Capitolo diciotto

Anche questo capitolo è lunghetto. Mi scuso in anticipo per gli errori, ma non riesco a revisionarlo su Wattpad perché l'app si blocca ogni due secondi e non me lo fa ne nemmeno cancellare. Ma almeno sono riuscita a pubblicarlo 🥲


Nelle ultime ore ho fatto dei miglioramenti. E per miglioramenti intendo che ho preso in considerazione l'idea di lasciare questo posto di lavoro e trasferirmi in Finlandia soltanto cinquanta volte nell'arco di due ore. Dicono sia il paese più felice al mondo, quindi sono convinta di meritare di vivere in mezzo alla natura, di esultare ogni volta che vedo l'aurora boreale e di bere il glögg nel periodo natalizio, senza alcun misero cattivo pensiero ronzante per la testa.

Chi dice che vivere a Londra sia facile e bello, si sbaglia. A meno che non ti capiti all'improvviso una botta di fortuna.
Io le uniche botte che prendo sono in testa, quando sbatto contro gli sportelli aperti della cucina. Ma ad un certo punto della vita ci si accontenta. I sogni si allontanano da me ad ogni mio fallimento e io perdo la voglia di rincorrerli.

Mi sembra di parlare come una cinquantenne senza speranze per il futuro e che passa il tempo a condividere frasi motivazionali su facebook. Invece sono giovane e tante cose potrebbero cambiare ancora. Mia madre mi ha ripetuto talmente tante volte che nella vita bisogna lavorare duro per guadagnarsi un posto di lavoro degno di rispetto, che con il tempo ho imparato a farmi andare bene qualsiasi cosa purché io viva lontana da lei. Indipendentemente dalla mia carriera lavorativa, lei continuerà a trattarmi come se fossi un'inetta che non sa cosa vuole dalla vita.

Da quando Martha è diventata una stronza arrogante che si dà da fare più di Stephen King con i libri, è automaticamente diventata la sua preferita.

Cosa posso dire? Non sono determinata come lei, probabilmente finirò in terapia e userò il mio stipendio per comprarmi antidepressivi e pagarmi lo psicologo. Il mio obiettivo giornaliero non è quello di scattarmi dieci foto ogni ora come mia cugina e postarle su cinque social diversi per raccogliere migliaia di cuoricini e commenti, ma è quello di arrivare a fine giornata senza sentirmi un fallimento.

Lavorare per Kenneth è una sfida. Andava tutto bene. Davvero, sono passata dal "Ha intenzione di licenziarmi?" a "Vorrei dimettermi e andarmene a Helsinki".

E in tutto ciò, non riesco a capire di chi sia la colpa. L'attrazione tra noi due è palpabile, ma la verità è che non mi vuole davvero. Probabilmente sarei soltanto un altro stupido bocconcino di scarsa qualità nel suo piatto.
Dio, quanto odio quest'uomo! Però sa essere così dannatamente affascinante che non riesco ad ignorarlo come, invece, fa lui. A quanto pare è il suo nuovo hobby.

«Kendra, hai sentito cosa ti ho detto?», chiede Emma mentre è impegnata a scegliere quale filtro di Instagram usare per farsi un selfie.

Vorrei avere la sua spensieratezza in questo momento, ma sorrido e prego di non avere un crollo psicotico proprio adesso.

«No, potresti ripetere, per favore?», mi massaggio le tempie.

«Tiffany ha detto che tra poco il capo vuole vederti nel suo ufficio. Che hai combinato questa volta?»

Beh, l'ultima volta gli ho ficcato la lingua in bocca e poi lui è finito con le labbra sulle mie tette. Ma ovviamente non pensavo che fosse così terribile baciarmi. Talmente terribile che preferisce starmi alla larga.

L'ultima volta che mi ha rivolto la parola, è stato quando stavo firmando dei documenti davanti a Christine e lui si è assicurato che io abbia ricevuto l'anticipo. Ho visto il sopracciglia della sua segretaria sollevarsi lentamente man mano che il disgusto prendeva forma sul suo viso. Sì, adesso sicuramente sapranno tutti che sono una poveraccia. E dalle continue risatine di Tiffany e delle sue colleghe deduco sia andata proprio così: sono diventata la loro mascotte.

«Vorrei saperlo anche io», borbotto, fissando il soffitto bianco.

«Tranquilla, Lexie verrà con te», mi informa. Tira fuori la lingua e scatta una foto.

Mi do una spinta all'indietro sulla sedia girevole e mi sporgo per guardare meglio Lexie. Sta fissando attentamente lo schermo del computer e ogni tanto prende appunti sul blocco note che ha accanto alla tastiera.

«Perché?», chiedo avvicinandomi ad Emma.

«Che ne so», si stringe nelle spalle. «Vieni, facciamoci una foto», afferra la mia testa bruscamente e la avvicina alla sua.

