Ryan. Paternali
Giovedì 12 luglio
«E non hai più avuto sue notizie?» mi chiese Matthew, preoccupato.
Io mi stavo scolando un bicchiere di cognac dopo l’altro. Arrivato al decimo, non ero ancora sbronzo come avrei voluto. La compressione che da ieri sera sentivo sul lato sinistro del petto non cessava di togliermi il respiro. Mi sembrava di annegare, come se le pareti del soggiorno si stessero stringendo intorno a me.
Dovevo uscire. Aria. Avevo bisogno di aria. E di Veronika. Dovevo trovarla.
Scossi la testa e finii l’ennesimo bicchiere, prima di sbatterlo con violenza sul tavolo. Sia Sunny che Matthew mi fissavano preoccupati. Mia sorella era corsa fino al bar del gigolò per chiedere il suo aiuto ma Matthew non vedeva Veronika da quando l’aveva mollato alle riprese del giorno prima.
«Posso tenere gli occhi aperti in bar per te, Morgan, ma non ho la più pallida idea di dove iniziare a cercarla. Ti ha mai detto dove viveva prima di venire qui?»
Non avevo mai raccontato a Matthew della professione di Veronika. Non potevo dirgli adesso che stava in un bordello. O sì? Possibile che fosse tornata lì? Ma anche se l’avessi svergognata davanti al suo partner cinematografico, Matthew non avrebbe potuto aiutarmi.
Scossi di nuovo la testa, reprimendo la voglia di urlare e spaccare tutto. Quanto avrei voluto avere le gambe per uscire da quella stanza sempre più piccola e correre in giro per la città senza fermarmi finché non avessi saputo che Veronika stava bene.
Solo quello volevo. Non che tornasse con me – le dure parole che le avevo rivolto erano servite apposta per allontanarla per sempre – ma che avesse un posto dove stare e non fosse tornata alle vecchie abitudini.
Matthew sospirò. «Mi dispiace un casino, amico. Spero davvero che la ritrovi. Puoi sempre rivolgerti alla polizia.»
Non volevo coinvolgere le autorità per non scatenare un putiferio. Se le avessi messo gli sbirri alle costole probabilmente l’avrei persa per sempre.
Mi stavo stancando di tante vuote parole. «Grazie per essere venuto, Evans.»
Matthew si alzò, capendo di essere stato congedato dal mio tono brusco. «Mi spiace non poter fare di più. Vuoi fare una capatina al mio bar? Offre la casa.»
«No. Buona notte.»
Girai la carrozzina verso la mia camera da letto, mentre Sunny lo accompagnava tristemente alla porta. Sulle mie gambe troneggiava una bottiglia di Chardonnay che Sunny aveva comprato per le occasioni speciale. Sarebbe stata la mia unica compagnia quella notte.
Sabato 14 luglio
Avevo trascorso il più merdoso venerdì da quando ne avevo memoria. Mi ero svegliato con un mal di testa allucinante e odore di vomito che permeava la stanza. Sunny era entrata per aiutarmi e aveva storto il naso, senza dire una parola. Avevo fatto un giro di telefonate, chiamando Matthew, Kaylee e tutti quelli che erano entrati in contatto con Veronika negli ultimi tempi, per sapere se avessero avuto notizie. Mi avevano risposto tutti di no tranne Kaylee. Lei era stata irreperibile tutto il giorno.
Ero stato costretto a chiamare anche il signor regista, che ne aveva approfittato per farmi una ramanzina. Era stato lui a mettere sotto torchio me, come se fossi diventato d’un tratto il baby-sitter di quella ragazzina.
«Se non si presenta alle prove lunedì, può dire addio alla sua parte» aveva minacciato Christopher.
«La sua umanità ed empatia mi commuovono» avevo replicato, mentre un nervo cominciava a pulsarmi sulla fronte. «Stiamo parlando di una ragazza appena maggiorenne scomparsa nel nulla e l’unica cosa cui pensa lei è il suo cazzo di film.» La rabbia rischiava di strangolarmi e avevo riattaccato prima di prenderlo a male parole.
Ero rimasto a corto di idee ma quella mattina presi una decisione.
