Capitolo diciannove

Capitolo lungooo❤️ non ve lo aspettavate, lo so! 😌

«Mi sento in trappola», ammette Kenneth con voce malferma e sommessa. Un rivolo di sudore scivola lungo la sua tempia, ma si affretta ad asciugarla con il dorso della mano. Nonostante la sua faccia mi appaia sfocata, noto, forzando un po' la vista, la stanchezza impressa sul suo volto.

«Perché?», sussurro, chinando il capo e provando a trattenere le lacrime.

«Perché è tutto quanto una trappola, Collins... Vorrei spingermi oltre, vorrei...», fa una pausa, sospirando profondamente. «So che potresti capire, se solo parlassi di più... Ma non voglio. Non ho mai avuto paura, eppure con te è diverso. Avevi ragione tu», rivolge lo sguardo dall'altra parte, ignorando i miei occhi supplichevoli.

Uno schiocco di dita vicino all'orecchio mi fa aprire gli occhi. Rimango immobile nella stessa posizione per un paio di secondi. La figura longilinea accanto al letto inizia ad indietreggiare lentamente.
Mi stropiccio gli occhi e sbadiglio, cercando di schermarmi il viso con una mano per impedire ai raggi del sole di accecarmi di prima mattina.

Dio, che sogno strano!

Giro lo sguardo e affondo il viso nel cuscino morbido. Profuma di fresco... E di uomo.
Apro lentamente gli occhi e la prima cosa che noto è il colore marrone delle pareti. Sollevo lentamente la testa e osservo le due applique ancora accese poco più sopra la testata del letto; emanano una luce calda e accogliente. Sul comodino alla mia destra vi sono appoggiati una lampada, una tazza azzurra, una pila di libri e delle compresse.

Abbasso lo sguardo sulle lenzuola bianche e sulla coperta color crema che mi avvolge.

Quindi alla fine ci sono andata a letto. Complimenti, Kendra!

Sbadiglio e ancora leggermente intontita mi rannicchio sul letto, prendendo l'altro cuscino e stringendolo forte al petto. All'improvviso mi ricordo di non essere sola nella stanza, quindi mi tiro su con poca grazia e cerco di mettere a fuoco la figura della ragazza, che è appoggiata all'armadio in modo molto sgraziato; ha un'aria stranamente inquietante. E non è Eileen.
Oddio, sono andata a letto con una ragazza?

Mi stropiccio un occhio e poi abbasso lo sguardo sulla maglietta larga che ho addosso e che chiaramente non mi appartiene.

«Dormito bene?», chiede la bellissima ragazza, piegando il capo di lato. Una ciocca di capelli castani scivola davanti al suo volto, ma si affretta a spostarla dietro l'orecchio. Indossa una camicetta rossa e un paio di jeans a vita alta neri. Sulle dita delle mani risaltano e non poco i suoi anelli sicuramente molto costosi. Il rossetto rosso evidenzia ancora di più le sue labbra carnose e gli occhi sono indagatori e curiosi. Ma chi diavolo è?

«Allora?», chiede nuovamente.

«Chi sei tu? E dove sono?», borbotto, cercando di ricordare come diamine ci sono finita qui. Nella mia mente c'è un vuoto enorme.

Guardo alla mia destra e noto con stupore la foto incorniciata che giace sul comò, in mezzo ad altre due. Mi alzo di scatto, la stanza vortica intorno a me ma riprendo l'equilibrio subito dopo, e mi stropiccio nuovamente gli occhi. No, non è possibile.
Cammino quasi in punta di piedi fino al comò e fisso la foto come se mi avessero appena fulminata. «Q-questo è... Questo-», balbetto, guardando di nuovo la ragazza, cercando di non fare trapelare nella voce la paura che sto provando adesso. No, non può essere.
«Quello è Kenneth. E la ragazza sono io», risponde lei. Merda.

Sì, tutto davvero molto interessante, ma dove sono finite le mie cose? Dov'è Eileen?

«I miei vestiti?», chiedo, grattandomi la nuca. Mi sento come se fossi in una nuova puntata di candid camera.

«Qualcuno mi sta filmando a mia insaputa, io lo so», e muovo l'indice sorridendo come una cretina. La ragazza davanti a me inarca un sopracciglio e poi con un gesto scocciato indica i miei vestiti e la borsetta sulla poltrona.

«Spero sia la prima e l'ultima volta che assisto ad una cosa simile!», sbotta, incrociando le braccia al petto stizzita.