«Come ti chiami su Instagram? Voglio taggarti», dice mentre clicca sul tasto pubblica.

«Non ho Instagram», mento spudoratamente.

«Non dirmi cazzate. Sei molto sempliciotta, quindi fammi indovinare...», digita un paio di nomi finché non spunta il mio profilo tra i suggeriti. Intercetta la mia foto e grida: «Lo sapevo!», e poi mi tagga. Così, dal nulla.

Mi sforzo di sorridere e prendo il mio cellulare da sopra la scrivania.

«Ti ho mandato la richiesta. Ripubblica la foto», insiste e per evitare di spaccarle la tastiera del computer in testa, la ripubblico e poi me ne torno al mio posto. Non riesco più a seguire nulla. Le lettere si mischiano tra di loro, le frasi sembrano in arabo antico, la testa sta per scoppiare.

«Cazzo», dico ad alta voce poggiando in seguito gli avambracci sulla superficie di legno.

«Andiamo, Kendra!», dice Lexie alzandosi dalla sedia. Emma solleva il pollice in su e sorrido imbarazzata. Certe volte invidio il suo menefreghismo. Non ha paura che il capo la becchi mentre sta provando il filtro con le farfalle? Non teme il licenziamento?

Ti fai troppi problemi, Kendra. La vita è bella. Sorridi, dannazione.

«Perché stai sorridendo?», chiede Lexie a bassa voce.

Perché sto dando degli ordini precisi al mio cervello e tu stai rovinando il mio piano, vorrei dire.

«Staserà mangerò il sushi», invento sul momento. E adesso ho davvero voglia di sushi, quindi forse non sarà solo una bugia.

Lexie cerca di lisciare con le mani il suo vestito color caramello e poi passa ai capelli biondi, spazzolandoli con le dita.
Si ferma di colpo e si specchia nel vetro del distributore automatico, controllando che il lipgloss sia a posto.

«Ho qualcosa tra i denti?», mi chiede, mostrandomeli. Scuoto la testa.

«Hai una macchia di caffè all'angolo della bocca», mi fa sapere proprio nel momento in cui inizia a bussare alla porta.

«Avanti», dice Kenneth con voce perentoria.

Lexie mi precede e io faccio un passo avanti mentre sfrego furiosamente il polpastrello all'angolo della bocca.

Kenneth piega il capo e mi guarda con aria confusa, poi distolgo lo sguardo e cerco di darmi un tono. «Salve.»

«Prego», il nostro capo indica le poltrone e prendo posto accanto a Lexie. Lei accavalla le gambe sollevando di poco il vestito. Schiena dritta, sorriso timido sul viso e occhi a cuoricino.

Poi ci sono io che sto inviando la sua ottima postura. Se stessi dritta come un palo probabilmente dopo trenta secondi avvertirei il mal di schiena e correrei dall'ortopedico.

«Deve dirci qualcosa?», azzarda a chiedere Lexie mentre Kenneth annuisce silenziosamente e continua a digitare qualcosa sulla tastiera.

E attendiamo senza dire nulla. Inizio a contare le penne che ha sulla scrivania per passarmi il tempo. Poi passo agli evidenziatori. Ai libri. E infine agli insulti che gli sto indirizzando. È freddo. Impassibile. Come se non fosse successo niente tra di noi. Di nuovo.
E aspettiamo senza dire una parola. Ci scambiamo uno sguardo interrogativo e continuo a maledirlo mentalmente.

Finché non mi stanco e dico: «E quindi? Aveva bisogno di compagnia o deve effettivamente dirci qualcosa?».
Lexie si gira verso di me con occhi spalancati, facendomi cenno di stare zitta.

Kenneth solleva lentamente lo sguardo e riduce gli occhi a due fessure. «Attendo l'altra mia assistente.»

Involontariamente alzo gli occhi al cielo e mi trattengo dal cavarmeli da sola con una penna. L'altra. Perché io lo sono soltanto quando non ha la luna storta.

Poco dopo Tiffany entra nel suo ufficio con dei fogli tra le mani, che deduco abbia stampato qualche minuto fa.

«Prossimamente ci saranno dei cambiamenti», ci informa, leccandos le labbra. Ha una brutta cera oggi.

Tiffany incrocia le braccia al petto stizzita, come se avesse già appreso la notizia.

«Mi licenzierà?», chiede all'improvviso Lexie e mi scappa una risata.

«Teovi il licenziamento divertente, Collins?», chiede Kenneth guardandomi con aria dubbiosa.

«No», rispondo apatica.

Penso ancora che mi licenzierà da un giorno all'altro, quindi non è divertente. Ma è divertente il fatto che non sono l'unica a vivere con questa paura. Mi sento, in un certo senso, capita.

«Bene, perché non ho intenzione di provare rimorso per la decisione che ho già preso», dichiara, ma io non comprendo la sua frecciatina.

