CAPITOLO 5 - A COME ASSASSINO
New Orleans, Louisiana – 28 Ottobre 1933
Alastor non riusciva a prendere sonno.
Si girava e rigirava nella minuscola brandina in preda ad uno sconvolgimento che mai aveva provato nella sua vita. Era confuso, turbato, totalmente destabilizzato. Si sentiva come fuori dal suo asse e, per quanto fosse chiaro che la causa era Vogel, quello che non riusciva ancora a capire era il motivo del suo profondo turbamento.
Non era attrazione fisica.
Essere attratto fisicamente da qualcuno voleva dire desiderare di fare sesso con quella persona e quindi, in questa accezione, Alastor NON provava attrazione fisica.
Mai.
Per nessuno.
La sua affermazione di non gradire il sesso era solo la punta dell'iceberg di una situazione interiore così complessa e sfaccettata, che ormai dopo anni aveva rinunciato lui stesso a capire. L'aveva accettata, così come aveva accettato il lato oscuro di sé e, a voler ben guardare, non era nemmeno sicuro che le due cose fossero separate.
Perché in qualche modo la 'fame' che provava verso Vogel, il 'desiderio' che lo divorava, erano altrettanto oscuri e profondi dentro di lui.
Eppure, come non desiderava farci sesso, non sentiva nemmeno il bisogno di ucciderlo.
Piuttosto, immaginava di gustarlo in qualche modo strano e sottile, di assaporare il piacere della sua mente arguta e, allo stesso modo, provare sulla sua stessa anima il filo della sua lingua tagliente.
Non che fosse indifferente al suo aspetto fisico. Vogel era la persona più attraente che avesse mai incontrato, e Alastor stava sperimentando un nuovo istinto, il bisogno puro e semplice di guardarlo. Era una questione estetica, Vogel era bello e ad Alastor erano sempre piaciute le cose belle. Quantomeno secondo i canoni della sua mente contorta e malata.
Era rimasto ammaliato dalla luce che scintillava sulle punte indomabili dei suoi capelli corvini. Il disegno bluastro delle vene che aveva intravisto sotto la pelle dei suoi avambracci quando aveva spinto le maniche sui gomiti per lavarsi le mani prima di cena. Quel leggero velo di barba che era riuscito a scorgere sulle sue guance – finalmente! – quando si era seduto a tavola per mangiare.
Alastor era sempre più affascinato da ogni dettaglio che scorgeva di Vogel, e si era reso conto che avrebbe così tanto voluto spogliarlo. Guardare il suo corpo nudo e scoprire se fosse davvero così armonioso come gli appariva da vestito. Osservare il modo in cui quelle adorabili clavicole, che aveva visto solo di sfuggita, si collegavano alle spalle ampie che tendevano il tessuto elegante della giacca così come il daino che aveva indossato quel giorno.
Voleva seguire con i polpastrelli le protuberanze della sua spina dorsale, infilare le dita tra le morbide onde dei suoi capelli e, forse, tirarli anche. Giusto un po', quanto bastava per farlo sibilare di dolore, spalancare i suoi occhi di quel colore così particolare come il cielo di notte, uno blu come quando è sereno, e uno grigio come quando si riempie di nuvole.
Vogel era indubbiamente intrigante, affascinante, il suo aspetto così come la sua personalità sembravano attirarlo come una calamita. Per la prima volta, anziché proteggerlo, la corazza di metallo che aveva sempre tenuto racchiuso il suo cuore e la sua anima, lo stava facendo avvicinare a qualcuno, soggiogato da una forza magnetica così potente da essere ormai irresistibile.
E tutto ciò era destabilizzante.
Abituato ad analizzare e catalogare ogni sua emozione, Alastor non sapeva davvero come gestire quelle nuove sensazioni. Riusciva solo a capire cosa 'non' era, quel bisogno profondo che sentiva al centro del suo stomaco, ma non riusciva davvero a dargli un nome.
Gettò di lato le coperte e si mise seduto sulla brandina respirando affannosamente.
Non avrebbe voluto andare di là, nella stanza principale del capanno dove Vogel dormiva sul divano. Aveva insistito per lasciargli il letto, dicendo che agli studi televisivi era spesso abituato a passare la notte in ufficio allo stesso modo. Alastor aveva quindi accettato di dormire nella minuscola camera da letto, ma ora aveva assolutamente bisogno di bere.