«In realtà siamo in due», borbotto raccogliendo le mie cose. «Il bagno?», chiedo dolcemente.

«Fai pure qui, ti aspetto fuori», e con un movimento d'anche come se stesse camminando sulla passerella se ne va e chiude la porta.
Tra un'imprecazione e un pensiero suicida, mi vesto velocemente e mi fiondo verso la porta.

La ragazza mi squadra dalla testa ai piedi. Sta fissando più del dovuto il mio vestito leopardato.
«Nessun animale è stato maltrattato, giuro», alzo le mani per difendermi.

Le sue labbra fremono. Probabilmente vorrebbe accennare un sorriso, ma assume nuovamente un'espressione come se volesse dire "Qui comando io".

«Bene, la porta?», assottiglio le labbra perlustrando con gli occhi il corridoio.
Ci sono ben tre porte chiuse, ma deduco nessuna delle tre sia quella dell'ingresso. Cammino lentamente fino alla fine del corridoio e noto la rampa di scale e la porta del bagno aperta.
Fisso la vasca e deglutisco rumorosamente.

«Oh, porca merda», mi prendo il viso tra le mani. Cosa diavolo ho combinato? Io e Kenneth... Lui tra le mie gambe e io sotto di lui. Alcune immagini confuse scorrono nella mia testa, ma l'unica cosa che ricordo benissimo è l'orgasmo che mi ha travolto. Il mio capo mi ha fatto venire.

«Non vuoi mangiare qualcosa prima?», chiede cordialmente. Non attende una vera risposta, perché mi fa cenno di seguirla.
Man mano che scendo le scale ammiro i vari quadri appesi al muro. Poi faccio l'errore di abbassare lo sguardo e noto le scale di vetro. Sto camminando sul vetro. Ho sempre odiato questo tipo di scale.

«Perché ti sei fermata?», chiede dubbiosa.

«Spero che almeno a questo tipo di scale non piaccia muoversi... Magari frantumandosi in mille pezzi e facendo muovere la mia anima verso il creatore», mi scappa una risata imbarazzata. È uno di quei momenti in cui preferisco buttarla sul ridere altrimenti finirei per buttarmi io dalle scale.

La ragazza si porta una mano davanti al viso, poi il suo petto fa uno strano movimento. Stava per scoppiare a ridere?

«Tranquilla, non sei un buldozer, non si romperanno. Scendi, avanti», con un cenno della mano mi intima a darmi una mossa.

«Dio abbi pietà. Non è arrivata ancora la mia ora. So di aver peccato ma tu peccheresti ancora di più se mi lasciassi morire così, all'improvviso», sussurro tra me e me mentre scendo le scale.

«Assurdo», la ragazza scuote la testa e poi la seguo restando in silenzio.

Entriamo in cucina. Una cucina così brutta che mi pare di essere realmente finita all'inferno.

«Che orrore», commento mentre un brivido sale lungo la mia schiena. «È tutto così triste. Le pareti nere. I mobili neri. Le piastrelle grigie...», dico desiderando ardentemente di fare marcia indietro e scappare.

«Kenneth, ma dove diavolo l'hai trovata?», esclama all'improvviso lei e io non posso fare a meno di guardare il mio capo seduto al tavolo, con gli avambracci sulla superficie di vetro e le dita intrecciate all'altezza del viso.

Abbiamo fatto altro, dopo? Non ricordo nulla! Oh, l'immaginazione corre a briglia sciolta e io vorrei ancora una volta darmela a gambe levate e sperare che tutto questo sia semplicemente un sogno. Eppure, una parte di me continua a desiderarlo come se fosse l'unico uomo sulla faccia della terra.

Non era ciò che volevi qualche giorno fa? Che lui ti toccasse? Beh, l'ha fatto! Ora cosa ti aspetti?

«Kenneth, ho finito», una signora spunta in cucina con un grembiule addosso. Si toglie i guanti di lattice e li getta nella spazzatura.

«Resta ancora un po'», mormora lui, sospirando profondamente.

«So cosa cerchi di fare, giovanotto. Non mi farai perdere tempo per pagarmi di più», ride la signora, andando verso di lui. Gli scompiglia i capelli e poi poggia il palmo della mano sulla sua fronte. «La febbre è scesa?», gli chiede.

Oh, dunque stava male davvero.

E io mi sento tremendamente a disagio.

