Veronika. Dietro l'obiettivo
Avevo mentito. Non era vero che fossi stanca né che volessi dormire. A dire il vero non avevo nemmeno una minuscola e leggera parvenza di sonno. Ero troppo amareggiata e su di giri per pensare a chiudere gli occhi e abbandonarmi tra le braccia di Morfeo.
Anzi, su di giri non era neanche il termine esatto: ero contenta e sollevata come una ragazzina di quindici anni alle prese con la prima cotta. Quando Arleen aveva risposto, contro ogni aspettativa, al mio bacio, il cuore mi era precipitato nello stomaco e la mente si era trasformata in un mocciolo di candela gocciolante, su cui brillava però ancora un'ultima fiammella speranzosa. La stessa fiammella che poi era diventata un incendio, laddove il suo braccio mi aveva cinta e le sue mani accarezzata. La stessa fiammella che illuminava i suoi capelli.
Prima che Christopher, spuntato da solo Dio sa dove, c'interrompesse gentilmente con il suo scatto, violante la privacy altrui, mi era quasi parso di sentire il suo cuore battere forte in simbiosi col mio. Per quei veloci e speciali secondi, i miei piedi si erano staccati dal pavimento e mi avevano fatta fluttuare dolcemente per aria. Volare no, però. Quella era una cosa che sapeva fare solo Ryan. Con lui, io toccavo il cielo con un dito pur restando ben ancorata a terra. Nemmeno Mike era riuscito ad arrivare a tanto. O meglio ci era arrivato, ma non mi faceva sfiorare con le dita le nuvole, ma una dimensione buia, malata e a senso unico.
Ero amareggiata anche per questo. Nonostante Kaylee avesse un certo feeling, seppur nascosto, con Gonçalo - l'avevo sospettato mentre origliavo la loro discussione in balcone - avevo il timore che l'ex modello, il mio ex modello, cominciasse a provare qualcosa per lei. Cosa che mi sembrava alquanto strana, ma non impossibile.
In fondo non sarebbe stata un relazione orrenda o ridicola: lei era una figa assurda, lui un figo assurdo. Egocentrici uguali, testardi oltre ogni limite. Non conoscevo la ragazza tanto bene da poter descriverla perfettamente, ma qualcosa nei suoi occhi mi suggeriva che in un téte à téte non si sarebbe lasciata scoraggiare tanto facilmente.
Mi morsi il labbro inferiore, avvertendo un singhiozzo fastidioso e inaspettato premermi contro il petto e corrermi su per la gola. Per paura di svegliare Ryan mi portai entrambe le mani alla bocca, sperando in cuor mio che non ce ne fossero altri.
Non ce ne furono. Ricacciai le lacrime, che mi stavano appannando la vista da qualche parte lontana e sconosciuta della mia mente e sbattei le palpebre. Una, due, quattro volte, finché non mi convinsi che sarei riuscita a controllarmi.
Non capivo perché mi stessi comportando così, non era da me. E poi, la sera prima, non mi ero promessa che per la prima e ultima volta avrei provato ad essere innamorata?
Una promessa che avevo scordato totalmente, facendomi divorare da una gelosia insensata.
Date un premio a questa ragazza che finalmente lo ha ammesso!
Se non fossi stata così di cattivo umore, probabilmente avrei riso di cuore. La mia vocina era rimasta silenziosa per così tanto tempo che avevo iniziato a preoccuparmi. A quanto pareva, però, era tutto nella norma.
Dillo che ti mancavo.
Mi passai una mano sugli occhi stanchi e li sfregai con le dita. Non le avrei dato corda per nulla al mondo. Provai a concentrarmi sui dettagli più superflui della stanza, pur di scacciarla: una macchiolina d'umidità, la spessa coperta di polvere sul mobiletto spoglio, la crepa sul muro, i segni delle ruote della carrozzina sulla moquette. Anche sul respiro pesante e regolare di Ryan che dormiva vicino a me. Solo che stavolta io non ero rivolta verso di lui, ma verso la parete. Gli avevo dato le spalle nella speranza di poter scivolare nel sonno più facilmente, ma così non era stato. L'ex modello continuava a invadere i miei pensieri anche se non lo avevo sotto lo sguardo.
Fu anche per questo che quella notte non dormii. Rimasi con gli occhi spalancati nel buio, finché la luna non venne inghiottita dalla luce nascente del sole.