«Monta in macchina» ordinai a Sunny irrompendo nella sua stanza e svegliandola di soprassalto. Lei mi guardò stupita di trovarmi già vestito e si affrettò a prepararsi.
«Dove andiamo?» mi chiese quando fu davanti al volante.
«1173 Front Street.»
Lei impostò il navigatore e aggrottò la fronte. Guardò lo schermo, guardò me. «Perché stiamo andando al carcere?»
«Devo parlare con una persona.»
Sunny era più confusa che mai ma ingranò la prima e si immise nel traffico. Dieci minuti dopo eravamo bloccati in un ingorgo di auto immobili e io stavo esplodendo di frustrazione.
«Non è normale che ci sia così tanto traffico di sabato mattina» commentò Sunny, spazientita quanto me ma più abile a nasconderlo. All’improvviso spalancò la portiera. «Vado a vedere cosa succede.»
Raggiunse un gruppetto di persone che si stava radunando più avanti e subito ne fu inghiottita. Io iniziai a tamburellare le dita sul volante. Dovevo arrivare dal pappone il prima possibile. Quel pezzo di merda che aveva tenuto in schiavitù Veronika per così tanti anni era l’unico che poteva aiutarmi in quel momento. L’avrei costretto a rivelarmi dove teneva il suo bordello. Speravo davvero di non trovarci la mia ragazza ma… ogni cosa pur di ritrovarla sana e salva.
Vidi Sunny corrermi incontro sconvolta. «Ryan! È Arleen! Ha avuto un incidente, hanno chiamato l’ambulanza, ma qualcuno dovrebbe andare con lei.»
«Aiutami a uscire.»
Sunny tirò fuori la carrozzina e mi aiutò a sedermici sopra, prima di spingermi a tutta velocità verso il luogo dell’impatto. Arleen era sdraiata a terra, la testa poggiata su una pila di giacche leggere donatele dai curiosi che stavano bloccando il traffico. La moto con cui si era schiantata era stata spostata lungo la strada ma nessuno si azzardava a muovere la rossa, e facevano bene. Forse il casco le aveva protetto la testa ma era meglio non rischiare.
«Sto bene, sto bene» continuava a borbottare la ragazza, irritata di essere così al centro dell’attenzione.
Sunny si inginocchiò accanto a lei, che alzò lo sguardo e mi vide. «Tutta colpa tua» biascicò, con un mezzo sorriso che smentiva il rimprovero.
«Ovvio, lo è sempre» replicai io avvicinando la sedia. «Cosa tentavi di fare, le derapate in centro?»
«Era il mio nuovo giocattolo» si lamentò lei, osservando sconfortata la grossa moto rovinata. «Me l’ha regalata il mio capo in cambio di un favore che non gli avrei chiesto se tu non ti fossi messo a bisticciare con la mia collega.»
«Di cosa stai parlando?»
«Gonçalo mi ha chiesto di prendermi cura della tua Veronika e in cambio gli ho chiesto una moto, sai, è sempre stato il mio sogno ma i soldi non…»
«Veronika è con Llanos?» la interruppi, mentre i miei zigomi prendevano fuoco.
«Sì…» Arleen parve confusa e si portò una mano alla testa. «Ma forse non dovevo dirtelo, ora che ci penso. Avete litigato, vero? Gonçalo mi ha detto che non sta più da te ed è strano, perché so che è pazza di…»
Non la stavo più ascoltando. Avevo già composto il numero di Kaylee, che come al solito non rispose. «Dannazione!» esplosi, esasperato. Alla fine decisi: «Sunny, tu vai con lei in ospedale.»
«E tu?»
«Vado al Parco dei Principi» risposi chiamando un taxi. Mentre lo aspettavo mandai un messaggio a Matthew: “Forse l’ho trovata. E a te conviene fare un salto all’ospedale. Ci sta andando una certa rossa.”
La sua risposta fu immediata: “Cosa le è successo?!” E subito dopo, come per un ripensamento: “E Veronika dov’è?”
Gli raccontai brevemente fino all’arrivo del taxi. Poi mi concentrai solo su tutto quello che le avrei detto appena l’avessi vista.
Mi piazzai nella hall a braccia conserte, ignorando la receptionist e i facchini che mi passavano davanti e mi chiedevano cosa volessi.