«Sta meglio, Sandra», dice la ragazza. «Sta molto meglio», e rivolge lo sguardo verso di me.

«Sono stata io a prendermi cura di lui?», chiedo in un bisbiglio. Non ricordo niente.

Insomma, ricordo di aver visto le stelline e di essere crollata. Ma non ricordo di avergli fatto da infermiera.

«In un certo senso...», alza gli occhi al cielo.

«Non volevo scoparmi il tuo ragazzo», mi giustifico alzando le mani in segno di resa. «Io non ricordo niente, davvero. Non ho la più pallida idea di come sia finita qui», inizio a straparlare, l'ansia mi fa diventare quasi delirante. In realtà ricordo di essere andata ad un appuntamento. Non ricordo esattamente com'è finita, ma deduco male, visto che mi sono svegliata nel letto del mio capo.

La ragazza mi fissa intontita.
La signora Sandra mi guarda a bocca aperta.
Kenneth solleva lentamente lo sguardo e mi osserva accigliato.

Si alza piano e viene verso di me. Si ferma a circa un metro di distanza, afferra lo schienale di una sedia e mi fa cenno di sedermi. «Devi fare colazione.»

«Posso andare?», chiede Sandra.

«Portami con te», dico tra i denti sorridendo come una statuetta.

La donna scuote la testa e sorride con piacere. «Tu mi piaci, ragazza», punta l'indice contro di me come se volesse gridare "Collins, scelgo te" e fosse sul punto di lanciarmi una pokéball in testa.

Dio, in che cazzo di casino sono finita?

«Sì, puoi andare», esclama Kenneth, puntando i suoi occhi su di me.

Quando la donna esce finalmente dalla cucina, rimango con Kenneth e la ragazza. Ha mai detto di essere fidanzato? Maledizione, perché ho la memoria corta? Non sarà mica una delle sue tante conquiste?

«Kendra, lei è mia sorella. Si chiama Kennedy», me la presenta.

«Tutte queste K mi fanno venire il mal di testa», dico guardando prima lui e poi lei.
E all'improvviso ho un'illuminazione. La prima volta che ho incontrato Kenneth lui era McDonald's e stava aspettando sua sorella. Beh, osservando entrambi, non c'è una grande somiglianza.

«Sono venuta  a controllare mio fratello, dato che Cody è troppo impegnato a passare il suo tempo sui siti d'incontri», lo dice con una sorta di disprezzo.

Vorrei dire che la mia migliore amica fa la stessa cosa, ma almeno lei per me ha tempo. Così tanto tempo che mi organizza appuntamenti al buio per farmi sentire meno sola.
Oh, a proposito di Eileen.

«Scusate un secondo», afferro il cellulare dalla borsetta e scorro tra i diversi messaggi.

"Ti butto fuori dal club!! Non sei in grado di seguire le regole, pessimo membro! Kendra ti blocco"

"Come hai osato chiamare proprio lui? Avevi me!"

"Ma dove sei?"

"Devo chiamare la polizia?"

"Kendra mi auguro che tu stia scopando"

Digito velocemente "Sto bene. Ti aggiorno"

Sbuffo rumorosamente e la sorella di Kenneth allunga il collo verso di me, come se volesse sbirciare.

«Scusa, ma sai com'è, i diciassettenni di oggi sono molto ficcanaso», dice con una risatina.

«Hai... Tu hai diciassette anni?», le chiedo sconvolta.

Sembra più grande. Si veste molto meglio di me. Ha più stile. E anche più classe.

«Già», dice con aria annoiata. «E adesso vado a casa e continuare a fare le solite cose da diciassettenne», fa ciao con la mano e dà un bacio sulla guancia a suo fratello. «È stato un piacere conoscerti», il suo tono di voce non trasuda sincerità.

«Un grandissimo piacere spero...»

Rimango da sola con Kenneth. Lui fissa me. Io fisso lui.
Lui sembra stanco. Io sono semplicemente confusa. E affamata.

«Vuoi mangiare?», sembra mi abbia letto nel pensiero.

«No, devo scappare», mento.

Il mio stomaco inizia a fare tanti di quei suoni che per un attimo mi fa paura. «Forse un boccone...»

Magari ho le allucinazioni, ma mi sembra di averlo visto ghignare.
Mi passo una mano tra i capelli spettinati e mi avvicino al tavolo.
«Senti... Mi dispiace per ieri sera. Sì, so che non ti piace l'idea che il tuo corpo sia attratto da me e bla, bla, bla, ma non abbiamo fatto nient'altro, vero? Voglio dire, io e te non potremmo fare mai niente di folle», mi metto a ridere e giro lo sguardo dall'altra parte.