Aprì la porta cercando di fare meno rumore possibile ma si accorse subito che la sua cautela era del tutto inutile.
Vogel era seduto su una sedia dandogli le spalle, la lanterna al centro del tavolo, e solo quando si fu avvicinato di qualche passo, Alastor poté finalmente vedere che cosa stava guardando con tanto interesse da non accorgersi nemmeno della sua presenza.
Il cuore gli balzò in gola togliendogli il respiro, e gli ci volle qualche istante prima di poter sibilare le parole seguenti.
"Speravo che non li trovassi..."
"Cazzo! Alastor..." Vogel si voltò con la mano aperta al centro del petto "Ho perso dieci anni di vita..." aggiunse respirando affannosamente.
Alastor girò lentamente dall'altra parte del tavolo e si sedette di fronte a lui.
Una volta superato lo spavento inziale, il volto di Vogel illuminato dalla fioca luce della lanterna a gas era indecifrabile.
Guardò ancora per un istante i ritagli di giornale che aveva disposto sul tavolo seguendo l'ordine cronologico – Alastor se n'era accorto immediatamente – e poi sollevò di nuovo quei suoi occhi così belli in quelli di Alastor.
"Quindi... il 'Loa di New Orleans'... sei tu." mormorò sciogliendosi in un piccolo sorriso.
Alastor fece di 'sì' con la testa.
"Mi dispiace, io..." continuò Vogel "non riuscivo a dormire. Così mi sono messo a cercare se avessi della camomilla da qualche parte e, quando ho aperto il barattolo in fondo all'armadio..."
Il sorriso di Vogel non aveva ancora lasciato le sue labbra e quella fu la cosa che colpì Alastor più di ogni altra.
Aveva bisogno di un momento per pensare, così si alzò senza dire nulla e cominciò ad armeggiare nell'angolo cottura.
Tornò dopo pochi minuti con due tazze di camomilla fumante e ne porse una a Vogel che annuì con gratitudine.
Tornò a sedersi di fronte a lui e osservò per un lungo istante i ritagli di giornale prima di guardarlo negli occhi ancora una volta.
Vogel sorseggiava la sua camomilla con calma. Non sembrava turbato da quello che aveva letto. La sua espressione era seria e concentrata, non stava più sorridendo ma non era comunque spaventato.
Alastor sapeva riconoscere la paura, e negli occhi di Vogel non ve n'era traccia.
"Li hai letti tutti?"
"Più o meno..." disse piano "Immagino perciò che ora dovrai uccidermi."
Fece una risatina nervosa "Voglio dire, se fossimo in uno dei miei film, è quello che direbbe il protagonista. E tu diresti di sì..."
"Dipende..." rispose Alastor prima di distendere finalmente le labbra in uno strano sorriso.
Perché aveva avuto quei pochi attimi per pensare, e la verità era che si sentiva sollevato.
Vogel aveva scoperto il suo oscuro segreto, eppure l'unica emozione che provava era la gioia di poter essere finalmente davvero sé stesso. Era lo stesso istinto, forse pericoloso e di sicuro malato, che lo aveva spinto a mettere subito il chiaro il suo disinteresse verso il sesso.
Con nessuno mai prima aveva provato il bisogno inspiegabile e irresistibile di non fingere, come gli era capitato con Vogel.
"Se ti dicessi che non lo dirò a nessuno, ti fideresti?" riprese Vogel avvolgendo entrambe le mani sulla tazza come aveva fatto dopo cena col caffè, e prese un altro sorso di camomilla.
Alastor tornò a guardarlo negli occhi e si accorse che scintillavano. Non solo non c'era paura, ma si stavano riempiendo di una sorta di esaltazione che Alastor non si sarebbe mai aspettato.
Invece di rispondere puntò il dito su uno dei ritagli di giornale.
"MacFarlane aveva ancora i pantaloni calati quando l'ho ammazzato. Cindy giaceva svenuta nel letto in una pozza del suo stesso sangue. Aveva quattordici anni. Era ancora abbracciata al suo orsacchiotto quando la polizia l'ha trovata; il giorno dopo non ricordava niente di quello che era successo, ci ha messo una settimana a smaltire tutte le droghe che le dava MacFarlane. Ora si è fatta suora."
