CAPITOLO 4 - V COME VERITÀ
New Orleans, Louisiana – 28 Ottobre 1933
Alastor stava guidando ormai da quasi un'ora.
Era silenzioso, ma rilassato. Teneva la mano destra sul volante, il gomito sinistro contro al finestrino e il pugno che sorreggeva la testa leggermente inclinata.
La radio era ovviamente sintonizzata sulla sua stazione e trasmetteva pezzi musicali di vario genere. Lui ascoltava con attenzione, quando veniva trasmesso un pezzo che gli piaceva particolarmente lo canticchiava anche – Dio! Era pure intonato! – e le sue labbra erano distese in un sorriso placido anche se, come ormai Vogel si ritrovava a pensare sempre più spesso, vagamente inquietante.
Il talent scout aveva provato un paio di volte a fare conversazione ma le sue risposte a monosillabi lo avevano presto scoraggiato dal continuare. Il problema era che, senza potersi distrarre in qualche modo, doveva fare uno sforzo immenso per non continuare a girarsi per guardarlo.
Alla luce del giorno Alastor era in qualche modo diverso, più vero e concreto rispetto alla figura mistica quasi evanescente che aveva visto sotto al lampione davanti alla stazione radio.
Restava comunque oggettivamente bellissimo.
Il tono rossastro dei suoi capelli – che gli era parso sanguigno sotto al lampione – era smorzato in un castano caldo; in compenso la sua pelle sembrava più scura, dando ancora più risalto alle iridi color caramello che assumevano toni ambrati quando la luce del sole pomeridiano le intercettava. Aveva infilato un paio di occhiali scuri dalle lenti ovali quando il sole si era abbassato ulteriormente all'orizzonte, con sommo rammarico di Vogel che non poteva più sbirciare i suoi occhi magnifici.
Erano partiti nel primo pomeriggio, e Vogel non si era nemmeno preoccupato di chiedere dove lo stesse portando. Aveva indossato un paio di pantaloni marroni e una camicia blu scuro su cui aveva infilato un giubbotto di daino e l'immancabile sciarpa bianca. Fasciato in un pratico ma distinto completo da caccia color cachi, Alastor aveva approvato con un cenno della testa, aggiungendo che gli avrebbe fornito il resto dell'attrezzatura una volta che fossero giunti al suo capanno.
"Siamo quasi arrivati." mormorò Alastor mentre imboccava una strada secondaria sterrata.
Erano all'interno della foresta ormai da un po', e dovette spegnere la radio visto che la trasmissione diventava sempre più disturbata.
"A proposito... chi si occuperà della radio, visto che lei è qua con me?"
"Ho preparato il palinsesto fino a lunedì, e ho un paio di collaboratori di cui mi fido ciecamente. D'altronde, il vantaggio di essere il proprietario è proprio potermi prendere del tempo libero per andare a caccia quando pare a me, e lasciare a loro tutto il lavoro."
Vogel sorrise.
"Quindi c'è qualcos'altro che le piace, oltre alla radio..."
"Oh, sì, ci sono molte cose che mi piacciono oltre alla radio. Ma in effetti la caccia, quantomeno per come la faccio io, è probabilmente al terzo posto."
Vogel restò per l'ennesima volta piacevolmente stupito da quanti elementi criptici quell'uomo affascinante riuscisse a mettere in una sola frase; ma alla fine optò per domandargli la cosa che, tra tutte, aveva stuzzicato di più la sua curiosità nonché acceso una serie di sordide fantasie nella sua fervida immaginazione.
"E cosa c'è quindi al secondo posto...?"
"Non credo che le piacerebbe saperlo..." mormorò lanciandogli una veloce occhiata allusiva prima di tornare a prestare attenzione alla strada.
"Sempre più criptico e misterioso..." rise "Perché non prova a dirmelo lo stesso? Potrei stupirla, lo sa? Sono un uomo di ampie vedute."
Alastor sorrise e sembrò davvero riflettere sulla possibilità di fornirgli ulteriori dettagli. Vogel stava già pregustando qualche piccante rivelazione, ma fu invece Alastor a stupirlo ancora una volta quando pronunciò le parole seguenti.
"E se ci dessimo del tu? Dovremo passare la notte insieme. Direi che possiamo anche abbandonare certi formalismi."
