3.26


Song: Where does the good go? (Tegan & Sara);
Alien (Thriving Ivory).
Flashback
Megan giaceva sul divano della casa di James e Lily, a Godroc's Hollow.
Aveva trascorso la notte a fissare il soffitto del salotto, non riusciva a dormire da sola.
Sirius tornava tutte le mattine all'alba, e lei prontamente chiudeva gli occhi fingendo di dormire, con il cuore a mille e le lacrime pronte a scendere.
Lily non riusciva a capirla, o meglio, ci riusciva ma non proponeva distrazioni di cui Meg necessitava.
Meg aveva bisogno di energia, di spirito di iniziativa, magari anche di ballare in modo scatenato.
Remus non le parlava spesso, anzi, si teneva a distanza e Megan non ne capiva il motivo.
Si sentiva come uno straccio, un misero straccio per pavimenti che gli altri si passavano, non facendole capire nulla.
Aveva bisogno di una roccia, qualcuno che potesse capirla, qualcuno che le dicesse altro, qualcosa di diverso dai soliti discorsi e che le facesse comprendere tutto.
Lei era un alieno, e aveva bisogno di qualcuno che lo fosse allo stesso modo. O che potesse proteggerla senza picchiare nessuno, ma difenderla da se stessa, dal pensiero di essere la piccola ingenua della situazione.
Una persona, un amico, un fratello.

James era nella stessa situazione, lui aveva capito tutto, e forse niente, sentiva di dover star vicino all'amore della sua vita, Lily, ma anche lui aveva bisogno di qualcuno con cui sfogarsi, un riparo.
Alieno? Sì, lui era sempre stato un alieno, ma nel corpo di un teppista.
Non reggeva il dolore dell'amico, Sirius, per la perdita del proprio padre, perché lui stesso non riusciva a vivere quel dispiacere.
Aveva dovuto incanalare la sofferenza di Sirius e di Lily, dimenticandosi della propria.
Un gesto eroico e anche molto stupido, ma che denota nobiltà d'animo portata al livello più estremo.
James quella notte non riuscì ad addormentarsi, dunque scese in soggiorno, e si accorse che nemmeno Meg dormiva.
«Piccola Gold, non hai sonno?»le domandò sedendosi sul divano accanto a lei.
Meg lo guardò con occhi spiritati, e assenti, non sapeva se abbracciarlo e piangere o fingere di star bene.
«Sì, ma non riesco a dormire.»rispose con un filo di voce.
«Nemmeno io.»sbadigliò James, spettinandosi la chioma ribelle.
«Sirius è un bastardo.»esordì Meg mettendosi a sedere.
In quel momento non pensò al fatto che James fosse il migliore amico di Sirius, ma anzi, diede per scontato che fosse il proprio.
«No, ha solo paura.» sussurrò James guardando davanti a sé. «Lily non la smetteva di piangere.»
«È solo molto triste.»sospirò Megan imitando il gesto dell'amico.
James si lasciò andare a un pianto disperato, e ciò colse di sorpresa Meg, anche lui non ci pensò due volte a trattenersi, sapeva che con lei poteva "cadere".
«James...» Meg lo abbracciò forte, tentando di calmarlo.
Gli occhi nocciola di James anche al buio risultavano lucidi.
«Io la amo, ma non posso dirle come mi sento, non posso...»singhiozzò il ragazzo.
«Non posso farlo nemmeno io... e non posso neanche essere arrabbiata con Sirius.»
E poi Meg si staccò dall'abbraccio e guardò James negli occhi.
«Dallo a me.»disse.
James la guardò confuso, scosse la testa e chiese: «Cosa?»
«Il tuo dolore, dallo a me. E io ti darò il mio.»concluse la ragazza sorridendo.
James era incredulo, per anni aveva creduto di essere solo nella parte più oscura e tormentata del suo cuore, e adesso? Aveva trovato qualcuno con cui poterla condividere.
Un altro alieno.

«Andiamo a ballare.»esordì.
«Eh?!»replicò Meg ridacchiando.
«Hai la faccia di una che vuole scatenarsi e anch'io ne ho bisogno.» borbottò James alzandosi dal divano.
«Sono le tre di notte, dove vuoi andare?»
«Qui, insonorizzo il salotto e ci scateniamo.»scrollò le spalle James semplicemente.
Meg sorrise e si alzò anche lei meno triste di prima.
«Sirius mi ha regalato questo.» James si avvicinò a una mensola e prese un vinile dei Village People, il titolo della canzone era YMCA, subito dopo aver insonorizzato la stanza.
Senza molte difficoltà pose il vinile nel giradischi e la canzone iniziò.
James si mise a ballare senza che i suoi movimenti fossero coordinati o aggraziati.
«AVANTI, PICCOLA GOLD!»
Megan scoppiò a ridere urlando: «SIAMO DUE PAZZI, LO
SAI?» e poi si mise a ballare sgraziatamente anche lei.
Finirono entrambi esausti sul pavimento a guardare nuovamente il soffitto, con l'anima meno afflitta.