Vogel non disse nulla. Guardava la foto del trafficante di minori su cui si era posato il dito di Alastor, con un'espressione disgustata. Appoggiò la tazza davanti a sé per cercare di nascondere il tremore delle sue mani.
"Quest'uomo si faceva chiamare 'il pasticcere'" Alastor spostò il dito su un altro ritaglio di giornale "il negozio era una copertura per..."
"Basta così."
Vogel posò la mano su quella di Alastor e avvolse le lunghe dita del serial killer con le sue.
Era il primo contatto che si scambiavano dopo la stretta di mano che si erano dati la prima sera, e ancora come allora Alastor sentì quella sensazione, un'onda calda e formicolante che partiva dal punto in cui le loro mani si incontravano, e risaliva il suo stesso braccio.
Sollevò gli occhi nei suoi.
"Il 'vendicatore'..." disse Vogel "Ora tutto ha un senso."
Alastor si sciolse dal contatto della sua mano, ancora una volta stranamente piacevole, e cominciò a camminare lentamente nel piccolo ambiente buio con la sua tazza di camomilla.
"La prima volta che ho ammazzato un uomo era solo un barbone ubriaco che mi aveva chiesto dei soldi. Era insistente, non credeva che non ne avessi. E continuava a toccarmi. Mi strattonava per la giacca e cercava di infilarmi le mani in tasca per vedere se dicevo la verità."
Vogel si alzò e, portando la sua tazza con sé, si sedette sul divano davanti al quale Alastor stava ancora camminando avanti e indietro.
"L'ho sgozzato e poi ho gettato il suo corpo nel Mississippi. Mio padre mi ha trovato sotto choc, ancora ricoperto del suo sangue. Mi ha portato a casa, mi ha lavato e messo a letto senza dire niente a mia madre. Avevo diciassette anni."
Vogel si appoggiò allo schienale mettendosi comodo, era evidente che non vedeva l'ora di ascoltare quella storia.
"Mi portò qui, ci rimanemmo una settimana e fu in quell'occasione che uccisi il mio primo cervo. Mio padre sperava che sfogando i miei istinti nella caccia avrei evitato di uccidere altri esseri umani."
Prese un sorso di camomilla prima di proseguire.
"Ovviamente non ha funzionato."
Fece una pausa e poi continuò a parlare.
"Quando uccisi un altro barbone al porto, mio padre cambiò approccio e mi portò da Madame LaBelle. Lei fece uno dei suoi riti Voodoo, sacrificò un pollo e passò la notte a parlare con gli spiriti. Al mattino mi diede questo talismano." Alastor abbassò il collo della maglia a manica lunga con cui era andato a letto, rivelando un cordino di cuoio a cui era appeso uno strano ciondolo rosso con una zona nera al centro, simile ad un grande occhio scarlatto dalla pupilla allungata.
"Mi disse che da quel momento in poi avrei dovuto uccidere solo chi se lo meritava davvero. Perché, secondo gli spiriti, quando moriremo verremo premiati per ogni buona azione che abbiamo commesso, e puniti per quelle malvagie. E uccidere una persona che lo merita rientra in entrambe le categorie, le due cose si annullano a vicenda. E mi raccomandò di fare più azioni buone, se volevo meritarmi la salvezza dopo la morte."
Il tono con cui Alastor aveva raccontato l'ultima parte denotava un pacato scettiscismo, tant'è che, a dispetto di tutta la situazione assurda e potenzialmente pericolosa in cui Vogel si trovava – Alastor non gli aveva ancora detto se si sarebbe fidato di lui, né gli aveva confermato che non lo avrebbe davvero ucciso – si azzardò a fargli una domanda.
"Tu ci credi veramente?"
"A cosa?"
"Al Voodoo... al ciondolo... a quello che ti ha detto la strega."
Alastor sorrise.
"Non lo so." ammise con sincerità "Resta il fatto che ho imparato a controllare i miei impulsi. Ho tanti contatti in città, e così, quando proprio ne sento il bisogno, recupero un po' di informazioni e... beh, hai capito."
Alastor si lasciò cadere sul divano accanto a Vogel con lo sguardo ancora fisso nel vuoto.
Si sentiva stanco, svuotato, ma anche sereno e finalmente in pace con sé stesso.
