Veronika. Voglio ricomporre il tuo cuore in frantumi
Domenica 15 luglio
Camminare a piedi nudi sulla sabbia bollente era una novità per me.
Quando ero bambina correvo sulla neve che, ogni inverno, imbiancava la città di Novgorod.
Poi mia mamma era morta, ero cresciuta e Mike mi aveva presa con se. E al freddo polare della Russia si erano sostituiti il clima temperato della California e le strade asfaltate e impersonali di San Diego.
Avevo attraversato viali, viottoli, vicoli puzzolenti, sentierini fangosi e stradine sterrate, ma mai una spiaggia.
Mi piaceva quella sensazione.
La sabbia, a differenza degli altri, non m’infastidiva né mi scottava le piante dei piedi. Mi accarezzava dolcemente. E mi parlava di ricordi felici.
Se la neve della Russia mi raccontava di giovinezze perdute e le strade californiane di anni di silenziosi soprusi e violenze striscianti e senza possibilità di riscatto, la spiaggia mi parlava di amori timidi e a lieto fine.
Di sogni che avevano trovato la loro realizzazione.
Mi piacque pensare a tutte le persone che erano passate di lì prima di me e a tutte quelle che avrebbero percorso in futuro il mio stesso tragitto.
Chissà se anche loro si erano fermate- o se si sarebbero fermate- nello stesso punto in cui stavo io.
Chissà se anche loro avevano fumato – o avrebbero fumato-una sigaretta dopo l’altra, avvelenandosi i polmoni e permettendo ai pensieri di disperdersi nell’aria insieme al fumo.
Chissà se anche loro avevano commesso – o avrebbero commesso – il mio stesso sbaglio, cioè quello di tentare di sfuggire al proprio passato, ma allo stesso tempo di sperare di vivere tranquillamente il presente e quindi di costruire pezzo per pezzo il futuro.
Chissà se anche loro avevano nascosto una lettera di poche parole tra i vestiti.
Io tenevo la mia vicino al cuore.
Per crogiolarmi nell’illusione che Ryan fosse con me.
Che anche lui provasse qualcosa nei miei confronti.
Che non mi avesse sbattuto in faccia la realtà delle cose, ma che mi avesse permesso di continuare a vivere nella dimensione da favola che mi ero creata.
Avrei potuto continuare all’infinito elencando tutti i ‘che’ e i ‘se’ che forse mi avrebbero fatto felice, ma non ne avevo la forza né la volontà di mettermi lì a riflettere.
Tutti quei ‘che’ e ‘se’ non mi avrebbero trasportata indietro nel tempo. Non avrebbero materializzato al mio fianco lo Stronzo in carrozzina. Non gli avrebbero aperto il cuore.
Buttai nella sabbia il mozzicone morente e passai oltre, tenendo in mano i sandali e giocherellando con il piercing sulla lingua.
Amavo quando le onde di volta in volta mi lambivano pigramente i piedi nudi.
Era una sensazione così diversa e lontana dalla neve che mi faceva venire i geloni e me li ricopriva di tagli o dalle vesciche che mi trovavo, dopo una giornata infruttuosa di lavoro, a furia di camminare sui tacchi e stazionare per delle ore vicino ai pali della luce.
Due bambini mi tagliarono la strada e si tuffarono in acqua, ridendo cristallini.
Io li seguì con lo sguardo.
Anche io da piccola ero così.
Solo che al posto del mare c’era la neve perenne.
Al posto dei castelli di sabbia, gli uomini di neve che decoravo con sassolini, bottoncini, rametti e stringhe sfilacciate di scarpe.
Una volta la mamma mi aveva aiutato a farne uno.
Ricordo che io avevo messo il broncio perché lo snowman non aveva la sciarpa come me. Temevo che prendesse freddo.
Allora mia madre si era tolta, con un sospiro, la sua e gliel’aveva allacciata attorno al testone.
Era stata la prima e unica volta in cui avesse mai giocato con me.
Non aveva mai pettinato le bamboline di plastica, non le aveva mai vestite, non mi aveva mai aiutato a cucinare pranzi immaginari. Però mi aveva cresciuto con amore, insegnandomi i valori fondamentale che ogni essere umano avrebbe dovuto seguire.
Poi avevo incontrato Mike e quei valori erano andati perduti.