Inizio a tamburellare velocemente le dita sulle ginocchia e guardo di sfuggita Tiffany, che sta appoggiata con il sedere alla sua scrivania. Accidenti, le è permesso fare questo?

Kenneth afferra il collo del maglione e con l'altra mano afferra dei fogli e inizia a sventolarli davanti al viso. No, non sta decisamente bene.

«Le manca l'aria? Posso aprire la finestra, se vuole», dico con voce melliflua. Lui punta i suoi occhi verdi su di me ma non dice nulla; sembra scosso. Mi alzo dalla poltrona e vado ad aprire la porta del balcone, passando accanto a lui. Il suo sguardo scivola sulle mie gambe e poi si schiarisce la gola.

Mi siedo di nuovo sulla poltrona e lo sento borbottare: «Sì, grazie. Molto gentile», e percepisco una sfumatura di sarcasmo nel suo tono di voce.

«Tiffany si assenterà per un paio di giorni e io ho bisogno che lei...», si ferma, cercando di ricordare il suo nome. «Lexie», lo aiuto io.
«Sì, ho bisogno che Lexie prenda il suo posto. Se non è un problema, ovviamente», le sorride in modo quasi ammiccante. Sia io e sia lei spalanchiamo la bocca nello stesso momento, ma io mi affretto a richiuderla.

Lei prende a boccheggiare in modo imbarazzante, probabilmente l'emozione ha ucciso i suoi neuroni in questo momento e capisco anche il perché. Ogni volta che Kenneth sorride in quel modo che ti spinge quasi a volerti togliere i vestiti di dosso, io sento il mio imene rompersi per la centesima volta.

Ora capisco anche cosa intendeva Eileen ogni volta che diceva "Il suo sorriso l'ho sentito dritto nella mia vagina", quando mi raccontava dei suoi magnifici appuntamenti.

«Collins!»

La mia migliore amica dovrebbe darmi qualche dritta su come comportarmi con i ragazzi. Ci serve un manuale, un paio di regole come se fosse il fight club dei cuori spezzati.
Sorrido all'idea. Glielo dovrei davvero suggerire.

«Collins!»

E forse dovrei davvero godermi la vita. Diamine, non fa davvero così schifo e io sono incredibilmente-

«Santo Dio, Kendra!», la voce di Kenneth mi arriva come il suono di un tamburo alle orecchie.

«Eh?», chiedo guardandolo spaesata.

Kenneth si passa la mano tra i capelli, un gesto pieno di frustrazione.

«Mi stai ascoltando?», domanda, intrecciando le dita delle mani davanti alla bocca. I suoi occhi sono sul punto di trafiggermi.

«No, mi scusi. Il mio cervello a volte se ne va», dico in preda all'ansia. «Non letteralmente», aggiungo con una risatina, ma decido di tapparmi definitivamente la bocca.

«Stavo dicendo...», riprende a dire con un sospiro profondo. «Non farai più parte del comitato di lettura.»

Mi alzo dalla poltrona e annuisco, cercando di elaborare la notizia.
«Va bene, quindi sono licenziata. Me lo aspettavo», mormoro amareggiata, iniziando sin da subito a farmi i conti per la spesa, le bollette e l'affitto. Sì, al diamine l'essere giovani e indipendenti! Morirò di fame.

«No, Collins. Ti darò la possibilità di lavorare come editor», afferma e si appoggia con la schiena allo schienale della poltrona imbottita.

E dalla mia bocca esce un urlo così forte che mentre Lexie e Tiffany mi guardano spaventate, Kenneth cerca di trattenere il sorriso divertito.

«Davvero?», chiedo. L'allegria sta esplodendo nel mio petto come fuochi d'artificio.

«Davvero. Spero tu riesca a dare il meglio di te come hai fatto fino ad ora. Congratulazioni», mi guarda da sotto le ciglia per un breve istante. La sua voce è priva di alcuna emozione.

«Grazie», sorrido cordialmente.

«Bene. Sistemeremo questa cosa più tardi», mi informa, e per un attimo ho pensato che si stesse riferendo ad altro. Anzi, la sua frase sembra una minaccia.

Il suo sguardo è così affilato che potrebbe dividermi in due.

Il cellulare inizia a vibrare nella borsetta. Mi affretto a prenderlo, ma mi va di traverso la saliva non appena leggo il messaggio da parte di Eileen.

"Stasera hai un appuntamento. Inizia a decespugliare la caverna, magari sarai pure fortunata."

Inizio a tossire convulsamente. Sto per avere un crollo mentale. Questa volta davvero.

Kenneth si precipita nella mia direzione, mettendomi la mano sulla schiena e chinandosi verso di me. «Tutto bene, Collins? Ti senti male?», chiede. Premo la mano sul petto e il cellulare mi cade dalle mani. Si abbassa per prenderlo e legge involontariamente il messaggio sullo schermo. È più ficcanaso di me!