Non credeva che Alastor lo avesse detto con intenzione, ma non poté fare a meno di sentire uno strano frullo in mezzo al petto al pensiero che davvero avrebbero passato la notte insieme.
Ancora una volta, Vogel dovette deglutire prima di rispondere.
"Sono d'accordo. Chiamami pure Xander."
"È il diminutivo di Alexander?"
"Immagino di sì. Ma io sono proprio Xander all'anagrafe. I miei genitori erano dei tipi particolari, a quanto pare. Viene dal greco, significa 'difensore dell'uomo'. Ma non mi sento investito più di tanto dalla missione divina racchiusa nel mio nome." ridacchiò.
E poi aggiunse.
"E tu, Alastor... è il tuo vero nome o un nome d'arte?"
"Vero, è il mio nome di battesimo."
"E come mai non usi il cognome?"
"Che posso dire? Grande ego e personalità ancora più ingombrante. Alastor basta e avanza. Comunque, anche a me piace esplorare il significato dei nomi. Alastor significa 'vendicatore' e, a differenza di te, ho preso molto a cuore la mia 'missione divina'."
Vogel faceva fatica a capire il nesso.
"...quindi?" domandò curioso "Vendicatore delle frequenze in Ampiezza Modulata...? O delle giovani cantanti emergenti...?"
Proprio in quell'istante Alastor fermò la macchina in uno spiazzo sul ciglio dello sterrato e scese dall'abitacolo senza peraltro rispondere alla domanda di Vogel per l'ennesima volta.
Si stiracchiò scrocchiando un paio di volte la schiena, quindi prese le loro borse dal sedile posteriore mentre anche Vogel scendeva.
"Seguimi. Da qui al capanno ci vogliono quindici minuti. Se ci sbrighiamo riusciamo a fare già un appostamento prima del tramonto. È l'ora che preferisco."
Senza nemmeno aspettare di vedere se Vogel lo seguisse, si incamminò tra gli alberi.
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Dopo una cena semplice ma gustosa a base di pancetta e fagioli, accompagnata da birra e pane nero, Alastor sorseggiava lentamente il suo caffè dalla tazza di metallo. Lo aveva preso così direttamente dalla caffettiera: scuro, amaro, bollente. Vogel ci aveva messo lo zucchero, domandandosi come mai ne tenesse un barattolo se lui lo beveva amaro. Poi il sapore forte e intenso gli aveva inondato le papille, e aveva seguito Alastor sotto al portico senza nemmeno domandarglielo.
Si erano seduti al vecchio tavolo nell'angolo, avvolti ciascuno nella propria giacca, scaldandosi le mani e l'esofago col caffè bollente mentre la temperatura scendeva ad una velocità quasi impossibile da credere. Un attimo prima faceva ancora il caldo tipico della zona subtropicale, e un attimo dopo era piombata giù di almeno dieci gradi.
"Amo la foresta di notte." mormorò Alastor dopo un lungo silenzio "D'estate ci sono perfino le lucciole. Ora fa troppo freddo ma in compenso i cervi si sentono liberi di scorrazzare ovunque. Una mattina ho aperto la porta e mi sono trovato davanti una femmina. Era qui, sotto al portico, e mi guardava dritto negli occhi. La sera prima avevo lasciato sul tavolo i resti della cena e lei ne aveva approfittato..."
Lo sguardo di Alastor era perso nella foresta buia davanti a sé, le sue labbra carnose distese in un morbido sorriso e Vogel si domandò, non per la prima volta, come sarebbe stato baciarle.
"Hai mai sparato davvero a un cervo?" chiese di punto in bianco.
Perché nella sua testa si stava formando un'immagine di Alastor piuttosto complessa, e aveva bisogno di conferme.
Quel pomeriggio erano rimasti appostati per più di un'ora vicino alla sorgente; accucciati nella boscaglia, in silenzio, ad aspettare con i fucili carichi e spesse ditate di fango dipinte sul viso.
Diversi animali erano andati a bere alla polla d'acqua, alcune famiglie di conigli e scoiattoli, e una lince rossa.
Ogni volta che un animale si avvicinava allo specchio d'acqua per bere, Vogel cercava Alastor con lo sguardo.
E ogni volta lui faceva di 'no' con la testa.
E poi, finalmente, era arrivato un cervo.
Era un maschio. Il petto largo, le gambe slanciate, e un palco di corna ampio e solido.