Se solo mia mamma fosse rimasta accanto a me…
Se solo non avesse deciso di scegliere la via più facile, ma avesse deciso di lottare.
Se solo avesse pensato a me, mentre si stringeva il cappio attorno al collo e balzava giù dal tavolo.
Forse avrebbe trovato un nuovo motivo per combattere. Una nuova speranza. E invece lei si era scordata di avere una figlia piccola che una settimana più tardi avrebbe compiuto gli anni.
Probabilmente era per questo che Iris mi stava così antipatica.
Mi sembrava solo una ragazzina viziata e che aveva avuto tutto dalla vita.
Poi, certo, potevo sbagliarmi e giudicarla male, ma lei non sarebbe mai entrata a far parte delle mie amicizie.
Nonostante avessimo entrambe origini russe – i tratti nordici erano più accentuati sul suo viso, che sul mio -eravamo troppo diverse. Troppo distanti. Eravamo due rette che non si sarebbero mai incontrate.
Il nostro rapporto sarebbe nato e morto nello stesso istante in cui le avrei ceduto il ruolo della sottomessa nel film. E basta. Dubitavo fortemente che ci sarebbe stato altro.
Mi accorsi solo in quel momento che Veronika due taceva. Forse anche lei pensava alla donna che mi aveva messo al mondo.
Dopotutto aveva fatto da mamma anche a lei, in un certo senso.
«Ah quindi sei tornata…»
Mi voltai di scatto.
Che ci faceva lui lì?!
«Cosa?»
Christopher sbuffò e piegò le labbra nella piega di disprezzo che le caratterizzava
«Il tuo fidanzato mi ha detto che te ne eri andata» spiegò annoiato.
Scacciai il sorriso scemo che minacciava di spuntarmi sul viso e lo fissai truce.
«Ryan non è il mio fidanzato» ribattei, mettendomi le mani sui fianchi.
Il regista alzò le spalle e mi agitò davanti al naso l’indice affusolato.
«Beh… le beghe romantiche non sono affar mio. A me interessa il film. Se non ti presenti ancora una volta alle prove puoi pure dire addio alle prove. Chiaro?»
Le mie sopracciglia schizzarono fino all’attaccatura dei capelli.
Sollevai i palmi. «Chiarissimo! Non mancherò più.»
A dire il vero del ruolo nel film non mi importava poi così tanto, nonostante il polverone iniziale che avevo alzato per farmi prendere.
Però abbandonare la parte sarebbe equivalso a cederla prima a quella smorfiosetta di Iris.
E dire addio alle morbide labbra di Arleen.
E al culo d’oro di Matthew.
E alle foto da V. I. P. di Jona.
Sarei stata una stupida a farlo.
Christopher annuì. «Bene. Ci vediamo mercoledì al Parco dei Principi.»
Senza salutare, si voltò e prese a camminare verso l’uscita della spiaggia, facendo lo slalom tra ragazze che si abbrustolivano al sole, venditori ambulanti di collane e bambini che si rincorrevano.
Mentre lo guardavo allontanarsi, mi venne in mente che lui aveva menzionato Ryan e che molto probabilmente si erano parlati.
Chissà se stava bene o no. Chissà se pensava a me, oppure aveva cancellato la mia immagine dalla testa scrivendo la lettera.
Sembri una mammina apprensiva… hai Christopher a sei metri di distanza, chiediglielo!
Veronika due aveva ragione, strano ma vero.
Senza esitare un secondo di più, lasciai cadere i sandali nella sabbia e corsi dietro al regista, inerpicandomi su per le dune ondulate.
«Aspetta! Aspetta!»
Gli afferrai un braccio e lo costrinsi a girarsi, fermandomi affannata.
Un altro motivo per smettere di fumare.
«Christopher Roberts, fermati!» ordinai perentoria, anche se non sapevo quanto sarei risultata intimidatoria con i capelli davanti agli occhi, il petto che faceva su e giù, il respiro che usciva fuori a rantoli confusi e i piedi ricoperti di sabbia.
Il regista mi lanciò uno dei suoi soliti sguardi di sufficienza irritata.
«Che c’è?»
Mi calmai e gli puntai un dito contro, un po’ come aveva fatto lui cinque minuti prima.
«Tu che hai parlato di Ryan, come sta?»
Lui sollevò le spalle e la sua irritazione crebbe, attivando di conseguenza la mia.