I lineamenti del viso si irrigidiscono. «Tieni. Vuoi un po' d'acqua?», mi passa il cellulare e scuoto la testa.

«Ora vado», gracchio. Continuo a schiarirmi la gola e lui mi fa cenno di andare via. Potrei giurare di aver visto la rabbia ardere nei suoi occhi. Ma non è possibile. Kenneth Harrison è sempre diplomatico. Sempre calmo e calcolato.

E poi, non sono mica come Leslie, giusto?

Esco in fretta e furia, maledicendo Eileen in cento lingue diverse. Ma perché fa le cose senza comunicarmele prima?

✨🌻✨

«Ho fatto bene, dunque!», grida la mia migliore amica, riferendosi all'appuntamento di stasera. «Cazzo, ora sì che devi festeggiare come si deve. Tranquilla, ci sarò anche io lì nei paraggi», mi fa l'occhiolino allo specchio mentre sistema gli ultimi boccoli e mi spruzza il profumo addosso.

«Che meraviglia!», esclama toccandosi le guance. «Sei così bella stasera. E questo look selvaggio ti regalerà sicuramente qualche gioia», afferma con aria pensierosa. Non penso di aver visto qualcuno più incantato di lei quando mi guarda o mi fa i complimenti.

Eileen mi alza l'autostima e non deve nemmeno la aprire la bocca per dire qualcosa, perché i suoi occhi parlano al posto suo.

«Hai una foto di questo tizio? È carino almeno?», chiedo giusto per assicurarmi di non trovarmi davanti un uomo di settant'anni.

«Io trovo solo ragazzi carini», mi fulmina con lo sguardo. «E comunque, ecco a te le regole per il Club dei cuori spezzati», sventola davanti al mio viso un foglio di carta. Si è dimenticata la parola Fight, ma mi sta bene anche così.

Membri del club: Kendra (metterei anche il mio nome, ma non ho il cuore spezzato).

Fondatrice: Kendra Collins

Co-fondatrice: Eileen Park

Regole scritte da: Eileen

Idea di: Kendra

Obiettivo: buttare il vecchio cuore nella spazzatura insieme al proprio ex e cercarne uno nuovo.

Regole:

1) Se ti viene da piangere, si prega di alzare lo sguardo verso il cielo e pregare che un uccello caghi in testa al tuo ex o alla persona che ti ha spezzato il cuore.

2) se ti viene voglia di mangiare dolci, elimina questo pensiero dalla testa sacrificandoti e facendo dieci squats.

3) niente canzoni depresse. Si prega di ascoltare soltanto canzoni che ti fanno venire voglia di spaccare i culi. Per esempio Raise Hell di Dorothy.

4) Anziché piangere per la vecchia preda che non è più tua, vai a caccia. Una leonessa non piange per un'antilope, ma ne cerca un'altra. Quindi sii la leonessa anziché l'antilope.

5) se la sera ti viene da piangere, bevi un bicchiere di vino e fatti un complimento.

6) se vuoi umiliarti, allora fallo con stile. Niente rimpianti. Solo conquiste.

7) niente regali a chi ti ha fatto male. Niente scuse se non ti senti realmente in colpa. Niente messaggi strappalacrime. Niente chiamate.

8) se sei ubriaca, spegni il cellulare. Niente chiamate imbarazzanti.

9) se ti senti davvero sola, ordina una pizza e guarda un bel film.

10) masturbati.

Fisso l'elenco delle regole e batto lentamente le palpebre.

«L'ultima è valida sempre. Non aspettare un uomo per farlo, ma datti da fare. Prenditi cura di te stessa. Se stasera andrà male, avremo il vino sul tavolo e compreremo dei fish & Chips», mi fa l'occhiolino e mi fa alzare, squadrandomi dalla testa ai piedi.

«Ma quelle regole... Pensi che riusciremo a rispettarle?», chiedo a bassa voce.

«Sì, altrimenti dormirai fuori. Sulle scale. E dirò ad Arnold di tenerti compagnia», mi mostra il suo sorriso gelido e ho un brivido sulla schiena.

«Va bene, andiamo...», sospiro e spero che le cose vadano davvero per il verso giusto. Non mi dispiacerebbe trovare pace per almeno una serata.

Quando arriviamo davanti al ristorante, fuori, davanti ad una macchina grigia, ci aspettano due ragazzi. Eileen inizia a tirarmi gomitate, indicandomi con un cenno del capo il ragazzo che continua a fare girare il portachiavi intorno al dito. Solleva gli occhiali da sole e li incastra tra i capelli biondi, poi mi rivolge un sorriso ammiccante.

«Ma è sera. Perché porta gli occhiali da sole?», bisbiglio, guardando con la coda dell'occhio la mia amica.

«Zitta. Indossa pure il cappotto, vedi? A te piacciono i tizi così.»

«Ciao!», mi trema leggermente la voce a causa del freddo. Ma perché diamine mi sono messa questo vestito leopardato addosso?