Alastor era rimasto a guardarlo mentre si avvicinava piano alla sorgente, il grosso naso nero che vibrava annusando l'aria dorata del tramonto.
Aveva sollevato il fucile e lo aveva inquadrato nel mirino, e poi era rimasto lì a contemplarlo attraverso la lente mentre beveva, catturato dalla sua grazia e dalla sua potenza.
Vogel guardava Alastor allo stesso identico modo; era ammaliato dai suoi gesti, affascinato dal suo sguardo intenso e quasi commosso, la mano con la quale sorreggeva il fucile che tremava leggermente per l'aspettativa di un colpo che non aveva mai esploso.
Il cervo si era voltato quando aveva terminato di bere e si era allontanato piano, con passi eleganti e tranquilli, per nulla consapevole degli occhi e del fucile ancora puntati su di lui.
Quando era scomparso dalla sua visuale, Alastor si era alzato in piedi abbassando l'arma e si era stiracchiato la schiena. Quindi si era voltato per tornare al capanno senza dire una parola.
Aveva preparato la cena con gesti pratici ed efficienti mentre Vogel si lavava, e poi avevano mangiato chiacchierando tranquillamente del più e del meno.
Vogel non gli aveva chiesto nulla del cervo, fino a quel momento.
"Certo." confermò Alastor con un movimento del capo, la bocca distesa in una smorfia a metà strada tra il dolore e il disgusto "Mio padre mi portava a caccia con lui quando ero un ragazzo. È stata la mia iniziazione."
"Riformulo la domanda. Ti piace sparare ai cervi?"
Alastor sorrise divertito per quell'arguzia, e spostò finalmente lo sguardo su Vogel. Intenso e penetrante, la fioca luce della lanterna che pendeva dal portico si rifletteva nelle pupille che avevano mangiato del tutto l'iride ingoiandola come un enorme buco nero.
"No. Ma a volte capita di doverlo fare. Così come altre cose nella vita..."
"Tipo?" lo incalzò ancora.
"Mmmm..." Alastor ci pensò su un attimo, forse indeciso se spingere davvero il discorso in una direzione dalla quale – Vogel lo avrebbe capito solo più tardi – non sarebbero mai più tornati indietro.
"Tipo... il sesso."
"Non ti piace il sesso?"
"No."
Di tutte le cose, Vogel non si aspettava di certo una rivelazione di quel calibro.
Si era fatto un'idea sul rapporto conflittuale che Alastor poteva avere con la caccia, e il suo breve riferimento al padre aveva avvalorato la sua intuizione, oltre che aver aperto una serie infinita di altre curiosità su quel mistero affascinante che era Alastor; curiosità che sperava di riuscire a soddisfare con le sue domande mirate e argute.
E se nel frattempo avesse anche trovato il famoso punto debole di Alastor, o il suo prezzo per convincerlo a considerare la carriera ad Hollywood, tanto meglio.
Anche se ormai era assolutamente consapevole di essere andato oltre.
Si era infatti reso conto che la sua compagnia gli piaceva a prescindere da tutto. Alastor era talmente affascinante che, anche stare insieme a lui, in silenzio, come avevano fatto durante la caccia, era gratificante e rilassante. Così come era stato piacevole parlare con lui durante la cena; gli argomenti sgorgavano uno dall'altro con naturalità. Avevano parlato di moltissime cose. Dei suoi genitori, a cui era affezionato ma che sembrava non vedere molto spesso per via del lavoro. Del Mimzy's e del suo rapporto con Frank Loom e con sua madre prima di lui. E di molte altre cose sciocche e futili.
Eppure, quest'ultima rivelazione, intenzionale e spontanea da parte di Alastor, cambiava ancora una volta tutte le carte in tavola.
Perché Vogel non poteva negare di avere riposto delle aspettative sulla loro notte insieme. Da quando la sera prima Alastor, quasi in risposta alla sua ambigua provocazione, gli aveva proposto di andare a caccia, non aveva potuto fare a meno di illudersi che nelle intenzioni del conduttore radiofonico ci fosse un palese ed evidente sottinteso.
Non gli era certo sfuggito il modo indifferente, seppur affettuoso e cortese, con cui guardava Maggie. Chiaramente, non era interessato. Si era quindi fatto l'idea che i suoi gusti fossero di altro genere, idea che era stata alimentata e nutrita dalle loro chiacchiere piacevoli e spontanee la sera prima, e avvalorata da quell'ultimo invito nonché anche dalle vaghe allusioni – o quantomeno, Vogel le aveva interpretate così – che aveva fatto in macchina.