Lui mette i piatti sul tavolo e le posate e poi si ferma, guardandomi come se non riuscisse a prendere sul serio ciò che ho appena detto.

«Definisci folle», fa un passo verso di me, inclinando il capo e squadrandomi dalla testa ai piedi.

«Del tipo... sai, svegliarmi durante la notte e ritrovarmi sopra di te», dico tentennando.

«Ti assicuro, Collins, che se dovessi scoparti, te lo ricorderesti per il resto dei tuoi giorni. Quindi no, non l'abbiamo fatto», stringe i denti e riempie il bicchiere con della spremuta fresca di pompelmo.

«Oh, menomale. Non ricordo molto di ieri sera», dico con un sorriso imbarazzato.

Kenneth incrocia le braccia al petto e mi fissa.

«Quindi non ricordi il nostro piccolo sfogo in cucina?», fa un altro passo verso di me fino a sovrastarmi con la sua altezza. Indietreggio verso il tavolo.

«Sfogo? Che tipo di sfogo?», domando in preda al panico. Abbiamo discusso?

In cucina? Quando?

«Mettiti seduta», ordina.

Prendo la sedia e faccio come mi dice.

«No, sul tavolo», lo indica con il mento.

È impazzito?

«Non penso sia il caso. Sto benissimo sulla sedia», un sorrisetto imbarazzato prende vita sul mio volto.

«Siediti sul tavolo, magari così ricorderai.»

Un po' con fare goffo e senza remore mi metto seduta sul tavolo. Si avvicina così tanto a me che sento il suo respiro solleticarmi il viso. Questo sfogo in cosa dovrebbe consistere?

«Prendimi le mani e mettile sulle tue cosce», mi fissa dritto negli occhi senza battere ciglio.

«Tu sei pazzo. Mi baci, mi ignori per giorni e ora mi fai sedere sul tavolo della tua cucina?», dico in tono accusatorio.

Lui ignora le mie parole, mette le mani sulle mie cosce e poi si piega su di me. «Nemmeno questo ricordi?», sussurra al mio orecchio.

Oh... Cazzo. Mi ero svegliata per andare in bagno. Poi ho iniziato a gironzolare per la casa perché stavo morendo di sete. Lui era in cucina.

«No», mento, lui mi lascia un bacio sul collo.

«Peccato, Kendra», le sue labbra continuano a baciare dolcemente il mio collo e con una mano stringe il mio fianco.

Mentalmente potrei fare i salti di gioia, ma penso abbia scelto il momento peggiore per svegliare i miei ormoni.

«Non starò al tuo giochetto. Voglio andare a casa», lo spingo via e scendo giù.

Sono una tale ipocrita, ma io non sono così. Maledizione, non sono mai stata così! Cosa sto cercando? Cosa voglio da lui?

«Eppure pensavo fosse il tuo gioco, Collins. Ieri sera sei stata tu a voler essere salvata da quella situazione disgustosa. Sei stata tu ad avermi spinto a baciarti. Sei stata tu a voler venire per me. Sei stata tu a dirigere tutto questo», mi elargisce un sorriso e si tira indietro, passandosi nervosamente la mano sul collo.

«Io almeno in parte sono coerente», borbotto.

Mi lancia un'occhiata truce, ma non dice niente.

«Oggi non sei andata al lavoro», mi ricorda bruscamente.

E l'unica cosa intelligente che mi viene da dire è: «Nemmeno tu.»

«Io sono il capo.»

Giusto.

«Beh, licenziami allora», faccio spallucce, rassegnandomi.

«Mi stai sfidando?», chiede.

«Non sono già una sfida per te, Harrison?», inarco un sopracciglio, sorridendo maliziosamente.

«Diamine se lo sei!», fa una smorfia buffa con il naso e mentre sento le mie labbra fremere e la voglia di sorridere cresce sempre di più, si fionda sulla mia bocca, stringendomi al suo petto e impedendomi quasi di muovermi e anche di parlare. E so che è incoerente da parte mia lasciarmi andare, ma la sua bocca è paragonabile al posto di lavoro dei miei sogni che riceverei dopo tanta fatica. Una soddisfazione che non ha prezzo.

«Ci siamo sfogati così?», chiedo mentre continua a baciarmi con foga.

