domani», farfuglio ad occhi chiusi. La sua voce non si sente più, però mi arriva alle orecchie il suono di una porta che si chiude e la vibrazione del mio cellulare.

Cerco la borsetta sul letto a tentoni e prendo il cellulare tra le mani, cercando di leggere il nome sullo schermo. Cole mi sta chiamando.

«Pronto?», dico, deglutendo.

«Dove sei? Perché non hai risposto prima? Cazzo, sono uscito a cercarti!», sembra arrabbiato.

«Sono a casa. Buonanotte», sussurro, poi sbadiglio e il cellulare mi cade dalle mani. Il silenzio mi avvolge e io mi addormento profondamente.

Ciao ragazzi! Come state?:) Ecco a voi il secondo capitolo della storia. Spero vi sia piaciuto 💕 il secondo incontro tra loro due non è di certo migliore rispetto al primo ahahha adesso Kenneth avrà un ricordo da parte sua, il sacchetto 🤢 nel prossimo capitolo lo prenderà ufficialmente in prestito come ragazzo👁️👄👁️
C'è lei che si fa accompagnare da uno sconosciuto, e io come minimo, anche da ubriaca, gli avrei spaccato la lampada in testa 🌚

Lasciate una stellina se vi è piaciuto 🌻alla prossima!

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