Poi finalmente arrivò la lussuosa auto di Gonçalo Llanos, da cui scesero due donne. Lui si tenne bene alla larga da entrambe ed entrò a grandi passi nell’hotel, senza neanche scorgermi. Sembrava irritato.
Vidi le ragazze parlottare fitto tra loro, prima di oltrepassare le grandi porte girevoli dell’ingresso. Kaylee fu la prima a notarmi e si immobilizzò. Veronika, rimasta incastrata tra le porte, le diede uno spintone e si liberò, imprecandole scherzosamente dietro.
Poi sollevò lo sguardo e mi vide.
Il tempo si congelò, la stanza si svuotò. Sembrava una di quelle scene da film in cui tutto il mondo scompare e restano solo lui e lei immersi in un’atmosfera da sogno con una qualche canzoncina strappalacrime in sottofondo.
Poi lei si voltò di scatto e scappò fuori. Il mio cuore, che si era quasi fermato, iniziò a battere più forte. Mossi la sedia in avanti d’impulso, per correrle dietro, ma mi fermai subito. Dove diavolo potevo andare?
Kaylee mi venne incontro. «Ciao Ryan.»
La guardai malissimo. Non avevo voglia di parlarle. Veronika era con lei e non aveva pensato di rispondere alle mie chiamate.
«Tornerà» mi rassicurò, sedendosi sul divanetto in pelle lì accanto. «È ancora sconvolta.»
Perché si ostinava a parlarmi? Il tempo delle chiacchiere era finito. Mi ero sbagliato sul suo conto.
Non sapevo che fare. Restare in hotel e aspettare che Veronika tornasse? Non mi avrebbe comunque rivolto la parola. Forse dopotutto avere qualche informazione non sarebbe stato male.
«Da quanto è con te?» domandai a denti stretti.
«Da giovedì sera. Ci siamo incontrate in un bar. Poi Gonçalo ci ha trovate e riportate a casa.»
«Stavi scappando anche tu? È una moda, adesso?»
Gli occhi verdi della ragazza lampeggiarono. «Scappiamo solo quando è troppo per noi, e lottiamo solo quando ne vale la pena.»
Mi alterai anch’io. «Non provare a giudicare la nostra situazione.»
Kaylee si tese verso di me, digrignando i denti per la rabbia. «Sai qual è il vostro problema?» sibilò velenosa. «Cercate sempre di dimostrare la vostra superiorità facendo gli eroi. “Non posso stare con te, ti metterei nei guai. Non possiamo stare insieme, non sono abbastanza per te. Non potrei mai costruire qualcosa con te, il mio passato ti distruggerebbe.”» La vidi stringere i pugni fino a far sbiancare le nocche. «Mi ha detto perché l’hai lasciata e, fatti dire una cosa, sei stato un grandissimo egoista. Stare insieme non è un percorso a un solo binario. Si tratta di due cuori e due menti che dovrebbero ragionare insieme per trovare la soluzione migliore. Ma tu hai preso la decisione per lei. “Meglio lasciarla libera che costringerla a stare con uno come me”» mi motteggiò, facendomi arrossire di collera e vergogna. «Tu neanche ti rendi conto di quanto le facevi bene. Eri tutto per lei, eri la sua speranza per una vita migliore. Lo sai qual è stata la prima cosa che ha fatto quando l’hai mollata? È tornata alla sua vecchia vita. È tornata dalle sue amiche prostitute a farsi sbattere per soldi, e anche quando l’ho incontrata al bar giovedì era con un uomo, ma poi l’ha lasciato perdere per stare con me. L’hai costretta tu a farlo. Sei stato un egoista pezzo di stronzo. Lo siete tutti.»
Non pensavo che il mio cuore potesse sopportare ulteriori colpi, ma evidentemente sbagliavo. Forse stavolta un infarto non me lo toglie nessuno, pensai mentre il solito peso invisibile mi schiacciava sulla carrozzina.
Era così, dunque. Il mio peggior timore aveva trovato fondamento. Veronika era tornata una prostituta.
Kaylee percepii la mia angoscia ma la sua ostilità non scomparve.