Ryan non se ne accorse e la mia vocina non parlò.
...
Mercoledì 4 luglio
Mi chiusi la porta dell'ufficio di Christopher alle spalle e avanzai timida di qualche passo.
L'assistente del regista - tale Marguerite - poggiò un plico di fogli e fascicoli sul piano della scrivania e sollevò lo sguardo severo su di me
«Non ti muovere e non toccare niente. Quando arriveranno il signor Roberts e il signor Heart ti diranno cosa fare, ma nel frattempo sta qua. Chiaro?»
Annuii solerte e la osservai finché l'uscio dello studio non si fu chiuso alle sue spalle e di lei non rimase altro che il profumo dolciastro in aria.
In barba agli ordini che mi aveva dettato, mi gettai di peso sulla sedia girevole in pelle nera di Christopher - da vero boss mafioso - e allungai le gambe sul tavolo. L'ampia finestra sulla parete opposta mi permise di avere una magnifica vista sullo skyline di San Diego.
Quella sì che era vita, non quella schifosa che mi era stata affibbiata ingiustamente. Avere la consapevolezza che il giorno dopo sarebbe stato uguale al precedente, ma almeno non mi sarei coricata con la preghiera silenziosa di un cuore in frantumi e un corpo a pezzi.
Ecco cosa volevo: una vita noiosa, monotona, ma una vita. Non uno scorcio d'esistenza, così breve, così fine. Se la vita degli altri avrebbe potuto benissimo essere paragonata a un enorme orologio, le cui lancette si muovevano pigre, la mia era come la sabbia di una clessidra. Solo che la mia ampolla superiore era quasi vuota. Ogni spinello, ogni sigaretta, ogni taglio che mi ero fatta nel corso di quegli anni, ogni botta ricevuta, equivalevano a un granello di sabbia che scivolava via senza tornare indietro. Sì, era solo un minuscolo, microscopico granello di sabbia, ma era e restava uno che anziché allungare la mia vita, la stava accartocciando.
Cominciai ad annoiarmi. Non c'era nemmeno la mia vocina a tenermi compagna, con le sue parole insensate e sconclusionate.
Sbadigliai vistosamente e stiracchiai gli arti indolenziti e pesanti. Tutto il sonno che avevo perso in quei giorni stava tornando a divorare viscido il mio corpo e a raggrupparsi dietro le mie palpebre.
Mi piegai in avanti e afferrai la prima cosa che mi capitò a tiro. Risultò essere il fascicolo di una donna che si era presentata per il ruolo di Cloé nel film. Guardai la foto e per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva. La donna in questione, nei panni di quella che mi sembrò una mistress, aveva il fuoco nei capelli, gli smeraldi al posto degli occhi e il rosso della passione dipinto sulle labbra. Non potei vedere nient'altro perché il viso era ricoperto da un'elegantissima e aristocratica maschera veneziana.
La mia vocina tornò dall'oltretomba e sobbalzò con me.
Arleen?
Scossi la testa, non poteva essere lei. Non riuscivo a immaginarla come una dominatrice impegnata a frustare sadica l'aria e a farsi riverire e servire come una regina del sesso. Anche se questo avrebbe spiegato molte cose.
Accipicchia... ti sei scelta una peperina eh?
Passai alla descrizione, chissà, magari sarei riuscita a convincermi del tutto.
Poi non dirle che vuoi fare l'attiva e comandare tu, che ti cazzia.
Ma te ne vai?!
La porta si aprì all'improvviso e lei scomparve, prima che potesse rispondermi con due di picche, risucchiata dai meandri della mia mente.
Un ragazzo entrò come una furia, camminando a testa bassa e tenendo in mano quella che identificai come una macchina fotografica. Non mi vide, impegnato com'era a smanettare qualcosa sul suo telefono.
«Christopher, devo andare tra un'ora. Dove sono le ragazze?»
«Christopher non c'è.»
Il fotografo alzò confuso gli occhi verdi su di me. «E tu chi saresti?»
Intrecciai le dita - come un vero boss mafioso - e lo guardai a mia volta. «Non vorrei sbagliare, ma credo di essere una ragazza.»
Lui non cambiò espressione. «Intendo dire, che ci fai lì. Perché Christopher non c' è?»