«Più o meno», sussurra e mi morde il labbro, poi si allontana lentamente e chiude gli occhi. «Ho la febbre. Non avrei dovuto», si scusa, scuotendo la testa.

«È una scusa? So che stai male, è evidente, ma è una scusa?», indago.

«No, Kendra.»

Tra di noi cala nuovamente il silenzio. Un giorno mi porterà davvero all'esaurimento.

«Sabato nessuno lavorerà. Io non sarò presente, quindi puoi organizzarti e rilassarti. So che è una situazione stressante per te. Lo è anche per me, che tu ci creda o meno», il suo sguardo si incupisce.

«Kenneth, poco fa mi stavi baciando», gli ricordo. Ho una morsa allo stomaco. Il suo modo di ignorarmi tutte le volte che mi bacia inizia a darmi sui nervi.

«Sì. Ma-», abbassa lo sguardo. «C'è una cosa che dovresti sapere... Anzi, più di una cosa. Ma non ci riesco, maledizione! Mi dispiace, va bene? Sono complicato, la mia vita è complicata ed è tutto quanto un casino adesso».

«Sei da prendere a schiaffi», grido, prendo la borsa e mi dirigo verso la porta.

«Non è come pensi, dannazione!», grida alle mie spalle, poi sento un bicchiere rompersi.

«Fanculo, Harrison», bisbiglio, stringendo i denti.

Sembra che qualcuno mi abbia lanciato qualche strana maledizione addosso. Vorrei essere come Eileen in questo momento. Meno fragile, avere meno sentimenti per le persone sbagliate, meno voglia di impegnarmi con qualcuno e più voglia di divertirmi.

Mi chiedo se ci sia ancora qualcuno al mondo idiota come me che continua a sperare in quella persona che arriverà all'improvviso, sceglierà te e ti stravolgerà la vita. Una persona in grado di far sorridere anche i tuoi occhi e non soltanto le labbra.

Mando un messaggio ad Eileen.

"Sei al lavoro? Puoi venirmi a prendere?"

Poco dopo mi arriva la sua risposta.

"Sì. Dirò che si tratta di un'emergenza. Dove sei?"

Le mando l'indirizzo e aspetto.

Quando arriva, scende dalla macchina e apre le braccia per stringermi a sé. «Lo ammazzo.»

«È complicato.»

«L'amore non è mai complicato, Kendra. Le persone sì. Non incasinarti la vita ancora di più, tu meriti di essere felice. Mi senti?»

«Ti sento, mamma», appoggio la testa sulla sua spalla e l'abbraccio forte.

«Non mi offendo se mi chiami mamma. Sei la cosa più bella che ho, idiota», afferma e sorrido. «Il tuo aspetto fa paura e tu dovrai raccontarmi un bel po' di cose», aggiunge.

«Non ricordo niente.»

«E ci credo... Sarò io a raccontarle a te, allora. Non sarà piacevole. David ha parlato con Klaus, e quest'ultimo mi ha scritto mentre ero in fase post sesso selvaggio con Cody.»

«Cody? Il fratello di Kenneth?», la guardo sconvolta.

«Sì, lo so, passo da un cazzo all'altro, ma in realtà Cody non è così male. Ed è anche simpatico. È riuscito a farmi ridere mentre stavamo scopando, ti rendi conto?»

Alzo gli occhi al cielo. «Okay, tieni i dettagli per te».

«Ma io voglio sapere tutto quello che è successo con Kenneth», fa la faccia da cucciolo bastonato e io scuoto la testa sconsolata.

Apro la notifica che mi è arrivata sul cellulare.

«Messaggio da Martha. Mamma vuole pranzare con noi domenica. Vieni con me?», le chiedo speranzosa.

«Ci puoi contare. La tua famiglia mi sta sul cazzo, non ti lascerò da sola con quelle due vipere. Sarò il tuo scudo», mi strizza l'occhio.

«Non serve... Ma so che con te sarà diverso. Sei la migliore», le arruffo i capelli. Adesso sono di colore verde acqua. Le stanno bene.

«Cosa farei senza di te, eh?», chiedo mentre salgo in macchina. Guardo la casa di Kenneth e poi abbasso gli occhi sulle mie cosce nude, dove fino a un paio di minuti fa c'erano le sue mani.