«Che vuoi che ne sappia io?! È sempre lì, seduto sulla sua carrozzina!»
Lo guardai male. «Eh grazie!» sbottai allargando le braccia. «Intendo dire sta bene? É… felice?»
«Ti sembro sua madre? Ryan è adulto e vaccinato, presumo sappia cavarsela.»
Sbuffai frustrata e mi strinsi il ponte del naso. Da lui non avrei ottenuto nulla.
O forse non avrei dovuto ottenere proprio niente. Dopotutto cosa poteva fregare a me di una persona per la quale non contavo nulla? Perché avrei dovuto preoccuparmi?
Una persona normale avrebbe chiuso gli occhi e sarebbe andata avanti, ma io non ero una persona normale. Io non sarei mai stata abbastanza coraggiosa da chiudere gli occhi e cancellare il passato dalla mia mente.
Guardai Christopher, che a sua volta fissava spazientito il costosissimo Rolex che portava al polso.
Mi venne in mente un’idea da bricconcella.
Il caro regista sembrava infastidito anche dall’aria che respirava e a giudicare da come occhieggiava le lancette dell’orologio doveva avere anche un appuntamento importante con qualcun da lì a mezz’ ora.
E siccome io ero tutt’altro che gentile ed educata, decisi di tirare la cosa per le lunghe.
«Devi andare da qualche parte?» domandai curiosa allungando il collo verso di lui.
Christopher inarcò un sopracciglio.
«E a te cosa dovrebbe importare?»
Alzai le spalle. «Un cazzo» replicai, ma prima di ricevere epiteti poco lusinghieri, mi voltai e fissai il mare.
«Ho voglia di fare una nuotata. Vieni con me?»
Christopher scoppiò in una risata sarcastica. «Certo! Ho proprio tempo da perdere con una ragazzina!»
Una ragazza gentile ed educata si sarebbe scusata per il disagio e si sarebbe dileguata senza fiatare. Io invece non ero così e quindi gli avrei proprio fatto perdere tempo.
Mi girai di nuovo verso di lui e cominciai a spogliarmi. «Beh… Io sì… » tolsi la maglia - di Kaylee tra l'altro - e gliela buttai addosso. «Ho una voglia… matta di… fare una nuotata!» Feci scivolare anche i pantaloncini lungo le gambe e li avvolsi attorno al suo braccio. «Ecco!»
La lettera di Ryan mi scivolò sulla pancia e io mi affrettai ad afferrarla e nasconderla furtivamente nelle tasche degli shorts.
Non sapevo quanto fosse conveniente nuotare con il nuovo completo di Victoria Secret's, ma avevo voglia di provare qualcosa di nuovo e di divertirmi.
Il regista mi fissò allibito. «Ma che… ?»
In quel momento notai una cosa. Christopher non sembrava estremamente interessato al mio corpo. Perfino il cucciolo Jona si era trovato in difficoltà quando mi ero sfilata la maglietta davanti a lui per le foto.
Forse il regista era gay…
Certo… ha la scritta ‘etero’ in fronte e tu lo definisci gay!
«Vado a nuotare. Tienimi d’occhio la roba, grazie.»
Christopher s'inalberò. «Ma col cazzo!»
Lo sfidai con lo sguardo.
«E allora vieni a farti un tuffo. Con me.» Lo vidi aprire bocca e gliela tappai con una mano prima che potesse sputare fuori insulti in aramaico. «Vieni o ti rigo la macchina.»
I suoi occhi divennero rotondi come palline da ping pong.
«Ti aspetto.»
Poi senza aspettare una risposta, presi la rincorsa e mi buttai in acqua.
Tanto sapevo che mi avrebbe raggiunta. Ne ero sicura.
Nessuno sarebbe stato tanto stupido da sfidare una pazza scatenata. Avevo visto di tutto e fatto di tutto, niente mi avrebbe fermato dal rigare la carrozzeria di un’auto per un motivo banale.
Niente.
Riemersi dal mare, sputacchiando ovunque e scostandomi i capelli bagnati dal viso.
Christopher si stava togliendo la camicia.
Sorridendo soddisfatta, mi tappai il naso con le dita e mi tuffai di nuovo.
Domenica 15 luglio, notte
«Cos’hai fatto di bello oggi?» mi chiese Ivanna.