"Pensi che io sia un mostro?"
"No. Io... credo che i mostri siano loro." indicò con la testa verso il tavolo ancora occupato dai ritagli di giornale "Tutti abbiamo delle debolezze. Siamo umani. Alcune sono più oscure e difficili da gestire, ma tu lo hai fatto, cazzo. Lo stai facendo. E io ti ammiro per questo."
Alastor si voltò a guardarlo finalmente in faccia, i suoi occhi spalancati per lo stupore che sembravano quasi scintillare nel buio della stanza.
"Io sono un serial killer, sono un delinquente, un assassino, e tu mi ammiri per questo?!?"
"Che posso dire? Forse perché in qualche modo sono un delinquente anch'io! Forse ci ritroveremo all'inferno insieme" ridacchiò "ma per il momento ti posso dire che se già mi piacevi prima, adesso mi piaci cento volte di più."
Chiaramente Vogel aveva un problema.
Come poteva dire una cosa del genere?
Alastor era davvero senza parole.
Posò a terra la tazza ormai vuota e si appoggiò anche lui allo schienale del divano.
Restarono per un po' in silenzio mentre Vogel terminava di bere la sua camomilla, e fu solo quando anche lui ebbe appoggiato la tazza, che Alastor parlò ancora una volta.
"Hai detto che tutti abbiamo le nostre debolezze e che anche tu sei un peccatore... Qual è la tua colpa?"
Vogel restò per un attimo spiazzato da quella domanda. Ma in fondo era giusto. Alastor gli aveva raccontato della sua, ora toccava a lui.
"Beh, di certo non sono un santo. E per quanto mi sento di rassicurarti ancora una volta sulle mie intenzioni nei confronti di Maggie... beh, diciamo che sono sempre stato disposto a fare tutto quello che era necessario per arrivare al successo."
Vogel sospirò.
"Lo Star System è un ambiente spietato e crudele. Immaginalo un po' come un grosso acquario pieno di squali. Devi mangiare i pesci più piccoli prima che lo facciano gli altri squali; a volte devi annientare direttamente i tuoi concorrenti più affamati se vuoi sopravvivere."
"Poi c'è un altro modo..." aggiunse piano "quello più antico e, mi sento di dire, il più efficace. Oltre che, chiaramente, quello più divertente." ridacchiò "Ti risparmio i dettagli visto che non ami l'argomento ma diciamo che in passato mi è capitato diverse volte di dover elargire favori sessuali per arrivare dove sono adesso."
"Ho cercato la via più rapida e veloce" aggiunse "usando a volte un metodo e a volte l'altro. Anche se non ho dubbi che col mio talento ce l'avrei fatta lo stesso. Ma ho voluto dare una mano al destino, unendo l'utile al dilettevole."
"Quindi lussuria e ambizione, uniti ad una buona dose di crudeltà, mh? Non credo che ci ritroveremo all'inferno insieme, dopotutto." mormorò Alastor con un sorriso divertito.
"Io credo di sì... la superbia è il mio peggior difetto, la lussuria solo un piacevole passatempo."
"Stai dicendo che, con tutta la gente che ho ammazzato, finirò all'inferno per colpa della mia superbia?" ridacchiò.
"Beh, hai detto tu stesso che, se uccidi i cattivi, l'azione buona e quella malvagia si annullano. E quel che rimane, è il tuo grande e smisurato ego. Come lo hai definito stamattina? 'Grande ego e personalità ancora più ingombrante' o qualcosa di simile..."
Alastor rise, rise davvero, di gusto, e poi si lasciò andare ad un commento che mai avrebbe pensato di sentire uscire dalle sue stesse labbra.
"Grazie. È stato... liberatorio parlare con te."
Per la prima volta negli ultimi vent'anni, la sua vocina interiore sembrava scomparsa, zittita, forse finalmente in pace quantomeno per il momento.
Vogel sorrise.
"Questa è la parte dove mi dici che ti dispiace ma che devi uccidermi comunque?"
"No. Credo che non ti ucciderò, dopotutto. Non rientri negli standard delle mie vittime."
"Superbia e lussuria non ti bastano?"
Alastor sorrise e non aggiunse altro.
Appoggiò la testa dietro di sé, apprezzando davvero per la prima volta il fatto che suo padre avesse comunque voluto un divano comodo per il capanno di caccia.