«Ho ottenuto la parte da sottomessa. Mi hanno detto di aspettare qui» spiegai alla fine. «In quanto a Christopher non ho la più pallida idea di dove sia.»
Il ragazzo mugolò qualcosa di incomprensibile prima di mettere via il telefono e mettersi al collo la macchina fotografica.
«Tu sottomessa? Mi sembri molto giovane per un ruolo simile.»
Mi strinsi nelle spalle e tolsi le gambe dal tavolo, tornando seduta. Lo fissai. Aveva un bel viso, dai lineamenti fini e delicati, quasi infantili. Mi dava l'impressione di un bambino costretto ad abbandonare in fretta i giochi per diventare uomo velocemente. La barba era curata, i riccioli ribelli tirati di lato, gli occhi scuri e le labbra rilassate di chi sorride sempre. Decisi che mi piaceva.
Gli sorrisi. «Tu sei?»
Lui si sistemò i capelli e mi tese cordiale la mano. «Jona Heart, fotografo freelance. Tu?»
Gliela strinsi senza indugio. Era calda e morbida. «Piacere...» Non seppi più come continuare. Fui indecisa se dirgli il mio nome o meno. Lui aveva detto di essere un fotografo, confermando la mia idea, ma poteva essere una bugia. Avrebbe potuto essere uno sbirro travestito così come avrebbe potuto essere una spia.
Una spia? Ma sei seria? Che ti sei bevuta stamattina, candeggina?
«Io mi chiamo...» iniziai studiandolo con lo sguardo. Non sembrava pericoloso né tantomeno un poliziotto.
È solo un benedetto fotografo! La poltrona da boss ti ha dato alla testa?
Nel dubbio decisi di mormorare una bugia innocente.
«...Mi chiamo Jena Darna, sono una studentessa.»
Una bugia innocente...
«Non è vero. Si chiama Veronika ed è una ladra, non una studentessa» intervenne una voce nuova.
Jona si scostò spaventato da un lato e io fulminai con lo sguardo Christopher, che si avvicinò calmo alla scrivania. Fece un cenno distratto al ragazzo prima di rivolgersi a me.
«Marguerite non ti ha detto che non dovevi toccare niente e che avresti dovuto stare ferma al tuo posto?» sibilò. «E levati dalla mia sedia.»
M'infossai ancora di più e sorrisi impertinente. «Ti vedo inacidito. Hai il ciclo?»
Il regista assottigliò lo sguardo. «Simpatica.»
Jona si mise in mezzo. «Ma quindi ti chiami Jena o Veronika?»
Non aveva senso continuare a mentire, la frittata era già stata girata, tanto valeva cuocerla.
«Veronika» bofonchiai offesa.
«E saresti una ladra o una studentessa che ha preso la parte?» continuò confuso il fotografo.
Non replicai. Lasciai la patata bollente a Christopher, in fondo era tutta colpa sua.
Fortunatamente non infierì più di tanto.
«È una ladruncola che ha ottenuto il ruolo da sottomessa» gli spiegò, prima di afferrarlo per un braccio e trascinarlo lontano dalle mie orecchie. Li vidi parlottare vicini alla finestra come due vecchie comari e mi sporsi sul tavolo per sentire qualcosa. Invano. Le loro labbra si muovevano velocemente, mormorando parole udibili solo a loro.
All'improvviso Christopher indicò prima la macchina fotografica e poi me e Jona annuì pensieroso.
Sventolai per aria un braccio. «Ehi... ci sarei anch'io» affermai seccata.
Nessuno dei due mi degnò della minima attenzione.
Sbuffai rumorosamente.
Il regista gesticolò saccente e il fotografo assentì nuovamente, ma non si girarono.
Rovesciai il portapenne sulla scrivania. «Oh rabbia! Che disastro!» azzardai.
Jona tirò fuori il telefono dalla tasca posteriore dei pantaloni e digitò qualcosa.
«Mannaggia le penne!» strillai.
Se insceni un infarto davanti a loro, sta certa che ti cagano.
Prima che prendessi seriamente l'idea di stramazzare a terra e creare un po' di scompiglio, li vidi sorridersi e darsi qualche pacca di circostanza sulle spalle.
Il ragazzo tornò da me, mentre il regista si diresse verso la porta dell'ufficio e l'aprì.