«So di avere sbagliato» cominciai, facendomi forza, «ma se solo mi desse la possibilità di parlarle…»
«Per ripeterle tutte le cattiverie che già le hai detto?»
«L’ho fatto per allontanarla da me. Va bene che mi odi. Voglio solo che sia al sicuro.»
«Veronika non è una ragazza normale, te ne sarai accorto. Eri l’unica cosa che la teneva ancorata a questa terra, le davi la gravità, le davi un senso a ciò che la circonda. Potevi sbarazzarti di lei senza essere così stronzo.»
«Non se ne sarebbe mai andata, la conosco. E non voglio che ritorni da me. Voglio che sia felice e si costruisca una bella vita.»
Invece di calmarla, quelle parole sembrarono accendere ulteriormente la moretta. «Cos’è stata per te, Ryan? Un trastullo, qualcosa per farti sentire vivo e desiderabile dopo tanto tempo? Hai provato qualcosa per lei o era solo la tua assistente e occasionale amante?»
Essere attaccato in maniera così diretta dalla stessa persona che avrebbe potuto porre fine alla mia angoscia con una semplice sillaba al telefono, mi lasciò basito e infuriato. «Tu mi metti sotto torchio? Sei diventata il suo angelo custode, dopo averla quasi strangolata solo perché hai scoperto che il tuo “fidanzato” se l’era scopata quando era ancora minorenne?» Non volevo tirare fuori di nuovo quelle questioni; le parole eruppero dalle mie labbra senza controllo. «Sai una cosa? Puoi anche credere che Veronika abbia mentito, che Llanos non sapesse la sua vera età, ma un uomo che paga una donna per farci sesso non è un vero uomo. Un uomo che va con una puttana tratterà sempre tutte le donne come puttane. E pensavo fossi più intelligente, Kaylee, ma evidentemente mi sbagliavo su di te.»
Mi aspettavo che mi urlasse contro. Mi aspettavo che mi schiaffeggiasse e se ne andasse. Non mi aspettavo che, tutt’a un tratto, scoppiasse in lacrime.
Esterrefatto, la osservai cercare fazzolettini alla rinfusa dentro la borsetta e asciugarsi gli occhi mentre singhiozzava: «Pensi che sia felice di essere in questa situazione? Pensi che non sarebbe molto più facile mollare tutto e andarmene? Ma non posso, non ora…» Mi rivolse il volto lucido di lacrime. «Potrei essere incinta, Ryan, e sai cosa mi ha detto lui? Che non può permettersi il lusso di costruire una famiglia con me. Eroi, tutti eroi!» gridò con disprezzo. «Dovreste andare tutti quanti a fare in culo!»
Le sorprese sembravano non avere mai fine, quel giorno. Non potevo continuare ad essere uno stronzo. In fondo, Kaylee si era presa cura della mia ragazza, a modo suo. Potevo anche perdonarla.
Le diede un goffo colpetto alla spalla. «Dai dai. Mi dispiace, Kaylee. Non piangere.»
Lei non mi diede ascolto e poggiò la fronte contro il mio braccio, inzuppandomi subito la t-shirt. La consolai come meglio potei, gettando occhiate intorno per vedere se qualcuno poteva salvarmi dall’impiccio.
Alla fine si calmò da sola. Si asciugò il viso, si soffiò il naso e mormorò: «Come mai non mi dici “te l’avevo detto”?»
Per chi mi aveva preso? Un cinico bastardo? Bah. «A cosa servirebbe? Dovresti solo rimanere tranquilla. Non resterai in hotel, vero?»
«No, torno a casa mia e se Llanos non me lo permette mi faccio venire a prendere da mio padre.»
Mio malgrado sorrisi. «Minacciosa.»
Sorrise anche lei. «Se la farebbe addosso. Ha un timore assurdo del mio papà.»
«Perché sa che i padri farebbero qualsiasi cosa per proteggere i loro figli.»
«Mi vuoi dire qualcosa?» chiese subito lei, sospettosa.
«Nessuno può decidere al posto di una madre, questo deve esserti ben chiaro. Comunque credo che prima di dare di matto dovresti fare il test.»
«Ho troppa paura» sussurrò lei. «Neanch’io vorrei un figlio, non in questo casino.»