Sorseggiai con gusto la camomilla e mi sistemai meglio sul morbido divano del soggiorno, portando le ginocchia al petto. «Sono stata in spiaggia.»
Lei sorrise sbarazzina, come se già conoscesse la mia risposta, riuscendo a stupirmi ancora una volta dell’incredibile somiglianza che c’era tra lei e mia madre.
Parlavo con lei, ma era come se davanti a me ci fosse mia mamma.
Erano quasi uguali esteticamente, tranne che per i lineamenti che apparivano più morbidi sul volto di mi zia che su quello di mia madre.
Ma erano sottigliezze, dettagli superflui che un occhio poco esperto sicuramente non avrebbe mai notato.
«Questo lo so» replicò Ivanna con una dolcezza unica, che mi riempì gli occhi di lacrime.
Lei se ne accorse subito. Aggrottò la fronte e mi fissò preoccupata.
«Che succede tesoro?»
Annuii e ricacciai indietro le lacrime.
«Mi ricordi tanto la mamma» risposi in un soffio.
Ivanna poggiò sul tavolo la sua tazzina e mi prese una mano tra le sue.
«Alexieva manca un sacco anche a me, ma mi consolo con l’idea che lei ora sia in un posto migliore. Non dimenticare mai che le persone muoiono solo se dimenticate per sempre.» Si allungò sul divano e mi mise una mano sul petto. «Alexieva invece ha la fortuna di continuare a vivere nel tuo cuore. Nel cuore dell’unica persona che l’ha amata davvero e che, nonostante tutto, l’ama ancora. Capito?»
Le strinsi la mano riconoscente e annuii con un dolorosissimo groppo in gola. Non avrei potuto fare altrimenti.
Le parole non mi sarebbero mai sfuggite dalle labbra, per quanto ci provassi.
Volevo dirle tante cose. Volevo confidarle i miei segreti e come mi ero sentita quando, tornando a casa da scuola, avevo trovato il tavolo della cucina ribaltato e il corpo di mia mamma che dondolava come una bambola rotta.
Volevo mettermi a nudo e tornare la bambina di un tempo.
E invece l’unica cosa che fui capace di buttare fuori dalla labbra fu un ‘grazie’ biascicato a fatica e in tono così basso da rischiare di non venir udito nemmeno da me.
Ivanna mi sorrise, ma prima che potesse aprire bocca uno scalpiccio proveniente dall’esterno costrinse entrambe a voltarsi verso l’uscio.
«Che succede?» domandò allarmata mia zia.
«Non lo so. Vado a vedere.»
Misi giù la tazza della camomilla e corsi alla porta.
Accostai l’occhio allo spioncino.
Inizialmente non vidi molto, ma poi mi abituai al buio.
E per poco non scivolai a terra sconvolta.
Ryan era davanti alla casa e sembrava cercare qualcosa tra l’erba curata del prato tagliato all’inglese.
Nel frattempo stava anche discutendo con Kaylee, che emerse dall’ombra quando lui indicò una finestra e gesticolò furioso.
Ivanna mi raggiunse. «Che succede?»
Mi voltai di scatto e premetti l’indice contro le labbra. «Ssh!!» sibilai. «Fuori c’è Ryan.»
«Mmh. Allora ti lascio al tuo amore.» La zia mi strizzò l’occhio e si allontanò, sparendo poi su per le scale.
Rimasta sola, mi appiattii contro la porta e cercai di captare quante più parole possibili nella discussione tra Kaylee e l’ex modello.
Il mio ex modello.
Torturai il piercing pensierosa.
Chissà cosa l’aveva portato lì.
Mi schiacciai di più contro il legno.
Speravo vivamente che non si fosse fatto vivo solo per riprendersi la lettera. L’avrei preso a schiaffi.
E invece le mie orecchie unirono qualcosa che non avrebbero mai voluto sentire.
«La ragazza che ho appena rimorchiato al bar mi ha dato uno strappo. Dopo avermi fatto un servizietto niente male. Non pensavo riuscisse a fare tante acrobazie sui sedili posteriori.»
Il mio viso prese fuoco e il sangue m’infiammò le vene.
Oh no.
Ryan era andato a puttane.
Oh no no.
Una ragazza rimorchiata al bar.