«Le voglio pronte entro domani» ordinò. Si rivolse a me. «Fa' la brava» si raccomandò, prima di uscire. L'uscio si chiuse silenzioso alle sue spalle.
Rimasti soli, attaccai subito Jona. «Cosa vi siete detti di così tanto segreto eh? Eh?» incalzai.
Lui sorrise arrendevole e sollevò i palmi delle mani. «Abbiamo discusso del film, stai tranquilla.»
Lo fissai sospettosa, ma non feci ulteriori domande. Anche perché le parole che disse, poco dopo, Jona bloccarono sul nascere qualsiasi mio spirito di ribellione: «Vieni, che cominciamo a scattare»
Lanciai un urlo perforante di gioia e saltellai come una molla fino a lui. «Sì, sì! »
Il fotografo rise e mi consigliò di posizionarmi di fronte alla finestra. Ma non feci neanche in tempo a sistemarmi per bene che sentii un ronzio e un click.
Lo guardai interrogativa. «Ma...» Non finii la frase. Il rumore di un altro scatto riempì la stanza e inghiottì le mie parole.
Continuai a fissarlo corrucciata. Perché scattava cogliendomi alla sprovvista? Sapevo di non essere bella, ma almeno per la foto avrei voluto essere perfetta. Non volevo più vedere quel fisico sgraziato che mi trovavo, i lividi sul volto e i capelli spettinati. Solo per una foto.
Un altro scatto.
Arricciai le labbra e mi coprì il viso con un mano. «Mi dai tempo di prepararmi almeno?» sbottai.
Jona non parve nemmeno sentirmi. «Ecco, brava. Sta ferma... così... fatto!»
Quattro click si susseguirono velocissimi, senza che avessi neanche il tempo di metabolizzarli.
In pratica vuole smerdarti.
«Togliti la felpa.»
Abbassai la mano dalla faccia e lo guardai come se all'improvviso gli fosse spuntata una testa in più. Poi cambiai espressione e sorrisi maliziosa.
«Di già?»
Lui non ricambiò il mio sorriso. Sembrava essere diventato un'altra persona. «È per il provino. Togliti la felpa, Veronika.»
Inarcai un sopracciglio, ma sollevai comunque un lembo della maglia.
«Sei una sottomessa no? Entra nel ruolo, trasformati e diventa il tuo personaggio.»
«Ah okay.» Controllai che la mia roba e la carta di credito di Ryan fossero ancora al loro posto e sfilai la felpa dalla testa. Rimasi in reggiseno - alla fine Sunny era riuscita a trovarne uno della mia taglia e mi aveva costretta a indossarlo - e in pantaloncini. Gli stessi con i quali, quella mattina, avevo stuzzicato l'interesse del mio ex modello paraplegico.
Jona deglutì un paio di volte e strinse di più la macchina fotografica. «.Slaccia... il bottoncino e fai scivolare di poco gli shorts.»
Obbedii come una bambina ligia al dovere.
Mi accorsi, però, che il suo sguardo era dirottato altrove. Cercava di darsi un contegno e riportare gli occhi sul mio viso, ma gli riusciva faticoso. Continuavano a scivolare verso il basso e a vagare impazziti sul mio corpo. Un po' come capitava anche a me quando mi trovavo davanti a un paio di pettorali marmorei o un culo da urlo come quello di Matthew.
«Vieni verso di me» biascicò e io eseguii. Non feci che due passi che sentii di nuovo il rumore di un altro scatto a sorpresa.
Non so perché, ma in quel momento iniziai a ridere. Risi divertita, di cuore, come non mi succedeva da tantissimo tempo.
Risi e lui scattò.
Mi morsi un labbro e lui scattò.
Mi asciugai le lacrime del riso e lui mi strappò un'altra foto.
«Brava! Sii naturale.»
Bastarono le ultime sue due parole a farmi capire che tipo fosse e perché non mi desse il tempo di prepararmi. Jona non si accontentava delle maschere che siamo costretti ad indossare. Lui scavava a fondo finché non tirava fuori il vero io di una persona. Un io impolverato, sporco, dimenticato perfino ai nostri occhi ma non ai suoi. Non agli occhi di un fotografo della vita reale.
«Siediti sulla scrivania e accavalla le gambe.»