«Magari è confuso e non sa cosa fare.  Gli serve del tempo. Non saltare a conclusioni affrettate, ma non stare lì a rimuginare troppo. Vivi, Kendra», poggia la mano sopra la mia e mi sorride genuinamente, come se mi avesse letto nel pensiero. «Vivi come vivo io e non ti sentirai mai nel posto sbagliato. Si vive ogni singolo giorno, smettila di aspettare il giorno perfetto, perché non esiste.»

E vorrei davvero vivere come lei, almeno per una volta. Una mente senza pensieri è una mente felice? Oppure è una mente che sa che strada prendere quando le cose diventano difficili da sopportare?

"Cogli l'attimo", me lo dico ogni giorno, e non lo colgo mai. L'attimo perfetto, forse ha ragione Eileen, non esiste. Più che cogliere l'attimo, dovrei crearlo.

Ore più tardi, Eileen strilla: «Ti ha fatto davvero venire? Con le mani o ha usato la bocca?», infila una cucchiaiata di gelato in bocca.

«Ha usato la mano», confesso. Il calore inizia a propagarsi sulle guance e poi in tutto il corpo.

«Oh, immagina allora cosa potrebbe fare usando qualcos'altro», muove le sopracciglia su e giù.

«Preferisco non immaginarlo più», ammetto con un sorriso triste.

Eileen fa un bel respiro e dice: «In qualità di migliore amica, posso soltanto dirti di fare ciò che ti rende felice. Insomma, Kendra, hai lasciato un coglione, non rincorrerne un altro. Non sei il suo elastico. Non può tirarti verso di lui per poi rilasciarti senza problemi. Uno dei due si farà male. Lui almeno potrà essere triste alle Hawaii, tu invece piangerai in questo buco del cazzo e ci sarò soltanto io a darti conforto. Questo lo sai, vero?»

Per quanto non piaccia sentirmelo dire, so che ha ragione. Sì, è una realtà che mi pesa ogni singolo giorno, ma la bambina dentro di me sogna ancora ad occhi aperti quell'amore che ero abituata a vedere nei film della Disney.

Sogno ancora di incontrare il mio Flynn Rider.

Riuscirò mai a liberarmi dalla trappola di mia madre e godermi realmente la mia libertà? Sono scappata da lei, ma continua a tenermi al guinzaglio ed Elliott è un valido motivo per non demordere e resistere ancora un po'.
Non ho la stabilità economica necessaria per portarlo via con me.

La dolce carezza di Eileen mi riporta con i piedi per terra. «Vorrei davvero poter fare qualcosa per te».

«Non preoccuparti. Starò bene», le strigo il ginocchio.

«Hai denunciato quel coglione del tuo ex?», chiede riprendendo a mangiare il gelato.

«A quanto pare non ho le prove che sia stato lui», mi stringo nelle spalle.

«Quel pezzo di merda, maniaco e psicopatico! Gli passerò addosso con la macchina per sbaglio», stringe con forza il cucchiaio tra le mani e assume un'espressione arrabbiata.

«Faresti un favore a tutti», dichiaro, ridendo.

Eileen guarda l'ora sul suo cellulare e poi sbuffa. «Devo andare. Ho la sveglia presto. Mi prometti che starai bene?», mi prende il viso tra le mani e mi fissa negli occhi.

«Prometto», l'abbraccio forte e lei ricambia. Mette la vaschetta di gelato sul tavolino, prende la sua borsa e indossa il giubbotto e se ne va.

Rimango di nuovo da sola nel mio angusto e freddo appartamento. Il riscaldamento è per chi se lo può permettere. Ho sempre messo due piumoni sul letto in inverno e sono ancora viva e vegeta. Riuscirò a sopravvivere in questa caverna.

Prendo il telecomando, intenta a scegliere un film da vedere, ma il cellulare vibra sul divano.

"Sono stato uno stronzo, lo so, ma non riesco a smettere di pensarti".

Il mio cuore salta un battito. Non pensavo che mi avrebbe riscritto.

"Prova a dormire, allora", gli scrivo.

"Non ci riesco. Non sto molto bene".

Giusto. Ha ancora la febbre.

"Sei da solo?"

"Sì. Non mi piace avere compagnia quando sto male."

"È carino avere qualcuno che si prende cura di te", rispondo.

"Ho due fratelli insopportabili, un padre assente, Sandra ha la sua famiglia, un amico che passa le giornate nei club con una ragazza diversa ogni sera. Ho me stesso, Collins".

E ancora una volta, mi rendo conto di quanto io sia fortunata ad avere Eileen nella mia vita.