«Eccoci!», esclama allegramente Eileen. «Sto morendo di fame!»

Non riesco nemmeno ad aprire bocca. Cosa si dovrebbe dire in situazioni simili?
Il cellulare inizia a squillare incessantemente, ma non rispondo.

«Io sono Kendra», mi presento, allungando la mano verso di lui. Occhi azzurri e sorriso che ti fa sciogliere. Non è male, ma il suo sguardo non promette nulla di buono.

Sento il trillo della notifica.

«Un secondo», mi scuso, prendendo il cellulare dalla borsa.

Rimango a bocca aperta non appena vedo i messaggi da parte di Kenneth.

"Non sei andata a quell'appuntamento, vero?"

"Ci sei andata, non è così?"

"Collins, rispondi"

"Collins?"

"COLLINS! Inizio a cercarti per tutta la città."

"Ignora i messaggi, ho la febbre"

«Ehm... Vogliamo entrare?», domanda gentilmente il ragazzo, provando ad avvicinarsi di più a me. Nascondo immediatamente il cellulare nella borsa e sorrido freddamente. Perché a me?

Nella mia mente iniziano ad affestellarsi i pensieri più assurdi. Perché mi ha scritto? E se stesse davvero molto male?

«Idiota. Rimani con la mente qui», mi ammonisce Eileen. E ancora una volta, Kenneth riesce, con la sua indecisione e la sua assenza, a scombussolarmi la mente.

Quanto ti odio, Harrison.
E quanto odio me stessa, Dio! Sono stanca di corrergli dietro. Sono stanca di sentire il mio stomaco in subbuglio soltanto a sentire il suo nome. Sono stanca di sentire il mio cuore scalpitarmi nel petto come impazzito quando i suoi occhi cercano me.

Inizio a pensare che mi abbia offerto il nuovo lavoro soltanto perché sa che i soldi non mi bastano. Non è un modo per essere gentile con me. So come risponde agli altri, diamine a malapena ricorda il nome della sua assistente! L'ha fatto soltanto perché sa di aver sbagliato.
Harrison non è così gentile e io non ci cascherò questa volta.

✨🌻✨

Una risata sguaiata abbandona la mia bocca mentre David raccolta l'ennesima stupida barzelletta. E io come un'idiota, non ho ancora capito se stia ridendo per compassione oppure se abbia davvero l'umorismo così rotto.

Eileen invece ogni tanto mi fa cenno di smetterla e di sfoggiare tutte le mie doti da vera predatrici che mi ha tramandato.
Ma io non sono come lei.
Mentre la mia migliore amica flirta spudoratamente con Klaus, l'altro ragazzo, io penso di essere arrivata al quinto bicchiere di vino e non penso sia abbastanza, perché continuo a sentire la mancanza di Kenneth.

«Sei davvero bellissima», mormora David al mio orecchio, sfiorandomi dolcemente il collo con i polpastrelli.

Klaus allunga una mano sulle spalle della mia amica, ma lei mi indica il bagno con un cenno della testa.

«Scusami, torno subito», dico a David.

«Andiamo ad incipriarci il viso, torniamo subito», Eileen sorride melliflua e si alza, raggiungendomi.

Appoggia il palmo della mano sulla mia schiena e mi guida verso il bagno.
«Quando ti ho suggerito di lasciarti andare, non intendevo questo», mi rimbrotta fulminandomi con lo sguardo.

«Beh, che cosa c'è? David è divertente, e poi tu sto cercando di prendere esempio da te», mi stringo nelle spalle e mi appoggio al lavandino.

«Klaus non è il mio tipo. Certo, magari sa scopare da Dio e io non lo scoprirò mai. Non suscita niente in me. Zero. Nada», si passa una mano tra i capelli corti e rilascia un sospiro affranto.

«Allora prendi un taxi e vai a casa», suggerisco. Mi volto per guardarmi allo specchio. Abbasso ancora un po' il vestito e sistemo meglio la scollatura.

«Lo farei. Mi ha scritto di nuovo Cody, il fratello del tuo capo. A quanto pare vorrebbe concedermi un altro appuntamento. Il mio culo deve avergli fatto perdere la testa», sghignazza. Apre la borsetta e si passa nuovamente il rossetto sulle labbra.

«Oh, attenta», le punto l'indice contro. «Penso che gli Harrison siano stronzi fin dentro il midollo».

«Io gli stronzi li tengo al guinzaglio, tesoro», mi fa l'occhiolino e viene verso di me, sistemandomi i capelli con le dita. «Se vuoi restare, fai pure. Ma voglio che tu sia consapevole di quello che stai facendo, Kendra.»

«Andrà tutto bene. Magari del buon sesso mi farà stare meglio», alzo il pollice in su. Non sono totalmente convinta delle mie parole e sono quasi certa di non essere alla ricerca di un uomo. Mi aggrappo all'idea che una notte di sesso con uno sconosciuto possa, in qualche modo, farmi stare meglio.