Lo feci senza neanche pensarci troppo. Schiacciai i seni l'uno contro l'altro e m'inarcai verso di lui, in una posa seducente. O almeno, nella mia testa mi piacque immaginare che fosse così.
«Va bene così?»
Jona non rispose. Il suo dito scivolò in avanti e premette il pulsantino nero, regalandomi una risposta più che esaustiva.
...
«Come mi sta?» domandai facendo una mezza giravolta su me stessa.
«Ti sta da Dio!» trillò Sunny.
«Bene» mormorò Kat.
«Il nero ti dona.» Jona sorrise lievemente
E poi arrivò la mia vocina con la sua solita gentilezza:
Uno schifo.
«Ora possiamo andare?»
La sorella di Ryan si voltò e lo gelò con un'occhiata che non ammetteva repliche.
«Ce ne andremo quando avremo finito» indicò la sottoscritta. «Ti sembra che abbiamo finito?!»
Il fotografo sbuffò e si accasciò su una poltroncina lì accanto.
Quando io e lui avevamo finito con le foto - o meglio, quando lui aveva raccolto abbastanza materiale compromettente mio - ci eravamo avviati verso l'uscita. Io avevo raggiunto Sunny e lui era andato a prendersi un caffè. La scrittrice mi aveva costretta a raccontarle tutto, prima di decretare che oltre a lei, sia Jona che Kat avrebbero dovuto accompagnarci a fare shopping.
Aveva pensato di invitare anche Kaylee, ma io le avevo strappato di mano il cellulare prima ancora che potesse comporre il numero. Girare per mezza San Diego con un fotografo e un'altra scrittrice, molto simile a me, potevo anche tollerarlo, ma camminare con quella vipera-ninja proprio no.
«Ma perché lei no?!» aveva esclamato «Hai visto come si veste? È una dea della moda!»
Io avevo cambiato argomento. «Perché vuoi che Jona e Kat ci accompagnino?»
«Perché tu con questi straccetti hai dato uno schiaffo a trecento anni di vestiario e, per fare colpo su un bel ragazzo, alias Ryan, alias mio fratello, hai bisogno del parere di un uomo!»
«Io non voglio fare colpo su tuo fratello!»
Lei aveva proseguito, senza dare l'impressione di avermi udita: «So che il mio basta e avanza, ma per una volta mi vedo costretta a cedere il testimone a Kat.»
Quindi eccoci lì in uno dei negozi più costosi di San Diego.
Jona sbuffò. «Sì ma Sunny! Siamo da Victoria's Secret e io sono l'unico uomo.»
La sorella di Ryan alzò gli occhi al cielo. «Ma di che ti lamenti? Al massimo ti prenderanno per un gay.»
Kat intervenne: «O un maniaco sessuale. Veronika ha comprato abbastanza roba da rifarsi il guardaroba tre volte.»
Decisi di dar manforte anch' io. «Sì andiamo.»
Sunny si voltò sconvolta. «Veronika! Tu devi essere dalla mia parte.»
Incrociai le braccia al petto, proprio sopra al reggiseno nuovo di zecca che avevo preso, e m'incamminai verso il camerino. «Ti voglio bene» e tirai la tenda. Mi cambiai velocemente, raccolsi l'intimo che avevo scelto e andai alla cassa, seguita da un Jona sollevato, una Kat pensierosa e di malumore e una Sunny imbronciata. Porsi la carta di credito alla cassiera, con più trucco in faccia lei che tutto un negozio di cosmetici, e ritirai la mia roba.
Il viaggio di ritorno fu silenzioso, ma non imbarazzante. Riuscii a far tornare il sorriso sulle labbra della sorella di Ryan con una battutina. Sia il fotografo che la scrittrice simile a me rifiutarono di salire con noi e presero una strada diversa dalla nostra. Quei due mi sembravano molto affiatati, forse erano stati a letto insieme qualche volta.
L'espressione felice restò dipinta sui nostri visi anche quando salimmo le scale e aprimmo la porta. Lì si cancellò. O almeno dal mio volto, quando vidi seduta - accanto a Ryan - Kaylee.
Stavano guardando qualche programma demenziale in TV e mangiando del gelato, spaparanzati sul divano come due vecchi amici. Solo che nella mia testa quella scena si trasformò in un film a luci rosse. I cuscini divennero lenzuola sgualcite su un letto sfatto, i sorrisi espressioni compiaciute e maliziose e loro, anziché vecchi amici, presero le sembianze di amanti spudorati.