Mi mordo il labbro e mi maledico per ciò che gli sto per dire.

"Hai anche me".

"Non sei qui. Quindi non penso sia così".

"Ti piacerebbe avermi lì con te?"

"Forse".

"Devi dirlo, Kenneth. Non ho intenzione di autoinvitarmi".

"Vieni, per favore?"

Il suo ultimo messaggio mi fa sorridere così tanto, che devo prendere il cuscino per soffocare un urlo di gioia.

Non sono sicura che sia la scelta giusta in questo momento, ma lui sta male e un po' di compagnia non ha mai ucciso nessuno.

Appena arrivo a casa sua, lui mi aspetta davanti alla porta con un plaid blu notte sulle spalle, ha i capelli totalmente scompigliati e gli occhi stanchi.
Sono quasi felice di non vedere più la sua solita compostezza e rigidità.

«Accidenti, stai davvero male», gli dico, posando il palmo della mano sulla fronte. Lui chiude gli occhi non appena percepisce il mio tocco.

«Molto male», ammette con un filo di voce. Sembra totalmente un'altra persona.

«Okay, entriamo. Hai già preso qualcosa per la febbre?», gli chiedo e lui annuisce.

«Hai provato con gli impacchi di acqua fredda?», gli chiedo e scuote la testa come un bambino. Crolla sul divano, afferra un cuscino e lo stringe al petto.

«Torno subito», dico mentre mi dirigo in bagno. Prendo l'asciugamano e lo bagno con l'acqua fredda, poi torno da lui e lo metto sulla sua fronte. Gli sposto il ciuffo di capelli all'indietro, il suo corpo è scosso dai fremiti.

«Grazie, Kendra», sussurra mezzo addormentato.

«E di cosa?»

«Di non essere come me», accenna appena un sorriso triste.

Rimango in silenzio per un po', lui riprende a parlare: «Vedi quella scatola lì?», punta il dito sulla sedia. «Sono alcuni libri che vorrei che tu dessi a tuo fratello. Hai detto che gli piace Percy Jackson, giusto?».

Annuisco con la lacrime agli occhi. Forse sta cercando di rimediare ai suoi sbagli? O cerca semplicemente di apparire di nuovo buono e gentile ai miei occhi? Certo, non ho mai messo in dubbio la sua bontà, ma il suo essere freddo e distaccato con gli altri non lo fa di certo sembrare Madre Teresa di Calcutta.

«Non so come ringraziarti», mormoro con un nodo alla gola.

«Non devi. So quanto i libri siano importanti per un lettore. Spero che tuo fratello trovi rifugio tra quelle pagine», lo dice con un tono malinconico, quasi come se stesse parlando di se stesso.

Quante cose non so di lui?

E per la prima volta non desidero più sentire le sue mani sul mio corpo o la sua bocca sulla mia. È un momento così intimo che non so cos'altro dire. Mi siedo accanto a lui, la sua mano si intrufola nei miei capelli.

«Mi piace il tuo profumo», bisbiglia ad occhi chiusi.

«L'ho pagato quindici sterline, scontato», appena lo dico lui si mette a ridere.

«Adoro il tuo profumo da quindici sterline», rettifica.

«Grazie. È la scarsa imitazione di un profumo di Dior», appoggio la testa sulla sua spalla come se l'avessi già fatto altre cento volte.

«Tutte le donne che conosco probabilmente hanno un profumo Dior, ma io preferisco il tuo profumo da quindici sterline, Kendra».

Sorrido tra me e me e chiudo gli occhi anche io.

Quando sollevo le palpebre, trovo Kenneth accanto a me, nel suo letto. Come diavolo ci sono arrivata qui?

Mi giro per guardarlo. Ha ancora l'aspetto stanco, un braccio intorno alla mia vita e la guancia schiacciata contro il cuscino mentre cerca di sfiorare con il naso il mio braccio, come se volesse accertarsi della mia presenza.

Sorrido e gli passo le dita tra i capelli. Dorme profondamente, quindi decido di scendere dal letto e andare in cucina.

Inizio a cercare tutti gli ingredienti per fare i pancakes. Penso involontariamente a mio fratello. Se fosse qui probabilmente li divorerebbe tutti.