Eileen scuote la testa. «Ricorda le nostre regole e chiamami in caso di bisogno. Hai capito?». Annuisco come una bambina e poi torniamo al nostro tavolo.

Klaus ci guarda con circospezione, poi la mia migliore amica esclama: «Il mio cane ha mangiato di nuovo il mio cioccolato e adesso ha la diarrea. Purtroppo non posso restare. Devo assolutamente trovare un veterinario».

«Beh, io lo sono!», Klaus si indica con entrambe le mani, un sorriso sincero gli illumina il volto.

«Che coincidenza», mormoro guardando con la coda dell'occhio la mia amica.

«Ah, cavolo! Ho detto cane? Intendevo il mio coinquilino! Devo portarlo al pronto soccorso. Ti scriverò!», lo saluta, dandogli una pacca amichevole sulla spalla. Penso abbia capito che non riceverà alcun messaggio da parte sua.

«Cavolo, mi dispiace, amico! Io e lei passeremo la serata da un'altra parte», gli fa sapere David. L'amico invece continua a fissarci con aria interdetta. Non penso abbia ancora realizzato ciò che è appena successo.

«Ho prenotato una stanza per stasera», sussurra al mio orecchio.
Dunque se l'aspettava? Diamine, sono davvero prevedibile allora!

«Bene», fingo un sorriso e mi porto il bicchiere alle labbra, trangugiando il vino fino all'ultimo goccio.

David si alza in piedi e allunga la mano verso di me. «Vogliamo andare?».
Prendo la borsetta e il cappotto e lo seguo verso l'uscita. Klaus rimane seduto al tavolo con un'espressione confusa sul viso.

David mi apre lo sportello e mi fa salire in macchina. «Il tragitto sarà breve», strizza l'occhio.

Quando arriviamo mi prende per mano e andiamo verso l'ascensore.

Avrei dovuto bere di meno.

Saliamo al secondo piano e David apre la porta della stanza per me, facendomi entrare per prima.
Accende la luce e poi si toglie la giacca e la lancia sulla poltrona, sbottonando in seguito i primi bottoni della camicia.

«Non sei sexy come lui», borbotto avvicinandomi con passo felpato. Gli sfioro il petto, lui sorride.

«Non so di cosa tu stia parlando, ma...», si butta sul letto e slaccia la cintura dei pantaloni. «Prendilo e divertiti».

Penso abbia preso un po' troppo sul serio il mio vestito leopardato. Non intendo saltargli addosso come se fosse una mia preda.
Cazzo, mi sta salendo un conato di vomito.

«Vado un attimo in bagno», dico sollevando l'indice, facendogli cenno di aspettarmi. Lascio il cappotto sullo schienale della poltrona, mi chiudo a chiave in bagno e mi siedo sulla tavoletta del water.

Prendo il cellulare dalla borsetta e clicco sull'icona dei messaggi,  cercando poi il suo nome.

”Sono in una stanza d'hotel con David, ma ancora una volta, niente vasca con l'idromassaggio."

Appoggio la testa al muro e apro il rubinetto, lasciando che l'acqua scorra giù.

Kenneth mi risponde immediatamente.

"Nome dell'hotel. Subito".

"Perché? Vuoi venire a salvarmi? In effetti forse dovrei andare via. David aspetta che io salga sul suo cazzo".

Mi porto la mano davanti alla bocca. Questo forse non dovevo dirlo.

"Nome. Dell'hotel. Subito."

Mi guardo intorno e fisso il nome ricamato sull'asciugamano.

Scrivo il nome e mando l'ultimo messaggio.

Harrison si preoccupa per me. Beh, almeno se dovesse finire male, almeno qualcuno saprà dove sono.

Dopo aver passato almeno dieci minuti in bagno, chiudo il rubinetto ed esco fuor. David si è tolto i pantaloni e la sua erezione evidente mi fa contorcere la bocca in una smorfia di disgusto.

«Cosa aspetti? Gattona fino a qui», batte il palmo sul materasso e si morde il labbro. Io rimango immobile davanti alla porta del bagno, indecisa se darmela a gambe levate o pregare che la stanza si allaghi all'improvviso.

«Non è come l'avevo immaginato», riesco a dire con un sorriso finto.

«Ho il cazzo duro e mi fanno male le palle. Dovresti davvero fare qualcosa», divarica di più le gambe e io trattengo il respiro.

«Sai cosa? Ho cambiato idea! Adesso chiamerò un taxi e-», non riesco a finire la frase. David salta giù dal letto e viene verso di me con aria determinata.

Appoggia la mano sulla mia spalla e la stringe, costringendomi ad abbassarmi sulle ginocchia.

Barcollo leggermente e ancora prima che lui tiri fuori dai boxer il suo membro, io mi piego e vomito sui suoi piedi.

Qualcuno bussa alla porta.