Vogel fece lo stesso, chiuse gli occhi e bastarono solo pochi minuti che la sua testa cominciò a ciondolare fino a scivolare lentamente contro la spalla di Alastor.
Ci fu un istante di conflitto interiore, e poi Alastor accompagnò lentamente la testa di Vogel fino ad appoggiarla sulle sue stesse ginocchia. Gli occhi di Vogel restarono chiusi, il suo respiro regolare, e allora Alastor si concesse finalmente di infilare le sue lunghe dita tra i capelli di Vogel.
Dopo la doccia – per quanto rapida, visto che c'era solo acqua fredda – erano rimasti soffici e vaporosi, senza tutta la brillantina che Vogel doveva metterci per domarli.
Era piacevole sentirli scivolare come seta tra le dita, accarezzare lentamente il suo cuoio capelluto. Si astenne dal tirarli come aveva sognato di fare, ma non poté fare a meno di chiedersi quale suono sarebbe uscito dalle sue labbra, e se mai avrebbe avuto la possibilità di sentirlo.
Fece passare le dita tra i capelli di Vogel ancora per un po' fino a che si addormentò lui stesso. E se anche Vogel fosse stato sveglio e avesse fatto solo finta di dormire, beh, non era qualcosa di cui doversi preoccupare.
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Pentagram City, Pride Ring – il presente
"𝔹𝕦𝕠𝕟 𝕡𝕠𝕞𝕖𝕣𝕚𝕘𝕘𝕚𝕠, 𝕔𝕒𝕣𝕠 ℍ𝕦𝕤𝕜."
"Cazzo Alastor! Prima o poi mi verrà un colpo se continui a comparire così all'improvviso..."
Ridacchiando, Alastor si accomoda al suo solito sgabello.
"𝕊𝕥𝕣𝕒𝕟𝕠 𝕥𝕣𝕠𝕧𝕒𝕣𝕥𝕚 𝕟𝕦𝕠𝕧𝕒𝕞𝕖𝕟𝕥𝕖 𝕢𝕦𝕚 𝕒 𝕝𝕒𝕧𝕒𝕣𝕖 𝕓𝕚𝕔𝕔𝕙𝕚𝕖𝕣𝕚..."
"Sì, beh, Charlie ha organizzato per oggi una sessione in esterna con gli ospiti dell'Hotel e ha chiesto a Pit di darle una mano. Ad ogni modo non mi dispiace occuparmi del bar ogni tanto, soprattutto se c'è poca gente come oggi."
Alastor getta un'occhiata attorno a sé e poi abbassa il tono della voce.
"𝕍𝕚𝕤𝕥𝕠 𝕔𝕙𝕖 𝕤𝕚𝕒𝕞𝕠 𝕤𝕠𝕝𝕚, 𝕥𝕚 𝕕𝕚𝕤𝕡𝕚𝕒𝕔𝕖 𝕤𝕖 𝕥𝕚 𝕗𝕒𝕔𝕔𝕚𝕠 𝕦𝕟𝕒 𝕕𝕠𝕞𝕒𝕟𝕕𝕒...?"
"Giusto, mi stavo quasi dimenticando di dirtelo. Carmilla ha indetto la prossima riunione dei Signori Supremi per giovedì."
"𝕄𝕚 𝕗𝕒 𝕡𝕚𝕒𝕔𝕖𝕣𝕖 𝕤𝕒𝕡𝕖𝕣𝕝𝕠. 𝕄𝕒 𝕟𝕠𝕟 𝕤𝕚 𝕥𝕣𝕒𝕥𝕥𝕒𝕧𝕒 𝕕𝕚 𝕢𝕦𝕖𝕤𝕥𝕠. 𝔼̀ 𝕦𝕟𝕒 𝕕𝕠𝕞𝕒𝕟𝕕𝕒... 𝕡𝕖𝕣𝕤𝕠𝕟𝕒𝕝𝕖."
Husk si blocca di colpo e si asciuga le mani nello strofinaccio mentre Alastor lo fredda sul posto con la domanda successiva.
"ℂ𝕠𝕞𝕖 𝕙𝕒𝕚 𝕗𝕒𝕥𝕥𝕠 𝕒 𝕔𝕒𝕡𝕚𝕣𝕖 𝕕𝕚 𝕖𝕤𝕤𝕖𝕣𝕖 𝕚𝕟𝕟𝕒𝕞𝕠𝕣𝕒𝕥𝕠 𝕕𝕚 𝔸𝕟𝕘𝕖𝕝?"