«Dovresti prenderti una pausa da tutto per riflettere. E tenere Veronika con te.» Le strinsi la mano, guardandola ardente negli occhi ancora lucidi. «Per favore, non permetterle di tornare al bordello. Ha un lavoro con cui può cominciare una nuova vita. Ha solo bisogno di qualcuno che l’aiuti. Te o sua zia Ivanna.»
Kaylee sospirò. «La terrò con me, o almeno farò il possibile.»
Dovevo andarmene, avevo ottenuto quello che volevo. Ma prima…
«Mi dai un secondo?» Mossi la carrozzina verso la reception e attirai l’attenzione della concierge. «Posso avere carta e penna?»
La donna esaudì il mio desiderio e io iniziai a scrivere forsennatamente su quelle pagine di quaderno. La lettera non venne molto lunga ma avevo scritto tutto quello che pensavo e provavo. Più di così non potevo fare.
Tornai da Kaylee, che si era calmata e si stava truccando usando uno specchietto da borsa. Ah, le donne… Non sopportano di apparire in disordine.
«Dagliela appena la vedi.»
Lei prese la lettera, forse sorpresa che ci fosse ancora qualcuno che le scriveva. Poi mi guardò. «Sei lo stesso uno stronzo, Ryan, ma almeno capisci di avere sbagliato e cerchi di rimediare.»
«Ad alcuni di noi ci vuole più tempo.» Non volevo difendere Llanos. Forse volevo solo difendere me stesso.
«Potrei non averne più…» mormorò Kaylee, prima di salutarmi e andarsene.
Mi diressi verso le porte girevoli per uscire dall’hotel e mi scontrai con Kat che rientrava.
«Oh, scusa» fece subito lei, aiutandomi a disincastrare la carrozzina.
«Non è colpa tua, non sono porte fatte per gli invalidi.»
Lei fece una smorfia. «Continua a non funzionare, sai? Non fare la vittima con me.»
«Ne ho abbastanza di paternali per oggi. È lecito ad un uomo compiangersi di tanto in tanto e non fare l’eroe?»
Lei fu colta in contropiede. «Beh, certo.»
Tornammo nella hall per non bloccare le porte agli altri ospiti. «Tu come stai? Hai risolto la… situazione?»
«Più o meno. Hai visto Gonçalo?»
«È arrivato poco fa.»
Lei esitò, si morse le labbra, poi chiese precipitosamente: «Era con Kaylee, vero?»
Alzai subito le mani. «Tenetemi fuori dalle vostre questioni. Ma cos’ha quell’uomo che vi fa perdere la testa? Pensavo che il fascino del cattivo ragazzo funzionasse solo nei film.»
Kat fece una smorfia. «Oh, tranquillo, ho finito di farmi abbindolare da lui. Stupida io che mi sono lasciata andare… Cosa credevo? Il passato non può tornare. Dovremmo solo ricordarlo e andare avanti. Tentando di farlo tornare distruggiamo tutto e basta.» Scosse la testa, mormorò un saluto frettoloso e si diresse all’ufficio del direttore.
Io finalmente uscii da quel covo di vipere e salii sul taxi che mi aveva aspettato per tutto quel tempo. Prima che mettesse in moto vidi una figura sgattaiolare dentro il Parco dei Principi. Osservai la sua silhouette così sbagliata, coi fianchi troppo larghi, la vita troppo stretta e quei seni così vistosi anche sotto una semplice maglietta di cotone. Pregai che trovasse un giorno quello di cui aveva bisogno. Solo quello le auguravo.
Mentre tornavo a casa ricevetti un messaggio da un numero sconosciuto.
“Impara a farti i cavoli tuoi. Arleen.”
Non risposi neanche, esausto. Persino quando tentavo di fare la cosa giusta sbagliavo. Beh, meglio così. Facendo incazzare tutti non avrei più avuto nessuno vicino, niente più paternali, discussioni, litigi. Beata solitudine.
Dovrei trasferirmi in un eremo, pensai chiudendo gli occhi e lasciandomi cullare dal dondolio del taxi.
La pace finì anche troppo presto. Il cellulare cominciò a squillare.
Matthew.
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