«Servizio in camera», dice qualcuno.

«Non ho ordinato niente», grida David. «Maledetta stronza», mi dà una spinta all'indietro. Mi pulisco la bocca con il dorso della mano e lo guardo con la vista offuscata. Dio, che imbarazzo!

L'uomo continua a bussare incessantemente e David va ad aprire, stringendo i pugni.

«Non ho ordinato niente, cazzo! Ti conviene-», appena apre la porta, Kenneth fa irruzione nella stanza e inizia a perlustrarla con occhi incendiati dalla rabbia. I suoi occhi si posano su di me e mi sembra quasi di vederlo sospirare. Mi raggiunge a grandi falcate e si abbassa sulle ginocchia per guardarmi in faccia.

«Sei davvero tu?», gli chiedo, premendo un dito contro la sua mascella spigolosa.

«Collins, prima o poi mi farai perdere del tutto il lume della ragione», dice tenendomi forte per le braccia.

«Ehi, tu chi cazzo saresti?», chiede David, avvicinandosi con aria minacciosa a Kenneth.

«La vera domanda è: chi cazzo sei tu?», ribatte Kenneth iroso. Poi si gira verso di me. «Andiamo».

Senza alcuna spiegazione, lo seguo nel corridoio con la borsa stretta al petto.  Kenneth si ferma per  posarmi sulle spalle il cappotto.
Nemmeno lui sta molto bene. Sembra stanco e ha la fronte imperlata di sudore. Dio, la sua mano scotta.
Una volta dentro la sua macchina, stringe il volante finché le sue nocche non diventano bianche. «Non ti ha toccata, vero?», chiede all'improvviso.

«Non proprio», bisbiglio.

«Avrei tante cose da dire, Collins. Davvero tante. Ma starò zitto», si passa il dorso della mano sulla fronte e riporta l'attenzione sulla strada.

Quando arriviamo a destinazione, mi aiuta a scendere dall'auto, ma visto il mio stato confusionale, decide di prendermi in braccio e trasportarmi su per le scale.

Questa dev'essere casa sua.

«Devi lavarti», mi dice con il solito tono perentorio.

«Mi sono già lavata prima», mormoro chiudendo gli occhi.

«Voglio che il tocco di quel coglione sparisca dalla tua pelle», mi rimette giù e accende la luce del bagno.

«Oddio, hai la vasca con l'idromassaggio!», esclamo con enfasi e mi avvicino per osservarla meglio.

«Visto che ti piace tanto, è tutta tua adesso», afferma, distogliendo lo sguardo. Si avvicina soltanto per riempire la vasca d'acqua e poi prende di nuovo le distanze, restando immobile sulla soglia della porta.  «Lì trovi tutto l'occorrente», indica il bagnoschiuma e l'accappatoio e io annuisco.

Abbasso lentamente le bretelle del vestito, finché non lo sento scivolare lungo le mie gambe.

Kenneth si schiarisce la gola e si avvicina al lavandino. Apre il mobiletto e mi porge uno spazzolino nuovo. «Se hai bisogno di altro, chiedi e basta».

«In effetti, avrei bisogno di qualcosa», estraggo lo spazzolino dalla confezione e prendo il dentifricio. Mentre lui attende una mia risposta, io mi lavo i denti.

«Cosa?», domanda.

«Resta qui con me», gli indico la vasca con un cenno della testa.

«Non posso, Kendra. Goditi il bagno», stringe la mascella ed esce fuori, chiudendosi la porta alle spalle.
Dio, ma cosa diavolo mi prende? È pur sempre il mio capo, maledizione!

Mi tolgo l'intimo e mi immergo nella vasca. Vengo subito accolta da un calore e da una sensazione paradisiaca.
«Non può essere reale», mormoro chiudendo gli occhi. «Sono finita in paradiso».

Qualcuno mi scuote delicatamente per la spalla.
«Svegliati, Collins».

Apro immediatamente gli occhi e mi guardo intorno spaesata.

«Va tutto bene. Sei con me», cerca di tranquillizzarmi. «Ho bussato, ma non rispondevi, quindi sono entrato. Stavi dormendo», trattiene a stento un sorriso. Lo trova divertente. Io invece mi sento mortificata.

«Merda, mi dispiace», biascico. Kenneth afferra l'accappatoio e lo appoggia sul bordo della vasca. «Mi giro». Esco dalla vasca e avvolgo il mio corpo gocciolante nell'accappatoio bianco e morbido. Cerco di fare un nodo decente, ma decido di lasciare perdere. Tiro su il cappuccio e dico: «Sono pronta».

Kenneth si gira lentamente, come se non si fidasse delle mie parole e avesse bisogno di controllare con cautela.
«Penso che questa sia la cosa più bella che io abbia mai visto», dice battendo piano le palpebre.
Se intende me in queste condizioni pietose, allora ha sicuramente bisogno di mettersi degli occhiali.
«Vieni, seguimi», usciamo dal bagno e apre un'altra porta bianca.