Husk lo guarda ancora per un istante, quindi posa sul bancone due bicchieri e comincia a metterci dentro del ghiaccio.
"Non mi aspettavo questa domanda da te." mormora mentre versa del whisky per entrambi "Spero che non sia per una delle tue trasmissioni radiofoniche con gli approfondimenti sugli ospiti celebri dell'Hotel..."
"ℕ𝕚𝕖𝕟𝕥𝕖 𝕕𝕚 𝕥𝕦𝕥𝕥𝕠 𝕢𝕦𝕖𝕤𝕥𝕠, 𝕞𝕠𝕟 𝕒𝕞𝕚. ℙ𝕦𝕠𝕚 𝕤𝕥𝕒𝕣𝕖 𝕥𝕣𝕒𝕟𝕢𝕦𝕚𝕝𝕝𝕠. 𝔼̀ 𝕤𝕠𝕝𝕠 𝕡𝕖𝕣 𝕞𝕚𝕒 𝕔𝕦𝕣𝕚𝕠𝕤𝕚𝕥𝕒̀, 𝕟𝕦𝕝𝕝𝕒 𝕕𝕚 𝕢𝕦𝕖𝕝𝕝𝕠 𝕔𝕙𝕖 𝕞𝕚 𝕕𝕚𝕣𝕒𝕚 𝕝𝕒𝕤𝕔𝕖𝕣𝕒̀ 𝕢𝕦𝕖𝕤𝕥𝕖 𝕡𝕒𝕣𝕖𝕥𝕚..."
Alastor fa un gesto col microfono e i muri attorno al bar cominciano a scintillare di piccoli bagliori verdastri.
Husk sospira e poi esce da dietro il bar e si accomoda sullo sgabello accanto ad Alastor.
"Beh... ci ho messo un po' a capirlo." comincia mentre prende un sorso di whisky e Alastor fa altrettanto "Voglio dire, lui è bellissimo, e all'inizio ero attratto da lui, ovviamente. Non voglio annoiarti con la nostra storia, ma ho capito che quello che provavo per lui era qualcosa di serio, quando ha provato a fare sesso con me. E io l'ho rifiutato."
"ℕ𝕠𝕟 𝕤𝕠𝕟𝕠 𝕤𝕚𝕔𝕦𝕣𝕠 𝕕𝕚 𝕒𝕧𝕖𝕣 𝕔𝕠𝕝𝕥𝕠 𝕚𝕝 𝕡𝕦𝕟𝕥𝕠. ℍ𝕒𝕚 𝕔𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠 𝕕𝕚 𝕒𝕞𝕒𝕣𝕝𝕠 𝕡𝕖𝕣𝕔𝕙𝕖́ 𝕟𝕠𝕟 𝕧𝕠𝕝𝕖𝕧𝕚 𝕗𝕒𝕣𝕔𝕚 𝕤𝕖𝕤𝕤𝕠 𝕚𝕟𝕤𝕚𝕖𝕞𝕖?" domanda Alastor oggettivamente confuso.
"Oh, volevo, eccome. Ma non era la cosa principale. E lui in quel momento era strafatto. Non lo volevo in quel modo. Ero sicuramente più preoccupato per la sua incolumità fisica, e ancora di più per la sua serenità mentale."
"ℚ𝕦𝕚𝕟𝕕𝕚 𝕞𝕚 𝕤𝕥𝕒𝕚 𝕕𝕚𝕔𝕖𝕟𝕕𝕠 𝕔𝕙𝕖 𝕚𝕝 𝕤𝕖𝕤𝕤𝕠 𝕟𝕠𝕟 𝕖̀ 𝕡𝕠𝕚 𝕔𝕠𝕤𝕚̀ 𝕚𝕞𝕡𝕠𝕣𝕥𝕒𝕟𝕥𝕖, 𝕙𝕠 𝕔𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠 𝕓𝕖𝕟𝕖?"
"Esatto. Non lo è. Intendiamoci, fare sesso con Angel è fantastico. Lui ha tutta quell'esperienza, e c'è da dire che..."