L’avrei ucciso. E avrei ucciso pure quella zoccola che si era prodigata nelle ‘tante acrobazie’.
Ryan era solo mio. Mio, mio e mio.
Mandando a monte l’ultimo briciolo di buonsenso e dignità che mi restava, spalancai la porta e mi catapultai fuori.
La prima cosa che notai appena gli piombai davanti fu che puzzava di alcol da far schifo. Non andava bene. Ryan non doveva bere.
«Cosa vuoi dirmi?» sbottai truce. Le parole mi uscirono più dure di quanto avessi voluto, ma ero furiosa.
Come si permetteva quello stronzo in carrozzina a tradirmi così spudoratamente?
Tradirti? Ma se sei stata tu a farti mezza San Diego!
Dettagli.
Pensavo che Ryan mi avrebbe dato una risposta inerente alla domanda e invece mi spiazzò facendomene un’altra.
Mi chiese chi fosse il tipo con il quale mi aveva vista Matthew. Non avrei mai pensato che Chiappe d’oro fosse un bambino cattivo a cui piacesse fare la spia.
Beh doveva solo sperare di non incontrarmi mai, altrimenti gli avrei mollato un calcio così forte su quel sedere marmoreo, di cui andava tanto fiero, che le natiche sarebbero passate davanti e si sarebbero trasformate in un paio di tette.
Ad essere sinceri il bacio che io e quel riccone ci eravamo scambiati mi era passato completamente di mente. L’avevo incontrato alla stazione di polizia, quando ero andata a vedere cosa avesse combinato Sylvia, e grazie a un qualche moina ero riuscita a convincerlo a darmi un passaggio.
Gli avevo promesso un servizietto, ma poi quando aveva posteggiato l’Audi in un vicolo l’immagine di Ryan deluso dal mio comportamento mi aveva fatto cambiare idea.
L’uomo non aveva neanche insistito. Si era fatto dare le indicazioni stradali per arrivare da Kaylee e mi aveva accompagnata. Quando ero scesa ci eravamo scambiati un bacetto. L’iniziativa era venuta da me, ma solo perché avevo notato una preziosa collana d’oro massiccio allacciata attorno al suo collo. Così mentre mi divorava le labbra e mi ficcava la lingua in gola, l’avevo presa e l’avevo fatta scivolare nella tasca posteriore dei pantaloni.
Lui non si era accorto di nulla.
Tra me e Ryan scoppiò una discussione, che probabilmente si sarebbe protratta in eterno se Kaylee non fosse intervenuta e avesse deciso di riaccompagnarlo a casa.
Senza aspettare una sua risposta, afferrò la carrozzina e la pilota veloce verso l’auto.
La guardai con irritazione mentre lo aiutava a salire e chiudeva la portiera dietro di lui.
Io dovevo farlo, mica lei.
Chissà poi cosa avrebbero potuto fare loro due insieme, da soli… con Ryan ubriaco.
Preferii non pensarci.
Però prima di salire dalla parte del guidatore Kaylee venne verso di me e mi porse il suo telefono.
«Me lo tieni, almeno finché torno?»
Lo presi confusa. «Ma, perché?»
La ragazza mi gettò una lunga occhiata. «Tienilo, Veronika. Potrebbe arrivare qualche messaggio importante.»
Non feci neanche in tempo a esprimerle i miei dubbi – dopotutto, cosa poteva fregare a me dei suoi messaggi! – che lei si era già precipitata dentro l’auto e aveva già chiuso la portiera.
Accese il motore e partì, sfrecciando sulla strada deserta.
Li guardai andare via, finché anche i fanali posteriori dell’auto non scomparvero oltre la curva.
Bah. Che gente strana.
Appena rimasi sola, precipitai nello sconforto.
Avevo visto Ryan eppure l’unica cosa che ero stata capace di fare era litigare con lui, quando in realtà avrei solo voluto ricoprirlo di baci.
Avevo discusso quando lui aveva accantonato l’orgoglio per venire a cercarmi.
Quanto potevo essere stupida?
La vita mi offriva sempre possibilità di riscatto e io le rifiutavo sempre sdegnosamente.
Mi rovinavo da sola.
Non so per quanto rimasi là fuori, sul viottolo di casa.
Non so per quanto rimasi a fissare il punto in cui la macchina di Kay era scomparsa.