Prendila per i capelli.
L'avrei fatto. Oh sì che l'avrei fatto, se Sunny non mi avesse spinta in avanti e Ryan non avesse apprezzato il mio nuovo look.
«Sei molto bella» osservò Kaylee. Inarcai un sopracciglio e feci per risponderle a tono, però lessi nei suoi occhi una luce d'avvertimento che spazzò via ogni mia replica.
Perciò gettai stizzita scarpe e borsette per aria e mi catapultai in cucina. Mentre aprivo la linguetta della lattina notai, con la coda dell'occhio, quella donna chinarsi in avanti e baciare entrambe le guance a Ryan. E lui, da canto suo, non la respinse. Anzi le sorrise complice e le mormorò qualcosa. Stronzo maledetto!
Le mie dita stritolarono la capsula così forte da sbiancare le nocche. Solo che io non stavo stringendo la lattina, ma la bella faccia di Kaylee. Immaginai di prenderla e piantarle le unghie ovunque. E continuai a immaginare e a rodermi il fegato anche quando Ryan entrò in cucina e io finii la mia birra ghiacciata. Lo ignorai e corsi in camera, sbattendo la porta così forte da far tremare i vetri.
Corsi alla finestra e tirai fuori il pacchetto di sigarette. La gelosia si trasformò in una rabbia cocente e in un odio profondo. E poi non sapevo neanche perché. Io e l'ex modello non stavamo neanche insieme e il mio cuore apparteneva a Mike.
Ne sei sicura?
Scossi la testa, no, non ne ero sicura. Non ero più certa di niente ormai. Non della svolta che aveva avuto la mia vita, non di me stessa.
Il mio unico perno fu, in quel momento, la paglia che tenevo in mano. Solo quella era reale.
...
Giovedì 5 luglio
Spinsi la carrozzina fuori dall'hotel quasi correndo e mi fermai all'ombra di un albero.
Tutto il mio corpo tremava di rabbia. Quella smorfiosa aveva avuto il coraggio di avvicinarsi all'ex modello con me davanti! Più mi dicevo di non volerla vedere e più me la trovavo accanto.
«Gelosona... Gelosona... Gelosona...» canticchiò canzonatorio Ryan.
Lo fulminai con lo sguardo. «Lei non ha ancora capito che deve starti lontana. Almeno duecento chilometri.»
«Esagerata! Non è che abbiamo scopato eh.»
Alzai le spalle e mi appoggiai al tronco della quercia. «Ma spero proprio di no!»
«Per me o per lei?»
Non risposi e imbronciata incrociai le braccia sotto al seno. Ryan scherzava ma io avevo preso la faccenda sul personale!
Eravamo stati così bene il giorno prima, come due anime affiatate, voleva rovinare tutto?
Veramente quella che sta rovinando tutto sei tu.
Zittii quella maledetta, puntando lo sguardo sui miei sandali. Mi ero pure vestita come un pinguino, per lui!
«Ho caldo» borbottai. Allargai il colletto della camicia con le dita e poi non contenta, slacciai il primo bottone.
Ryan roteò gli occhi ma non disse nulla.
«Ho caldo» ripetei pungolandogli una spalla.
Lui sbuffò seccato. «Ti sembro un ventilatore?!»
Oh sì.
Oh no.
Feci sgusciare anche il secondo dall'asola.
«Perché siamo qui? Chi stiamo aspettando?»
Mi arrotolai le maniche fino ai gomiti e mi sventolai il viso con una mano. «Gonçalo. Cioè sto aspettando che smetta di picchiarsi con Jona.»
L'ex modello aggrottò la fronte, ma prima che potesse replicare una voce nuova s'intromise e lo batté sul tempo.
«Ehi ehi, chi si vede!»
Sia io che Ryan ci voltammo verso la direzione da cui proveniva.
Ma mentre lui sorrideva contento di vedere il suo amico, io mi strozzai con la mia stessa saliva alla vista di quel fisico da dio greco.
Matthew ci raggiunse e diede il cinque al mio dolce datore di lavoro. Nel farlo si piegò a novanta, menando il culo migliore del mondo per aria.