"𝔼𝕙𝕞... 𝕡𝕖𝕣𝕕𝕠𝕟𝕒 𝕝'𝕚𝕟𝕥𝕖𝕣𝕣𝕦𝕫𝕚𝕠𝕟𝕖 𝕞𝕒 𝕟𝕠𝕟 𝕧𝕠𝕣𝕣𝕖𝕚 𝕡𝕖𝕣𝕕𝕖𝕣𝕖 𝕚𝕝 𝕗𝕚𝕝𝕠 𝕕𝕖𝕝 𝕕𝕚𝕤𝕔𝕠𝕣𝕤𝕠."
Husk sorride davanti al palese imbarazzo di Alastor.
"𝕆𝕜, 𝕢𝕦𝕚𝕟𝕕𝕚, 𝕣𝕚𝕔𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠𝕝𝕒𝕟𝕕𝕠, 𝕔𝕚 𝕥𝕖𝕟𝕖𝕧𝕚 𝕒 𝕝𝕦𝕚, 𝕔𝕙𝕖 𝕤𝕥𝕖𝕤𝕤𝕖 𝕓𝕖𝕟𝕖 𝕗𝕚𝕤𝕚𝕔𝕒𝕞𝕖𝕟𝕥𝕖 𝕖 𝕡𝕤𝕚𝕔𝕠𝕝𝕠𝕘𝕚𝕔𝕒𝕞𝕖𝕟𝕥𝕖. 𝕄𝕚 𝕤𝕖𝕞𝕓𝕣𝕒 𝕡𝕖𝕣𝕠̀ 𝕔𝕙𝕖 𝕥𝕦 𝕥𝕖𝕟𝕘𝕒 𝕒𝕝𝕝𝕠 𝕤𝕥𝕖𝕤𝕤𝕠 𝕞𝕠𝕕𝕠 𝕒𝕟𝕔𝕙𝕖 𝕒 ℂ𝕙𝕒𝕣𝕝𝕚𝕖, 𝕘𝕚𝕦𝕤𝕥𝕠 𝕡𝕖𝕣 𝕗𝕒𝕣𝕖 𝕦𝕟 𝕖𝕤𝕖𝕞𝕡𝕚𝕠. ℂ𝕠𝕤𝕒 𝕔'𝕖̀ 𝕕𝕚 𝕕𝕚𝕧𝕖𝕣𝕤𝕠 𝕔𝕠𝕟 𝔸𝕟𝕘𝕖𝕝?"
"È un insieme di sensazioni ed emozioni, il modo in cui soltanto questa persona riesce a farti sentire speciale, e lui lo è altrettanto per te. E non lo sai davvero il perché, non c'è una spiegazione razionale, ma quella è l'unica persona che riesce a farti sentire le cosiddette 'farfalle nello stomaco', giusto per usare una metafora molto abusata ma sempre efficace."
Alastor annuisce pensieroso.
In effetti, aveva già sentito parlare di farfalle nello stomaco, e oggettivamente l'idea di riempirsi il suo con una certa falena è davvero un'immagine allettante, e per più di un motivo.
È l'ennesimo pensiero intrusivo che la sua vocina sta bisbigliando da un po', ma che fino a quel momento ha sempre cercato di non analizzare a fondo.
Ma l'accettazione, come ha detto Rosie, è il primo passo per la felicità. E vale la pena quantomeno di capire se è una strada ipoteticamente percorribile.
"ℚ𝕦𝕚𝕟𝕕𝕚... 𝕙𝕒𝕚 𝕔𝕒𝕡𝕚𝕥𝕠 𝕕𝕚 𝕒𝕞𝕒𝕣𝕝𝕠. 𝕆𝕥𝕥𝕚𝕞𝕠. 𝔼... 𝕔𝕠𝕞𝕖 𝕤𝕚 𝕗𝕒 𝕒... 𝕕𝕚𝕞𝕠𝕤𝕥𝕣𝕒𝕣𝕝𝕠?"
"Beh, diciamo che dirselo è già un buon punto di partenza. Fidati, dopo che ti sei confessato ti senti davvero molto meglio. E poi... l'amore si dimostra tutti i giorni, nelle piccole cose come in quelle più grandi. Nei gesti, nelle attenzioni, nei piccoli regali..."