Ma fatto sta che quando decisi di rientrare, il telefono della ragazza s’illuminò, segnalando l’arrivo di un nuovo messaggio.
Strano.
Passai il dito sul tastino centrale, feci rilevare la mia impronta – avevo costretto Kaylee tempo prima a registrare anche la mia perché mi sembrava un cosa assurda – e sbloccai l’app di messaggistica.
Era un video messaggio, ma era diverso dagli altri perché non figurava nessun numero o contatto.
Beh non m’interessava.
Spinta dalla curiosità, lo feci partire.
Fu l’errore più grande della mia vita.
Il filmato riprendeva Ryan e Kaylee distesi a letto.
Si stavano baciando.
…
La mia vita era stata stravolta mille volte nel giro di un minuscolo quarto d’ora.
Un quarto d’ora che mi aveva uccisa con la stessa facilità con cui mi aveva restituito la vita.
Un quarto d’ora che mi aveva aperto gli occhi.
Io quel quarto d’ora l'avevo aspettato per anni con ansia e speranza.
Perché finalmente i frantumi del mio cuore avevano smesso di vagare impazziti nel mio corpo ed erano tornati a formare una cosa sola.
Perché finalmente avevo capito il significato dell’essere felici.
E questo solo grazie a quelle sei magiche parole che Ryan aveva mormorato, tenendomi per mano e fissandomi negli occhi.
Penso di essermi innamorato di te.
Le avevo aspettate con talmente tanta angoscia che non mi sembravano vere.
Stavo sognando.
Troppa felicità in un giorno non era un privilegio che spettava a me.
Eppure mi erano parse così reali e Ryan così sincero…
Lo fissai scioccata e lessi nei suoi occhi da gatto l’impazienza impaurita di ricevere una risposta.
Cosa avrei dovuto fare?
Di getto, col cuore e l’anima in mano, sarei scoppiata in lacrime di sollievo e gli avrei detto esattamente la frase che lui si aspettava.
Gli avrei detto che lo amavo anche io, anzi che io a differenza sua ne ero proprio sicura, che senza di lui mi sentivo persa, che avevo sperato quelle parole per giorni.
Ma c’era ancora qualcosa che mi frenava.
Il mio cuore era stato spezzato troppe volte, troppe, troppe.
Non potevo più fidarmi neanche di me stessa.
Mi ero giurata che non sarei più cascata nelle trappole della vita, ora era il momento di tenere fede a quella promessa.
Tolsi delicatamente la mano dalla sua e feci un cenno di diniego col capo. «Ryan, sei ubriaco… domani non ti ricorderai nemmeno delle tue parole.»
L’ex modello scosse con veemenza la testa. «No, no. Ti assicuro che in questo momento sono sobrissimo!»
Quanto avrei voluto che fosse così…
«Non sei sobrio, Ryan…» mormorai sconsolata, mentre i miei occhi si riempivano di lacrime.
Avevo sperato nella realizzazione di quel momento per tantissimo tempo, e ora che era successo non potevo gioirne.
Perché la vita era sempre così ingiusto con me.
Avrei potuto dire di sì e sorridere davanti alle parole di Ryan, farci l’amore e dormire accoccolata contro di lui, ma il giorno dopo sarei tornata a fare i conti con la dura realtà dei fatti.
Ryan non si sarebbe mai ricordato delle sue parole, avremmo litigato e io me ne sarei andata. Per l’ennesima volta.
Se solo lui non avesse bevuto così tanto…
Non riuscii più a trattenere le lacrime e scoppiai in un pianto a dirotto.
Chissà cosa avevo fatto di male per meritarmi una simile punizione.
Ryan mi fissò confuso.
«Perché piangi ora? È un errore essere innamorato di te?»
Mi tappai le orecchie e singhiozzi come una bambina.
«No! No! Smettila di dirlo! Non sei consapevole di ciò che dici! Perché devi illudermi in questo modo? Cosa ti ho fatto?»
L’ex modello s'indignò.
«Prenderti in giro?» domandò sconvolto. «Sei seria? Io ti sto parlando col cuore in mano e tu l’unica cosa che sai dire è questa?»
«Tu non mi stai parlando col cuore in mano, tu vuoi liberarti la coscienza! Una persona innamorata per davvero non si sfoga con l’alcol e solo per fare ammenda ai propri sbagli!»