A me strinse la mano e rivolse un educato sorriso appena abbozzato.
I due cominciarono a scherzare, tagliandomi completamente fuori.
Mentre meditavo sull'operazione che mi avrebbe permesso di palpare quel sedere divino, notai in lontananza una figura alta e slanciata avanzare verso di noi. Serrai le labbra e d'istinto mi feci più vicina a Ryan. Eccola che arrivava...
Tempo due secondi dopo, ce la ritrovammo davanti.
«Eccomi qua» esordì Kaylee. Salutò i due uomini con due bacini sulle guance, ma non osò avvicinarsi anche a me. E fece bene.
Immaginai di polverizzarla solo con la forza dello sguardo e passare sopra al suo corpo ridotto in cenere. Soprattutto quando vidi con chiarezza Ryan poggiarle una mano sul fianco snello e farmi l'occhiolino dispettoso.
Digrignai i denti e mi voltai dall'altra parte, ben intenzionata a non parlare a nessuno di quei traditori infami. Matthew si salvava solo grazie al regale deretano che Madre Natura gli aveva donato.
Poi le mie orecchie udirono una frase che risvegliò la mia attenzione e un desiderio latente, nascosto sotto le crepe del mio cuore.
«...ho visto Ivanna ultimamente.»
Mi voltai di scatto. «Ivanna? Ivanna Vinogradov?»
Kaylee inarcò un sopracciglio. «È la compagna di mio padre, la conosci?»
Annuii con veemenza, mentre una nuova speranza nasceva in me. Se quella Ivanna era la stessa che avevo conosciuto anch'io, allora avrei finalmente capito il motivo che aveva spinto mia madre al suicidio.
Dimenticai l'astio nei suoi confronti, dimenticai Ryan. Tutto passò in secondo piano
«Mi puoi accompagnare da lei?» domandai con una certa urgenza.
La ragazza fece una faccia dubbiosa, prima di rovistare nella sua borsa e tirare fuori le chiavi della macchina. «Salta su.»
Ryan mi trattenne per un braccio. «Un attimo, io dovrei stare qui?»
«Potreste venire con noi» proposi senza pensarci troppo.
Fortunatamente Kaylee non sindacalizzò troppo e salimmo tutti sulla sua auto. Matthew e Kaylee davanti, io e l'ex modello dietro.
Diede gas e la macchina partì, sfrecciando sulla strada deserta.
D'istinto afferrai la mano di Ryan e la strinsi, in una muta richiesta di coraggio.
Lui, forse per pietà o per affetto, ricambiò.
...
Kaylee aprì la porta della casa di suo padre e con un cenno m'invitò ad entrare.
«Ivanna! Sono io.»
Da un angolo imprecisato della villetta arrivò la risposta. «Ciao tesoro!»
A udire il suono di quella voce, mi si inumidirono gli occhi. Quanto mi era mancata...
«Potresti venire un attimo? C'è qualcuno che ti cerca.»
«Arrivo!»
Kaylee mi fece gesto di accomodarsi su un divanetto in pelle, dall'aria comodissima, ma rifiutai scuotendo la testa. L'angoscia aveva ridotto il mio corpo a un fascio di nervi, pronto a scattare, e la mia mente a un gomitolo ingarbugliato di pensieri scoordinati.
Sentii qualcuno scendere le scale e il mio cuore precipitò nello stomaco.
Ad ogni passo io perdevo un battito.
Ivanna arrivò alla fine della scalinata e venne verso di noi.
Strinse in un abbraccio Kaylee e si voltò con un sorriso verso di me.
Se prima i miei pensieri lottavano per cercare di creare un filo logico, a vederla ora si spensero completamente. Era invecchiata dall'ultima volta che l'avevo vista, aveva messo su qualche chilo ma per il resto era sempre la stessa. Stessa bocca sorridente, stessi riccioli d'oro, stessi occhi chiari.
Ivanna mi porse la mano. «Ciao! Sei tu la ragazza che mi ha cercata? Come ti chiami?»
Annuii e decisi di buttare fuori le parole che premevano con forza contro le mie labbra.
«Sono... Veronika...»
Mentre guardavo il colore defluire lentamente dalle sue guance e il sorriso morirle, lasciai che una minuscola e invisibile lacrime sfuggisse al mio controllo.
«Ciao zia.»
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