E quindi era rimasto assolutamente spiazzato da quella rivelazione.
Cosa poteva volere Alastor da lui, se non era il sesso, per spingerlo ad una intimità forzata di due giorni e una notte, quando era evidente che normalmente fosse una persona schiva e restia ad entrare in confidenza con chiunque?
"Perché me lo stai dicendo?" gli chiese infatti.
"Perché volevo mettere subito in chiaro le cose." Alastor fece spallucce "Non so perché hai accettato di venire qui con me, ma ci tenevo a evitare fraintendimenti e situazioni imbarazzanti o spiacevoli."
"Capisco. Ma allora... posso chiederti perché mi hai inviato?" domandò ancora.
Alastor sorrise.
"Perché mi piaci. Sei una persona interessante e divertente. Parlare con te è stimolante. Stuzzichi la mia curiosità e mi hai fatto venire voglia di conoscerti meglio."
Vogel restò per un istante ad ascoltare i rumori della foresta che si sovrapponevano ai battiti del suo cuore. E poi decise di affrontare il discorso con la stessa diretta onestà.
"Beh, grazie. Lo stesso vale per me. Con l'unica differenza che a me il sesso piace. Molto. E anche tu mi piaci. Molto. E quindi... beh, hai fatto bene a dirmelo. Cercherò di godermi la tua compagnia, ignorando quella parte di me che vorrebbe baciarti da quando siamo saliti in macchina."
O forse, dalla sera precedente, o dalla prima volta in assoluto che i suoi occhi si erano posati sulla sua figura elegante. Ma si astenne dal puntualizzarlo.
"G-grazie. Lo apprezzo molto." Alastor balbettò la sua risposta, riuscendo forse a nascondere il suo rossore sotto alle lunghe ciglia grazie anche all'oscurità che li circondava, ma non il tremito nella sua voce.
Restarono in silenzio ancora per un po', il frusciare delle fronde intervallato qua e là dal bubolare di un gufo in lontananza.
Poi Vogel appoggiò la tazza ormai vuota sul tavolo e si sfregò le mani per scaldarle mentre si decideva a riprendere il discorso.
Non poteva negare una punta di delusione per aver visto frantumarsi così le sue illusioni. Ma c'era molto di più in ballo, Vogel se lo sentiva proprio in mezzo al petto.
Aveva infatti la sensazione che quella notte fosse in qualche modo cruciale per la loro relazione; che forse Alastor si sarebbe aperto con lui, ma che sarebbe tornato inevitabilmente a richiudersi come un riccio il giorno successivo alla luce del giorno, motivo per cui non doveva assolutamente lasciarsi sfuggire l'occasione.
"Posso farti una domanda molto personale?"
Alastor si voltò a cercare i suoi occhi.
"Se non ti va puoi anche non rispondermi, ma sei stato tu a tirare fuori l'argomento."
Alastor alzò gli occhi al cielo, in qualche modo intuendo cosa Vogel gli avrebbe chiesto.
"Hai mai fatto sesso? Cioè, voglio dire, altrimenti non puoi sapere se davvero non ti piace..."
"Hai mai leccato il culo di una mucca?"
Vogel scoppiò a ridere "Ok, ok, scusa. Ho colto il punto."
Anche Alastor sorrise.
"Sì." disse infine "Ho fatto sesso. E ti confermo che non mi è piaciuto. Cioè, non particolarmente... È stato... strano."
"In che senso?"
Non voleva insistere ma era sinceramente curioso di capire come qualcuno potesse non amare il sesso e trovarlo 'strano'.
"Non so... era come se la mia mente e il mio corpo fossero scollegati. Il mio corpo reagiva agli stimoli, ma la mia mente lo vedeva come una reazione puramente fisiologica, senza trovarci niente di particolarmente eccitante o interessante."
"Tipo... come quando devi soffiarti il naso?"
"Sì... una specie." Alastor sorrise.
"Quando l'hai fatto... era con una donna?"