Quella notte Remus aveva fatto un giro nel viale intorno alla casa, portandosi dietro qualche alcolico, non era ubriaco, solo un po' brillo.
James e Meg, invece, erano rimasti sul pavimento a parlare a voce bassa del più e del meno, e lui aveva spezzato l'incantesimo di insonorizzazione.
«Lei non vuole sposarsi più.»sussurrò James malinconico.
«Lui è troppo orgoglioso.»
«Lei non capisce che sarei disposto a tutto per la sua felicità.»
«Lui è troppo irascibile. Secondo te è vera quella teoria secondo la quale noi donne tendiamo a metterci con uomini che hanno alcuni tratti identici ai nostri padri?»
«Sirius non è come tuo padre, Meg.»
«Lily ti ama, Genogilde.»
«GENOGILDE?»domandò James aggrottando la fronte.
Meg rise, osservando la sua espressione di sconcerto e confusione. «Da oggi per me sei Genogilde.»
«Questo soprannome è frutto di una crisi di sonno o assumi sostanze?»chiese James ridendo e spingendola scherzosamente.
L'orologio segnava le quattro in punto, e James si alzò dal pavimento.
«Torno da Lily, di solito a quest'ora si sveglia.»
Meg annuì, dicendogli che sarebbe andata a letto anche lei di lì a poco.

Remus entrò finalmente in casa e si stupì nel vedere Meg stesa sul pavimento con gli occhi chiusi, da brillo era passato a mezzo ubriaco e barcollava un po'.
Megan aveva i capelli sparsi e le labbra leggermente schiuse, rosse e ben visibili, la camicia da notte si era alzata e lasciava intravedere una coscia candida.
Remus desiderava quella carne, come un vero lupo affamato, voleva a tutti i costi baciarla.
«Meg.»esordì con tono leggermente aspro, strattonandola per un braccio.
Megan percepiva il freddo a causa della finestra lasciata semichiusa e poi una forte pressione al braccio. Era intontita dal sonno e non capiva bene chi fosse la persona che le parlava.
Remus se la caricò sulle spalle e la portò di sopra, nella sua stanza.
Mentre la stava adagiando sul letto però, Meg, tra veglia e sonno, mugolò qualcosa e si strinse a lui con gambe e braccia.
«Non lasciarmi ti prego.»biascicò lei.
A quelle parole Remus arrossì lievemente, e non la mise a letto, si staccò leggermente così da poterla guardare negli occhi socchiusi.
Il respiro le era diventato un po' irregolare e il desiderio di lui cresceva sempre di più mentre le accarezzava le gambe scoperte.
Remus non resistette, la baciò, la baciò come aveva sempre voluto fare.
Megan, ancora intontita, ricambiò come meglio poteva, e lo tirò sul letto, proprio su di sé, accarezzandogli lievemente i capelli.
Le labbra di Meg erano puro paradiso per Remus, voleva amarla, le baciò il collo, il petto e poi di nuovo le labbra, le accarezzava i seni che si intravedevano.
Meg continuava a rispondere ai baci e alle carezze, arrivò perfino a togliergli la giacca, e gli alzò il maglione.
Per Meg era un sogno e non la realtà, se si fosse resa conto si sarebbe fermata.
Per Remus invece, era la realtà e continuò a spogliarsi.
Meg lo tirò di nuovo a sé, e lui le sollevò ulteriormente la veste.
La guardò.
Non era molto cosciente.
Non era giusto.
Lei amava un altro.
«Sirius...»mugolò lei.
Remus si fermò, si alzò da lei e si mise le mani nei capelli.
Lei voleva Sirius.
E lo stava tradendo per colpa sua.
Remus deglutì e diede la colpa all'alcol.
«Perdonami.»la coprì nuovamente, si ricompose e uscì.

La Tana (Meg)
Mi rendo conto dell'importanza di quell'evento: il pianto.
Del resto quando veniamo al mondo la prima cosa che facciamo è piangere, strilliamo, quasi per voler affermare la nostra presenza nel mondo: uno spettacolo fastidioso e magnifico allo stesso tempo.
La giacca di pelle di Sirius è una dolce carezza sul mio corpo, ma ho dovuto togliermela e rimettermi la felpa di prima.
Ron sta dormendo e russa un po'.
I capelli rossi gli ricadono sulla fronte e le labbra carnose sono semiaperte.
Mi tolgo la gonna e le mutandine lasciando tutto sul pavimento, rimango solo con la sua felpa.
Ho bisogno di Ron, di tutto il suo corpo, sento che devo smetterla di pensare, ho bisogno della sua forza e dell'amore che prova.
Mi siedo a cavalcioni su di lui e lo bacio.
«Meg... che fai?»domanda sbadigliando.
Lo bacio di nuovo, mordendogli il labbro leggermente.
Mi accarezza le gambe e quando si accorge che sono scoperta arrossisce.
Lo guardo per provocarlo e prontamente lui si spoglia per poi baciarmi.
Mi sforzo di sentire qualcosa, ma è così debole la sensazione, anche se Ron spinge dentro di me vigorosamente.
Si alza con me aggrappata a lui e mi appoggia alla porta, mi toglie la felpa e inizia a mordermi il petto dolcemente.
Quando finiamo mi accorgo che Harry non c'è, fortunatamente.
«Ma dov'è?»domando indossando altre mutande e ricomponendomi.
«È uscito stanotte.»sussurra al mio orecchio Ron con voce roca.«Buon Natale, comunque.»
«Andiamo a cercarlo, sono le sei del mattino!»esordisco scostandomi.