Chi l’avrebbe mai detto che sarei ancora riuscita a provare dolore all’altezza del petto? Chi l’avrebbe mai detto che un cuore in frantumi avrebbe continuato a far male anche dopo che è stato spezzato?
Ryan mi guardò deluso, poi un sorriso amaro gli increspò le labbra.
«Ah, ho capito il tuo gioco adesso. Mi hai ingannato per tutto questo tempo. Tu ami ancora Mike, il tuo pappone, quel figlio di puttana. Brava! Complimenti. E io stupido ci sono cascato. Vai, torna pure al bordello a farti fottere da uomini come Gonçalo. Vai! Cosa aspetti?»
Cosa? No!
Perché diceva questo?
Perché era convinto che lo avessi preso in giro tutto il tempo?
Lo fissai confusa, spalancando gli occhi e la bocca.
«Cosa?»
Ryan indicò la porta.
«Vattene! Non voglio più vederti.»
Quella frase fu peggio di una pugnalata.
Mi tappai con più forza le orecchie, fino a piantarmi le unghie nella cute, e mi dondolai avanti e indietro. Capii che quella situazione era peggio che farmi riempire di pugni o cedere il mio corpo a Veronika due.
Era cento, mille volte peggio.
«No… no… no… io non intendevo questo… no!»
Non avevo più neanche la forza per urlare, mugolavo soltanto.
«No… no… tu vuoi che me ne vada…»
Era quella la follia vera, mica finire a letto col tuo patrigno o sentire le voci immaginarie. Era scommettere ogni speranza in un amore che non sarebbe mai stato ricambiato.
Poi all’improvviso, mi sentii strattonare per il braccio e caddi sul letto.
Ryan mi tolse le mani dalle orecchie e mi sollevò la testa con un dito.
«Non so cosa ti stia succedendo, ma io tengo troppo a te per lasciarti andare via così. »
Mi prese il viso tra le mani e mi baciò.
Io chiusi di scatto gli occhi e ricambiai con disperazione il bacio.
Non era uno normale. Era un esplosione di dolore, passione e follia. Sì eravamo folli insieme.
Riversammo in quel bacio tutti i sentimenti repressi di quei giorni, così pericolosi da distruggerci entrambi.
Senza staccarmi, salii sul letto e mi misi a cavalcioni su di lui.
Allacciai le braccia attorno al suo collo e lo strinsi a me con tutta la forza che avevo.
Non l’avrei più lasciato andare.
Mai più.
Ryan mi cinse con possessività i fianchi e tracciò un sentiero di baci che andava dalla mia bocca alle clavicole.
Mi morse la pelle sotto l’orecchio e io m’inarcai contro di lui.
Avvertii un accenno d’erezione e perciò mossi in circolo il bacino, facendo sfiorare le nostre intimità anche se erano separate da del tessuto inutile.
Ryan afferrò i bordi della mia maglietta e li arricciò verso l'alto, sfilandomela poi dalla testa.
Io feci la stessa cosa con la sua e la gettai in un punto imprecisato oltre le mie spalle.
«Sei mia…» sussurrò.
…
Crollai su di lui e nascosi la testa nell’incavo della sua spalla, cercando di regolarizzare il respiro.
Ryan mi accarezzò la schiena sudata con movimenti delicati e mi strinse a sé.
Il suo cuore batteva impazzito contro il mio, come il mio.
«Veronika?»
Mi girai di lentamente e mi rimisi a cavalcioni su di lui.
Sbadigliai stanca. «Dimmi.»
Ryan mi sistemò una ciocca di capelli ribelli dietro l’orecchio e mi prese la guancia nell’incavo della mano.
«Voglio ricomporre il tuo cuore in frantumi» mormorò dolcemente.
Io gli sorrisi. «L’hai già fatto.»
Eravamo soli eppure ci veniva spontaneo sussurrare le parole anziché dirle a voce alta. Era come se fossimo racchiusi all’interno di una bolla magica.
Ryan mi guardò divertito. «Davvero? Quando?»
Mi chinai in avanti e posai un delicato bacio sulle sue labbra. «Adesso.»
Quello sarebbe stato il momento opportuno per dirglielo, pensai.
Per essere sincera.
Tanto non era più ubriaco.
«Ryan, ora tocca a me.»
«Dimmi tutto.»
«Anche io mi sono innamorata di te.»
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