Alastor sollevò un sopracciglio a quella domanda così diretta e spudorata e Vogel realizzò che, nonostante fossero ormai negli anni Trenta, con buona probabilità a New Orleans doveva essere ancora un tabu parlare di certe cose. Forse a Hollywood erano davvero molto più 'avanti', o forse era lui stesso che, avendo ormai accettato da tempo la sua bisessualità, tendeva a non ricordare che la gente potesse comunque sentirsi ancora in imbarazzo con certi argomenti.
"Ovviamente..." confermò infatti Alastor con voce bassa e titubante. Era evidente che non fosse a suo agio a parlarne così apertamente, ma Vogel confidava che lo avrebbe fermato nel caso avesse superato il limite.
"E con un uomo? Ci sei mai stato?" osò infatti chiedere.
"No. Mai." Alastor rispose abbassando lo sguardo, per poi riportarlo immediatamente nei suoi occhi e porre la domanda successiva "Tu si?" la sua innata curiosità che per un istante prendeva il sopravvento.
"Sì." confermò Vogel sorridendo, in qualche modo divertito dall'evidente e palese difficoltà in cui si trovava il suo interlocutore.
Aveva cercato di mettere Alastor alle strette in più di un'occasione nei giorni passati, e aveva appena scoperto che bastava parlare di sesso per renderlo nervoso e insicuro.
"Uomini e donne, mi piacciono entrambi." continuò "Ma è comunque diverso. Il sesso con un uomo e con una donna intendo. E anche con gli uomini, può essere diverso a seconda della persona con cui lo fai e dal ruolo in cui ti trovi..."
Alastor lo fermò con un gesto secco della mano.
"Scusami ma non sono interessato ai dettagli. Davvero, preferisco non sapere."
"Scusami tu. Non credevo ti desse fastidio parlarne. Se ti ho offeso in qualche modo ti chiedo perdono."
"Sì, beh... Ok. Nessun problema."
Alastor sorrise e per la prima volta a Vogel sembrò sincero e spontaneo, ben più giovane dei suoi trentacinque anni, e a suo agio come non lo aveva mai visto.
Per questo motivo si sarebbe strozzato con le sue stesse mani, per la domanda successiva che gli scivolò fuori dalle labbra come se la sua dannata lingua fosse stata dotata di vita propria.
"Ma se non è il sesso, allora, qual è la seconda cosa che ami dopo la radio?"
Alastor si alzò in fretta, così velocemente che la sedia si sarebbe ribaltata se non avesse avuto la parete del capanno a impedirglielo.
"Si è fatto tardi. Andiamo a dormire. Domani mattina voglio portarti in un posto a vedere l'alba."
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Pentagram City, Pride Ring – il presente
"Cazzo Vox! Il sesso è fantastico! Tu sei fantastico! E adoro quando mi fotti così, brutale e disperato!"
Valentino crolla sulle lenzuola. La seta candida è intrisa di fluidi corporei, un quadro astratto oscenamente composto dagli schizzi rossi della sua bava, le pennellate gialle dell'antiossidante di Vox mescolati all'azzurro e al viola dello sperma di entrambi. Valentino ci sguazza ancora per qualche istante, intanto che scende dallo sballo dell'ultimo orgasmo stiracchiandosi con movimenti morbidi e sensuali.
Vox non dice niente, si alza dal letto e, ancora nudo, si avvicina al mobile bar per versarsi una dose generosa di Hellish Comfort, il suo liquore preferito da quando ha messo piede all'Inferno, con le sue note sulfuree che bilanciano alla perfezione quelle più morbide della cannella.
"Adoro quando sei così geloso, lo sai?" aggiunge Valentino mettendosi finalmente seduto sul bordo del letto. Cerca a tentoni con tutte e quattro le mani sul comodino, senza i suoi occhiali è ancora più miope del solito ma riesce finalmente a trovarli insieme al pacchetto di CamHell, l'accendino e il suo fedele bocchino.
Si accende una sigaretta e poi si stende nuovamente sul letto, la schiena appoggiata alla testiera e le lunghe gambe accavallate davanti a sé.
Vox sta guardando fuori dalla grande vetrata che domina Pentagram City. Prende un altro sorso di liquore e vorrebbe solo che Val stesse zitto, che lasciasse che le endorfine dell'ultimo orgasmo penetrassero nei suoi circuiti surriscaldati zittendo almeno per un po' il brusio incessante che da giorni ormai sta inquinando la sua scheda madre.