Ivy Lock
(Canzone: Hung Up -Madonna)
Nessuno può avere idea di dove sia Harry. Del resto lui non vuole farsi trovare, vuole evadere da un contesto in cui si sente estraneo.
Non sa come aiutare Meg, sente che tutta la sua vita sta girando intorno a qualcosa di tragico e stancante.
La cicatrice gli brucia poco e per il viale innevato gli tremano le mani.
Cosa fanno i ragazzi alla sua età? Qualcosa di sbagliato?
Qualcosa di giusto?
Su chi può contare per sfogarsi?
Meg è più pazza che altro, o meglio, gli dà questa impressione.
Remus? È pur sempre un professore.
Ron? Troppo preso da Megan.
Senza farci caso si trova a camminare per le stradine del centro abitato Ivy Lock, e proprio sul lato destro oltre una vecchia panchina di legno scheggiata c'è un bar, da cui provengono voci e musica.
Harry si guarda intorno: la strada deserta, il vento che gli soffia dritto negli occhi, quasi accecandolo oltre gli occhiali tondi.
È solo, nel mezzo di una strada poco conosciuta, la notte di Natale
Si fa coraggio ed entra nel bar, subito si rende conto che non è per soli maghi, ma anche per babbani.
La musica quasi assordante gli entra nel petto, come un virus prepotente al quale non si può sfuggire.
Il locale è illuminato da luci rosa e viola, e la gente sudata si accalca su un piccolo palchetto accanto al DJ.
Harry avverte il calore invadergli il collo e il torace, perciò si toglie cappello e cappotto.
«Ma guarda un po' chi si vede, Potter.»
Pansy Parkinson gli si presenta in tutta la sua appariscenza, completamente diversa dalla mattina stessa.
Indossa una giacca di velluto nera, tenuta stretta da una cintura in vita decorata da piccoli diamantini, le gambe sono slanciate grazie a un paio di pantaloni neri aderenti.
Harry la osserva quasi incantato, per poi soffermarsi sul volto: gli occhi color petrolio sono in risalto grazie al trucco scuro e le labbra carnose sembrano quasi due petali di malva.
I capelli scuri corti e la frangetta sono così lucenti e pettinati, Harry oserebbe definirli perfetti.
Il ragazzo deglutisce, e con finta disinvoltura le fa un cenno.
«Non mi aspettavo di vederti.»ridacchia lei, sorseggiando un drink e facendo un fastidioso ticchettio con le unghie contro il cristallo del bicchiere.
Le unghie sono stranamente ben curate, lunghe e dipinte di viola scuro, ma gli occhi di Harry continuano a viaggiare dallo sguardo alle labbra di Pansy.
«Sei da solo?»
«Già.»
Pansy lo scruta con fare indagatore, i problemi di fiducia le hanno insegnato ad essere prudente.
«Come mai?»
Harry si stupisce della quasi cordialità di Pansy, la quale ha usato un tono molto pacato... dolce.
«Beh... avevo voglia di stare per i fatti miei. E tu?»
Pansy lo osserva ancora e con sicurezza gli risponde: «Volevo bere e scopare. Sai, è Natale.»
Harry arrossisce a quelle parole, tenta di nascondere il suo imbarazzo tossendo.
Lui non ha mai avuto rapporti con una ragazza, e si sente a disagio... o forse no.
«Ti ho infastidito?»sussurra Pansy avvicinandosi, con un ghigno malizioso stampato sul volto.
«No, non ho quattro anni, so cosa vuol dire fare certe cose.»risponde lui, evitando lo sguardo di lei.
«Quindi se adesso ti proponessi di andarcene di sopra, verresti senza paura vero?»
Harry quasi si affoga con la sua stessa saliva per la sfacciataggine di Pansy.
Ha detto quella frase a Meg e Ron, su una possibile storia con Pansy, ma per scherzare... e adesso lei gli propone di trascorrere una notte insieme.
«Mh, immaginavo. Almeno sai come baciare una ragazza?» domanda Pansy, con un tono di finta abnegazione.
«Certo che lo so!»
Pansy annulla la distanza tra i loro volti, prende quello di Harry tra le mani e senza troppi complimenti lo bacia in un modo in cui Harry non è mai stato baciato. Non è il bacio veloce e casto di sempre, anzi, è come una danza sensuale che nessuno dei due vuole interrompere.
Harry dimentica chi sta baciando, dimentica quanto quella ragazza possa essere stronza.
Pensa solo ai loro corpi che si uniscono, nel modo più erotico possible in una squallida stanza del locale di Ivy Lock.

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