"𝔹𝕖𝕙, 𝕡𝕚𝕔𝕔𝕠𝕝𝕚 𝕟𝕠𝕟 𝕕𝕚𝕣𝕖𝕚. 𝕃'𝕒𝕟𝕖𝕝𝕝𝕠 𝕔𝕙𝕖 𝔸𝕟𝕘𝕖𝕝 𝕡𝕠𝕣𝕥𝕒 𝕒𝕝 𝕕𝕚𝕥𝕠 𝕧𝕒𝕣𝕣𝕒̀ 𝕦𝕟 𝕞𝕚𝕝𝕚𝕠𝕟𝕖 𝕕𝕚 𝕕𝕠𝕝𝕝𝕒𝕣𝕚 𝕚𝕟𝕗𝕖𝕣𝕟𝕒𝕝𝕚, 𝕒 𝕠𝕔𝕔𝕙𝕚𝕠 𝕖 𝕔𝕣𝕠𝕔𝕖."
Husk ride.
"Che posso dire? Angel è pur sempre una star, e meritava una stella scintillante splendida quanto lui. Però, se devo dirti la verità, tra tutti i regali che gli ho fatto, ce n'è uno che ha apprezzato particolarmente. E se ci ho speso cinque dollari infernali è tanto."
Alastor alza un sopracciglio.
"Cherri ha trovato una vecchia foto di Anthony e Molly di quando erano in vita. Era sgualcita e rovinata, Angel doveva averla dimenticata nel suo appartamento. Così l'ho fatta restaurare, incorniciare e gliel'ho regalata. Dovevi vedere com'era felice! Sai, a volte i regali più graditi sono oggetti che hanno un significato speciale per la persona che li riceve, non tanto per il loro valore economico."
Husk è una fonte davvero preziosa di informazioni e Alastor sa di aver racimolato davvero moltissimo materiale su cui riflettere.
Ma c'è ancora una domanda che vuole fargli.
"ℕ𝕠𝕟 𝕔𝕣𝕖𝕕𝕚 𝕔𝕙𝕖 𝕖𝕤𝕤𝕖𝕣𝕖 𝕚𝕟𝕟𝕒𝕞𝕠𝕣𝕒𝕥𝕠 𝕥𝕚 𝕡𝕠𝕤𝕤𝕒 𝕣𝕖𝕟𝕕𝕖𝕣𝕖 𝕡𝕚𝕦̀ 𝕕𝕖𝕓𝕠𝕝𝕖 𝕔𝕠𝕞𝕖 𝕊𝕚𝕘𝕟𝕠𝕣𝕖 𝕊𝕦𝕡𝕣𝕖𝕞𝕠?"
Husk scoppia a ridere.
"Tutt'altro. Mi rende più forte, e per ben più di un motivo, ma di questo parleremo giovedì alla riunione. In questo momento però ti posso dire che avere qualcuno per cui combattere, mi dà ogni giorno la motivazione per cercare di espandere i miei poteri. Per diventare sempre più forte, così da riuscire a difendere coloro che amo."
Alastor annuisce pensieroso.
"Senti, Al..." continua Husk dopo aver svuotato il suo bicchiere "Non so davvero perché tu mi abbia fatto tutte queste domande, e so già che non me lo dirai quindi non te lo chiedo neanche. Però lascia che ti dica una cosa. L'eternità è un'illusione, le cose possono cambiare rapidamente anche e soprattutto qui all'Inferno. Quindi... beh, chiunque sia questa persona che ti ha reso così interessato all'argomento... buttati! Non perdere altro tempo. Meglio avere rimorsi che rimpianti."
L'arrivo di Charlie e del resto del gruppo pone fine a quell'interessante chiacchierata, ma Alastor pensa di avere comunque raccolto elementi sufficienti per stabilire le sue prossime mosse.
"𝔾𝕣𝕒𝕫𝕚𝕖, 𝕞𝕠𝕟 𝕒𝕞𝕚. 𝔼̀ 𝕤𝕥𝕒𝕥𝕠 𝕕𝕒𝕧𝕧𝕖𝕣𝕠 𝕚𝕝𝕝𝕦𝕞𝕚𝕟𝕒𝕟𝕥𝕖 𝕡𝕒𝕣𝕝𝕒𝕣𝕖 𝕔𝕠𝕟 𝕥𝕖."
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