"Spero però di averti rassicurato, ora." continua invece Valentino "Ho liberato quella troia di Angel Dust come mi hai chiesto tu, cariño. Quindi dovresti davvero smetterla di fare quella faccia ogni volta che vedi un post o un filmato di Angel, mh?"
Val ridacchia.
"Non posso certo farmi fottere così ogni volta che ti senti insicuro, mi corazon."
Prende un'altra lunga boccata dalla sua sigaretta, il fumo rosso che si espande attorno al suo viso in sensuali volute.
"Non che mi dispiaccia, in effetti, ma non posso essere sempre a tua disposizione. Ho dei film da girare. Delle puttane da far fruttare. Delle modelle da squartare..." sghignazza.
"A tal proposito, Val. Vorrei davvero che la smettessi con le modelle. Velvette è incazzata. Melissa le serviva per la sfilata di domani."
Valentino si alza dal letto e scivola lentamente dietro le spalle di Vox senza dire una parola. Avvolge la sua vita con due braccia mentre gli accarezza la spalla con la mano libera dalla sigaretta e passa la lingua sulla sua nuca in una lunga lappata lasciva.
"Cos'è questo tono freddo e distaccato, mh? Dopo il modo in cui mi hai scopato, speravo in un po' più di calore in quei tuoi circuiti del cazzo!"
Prende un'altra boccata e soffia il fumo rosso e denso direttamente contro lo schermo di Vox.
Il Demone della TV lo disperde con una mano e continua a parlare senza nemmeno voltarsi.
"Stiamo parlando di affari, Val! Mi è piaciuto come ti sei fatto scopare, ma ciò non toglie che devi davvero smetterla di fare a pezzi le modelle di Velvette. Su questo non transigo."
"Non... transigi?!?"
Valentino fa un passo indietro, le sue ali – che fino a un istante prima pendevano flosce dietro la schiena muscolosa – che si spalancano in tutta la loro maestosa ampiezza per poi avvolgersi teatralmente attorno al suo corpo come un elegante mantello.
"Ti ricordo che siamo soci." sibila avvicinandosi di nuovo al suo orecchio "Non sei il mio capo. Non puoi dirmi quello che posso o non posso fare."
"Nel tuo dipartimento, Val." precisa Vox senza ancora voltarsi "In quello non metto becco. Ma gli accordi erano chiari. Nessuna ingerenza nei dipartimenti altrui. Questo comprende quindi anche le modelle di Velvette."
"Sai che ti dico, Vox? Vaffanculo!"
Valentino si volta, le ali che ondeggiano in un movimento altamente scenografico attorno al suo corpo mentre si dirige a passo sostenuto verso la porta.
Si ferma un ultimo istante, la mano sulla maniglia, e getta uno sguardo dietro la sua spalla. Ma Vox è ancora girato verso la vetrata, silenzioso e talmente perso nei suoi pensieri che quasi non si accorge che se n'è andato fino a quando non sente la porta sbattere alle sue spalle.
"Primadonna del cazzo!"
Vox prende un altro sorso di Hellish Comfort.
Valentino è oggettivamente una fonte di distrazione, spesso piacevole come quando fanno sesso, altre volte terribilmente fastidiosa quando deve intervenire come in quel caso a perorare le cause di Velvette, o calmare i suoi bollenti spiriti quando 'gli salta la mosca al naso'.
Sorride della sua stessa metafora mentale, ma deve essere onesto con sé stesso. Ultimamente si sente davvero una merda. Forse deve andare a farsi fare una revisione completa, un bel backup e poi un ripristino totale. Magari un upgrade della cache, già che c'è...
Perché deve essersi davvero buggato qualcosa in lui se non riesce più a pensare ad altro che ad Alastor.
È il suo peggior nemico, un'oscura minaccia per i Vees e, con buona probabilità, anche per la stessa città, se non per l'intero Inferno.
Eppure, i suoi penseri nei confronti della sua nemesi sono diventati sempre più ossessivi, ma in un modo talmente romantico, sdolcinato e patetico che davvero lui stesso non si riconosce più.
Dopo la prima sbandata che si era preso per Alastor quando erano ancora in vita, Vox era sicuro di essere andato avanti. Di essere cambiato, cresciuto, maturato.
Che il suo interesse nei confronti del Demone della Radio fosse solo e unicamente professionale.
E allora perché cazzo continuava incessantemente a pensare e ripensare a quell'autunno a New Orleans?
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