Vacillo tra la voglia di sparire dalla faccia della terra e la voglia di restare qui e finire di preparare la colazione.
La mia parte più emotiva, quella più ingenua, mi chiede di restare, mentre la parte razionale mi suggerisce di chiudermi in una caverna per il resto dei miei giorni. Mi sono coperta di ridicolo più di una volta e continuo a farlo. Non so esattamente per quale ragione, ma essere qui, a casa sua, mentre compio un gesto carino, mi fa stare bene.

Magari inconsapevolmente sto soltanto ricambiando il favore? Ha preso dei libri per Elliott, e in questo caso il suo gesto mi ha toccato il cuore.

Finisco di preparare i pancakes e apparecchio il tavolo, poi inizio a vagare per la casa, come una vera curiosona. Il mio sguardo si posa sull'orologio sulla parete e spalanco gli occhi.

«Merda. Merda. Merda», mormoro correndo verso il salotto. Indosso le scarpe che ho lasciato qui ieri sera, prendo la borsa e me ne vado. È tardi. Non posso assentarmi di nuovo dal lavoro, soprattutto ora che ho ottenuto una promozione.



Dopo essere tornata a casa ed essermi preparata, eccomi qui, puntuale come un orologio svizzero!

Alfred mi guarda con un sorriso timido. «Ieri non è venuta al lavoro, signorina. Sta bene?»

Oh, cavolo! Quindi davvero la gente nota quando non ci sono?

«Sono stata poco bene, ma adesso va molto meglio», gli dico. «Buona giornata, Alfred!»

Appena entro nell'edificio, Tiffany e le sue amiche si girano verso di me. Ho qualcosa che non va?

Faccio finta di niente e proseguo dritto.

Una di loro mormora: «Adesso che ha avuto la promozione pensa di assentarsi quando le pare? Il capo la licenzierà entro una settimana, vedrai».

Mi mordo la lingua. Non voglio rispondere. Devo mantenere la calma. Non posso di certo dirle che mi sono svegliata nel letto del suo adorabile capo.

«Hai del lavoro sulla tua scrivania», dice Tiffany tra i denti. Sembra un cane con la rabbia.

«Buongiorno anche a te, Tiffany», alzo gli occhi al cielo. «Ciao, Christine! Sono ancora qui, hai visto?», mi rivolgo alla segretaria. Lei mi lancia un'occhiata torva.

Mi dirigo verso il mio nuovo ufficio con un'espressione determinata. Sì! Ce l'ho fatta! Appena mi chiudo la porta alle spalle, la borsa mi scivola dal braccio e cade a terra. Rimango immobile a fissare la scrivania. Un posto tutto per me. Nessuno mi guarderà. Nessuno mi parlerà. Fisso la piccola libreria e sorrido. Mi trasmette un senso di tranquillità.
Il piano della mia scrivania è in vetro, le gambe dorate e i tre cassetti sono neri.
Un MacBook vi è posizionato al centro, mentre a sinistra vi è un portapenne, un diffusore di aromi in legno nero e dei libri.
Guardo attentamente nel portapenne e intravedo la mia penna con gli unicorni. Kenneth l'ha tenuta per tutto questo tempo? È stato lui ad averla messa qui?

Lascio la borsa sulla scrivania e vado nell'area relax a prendere un caffè.
Tiffany si affaccia con un'agenda tra le mani e mi fissa con un sorriso malizioso.
«Non esserne troppo felice», esclama.

«Invidiosa?», le chiedo, dandole le spalle.

«E perché mai?», ribatte con una punta di acidità nella voce.

«Forse perché tu continuerai a portargli il pranzo, mentre io starò seduta dietro ad una scrivania?», mi giro verso di lei e mi porto il bicchiere alle labbra.

«Beh, oggi non gli porterò un bel niente, visto che andrà a pranzo con Leslie e qualche altro suo collega».

Per poco il caffè non mi va di traverso.

«E dovrebbe importarmi?», chiedo con finto disinteresse. In realtà mi sta venendo il tic all'occhio.
Ritorno nel mio ufficio e mi siedo sulla sedia, prendendomi la faccia tra le mani.

Gli hai pure preparato la colazione. Idiota!

Ricevo un messaggio da parte sua.

"Deduco tu sia al lavoro. Oggi non ci sarò, ho altri piani. Hai dimenticato i libri a casa mia. Te li porterò stasera. Grazie per la colazione, i pancakes erano molto buoni".

"Altri piani". Grazie Tiffany di avermelo detto.

Metto via il cellulare e accendo il MacBook.

Spero che la febbre lo tenga bloccato in casa.

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