«Mi sembra la cosa più comoda del mondo», indico il letto e poi mi ci butto di sopra, sprofondando tra i cuscini.

Kenneth si toglie il maglione blu e lo lancia sulla sedia, poi si siede sul letto e si prende la testa tra le mani, sospirando.

«Tu stai bene?», chiedo, girandomi su un fianco.

«Non penso», ammette. Mi rimetto a sedere e mi avvicino a lui, mettendogli le mani sulle spalle nude, facendolo sdraiare. Cerca in tutti i modi di combattere l'impulso di fiondarsi sulla mia bocca. Gli sorrido e passo dolcemente la mano sulla sua fronte.

«Penso tu abbia la febbre», dico assottigliando la vista.

«Hai bisogno di alcuni vestiti asciutti», cambia discorso e fa per alzarsi dal letto, ma glielo impedisco.

«Sto bene così, Kenneth. Davvero», affondo il gomito nel cuscino e rimango sdraiata sul fianco ad ammirarlo.

«Smettila di guardarmi in questo modo», gira la testa verso di me.

«Perché? Non riesci più a trattenerti?», chiedo con una punta d'ironia nella voce.

Lui chiude gli occhi e poi dice tra i denti: «Rendi le cose abbastanza difficili, Collins», rotola sopra di me e preme la bocca contro la mia, baciandomi con foga.

Emetto un gemito mentre gli afferro la mano e la sposto lentamente sotto il tessuto dell'accappatoio. Le sue dita calde sfiorano il mio interno coscia e io divarico di più le gambe.
Appoggio la mano sul suo collo e chiudo gli occhi, abbandonandomi al tocco delle sue dita sulla mia pelle e ai brividi che la sua bocca mi fa provare. Il suo corpo muscoloso copre completamente il mio e la sue dita scavano nella mia carne, facendomi inarcare la schiena.  Scende con le labbra sul mio seno, la sua lingua umida stuzzica il mio capezzolo mentre con l'altra mano scioglie  il nodo dell'accappatoio.

«Se ti dicessi che sei più bella di qualsiasi altra cosa che i miei occhi abbiano mai visto e toccato, mi prenderesti per pazzo?», dice con affanno mentre riprende a baciare ogni centimetro del mio corpo.

«Toccami, Kenneth», lo prego, affondando i denti nel mio labbro inferiore.

«Voglio», lascia un bacio sulla vena del mio collo. «Che sulla tua pelle», me ne lascia un altro al centro del petto. «ci sua soltanto», scende ancora più in basso, «il mio tocco», mi bacia sopra l'ombelico e poi sento la sua mano farsi spazio tra le mie gambe.

La sua bocca ritrova la mia, cattura un gemito nel momento in cui le sue dita scivolano tra le mie pieghe bagnate.
«Kenneth», sussurro aggrappandomi con forza alle sue spalle.

«Mi piace quando dici il mio nome in questo modo. Mi fa impazzire, Collins», mi bacia di nuovo, risucchiando tra i denti il mio labbro inferiore; smetto di respirare non appena sento le sue dita calde entrare lentamente nella mia vagina mentre con il polpastrello mi sfiora il clitoride.

«Cazzo», dico mordendogli il labbro e conficcando le unghie nella sua schiena mentre lui muove le dita dentro di me.

«Fammi venire», lo supplico spingendo la sua testa verso il mio collo. Con la bocca traccia un percorso di baci languidi lungo il mio collo e io penso di essere appena finita in paradiso. Le sue dita aumentano il ritmo, il suo palmo picchietta dolcemente sul mio punto più sensibile e ad ogni colpetto sento le dita dei miei piedi curvarsi e l'orgasmo travolgermi in pieno.

Kenneth bacia il mio corpo tremante, il suo respiro caldo si infrange contro il mio ventre. Lascia un bacio sotto l'ombelico e solleva di poco lo sguardo, guardandomi con aria soddisfatta ma al contempo stanca.

«Stai bene?», mi chiede, sorreggendosi sopra di me.

«Mai stata meglio», sussurro, dopodiché sbadiglio e un sorriso prende vita sul mio volto. Kenneth scende dal letto e va ad aprire l'armadio. Prende una maglietta bianca e un paio di boxer e me li lancia. «Vestiti», ordina.

Con un sospiro mi metto a sedere e faccio come dice. Mi abbandono di nuovo tra i cuscini e mormoro con voce assonnata: «Adesso so soltanto che vorrei le tue mani sul mio corpo per il resto della mia vita».

Il sorriso sparisce dal suo volto e con uno scatto veloce si alza dal letto. «Dormi bene, Collins», esce dalla stanza, lasciandomi da sola.
Vorrei urlargli qualcosa contro, ma la stanchezza prende di nuovo il sopravvento e chiudo le palpebre.

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